COL SAN MARTINO – Vedere una figura come quella di Giacomo Notari tra gli under 23 fa un bell’effetto. Il coach del UAE Team Emirates Gen Z lo abbiamo prima incrociato al Palio del Recioto, poi al Trofeo Piva.
Tra le colline patrimonio dell’Unesco,Notari si è messo in ammiraglia per seguire i suoi ragazzi. Uno su tutti Gal Glivar, che dopo aver vinto al Belvedere era il grande atteso di giornata. Per lo sloveno un quinto posto finale, complici anche dei problemi meccanici nel momento sbagliato della corsa.
Notari dal 2024 lavora con il team UAE Emirates Gen ZNotari dal 2024 lavora con il team UAE Emirates Gen Z
I giovani campioni
Notari ha tra le mani i futuri talenti del team WorldTour che nel 2023 ha occupato il primo posto nel ranking UCI. Un bell’impegno e anche uno stimolo per un coach come lui che si è trovato a lavorare con ragazzi provenienti da tutto il mondo.
«Partendo da Glivar – racconta Notari – sicuramente è un buon prospetto, non è più un giovane di primo pelo. Questo è dovuto anche al ciclismo di oggi, che etichetta come “vecchio” un ragazzo di 22 anni. Gal è un bell’atleta, furbo, bravo a correre e a posizionarsi in gruppo, caratteristiche che in gara lo aiutano molto. Ha dei buoni numeri, ma la cosa principale è la sua capacità di lettura delle dinamiche di corsa. E’ abbastanza veloce e in salita tiene anche se non è uno scalatore (unendo queste qualità ha portato a casa la vittoria al Belvedere, ndr)».
I giovani sono aggiornati su metodi di allenamento e nutrizione (photors.it)I giovani sono aggiornati su metodi di allenamento e nutrizione (photors.it)
Abbiamo parlato spesso di Giami e Glivar, ma tu come preparatore che situazione hai trovato nel team?
Un po’ di diversità a livello di preparazione e di metodi di lavoro ne ho trovata. Essendo ragazzi di nazionalità diverse ognuno si porta dietro dei blocchi “culturali”
Cosa intendi?
Che un corridore americano spesso si allena in maniera diversa rispetto a un italiano o a un belga. Quello che ho visto è che, pur essendo giovani, sono sul pezzo già in tutto: alimentazione, allenamento, ecc…
Non sono da formare?
Magari da indirizzare, ma non è come 5 o 10 anni fa quando non c’era questa grossa cultura sportiva. Ad esempio ragazzi juniores di secondo anno sanno già quanti carboidrati assumere in gara.
C’è un metodo di lavoro “standard” che si adatta a corse e obiettivi di stagione (fotobolgan)C’è un metodo di lavoro “standard” che si adatta a corse e obiettivi di stagione (fotobolgan)
Le differenze che vedi a livello di preparazione quali sono?
Da quello che ho visto dai file degli anni precedenti, posso dire che i corridori belgi spesso si allenavano con lavori specifici ad alta intensità e ogni tanto facevano distanze. Al contrario, l’americano Cole Owen si allenava su distanze astronomiche, più di un professionista (in apertura photors.it).
E come avete organizzato il lavoro?
La nostra visione di squadra è quella di fare una buona base soprattutto in inverno. Una volta costruite le fondamenta, puoi inserire dell’intensità. Il tutto, chiaramente, incastrando il calendario e gli obiettivi.
Come ti stai trovando?
Bene, sono molto contento. Lavorare con i giovani mi piace parecchio, perché puoi plasmarli di più rispetto ad un corridore professionista. Lavorare con corridori maturi, a volte, ti porta anche a scontrarti perché hanno le loro idee e convinzioni.
I giovani sono più propensi all’ascolto, lo testimonia la vittoria di Glivar al Belvedere (photors.it)I giovani sono più propensi all’ascolto, lo testimonia la vittoria di Glivar al Belvedere (photors.it)
Con i giovani questo non c’è?
Si riesce a incidere maggiormente sulla loro crescita, naturalmente si deve creare quel feeling tra corridore e preparatore, ma una volta instaurato ti seguono in tutto e per tutto. Ho avuto un bello scambio di battute con Maini, dopo che Glivar ha vinto al Belvedere. Mi ha fatto i complimenti per il risultato, gli ho risposto che ero più contento per l’avvicinamento che ha fatto.
Perché?
Gal dopo la Coppi e Bartali era stanco, ha seguito per filo e per segno il programma che gli ho dato, che era davvero minimo. Ad un altro corridore magari sarebbe venuto qualche dubbio, invece lui mi ha ascoltato. Quello che ho detto a Maini è stato: «Sono contento perché il ragazzo si è fidato al 100 per cento. Che abbia vinto non è stato merito mio, quel che mi è piaciuto è che si è totalmente affidato a me».
Non è la prima volta che Federico Savino vince su strade estere, ma è chiaro che il successo nella terza tappa del Circuit des Ardennes ha un sapore particolare. Perché è il primo in maglia Soudal e perché rappresenta una rarità (almeno per ora, speriamo che presto non sia così) fra i tanti ragazzi italiani che si sono diretti all’estero per correre nei devo team.
Per Savino questo è il secondo anno alla Soudal e i progressi sono evidenti (FG Photo)Per Savino questo è il secondo anno alla Soudal e i progressi sono evidenti (FG Photo)
Parlando con Savinola prima sensazione che si ha è l’estrema consapevolezza del suo ruolo. Sembra davvero di parlare a un professionista, anche se siamo di fronte a un diciannovenne che però si sta prendendo sempre più spazio in un team importante
«L’attendevo da tempo questa vittoria – racconta – perché vedevo che stavo andando forte, ho preparato con cura la Liegi U23 di domenica prossima, ma volevo un attestato reale sulle mie condizioni. Diciamo che è una vittoria che mi sono preso di forza, anche sulla base di quant’era successo nelle tappe precedenti, sfortunate nel complesso, ma che forse mi hanno anche favorito».
La gioia del corridore pisano dopo la vittoria in solitaria (foto Alexis Dancerelle/DirectVelo)La gioia del corridore pisano dopo la vittoria in solitaria (foto Alexis Dancerelle/DirectVelo)
Perché?
Diciamo che l’andamento delle tappe iniziali ci aveva messo fuori classifica e quindi abbiamo corso la terza puntando direttamente alla vittoria parziale. Dopo la prima scrematura, il gruppo si era fortemente assottigliato, ma noi del team eravamo tutti davanti. Ci siamo parlati e io ho detto chiaramente di sentire le gambe forti, che quel giornopotevo essere il capitano. Gli altri mi hanno assecondato e hanno controllato la corsa, ma quando a una quarantina di chilometri dall’arrivo è partito il britannico Blackmore non potevo lasciarlo andare e mi sono messo alle sue calcagna.
Hai potuto sfruttare la lotta per la classifica generale?
Direi di sì, perché davanti eravamo rimasti in quattro, ma gli altri pensavano tutti alla classifica, io avevo più libertà di azione e l’ho sfruttata. Sono partito ai meno 10 per anticipare l’ultima salita guadagnando una trentina di secondi e si è rivelata la tattica vincente.
Il ritiro prestagionale ha dato al gruppo una forte coesione. Il capitano lo si sceglie in corsaIl ritiro prestagionale ha dato al gruppo una forte coesione. Il capitano lo si sceglie in corsa
Colpisce il fatto che ti sei imposto verbalmente sugli altri del team…
Non è proprio così, diciamo che la nostra squadra si fonda principalmente su comunicazione e onestà. Se non vado, sono il primo a mettermi a disposizione. Ma se sento che può essere la mia giornata, voglio giocarmi le mie carte. Alla fine se vince uno del team è bellissimo, che sia io o un compagno. Questo tra l’altro ci ha ripagato di molta sfortuna nelle prime settimane di gara, con due secondi posti di Magnier che potevano essere vittorie.
Tu ormai corri quasi sempre all’estero, ma sembra che ti ci ritrovi bene, considerando anche il passato come ad esempio la vittoria di tappa alla Corsa della Pace di due anni fa…
E’ vero, è un modo di correre che mi consente di avere più spazio. Sono corse frequentate sempre da gente forte e se sei davanti nelle fasi importanti, significa che vai forte anche tu. E’ un modo di correre aggressivo, o tutto o niente, si ragiona così ed è l’unica strada per crescere. In Italia spesso si punta a leggere la situazione fino allo sfinimento, quell’aspettare che a me non piace.
Il corridore toscano punta forte sulla Liegi di domenica prossima, poi correrà in Francia prima di una sostaIl corridore toscano punta forte sulla Liegi di domenica prossima, poi correrà in Francia prima di una sosta
E’ innegabile che “ai piani alti, ossia nella squadra WorldTour le cose non stiano andando benissimo. Questo si riflette nell’atmosfera del vostro team?
No, non abbiamo pressione di nessun tipo. I dirigenti vogliono che facciamo le nostre esperienze e ci concentriamo sulle nostre corse. Anche quando qualcuno di noi sale e corre con i big, ha il compito principale di imparare. E’ chiaro che non si può essere subito pronto per un team WT, bisogna dimostrare di meritarlo. Siamo due team separati e fra noi c’è sempre un bel clima, con gli altri ogni tanto si corre e ci si allena insieme, ma non c’è un grande legame proprio perché è così che i dirigenti vogliono.
La corsa è stata vinta proprio da Blackmore, al suo terzo centro stagionale. Che impressione ti ha fatto?
Ve lo dico apertamente: quello è un campione, fa impressione per quanto va forte, può vincere dappertutto. D’altronde non conquisti 3 corse a tappe su 3 nello stesso anno se non sei davvero forte. Vi racconto un piccolo dettaglio: il giorno dell’ultima tappa era in classifica a 7 secondi dalla leadership, sapeva che gli avrebbero fatto la guerra, eppure si è andato a prendere l’abbuono vincendo in volata, lui che scattista proprio non è. Certe cose le fanno solo i fenomeni…
Per Joseph Blackmore terza corsa a tappe conquistata dopo quelle in Rwanda e a TaiwanPer Joseph Blackmore terza corsa a tappe conquistata dopo quelle in Rwanda e a Taiwan
Sei al secondo anno alla Soudal. Ti pesa la lontananza da casa o ti sei abituato?
Entrambe le cose. E’ chiaro che non è semplice, soprattutto all’inizio stare lontano da casa per tanto tempo, ma è un’esperienza che ti fa crescere. E non parlo solo dal punto di vista ciclistico, ma anche di testa, come maturità. Ciclisticamente poi inizi a concepire le corse in maniera diversa da prima.
Ora ti aspetta la Liegi…
Sì, è un obiettivo per noi. Non si sa come la corsa può andare, ma vogliamo giocarci le nostre carte. Io poi andrò a correre il Tour de Bretagne e lì finirò la prima parte di stagione. Avere in tasca già una vittoria mi consente di affrontare queste gare più tranquillo e concentrato.
Savino, 2° da destra, ai mondiali juniores 2022, chiusi con un ritiroSavino, primo a destra, ai mondiali juniores 2022, chiusi con un ritiro
Quando ti rivedremo in Italia?
Spero per il Giro Next Gen, se sarò convocato, ma dipende molto da come andranno le prossime gare e come poi potrò affrontare il nuovo ciclo di preparazione. Tenere questa forma tutto l’anno è impossibile, quindi vedremo come andranno le cose, anche perché non nascondo che mi piacerebbe conquistare la maglia della nazionale. Da Amadorimi sono arrivati i complimenti per la vittoria, spero di meritarne altri e di spingerlo a chiamarmi per le gare titolate…
Quando si cambiano bici e materiali, serve sempre un po’ di tempo perché ci si adatti alla perfezione, specie nel ciclismo attuale in cui ogni minimo dettaglio può fare la differenza. Primoz Roglic durante l’inverno è passato da Cervélo, la bici che utilizzava all’allora Jumbo-Visma, alla Specialized in Bora-Hansgrohe.
Già qualche tempo fa vi avevamo parlato di questo cambio di materiali, bene: come sta andando? Ne parliamo con Giampaolo Mondini, storico uomo Specialized e referente tecnico tra squadre e appunto il brand che rappresenta.
Innanzitutto però, merita spazio un altro aggiornamento, quello che riguarda le condizioni della maglia rosa uscente. Dopo i fattacci dei Paesi Baschi, in cui prima aveva battuto il dorso e poi il ginocchio nel giorno della maxi caduta, possiamo dire che Roglic sta meglio del previsto. Si era temuto per una rotula fratturata e invece lo sloveno ha riportato “solo” delle forti contusioni. E questa è una bella notizia in vista del Tour de France.
La Specialized S-Works Tarmac SL8 di Primoz RoglicLa Specialized S-Works Tarmac SL8 di Primoz Roglic
Giampaolo, come sta andando questo “matrimonio” tra Roglic e Specialized?
Ho visto Primoz qualche settimana fa. Abbiamo percorso insieme la tappa del Tour, la prima, quella italiana. Posso dire che in discesa andava come una freccia. Ormai questi ragazzi hanno la velocità addosso! C’erano lui e anche Nico Denz. Abbiamo fatto il Barbotto e poi fino a San Marino. Proprio in quel frangente abbiamo parlato del suo adattamento e mi ha detto che si sta trovando benissimo con la bici.
In questo passaggio da Cervélo a Specialized avete riportato fedelmente le sue misure o ci sono stati degli adattamenti?
Le misure sono rimaste esattamente quelle, specialmente sulla bici da strada, mentre qualche piccolo intervento è stato fatto sulla bici da crono (in zona manubrio, ndr)
Partivate da 3-4 posizioni ci avevi detto l’ultima volta, che tipo d’intervento avete apportato?
Abbiamo fatto altri test, anche in galleria del vento, proprio prima di provare la tappa del Tour. Li abbiamo fatti a Milano. Dopo la Parigi-Nizza, Primoz è andato direttamente a Milano, appunto, e quindi è sceso in Romagna dove ha provato la prima tappa del Tour e poi anche la seconda.
Primoz Roglic (classe 1989) su Specialized, il feeling di guida è sembrato buono sin dalle prime uscite. Angoli uguali a quelli del 2023Primoz Roglic (classe 1989) su Specialized, il feeling di guida è sembrato buono sin dalle prime uscite. Angoli uguali a quelli del 2023
Hai detto che si trova benissimo, cosa gli è piaciuto dunque di questa Specialized SL8?
La reattività della bici. Ci si trova a suo agio, ha avuto subito un buon feeling e la trova veloce. E lo stesso vale per la bici da crono. Anzi, forse su quella va ancora meglio.
Perché?
In termini di guida ci si trova molto bene e infatti proprio ai Paesi Baschi a nostro avviso ha vinto anche perché nelle curve più strette è riuscito guidare molto bene. Era una crono molto tecnica e ha fatto veramente la differenza sugli altri, posto che chiaramente è andato forte anche nei tratti in cui bisognava spingere. Abbiamo i parametri, li abbiamo visti. Però proprio riguardando i vari parziali ha guadagnato nel tratto di discesa.
Discorso gomme. Primoz veniva da un team molto attento alla questione degli pneumatici. Utilizzava tubeless Vittoria che spesso sono stati sviluppati proprio in collaborazione col team giallonero, adesso è passato ai vostri copertoncini. Cosa puoi dirci in merito?
Primoz è un corridore sensibile su queste cose. Cosa posso dire: non ha mai protestato. Ha iniziato ad usarli sin da subito, si è informato però. Gli abbiamo mostrato i nostri numeri, gli abbiamo fatto vedere quali sono le combinazioni migliori ed è andato. Alla fine i nostri clincher in cotone sono quelli che danno la prestazione migliore, pertanto li ha abbracciati subito.
Parliamo della sella. Due modelli differenti: tra la sua vecchia Fizik e la vostra Specialized Phenom qualche aggiustamento, magari piccolo, ci sarà stato…
Il discorso non è tanto alzare o abbassare la sella, il ragionamento che noi facciamo è diverso. Quello che guardiamo è se gli angoli che aveva sono stati riprodotti rispetto alla bici precedente. Poi abbiamo riadattato il tutto con il nostro sistema Retul. Gli abbiamo consegnato un “prodotto” finito: a quel punto è lui che ci dà i feedback. Se poi Roglic, ma questo vale anche per altri atleti e atlete, vuole cambiare qualcosa, ne discutiamo. Cerchiamo però di non lasciare il corridore libero di decidere se cominciare ad alzare o abbassare la sella, arretrarla o spostarla in avanti…
Secondo Mondini, Roglic ha fatto un bel salto di qualità in termini di guida con la bici da cronoSecondo Mondini, Roglic ha fatto un bel salto di qualità in termini di guida con la bici da crono
Come mai?
Perché oggi ogni cosa è ponderata in un certo modo. Si cambia? Bene, ma perché? Cosa comporta questo cambiamento? E non siamo noi ad imporre queste regole, è il team. E in accordo col team, ogni cambiamento è deciso insieme. Nel caso della sella, per esempio, se s’inizia a spostarla va da sé che cambino gli angoli. E se non li ricontrolli poi cambia tutto il resto. Faccio un esempio: Barbara Guarischi, per vari motivi ha dovuto cambiare un paio di selle durante le classiche. Tra una corsa e l’altra non c’è stato tempo, ma adesso deve rifare un controllo Retul per verificare questi cambiamenti e riportare gli angoli nella posizione ottimale. Questi check ormai sono fondamentali.
Insomma va tutto bene con Roglic e da quello che capiamo non è neanche un pignolo che fa impazzire i meccanici…
No, no… ce ne fossero come lui! Il processo di adattamento sta andando avanti regolarmente. Ma in generale ormai certi cambiamenti in corso d’opera si fanno sempre meno. Lavoriamo sodo sulle posizioni nei mesi tra ottobre e dicembre e durante la stagione non abbiamo più grossi problemi. Può capitare che un corridore abbia un’infiammazione, abbia subito un infortunio e allora bisogna rimetterci mano, ma è un’altra motivazione. In quel caso l’intervento prima ancora che biomeccanico è medico. Tornando a Roglic, secondo me, se non ci fosse stata quella caduta, Primoz avrebbe avuto grosse possibilità di vincere il Giro dei Paesi Baschi.
PRATI DI TIVO – Il Gran Sasso c’è, non si vede, ma si intuisce per l’aria che scende dalle piste senza neve. La signora del bar dice che quest’inverno non si è sciato quasi per niente e che per i gestori degli impianti il periodo è pesante. Lutsenko ha appena conquistato l’arrivo in salita del Giro d’Abruzzo, sullo stesso traguardo su cui a maggio si assegnerà l’ottava tappa del Giro.
Il kazako voleva vincere e l’ha fatto. Prima ha messo la squadra a tirare dalla discesa del Passo delle Capannelle, poi si è ben destreggiato nella morsa dei corridori del UAE Team Emirates. Dopo aver vinto ieri con Christen, questa volta sono stati loro a rimanere con un palmo di naso. Nonostante nel finale fossero in tre, non sono bastati per arginare lo sprint del vincitore.
La fuga del mattino prende il largo: gli ultimi due ad arrendersi sono Fiorelli e TizzaLa partenza da Pratola Peligna: il paese si è fermato: appuntamento nella piazzaBambini sul terrazzo: per Pratola Peligna la musica e lo sfrecciare di colori è una nota di entusiasmoAl seguito di Pozzovivo entrambi i genitori: lo hanno sempre seguito, non lo mollano certo oraLa fuga del mattino prende il largo: gli ultimi due ad arrendersi sono Fiorelli e TizzaBambini sul terrazzo: per Pratola Peligna la musica e lo sfrecciare di colori è una nota di entusiasmoAl seguito di Pozzovivo entrambi i genitori: lo hanno sempre seguito, non lo mollano certo ora
Beffa per la UAE Emirates
Ulissi manda giù ancora un po’ d’aria di montagna e poi batte la mano sulla spalla di Adam Yates, che si è avvicinato quasi per scusarsi di non aver vinto. Sono fermi sulla destra della strada accanto alla transenna, con un massaggiatore che porge loro da bere e gli chiede se abbiano bisogno di altro.
Sivakov osserva in silenzio, lui che da U23 vinse il Giro d’Italia a Campo Imperatore, sull’altro versante del gigante d’Abruzzo. A guardarla nello schermo, è evidente che in questa corsa ci siano tre livelli sin troppo distinti e che i corridori WorldTour finiti davanti abbiano un livello persino imbarazzante pensando a quello degli altri.
«Sono rientrato sui primi perché ne avevo – dice Ulissi mentre si copre – ma soprattutto quanto ho tirato?».
Il secondo posto è un sapore amaro con cui si fatica a fare di conto, restano l’ultima tappa e poi le Ardenne, dove però tornerà in gioco capitan Pogacar. Meglio riprovarci domani…
Secondo e terzo, comprensibile delusione per Ulissi e Yates dopo l’arrivoChristen ha fatto corsa con i migliori fino a metà della salita finale, poi si è staccato: distacco di 2’29”Secondo e terzo, comprensibile delusione per Ulissi e Yates dopo l’arrivoChristen ha fatto corsa con i migliori fino a metà della salita finale, poi si è staccato: distacco di 2’29”
Yates, gioia strozzata
Adam Yates è al rientro dalla caduta che lo fece ritirare dal UAE Tour. Recuperare dalla commozione cerebrale ha richiesto più tempo del previsto e il Giro d’Abruzzo come gara del rientro va più che bene per ritrovare la condizione. Si scusa davvero e allarga le braccia, ma nessuno se la sente di dirgli qualcosa: cosa vuoi pretendere dopo quasi due mesi che non corre?
«Ho impiegato tanto per tornare – dice il britannico, terzo nell’ultimo Tour – più di quanto avrei voluto, quindi essere qui a lottare per la vittoria è un grande orgoglio. Ovviamente mi sarebbe piaciuto vincere, ma dopo circa 25 minuti di salita ero vuoto e senza energie. Ho provato un paio di volte ad attaccare, ma Lutsenko è sempre parso a suo agio. Alla fine Diego è tornato sotto e ha fatto un bel lavoro, ma penso che oggi abbia vinto il più forte.
«Siamo venuti qui senza un vero obiettivo, senza alcuna ambizione. Solo per correre e scoprire a che punto siano le gambe. Sicuramente da inizio anno ho perso un po’ di condizione, ma quella tornerà con un po’ più di allenamento. E dalla prossima corsa, che sarà il Romandia, conto di essere un Adam Yates migliore di questo».
Il gatto e i tre topolini
Lutsenko ha lo sguardo sornione del gatto che ha giocato con i tre topolini e alla fine li ha messi in trappola. Sull’arrivo lo ha accolto Michele Pallini, che qui accolse anche la vittoria di Nibali nel 2012, anno in cui lo stesso Lutsenko avrebbe vinto il mondiale degli U23. Oggi ha risposto ai ripetuti allunghi di Yates poi di Sivakov, infine ha preso la ruota di Ulissi ed è uscito di forza vincendo lo sprint in salita quasi per distacco. Rispetto agli agguerriti rivali, il kazako è in corsa con un gruppo di giovani del devo team e per loro e il lavoro che hanno svolto avrà parole di elogio.
«Questi due chilometri finali sono stati duri – racconta – perché ho sempre dovuto seguire la UAE. Si può dire che oggi sia stato UAE contro Lutsenko e sono contento di aver vinto. Ieri avevo fatto secondo e ci ero rimasto male, come se non fossi più capace di vincere. La salita è stata dura per tutti. La mia squadra ha fatto un bel lavoro: prima la discesa veloce e poi la prima parte della salita a tutto gas. Secondo me questo ha un po’ cambiato il ritmo della gara e consideriamo che io sono qui con un gruppo di giovani, mentre la UAE ha solo capitani, se pensiamo a Ulissi, Adam Yates e Sivakov»
Con Lutsenko c’è Pallini, che vinse a Prati di Tivo nel 2012 con NibaliCon Lutsenko c’è Pallini, che vinse a Prati di Tivo nel 2012 con Nibali
E adesso la Liegi
Dina Ibrayeva, che segue l’Astana Qazaqstan Team come Marketing Communication Manager, ha vissuto il finale in religioso silenzio. Appena un sorriso dai suoi occhi orientali e l’ammissione che Lutsenko stamattina avesse detto di voler vincere. Nel frattempo sul busto del kazako sono arrivate anche la maglia di leader e quelle dei punti e della montagna.
«Ho aspettato lo sprint – spiega – perché ho visto che riuscivo a rispondere bene agli allunghi di Adam Yates, quindi evidentemente ho una buona gamba. Era davvero una bella salita, credo di non averla mai fatta, ma il nostro direttore sportivo (Martinelli, ndr) me l’aveva descritta molto bene. Sono contento. Sto seguendo lo stesso programma che lo scorso anno mi fece passare dall’altura al Giro di Sicilia e vincere in avvicinamento alle classiche (nel 2023 Alexey fu quinto all’Amstel, ndr).
«Sono venuto qui direttamente dal Teide e il prossimo obiettivo saranno la Liegi e poi il Giro di Romandia. Domani resta l’ultima tappa, che ha più di 3.000 metri di dislivello, poco meno di oggi. Sarà una giornata dura, sempre su e giù come una classica. E’ importante aver vinto oggi, domani sarò qui e proveremo a tenere la maglia, ma chi può dire come finirà?».
Sul traguardo la processione dei ritardatari prosegue costante. Il fine gara è ancora lungi dall’essere segnalato. Quando sulla riga passano Edoardo Cipollini, Samuel Quaranta e Stefano Baffi, dall’arrivo di Lutsenko è passata quasi mezz’ora.
La Parigi-Roubaix ha consegnato alle cronache una Alpecin-Deceuninck schiacciasassi, anche più potente della Visma-Lease a Bike. Succede, quando si ha un leader forte come Van der Poel, che anche i gregari meno quotati si ritrovino con le energie raddoppiate e spesso facciano degli autentici capolavori. Se così è stato nelle classiche in presenza del… capo, non si può dire che la squadra si sia tirata indietro nelle altre corse, vincendo una tappa al Catalunya e una al Giro dei Paesi Baschi. Ad oggi il team dei fratelli Roodhooft è arrivato a dieci successi stagionali, tre dei quali nelle tre Monumento finora disputate: Sanremo, Fiandre e Roubaix. La sensazione che si abbiano occhi soltanto per Van der Poel e Philipsen insomma parrebbe sfatata dalla prova dei fatti.
Alla Roubaix, Vermeersch ha fatto gli straordinari per la Alpecin-Deceuninck, arrivando poi al sesto postoAlla Roubaix, Vermeersch ha fatto gli straordinari, arrivando poi al sesto posto
La Alpecin di Conci
Nella squadra corrono due italiani, contro i quattro delle ultime stagioni. Uno è Luca Vergallito, approdato nel WorldTour dopo la challenge di Zwift e un anno nel devo team. L’altro, che ha seguito un iter più classico, è Nicola Conci, arrivato nel 2022 dopo la chiusura della Gazprom e in precedenza corridore della Trek-Segafredo. Il trentino ha corso ai Paesi Baschi e ora fa rotta sul Giro. Gli abbiamo chiesto di sé e del suo team, per capire se esista una suddivisione interna a favore dei big o se alla fine abbiano tutti le stesse possibilità. Lo sentiamo dopo la prima tappa del Giro d’Abruzzo che ha seguito da casa e l’esordio strappa il sorriso.
«Lo farei volentieri anche io l’Abruzzo – dice – perché non è che finora abbia corso tanto. Da quando la squadra è diventata World Tour, deve fare le corse che magari prima avrebbe saltato e di conseguenza si vede costretta a cancellarne altre a cui magari avrei potuto partecipare. Ad esempio io ho fatto il Giro dei Paesi Baschi e altri il Catalunya. E’ andata bene perché abbiamo vinto una tappa in entrambe, però dubito che nel 2022 le avremmo fatte. Quell’anno feci la Arctic Race e il Giro di Slovenia, mentre adesso siamo costretti, tra virgolette, a fare le prove WorldTour. A questo aggiungiamo che è saltata la Ruta del Sol a inizio anno e di conseguenza ho solo fatto Strade Bianche, Tirreno-Adriatico e Paesi Baschi».
Anche ai Paesi Baschi, con VdP impegnato sul pavé, la Alpecin ha vinto con HermansAnche ai Paesi Baschi, con VdP impegnato sul pavé, la Alpecin ha vinto con Hermans
Sei rimasto coinvolto anche tu nella caduta?
Quella famosa l’ho schivata, ma ero caduto il giorno prima, nella tappa che ha vinto il mio compagno Quinten Hermas. A un chilometro dall’arrivo mi è caduto davanti un altro corridore e non c’è stato modo che potessi evitarlo. Diciamo che nel male mi è anche andata bene, devo dire, perché mi sono fatto qualche escoriazione e poi all’inizio avevo un fortissimo dolore al coccige. Questo però è tutto passato, quel che invece resta è un male al torace. Con la botta deve essersi formato un ematoma interno oppure con il dottore si diceva che potrebbe esserci un piccolo danneggiamento nella zona della cartilagine, quindi nella parte finale delle costole. Mi fa abbastanza male quando respiro e soprattutto quando vado in bici.
Anche ora in allenamento?
Nelle tappe successive lo sentivo, poi ho recuperato per due giorni dopo la corsa e stavo bene. Invece martedì, che era il terzo giorno, ho fatto tre ore e ho sentito di nuovo quel fastidio. Si vede che quando respiro, il diaframma va a toccare quella zona. Ci vorrà ancora tempo, ma non c’è niente di rotto e questo è l’importante.
Adesso tutta l’attenzione è puntata sul Giro?
In realtà avevo chiesto con insistenza di fare le Ardenne. Primo perché penso che siano delle belle gare per me, secondo perché non avendo fatto la Ruta del Sol, i giorni di corsa in questa prima parte di 2024 sono veramente pochi. All’inizio sembrava che fosse possibile, invece alla fine mi hanno detto di andare in altura e concentrarmi sul Giro. C’era un programma già fatto e si è deciso di restare fedeli a quello. Al Giro si va per provare una tappa con un velocista come Kaden Groves e con Quinten Hermans che quest’anno sembra aver ritrovato buone sensazioni. Ovviamente parlo di loro, ma anch’io proverò a entrare nella fuga giusta, mentre non ho in testa di fare classifica. Il fatto che quest’anno Pogacar abbia deciso di fare il Giro è un’arma a doppio taglio. Tadej potrebbe voler fare il cannibale oppure chiudere la corsa alla fine della prima settimana e da lì in poi ci sarebbe più libertà per tutti gli altri.
Conci arriverà al Giro con 16 giorni di gara: qui alla Tirreno-Adriatico con Van den BosscheConci arriverà al Giro con 16 giorni di gara: qui alla Tirreno-Adriatico con Van den Bossche
Hai parlato di Pogacar, tu corri con Van der Poel: come si convive con simili fenomeni?
Ormai tutti si sono resi conto che questi cinque, sei corridori abbiano capacità ben oltre la normalità. Di conseguenza quando ci sono loro, le corse sono già indirizzate. Se ce l’hai in squadra, sei contento perché sai che lavori, ma c’è grande possibilità di portare a casa il massimo risultato. Quando invece ce l’hai contro, non è che ci siano grandi cose da fare. Per il Giro, la fuga sarà il solo modo di portare a casa una tappa.
Quando ce l’hai in squadra sei contento, va bene, ma si percepisce una differenza nel trattamento che ricevete rispetto a lui?
No, direi che da quel punto di vista sono bravi. Mi sembra che il metodo di lavoro sia molto standardizzato, anche se sostanzialmente Mathieu è la squadra. Non so esattamente come funzioni, però bene o male lui è cresciuto insieme alla Alpecin e fa parte della sua storia. Non voglio dire che sia sullo stesso piano dei fratelli Roodhooft, ma se pensiamo a cosa fosse prima la Alpecin e il modo in cui sono cresciuti, il merito è soprattutto di Mathieu. Nonostante ciò, sono molto metodici: hanno i loro schemi e tutte le programmazioni e non lo ho mai visti cambiare solo perché ci sono Philipsen o Van der Poel.
A proposito di Philipsen, credi che rimarrà o andrà via?
Il presupposto è che non so assolutamente nulla, meno di zero: non ho sentito neanche delle voci. Per come la vedo io, Jasper è uno dei corridori più forti al mondo e sa di andare fortissimo e di poter puntare al massimo risultato in qualsiasi corsa che sia adatta alle sue caratteristiche. Dall’altra penso che ormai si sia visto che i suoi obiettivi cominciano col sovrapporsi a quelli di Mathieu. Ho seguito la Sanremo dalla TV e si è visto che Mathieu si è sacrificato ben volentieri, ma penso che avrebbe voluto fare anche lui la volata. Quindi sinceramente non saprei dire quale sarà la scelta di Jasper, ma so che la sua miglior versione finora si è vista qui alla Alpecin. Per cui da una parte non vedo perché dovrebbe voler andare via, dall’altra ci saranno da capire i loro obiettivi.
Il legame che unisce i fratelli Roodhooft, titolari della Alpecin, a Van der Poel è qualcosa di raro nel ciclismo contemporaneoIl legame che unisce i fratelli Roodhooft a Van der Poel è qualcosa di raro nel ciclismo contemporaneo
Pensi che se avessero corso in due squadre diverse, alla Roubaix le cose avrebbero avuto un altro sviluppo?
Non so se Jasper avrebbe potuto battere Mathieu, perché comunque sono un po’ diversi. Magari sarebbe arrivato ugualmente secondo o magari ci è riuscito approfittando del fatto di avere davanti il compagno, correndo così sempre a ruota. Difficile da dire…
Prima del Giro su quale altura andrai?
Sull’Etna. E poi, visto che non correrò fino al Giro, potrei fare anche un salto a Livigno. Conosco le tappe del Giro da quelle parti, anche se viste le salite, sono strade che vorresti non conoscere (ride, ndr). Deciderò in base al meteo.
Arriverai al Giro con 16 giorni di corsa: magari sarai più fresco…
Un po’ mi brucerà guardare le Ardenne in tivù, perché le avrei fatte volentieri. D’altra parte andare al Giro d’Italia avendo corso così poco mi permetterà certamente di essere freschissimo mentalmente. E magari quando arriveremo alla decima tappa, questo potrò essere un vantaggio. Magari all’inizio sarò indietro rispetto a chi ha corso di più, ma poi l’equilibrio potrebbe invertirsi. Avrei voluto provare questa soluzione già l’anno scorso ed ero convinto che sarei andato in crescita, purtroppo però mi sono fermato per il Covid. La speranza è quella di fare un Giro di crescita, vediamo se ne sarò capace.
Mathieu Van der Poel rivince il mondiale di cross, dominando il duello con Van Aert. Una caduta, una foratura e differenti motivazioni hanno deciso la corsa
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Ieri al Giro d’Abruzzo ha vinto Jan Christen ennesimo astro nascente di questo ciclismo sempre più famelico di giovani e giovanissimi. E anche astro nascente della UAE Emirates sempre più legata alla linea verde.
E quando si toccano questi tasti un vero astro dei giovani è Joxean Fernandez Matxin, che prima ancora di essere uno dei tecnici dello squadrone asiatico, è anche un uno dei migliori talent scout in assoluto.
Proprio qualche giorno fa, commentando alcune prestazioni dei suoi ragazzi, ma anche in generale, Matxin ha parlato di tempistiche da rispettare per alcuni giovani: non tutti sono subito maturi. E ha parlato anche di un calendario idoneo per questi atleti. E lo stesso per i giovani che sono già pronti.
Jan Christen (20 anni a giugno) ieri ha vinto al Giro d’Abruzzo. Domenica sarà impegnato all’Amstel Gold RaceJan Christen (20 anni a giugno) ieri ha vinto al Giro d’Abruzzo. Domenica sarà impegnato all’Amstel Gold Race
Matxin hai parlato di giovani che hanno bisogno di un’evoluzione più naturale e progressiva. E’ intuibile, ma qual’è il tuo concetto preciso?
E’ il mio pensiero. Per ogni giovane, forte o fortissimo che sia, c’è un periodo che è del tutto soggettivo per arrivare alla maturazione. Quando parlo di maturazione non mi riferisco solo a quella fisica e di atleta, ma anche a quella della persona. Per assurdo a chi vince subito devi infondere calma, devi quasi frenarlo. Altri vanno aspettati e anche se sono bravi vanno aspettati.
Quindi i tempi di maturazione non sono solo fisici?
Direi di no. Un ragazzo spagnolo magari raggiunge la maturità più tardi rispetto ad un corridore straniero. Un norvegese o un danese sin da junior fa attività internazionale. Loro viaggiano, vivono esperienze. Perché il loro calendario interno non è così folto e vanno subito fuori a correre, appunto fanno attività internazionale. E questo poi li porta anche ad essere competitivi sin da subito.
Il calendario: quanto è importante e come si studia un programma adatto a quel determinato ragazzo?
Non esiste un calendario giusto in assoluto, dipende anche dalla scelta di squadra che fa il ragazzo. Dove va. Cosa va a fare in quella squadra. Che opportunità ci vedi. Per me il giovane non devi pensarlo come un giovane, ma come un corridore: campione o non campione che sia. E lo devi utilizzare e valorizzare perché è un corridore, non perché è un giovane. Per questo dico che la scelta della squadra è molto importante per la sua evoluzione. Si devi sentire valorizzato. Non devi andare in un team solo per chiudere buchi o a tirare i primi chilometri perché sei giovane… tanto hai tempo. L’evoluzione è sotto ogni aspetto, mentale, fisica, tattica. Altrimenti quel ragazzo finisce col perdersi.
Joxean Fernandez Matxin (classe 1970) è il direttore della parte sportiva della UAE Emirates ed esperto talent scoutJoxean Fernandez Matxin (classe 1970) è il direttore della parte sportiva della UAE Emirates ed esperto talent scout
Voi siete la squadra numero uno al mondo, avete vinto il ranking UCI 2023, avete tanti campioni, come fa un giovane a non perdersi in un team come la UAE Emirates?
Semplice, facendo per quel ragazzo un calendario giusto, pianificando l’intera stagione e dando direttive chiare, specificando bene quello che vuole lui e quello che vogliamo noi. Quando facciamo un programma questo va da ottobre a ottobre. In questo modo loro sanno quando devono correre, quando devono essere competitivi e quando devono essere competitivi per loro stessi.
La pianificazione è tutto insomma.
E’ importante, ma come ho detto è soggettiva. Prendiamo Del Toro per esempio. Isaac ha fatto un salto di qualità che neanche noi ci aspettavamo, è stato un salto più grande del previsto e così siamo intervenuti. Non ha fatto la Coppi e Bartali, ma ha fatto la Tirreno-Adriatico: se lo è meritato. Lo abbiamo ripianificato insieme. Ma partivamo da un progetto chiaro e completo.
E i ragazzi condividono sempre?
Morgado, per esempio, posso dire con chiarezza che non ama troppo le classiche, ma noi sappiamo che può fare bene in quelle corse e così lo abbiamo mandato al Fiandre. Per lui era una scuola. Come è arrivato? Quinto. Erano 80 anni che un corridore così giovane non arrivava nei primi cinque. E noi non gli avevamo chiesto di fare quinto o imposto degli obiettivi. Certamente non lo abbiamo frenato.
Se serve per fare scuola e per la sua maturazione generale, perché allora avete mandato lui e non un Ayuso?
Anche Ayuso può fare il Fiandre, certo, ma è troppo leggero per quelle corse. Morgado invece può fare bene.
Morgado (classe 2004) non ama le classiche ma può vantare già una top 5 in una classica Monumento come il Fiandre. Magari cambierà idea!Morgado (classe 2004) non ama le classiche ma può vantare già una top 5 in una classica Monumento come il Fiandre. Magari cambierà idea!
Quindi è perché vedete in lui determinate caratteristiche?
Esatto, perché Morgado ha le caratteristiche fisiche e tecniche per fare bene in certe corse. E per lui come ho detto è una buona scuola, una grande esperienza per il futuro. L’ho mandato a Le Samyn, una piccola Roubaix, sapendo che non gli piaceva, ma al tempo stesso sapendo anche poteva fare bene: è arrivato secondo. Poi magari in futuro può anche continuare a preferire altre corse, ma intanto sa che può fare bene anche lì.
E intanto il ragazzo matura… Matxin, ma tu come fai a intuire che uno allievo, uno junior sono bravi, anche se non hanno raccolto grandi risultati?
In tanti mi fate questa domanda: non so. Intuizione. Se vi chiedessi come è quella donna? Bella, brutta, bellissima? Ognuno ha i suoi parametri per giudicare. Per me alcune cose sono evidenti, non so: vedo come affrontano la gara. Faccio questo mestiere da quando avevo 21 anni. Vado alle corse, seguo molto le corse dei giovani.
Quindi tempistiche, campioni pronti e da aspettare. Ora avete anche il devo team, fate scambio di atleti?
Sì, sì, lo stiamo facendo e in un sacco di gare. Giaimi, Duarte, Guatibonza… hanno già fatto corse con i pro’. Mischiamo spesso i nostri atleti del devo team con quello WorldTour. E’ importante fargli fare queste gare per alimentare il loro sogno, per dargli grinta, per fargli fare esperienza, per far conoscere loro com’è il mondo dei pro’. E anche per fargli fare il ritmo giusto per quando poi ritornano nelle gare under 23.
Analisi a tutto tondo del Tour di Pogacar con il "tecnico dei tecnici" della UAE Emirates, Matxin. Con una squadra in salute... le cose sarebbero potute andare diversamente
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Alla fine Filippo Tagliani un posto l’ha trovato, anzi sta già correndo al Giro dell’Abruzzo, ma il suo inverno non è stato certo caratterizzato dalla tranquillità. Coinvolto nel progetto dell’Albiono Pro Cycling Team, la fantomatica squadra con base alle Isole Vergini che doveva entrare fra le continental con un budget molto cospicuo, il ventottenne corridore di Gavardo ha rischiato seriamente di trovarsi a piedi, sapendo che perdere il treno sarebbe stato un addio definitivo.
Spesso abbiamo provato a sentirlo nel corso dei mesi freddi, ma lo stesso Filippo ci avvertiva di non avere novità, di continuare a vivere in un limbo che solo ora, con in tasca il contratto con la Monzon-Savini Due può descrivere nei particolari.
«Mi aveva contattato a dicembre il manager Luciano Fondrieschi– racconta – prospettandomi questa possibilità e io, che non avevo squadra, avevo accolto con favore l’idea di essere coinvolto in un nuovo progetto. Entro Natale ho anche firmato il contratto, sembrava tutto a posto ma c’era qualcosa che non quadrava».
Il nuovo Monzon-Savini Due-Team Omz. Tagliani e Cataldo sono le ultime due entrateIl nuovo Monzon-Savini Due-Team Omz. Tagliani e Cataldo sono le ultime due entrate
Che cosa?
Tutto rimaneva fumoso, intanto i giorni passavano e se da una parte si continuava a sentire nell’ambiente, anche sui media, di questo grande progetto proveniente da uno dei paradisi fiscali, dall’altro però non vedevamo nessuna realtà. Niente materiale tecnico, niente bici, niente programmi. Quando chiedevamo a Fondrieschi, che è un manager italiano che ha la sua attività a Menton, appena fuori dai confini, anche lui diceva di non avere notizie.
E poi?
A quel punto bisognava fare qualcosa e Fondrieschi ci ha proposto di fare intanto un ritiro prestagionale non lontano dalla sua attività lavorativa, sulla costa sud della Francia. Lui anticipava i soldi per le spese, noi ci siamo presentati ognuno con il proprio materiale tecnico, senza divise né bici. Eravamo una decina: io, LorenzoCataldo (che mi ha seguito anche nell’epilogo alla Monzon-Savini Due), El Gouzi e altri ragazzi. Il progetto era anche interessante, con corridori provenienti da molti Paesi, una vera multinazionale. Il problema è che i giorni passavano e la nebbia sul nostro futuro non accennava a diradarsi, anzi…
Tagliani, a 28 anni, cerca il rilancio dopo le difficoltà legate alla chiusura della Drone HopperTagliani, a 28 anni, cerca il rilancio dopo le difficoltà legate alla chiusura della Drone Hopper
Come facevate a trovare la forza psicologica per allenarvi?
Non era semplice, anzi a dir la verità molti hanno preso quei giorni come una vacanza. Al mattino si usciva tutti insieme in bicicletta, ma dopo una mezz’ora io e Lorenzo ci ritrovavamo da soli: gli altri si erano già fermati. Noi invece abbiamo continuato a crederci, perché volevamo sperare che la situazione si sbloccasse, volevamo fortemente continuare a fare il nostro lavoro. Poi c’è stato un piccolo colpo di scena.
Quale?
A fine gennaio è arrivato il primo stipendio. A quel punto ho pensato che la situazione si stava risolvendo, anche perché come a me era arrivato anche agli altri. Continuavamo però a non avere nulla per iniziare l’attività, né la squadra era stata intanto registrata all’Uci. Poi Fondrieschi ci ha comunicato che anche se dalle Isole Vergini continuavano a dargli assicurazioni, lui si era tirato fuori. A quel punto abbiamo capito che non c’erano grandi possibilità e abbiamo iniziato a guardarci intorno.
L’antiguano Jyme Bridges, uno dei pochi oltre a Tagliani e Cataldo ad aver trovato un contratto nel 2024, in un team caraibicoL’antiguano Jyme Bridges, uno dei pochi ad aver trovato un contratto nel 2024, in un team caraibico
Difficile però trovare spazi a quel punto della stagione, quando ormai i quadri delle varie squadre sono completi…
Infatti. Un colombiano si è sistemato alla GW Shimano, un caraibico è tornato a correre dalle sue parti. Io e Lorenzo, anche grazie all’intercessione dello stesso Fondrieschi, ci siamo messi in contatto con Giuliani e siamo approdati nel suo team.
Praticamente, appena entrato sei stato buttato nella mischia…
Per fortuna avevo continuato ad allenarmi e prima della partenza del Giro d’Abruzzo sono stato due settimane a Montesilvano per prepararmi. Ma l’allenamento è una cosa, la corsa un’altra. La forma fisica è buona, quella mentale ancor di più. Oltretutto per il nostro team questo è un evento centrale nella stagione, è come se fossi stato buttato subito nella fossa dei leoni. Ma a me le sfide non spaventano, soprattutto se arrivano dopo un inverno che non auguro a nessuno.
Una delle prime vittorie di Tagliani, alla Boucles de Haut Var del 2018Una delle prime vittorie di Tagliani, alla Boucles de Haut Var del 2018
Dopo che cosa ti aspetta?
Preparerò la prossima corsa a tappe che mi vedrà impegnato in Grecia a maggio. Lì dovrei trovare anche percorsi che si adattano meglio alle mie caratteristiche. Voglio farmi trovare pronto per cercare qualche buon risultato e cominciare a costruire la mia stagione per meritarmi un futuro.
La tua vicenda che cosa ti ha insegnato?
Che in questo mondo in tanti pensano di poter entrare, ma non è per nulla facile. Con i proclami non si va da nessuna parte. Per fortuna poi ci sono gli “storici” come Giuliani che sanno dove mettere le mani e continuano a tenere su l’attività. Per gestire una squadra, a qualsiasi livello, bisogna essere capaci, sapere quel che si sta facendo perché ci sono delle vite in gioco.
Ti rimproveri qualcosa?
Forse di essermi fidato un po’ troppo, ma io ho sempre fatto il massimo e interpretato questo mestiere con la massima serietà, anche nei momenti peggiori. Se sono caduto in piedi lo devo solo a me stesso.
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VILLA DI VILLA – Il nome di Giulio Pellizzari è tra quelli che attraggono più attenzione se ci si concentra sul movimento giovanile italiano. Vero che il marchigiano è ormai professionista da tempo, nel 2024 ha iniziato la sua terza e forse ultima stagione alla Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè. I passi in avanti fatti sono stati notevoli, ma con il Tour de l’Avenir corso in grande stile e chiuso solo alle spalle di Del Toro, qualche domanda è emersa. Soprattutto alla luce delle prestazioni del messicano che da una formazione continental è passato al UAE Team Emirates.
Gli appuntamenti tra gli U23 come il Recioto (qui in foto) servono per imparare a vincereGli appuntamenti tra gli U23 come il Recioto (qui in foto) servono per imparare a vincere
Senza fretta
L’inizio di 2024 ha scavato una differenza, più sul percorso di crescita che sulle qualità, tra il primo e il secondo classificato della corsa a tappe più importante nel mondo degli under 23. Del Toro corre e vince nel WorldTour, mentre Pellizzari lo vediamo impegnato nel professionismo, ma con ancora qualche salto fra gli under 23. Voci dall’interno danno per prossimo il suo approdo nel WorldTour dal 2025, noi approfittiamo della sua presenza al Giro del Belvedere per approfondire il discorso.
«Ognuno ha i suoi ritmi – dice Pellizzari con serenità e un mezzo sorriso – sono al terzo anno da under 23, a questa età una volta si iniziava a vincere. Vedere che Del Toro va forte mi fa pensare, ma io guardo il mio, con calma. La sfida è arrivare dov’è lui, ma tempo al tempo».
Pellizzari procede nella crescita, convinto del suo camminoPellizzari procede nella crescita, convinto del suo cammino
Pensare che lui sia in determinate corse, come la Tirreno, e tu no cosa ti fa pensare?
Che sarebbe bello farle, soprattutto la Tirreno che era in casa, ma non è semplice. Poi in quei casi vai per tirare, metterti a disposizione, invece io posso mettermi in evidenza e provare a vincere. Correre ancora tra gli under 23 serve anche a questo: imparare a vincere. Mi serve come passaggio, anche perché ho vinto poco, quindi…
Com’è iniziato quest’anno?
La stagione non è proprio iniziata nel migliore dei modi, sono partito dalla Turchia e mi aspettavo una vittoria, invece nulla, nemmeno nei dieci. Poi sono andato in Croazia, all’Istrian Spring Trophy, e ho fatto meglio.
Al Tour of Antalya, vinto da Piganzoli, Pellizzari ha raccolto una prestazione amaraAlla Coppi e Bartali ha potuto correre accanto a Pozzovivo, imparando da luiAl Tour of Antalya, vinto da Piganzoli, Pellizzari ha raccolto una prestazione amaraAlla Coppi e Bartali ha potuto correre accanto a Pozzovivo, imparando da lui
Hai corso anche alla Coppi e Bartali…
Sì, l’ho finita da poco, è andata bene ma non benissimo: sto crescendo piano piano. Le prime corse diciamo che le ho usate per mettere su condizione e gamba.
In squadra c’era anche Pozzovivo, com’è stato correre con lui?
Bello, in particolare per i momenti pre e post gara. Ci spiegava qualcosa di inerente alle tattiche o ci raccontava eventi del passato. Siamo stati molto curiosi e lui ha risposto molto volentieri alle nostre domande.
Qual è la cosa che gli hai chiesto? O quella che ti ricordi.
Come si fa a fare classifica al Giro – ride – ma la risposta è semplice, andare forte tutte e tre le settimane. In realtà una cosa che ci ha detto e mi ha realmente stupito è che al Giro si va più forte in salita rispetto al Tour, negli anni in cui lo fece lui.
Pellizzari ha già partecipato al ritiro di febbraio, insieme agli atleti pre selezionati per il Giro (foto Instagram)Pellizzari ha già partecipato al ritiro di febbraio, insieme agli atleti pre selezionati per il Giro (foto Instagram)
Ora che calendario farai?
Andrò al Tour of the Alps. Da lì in ritiro sull’Etna e, in teoria, il Giro d’Italia, quello dei grandi. Rispetto al 2023 ho corso meno fino ad ora, ma era programmato, questo perché nella preparazione è stato inserito un ritiro in altura a febbraio. Cosa che l’anno scorso non ho fatto.
Un ritiro per preparare il Giro, con i corridori che sono nella pre selezione?
Sì. Essere tra i selezionati fa tanto piacere, ma dovrò meritare di andare. Il Tour of the Alps sarà un passaggio importante.
Dopo Cozzi, è la volta di Zanatta. La memoria torna alla quinta tappa del Giro e all'attacco finale di Pietrobon a Lucca, ripreso a pochi metri dalla riga
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NEGRAR DI VALPOLICELLA – Se si vuole trovare un fil rouge che possa unire gli ultimi talenti emergenti nel devo team della Visma Lease a Bike dovremmo pensare alla bandiera norvegese. L’anno scorso sulle strade del Belvedere e del Recioto avevamo conosciuto Johannes Staune-Mittet. Nel 2024 è toccato a Jorgen Nordhagen.
Se poi si vuole scavare più a fondo, vi basta sapere che entrambi i talenti del team olandese arrivano dallo sci di fondo. Nordhagen, in particolare, è stato campione nazionale juniores. Chissà se anche il classe 2005 si imporrà nel Giro Next Gen come fece Staune-Mittet l’anno scorso.
Nordhagen pochi mesi si è laureato campione nazionale juniores nello sci di fondo (foto Graeme Williams)Nordhagen pochi mesi si è laureato campione nazionale juniores nello sci di fondo (foto Graeme Williams)
Lo sci come preparazione
Ce lo aveva raccontato anche Staune-Mittet di come lo sci di fondo potesse essere un buon metodo di preparazione invernale. A dar man forte a queste parole erano arrivate quelle di Dario Igor Belletta, che nell’inverno del 2023 si era trovato a fare sci di fondo nel ritiro della Jumbo-Visma.
«E’ sempre utile fare sci di fondo – dice Nordhagen – perché da noi in Norvegia durante il periodo invernale non si può andare in bici. Questa diventa, quindi, una delle attività più vicine allo sforzo che si trova nel ciclismo. Sono uscito dalla stagione dello sci con buone sensazioni, ora la condizione sta crescendo e vedremo come andrà. Dello sci di fondo mi piace il volume che si riesce a fare, mentre del ciclismo mi piace l’esplosività nel breve periodo. Sono due cose che riesco a trasportare tra una disciplina e l’altra».
Nordhagen alla partenza del Recioto, il norvegese correrà un solo anno nel devo team della VismaNordhagen alla partenza del Recioto, il norvegese correrà un solo anno nel devo team della Visma
Nel 2023 hai vinto tante gare tra gli juniores, e tutte diverse, ma quali sono le tue preferite?
Sicuramente quelle dure, con salite lunghe. In particolare mi piacciono le corse a tappe, dove viene fuori la forza con il passare dei giorni.
Sei molto forte anche a cronometro e hai vinto una corsa impegnativa come l’Eroica Nations Cup…
Penso che per essere competitivi oggi serva essere un corridore a tuttotondo. Non si può lasciare indietro nessun tipo di dettaglio per diventare un grande ciclista. Bisogna crescere e fare meglio gara dopo gara. Lo vediamo da corridori come Vingegaard e Pogacar, che vincono i Grandi Giri e si mettono in evidenza nelle Classiche.
E’ un corridore che va forte anche a cronometroE’ un corridore che va forte anche a cronometro
Hai nominato Vingegaard, tu hai già un contratto di 3 anni con il team WT, a partire dal 2025.
Mi aspetto di crescere tanto, migliorare e di poter pedalare e allenarmi con Vingegaard e altri grandi ciclisti che corrono nel team. Voglio cogliere questa possibilità di crescere e progredire come atleta.
Una cosa che ti piacerebbe imparare da lui?
La sua attenzione anche al più piccolo dei dettagli e di fare sempre meglio anno dopo anno.
Nordhagen da junior ha vinto tante gare e tutte diverse, dimostrandosi un corridore completo (foto Instagram)Nordhagen da junior ha vinto tante gare e tutte diverse, dimostrandosi un corridore completo (foto Instagram)
Un solo anno nel devo team non è poco?
Potrebbe sembrare, non lo so sinceramente. Voglio correre con i ragazzi di questa squadra e vedere come andrà la stagione. Il prossimo inverno mi allenerò a tempo pieno in bici e con il team WorldTour.
In gara che tipo di corridore sei?
Mi piacciono le corse dure, e non essendo molto veloce negli sprint preferisco arrivare da solo. Se c’è una salita voglio farla al massimo, per staccare tutti gli altri. O comunque vedere chi ha le gambe migliori. Se si arriva in volata non ho molte possibilità di vincere (conclude con una risata, ndr).
Il 30 luglio parte il Tour de Pologne che ha sempre scoperto talenti. Quest'anno vuole sensibilizzare la pace e la fine del conflitto nella vicina Ucraina
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