Dainese: l’incidente, il rientro, la vittoria, Sierra Nevada… il Giro

15.04.2024
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E’ caduto il 9 febbraio rovinosamente, ha vinto il 4 aprile: in meno di due mesi Alberto Dainese si è ritrovato dalle stalle alle stelle. Il corridore della Tudor Pro Cycling era incappato in un incidente durante un allenamento in Spagna. Aveva riportato una grande botta alla testa e danni seri alla bocca.

Poi alla Région Pays de la Loire Tour, breve corsa a tappe francese, ecco quasi a sorpresa, la vittoria. A Château-Gontiere braccia alzate e tutto, o quasi, sparisce.

In questi giorni Dainese si trova a Sierra Nevada per l’ennesimo ritiro in quota. Sta lavorando in ottica Giro d’Italia.

«E quassù – dice il veneto – già ci ero stato due settimane prima del rientro dopo la caduta e ci starò fino al Romandia. Poi qualche giorno di relax a casa ed ecco il Giro».

Alberto Dainese (primo da sinistra) durante gli allenamenti in Spagna quest’inverno
Alberto Dainese (primo da sinistra) durante gli allenamenti in Spagna quest’inverno
Alberto, partiamo dalla caduta. Hai recuperato possiamo dire…

Diciamo di sì. All’inizio è stata un po’ tosta. Le botte alla bocca e alle labbra si sono fatte sentire. Avevo un bel po’ di punti e non ero affatto bello! Mi vedevo con queste ferite, mi mancavano quattro denti. Facevo anche fatica a mangiare. Poi è subentrato anche un versamento ad un ginocchio. Insomma ci ho messo quasi due mesi a riprendermi. Ma la cosa buona è aver recuperato al 100 per cento.

Alla fine quanto sei stato senza bici?

Poco in realtà. Forse troppo poco, cinque giorni. In pratica fino a che non mi hanno rimesso i denti provvisori. Ho fatto un po’ di rulli. Ma era troppo presto. I punti tiravano e avevo vari dolori. Poi è emerso il problema al ginocchio. E sono stato fermo un’altra settimana. Alla fine prima di riprendere per bene è passato un mesetto.

Ma come hai fatto a livello di preparazione? Hai ripreso da capo?

La base era solida. Avevo fatto davvero un buon inverno, senza malanni e con un grande volume: questa è stata la salvezza. Se avessi avuto un inverno meno buono sarebbe stato un bel casotto. Invece quando ho ripreso, non ero proprio a zero. 

Dainese (classe 1998) è passato dalla Dsm alla Tudor Pro Cycling questo inverno
Dainese (classe 1998) è passato dalla Dsm alla Tudor Pro Cycling questo inverno
E cosa hai fatto quando hai ripreso con costanza?

Ho iniziato con due, tre ore molto semplici. Dalla terza settimana ho inserito anche un po’ d’intensità. Ma questa era anche la prima che facevo a Sierra Nevada in quota. E non ho fatto poi molto. Parlo di 15 ore complessive. Mentre dalla settimana successiva, ho inserito più ore e più volume. Ho fatto due lavori di Vo2Max, sempre in altura, e sono andato a correre in Francia.

Caspita! Solo due lavori e sei stato subito vincente e competitivo (prima della vittoria Dainese ha ottenuto due quinti posti, ndr)?

E infatti questo un po’ ha sorpreso anche me e mi ha dato tanto morale. Ma ripeto, la base era buona. Sono anche consapevole che non era una volata di livello stellare. Non c’erano Philipsen o Merlier, però Marijn van den Berg, con cui battagliavo ha dimostrato di andare forte. Ora sono consapevole che con questo altro ritiro in quota e il Romandia si potrà crescere ancora. Non dico che tutti i dubbi siano spariti, ma so che al Giro dove il livello sarà più alto sarò competitivo.

Hai dovuto riprendere anche il lavoro in palestra?

No, quella no. Dopo due sedute ho dovuto abbandonarla in quanto mi dava problemi al ginocchio destro, quello del versamento. Emergevano dei dolori alla bandelletta e così abbiamo deciso di evitare la palestra. Al suo posto abbiamo compensato con delle volate e delle partenze da fermo. Ne ho fatte un po’ più del solito.

Alberto, raccontaci un po’ quelle volate dopo il rientro. C’era anche della paura?

Le settimane dopo l’incidente sì. Avevo paura ad andare in bici, specie in discesa o col vento. La caduta era avvenuta in modo improvviso e temevo di ricadere da un momento all’altro. Poi è andata scemando. Mentre il giorno della volata no, nessuna paura.

Quest’anno Alberto ha un treno a disposizione e infatti in 6 giorni di corsa ha 6 top 10, tra cui una vittoria
Quest’anno Alberto ha un treno a disposizione e infatti in 6 giorni di corsa ha 6 top 10, tra cui una vittoria
Si è chiusa la vena del velocista!

Esatto. Non ci ho proprio pensato, anche se forse è stato lo sprint più pericoloso che ho fatto da pro’ dopo quello del Polonia in discesa. In particolare la volata che ho vinto è stata anche abbastanza pulita. Nell’ultimo chilometro la velocità era alta ed eravamo tutti in fila. Robin Froidevaux mi ha portato ai 200 metri in posizione e dovevo saltarne solo due.

Per te che ogni volta dovevi partire da dietro, due corridori in effetti erano pochi!

Sì, sì… rispetto al passato è una bella differenza. Prima avevo Bardet che poverino è uno scalatore e mi lasciava in ventesima posizione. E infatti come mi suggerì anche Petacchi, persa per persa a quel punto, partivo lungo. Adesso invece ho un treno.

E sul fronte dei valori, quelli della volata che hai vinto erano buoni? E’ un dato curioso dopo l’incidente…

Il misuratore non funzionava. Non posso rispondere pertanto a questa domanda con precisione, però non credo siano stati cattivi. Quel giorno ho sbagliato rapporto. Ho fatto la volata con il 54×10 ed ero durissimo. Mi sembrava stessi facendo una partenza da fermo! Il picco di potenza in questi casi, con quel rapporto così duro, non è altissimo. Però la volata l’ho tenuta a lungo e comunque se riesci a girare quel rapporto male non stai. Io poi non amo andare duro negli sprint. 

EDITORIALE / I danesi a Parigi portano Morkov su strada. E noi?

15.04.2024
4 min
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Sarà un puzzle difficile da comporre. Con quale criterio saranno fatte le scelte dei corridori per le Olimpiadi, alla luce delle cervellotiche regole imposte dal CIO e recepite senza neanche un fiato dall’UCI? Mentre la nazionale della pista è di rientro dal Canada, una news rilasciata non troppi giorni fa dalla Danimarca a proposito di Morkov offre lo spunto per una riflessione.

La squadra danese, che ha chiuso il ranking 2023 al secondo posto alle spalle del Belgio, correrà su strada con quattro uomini. E siccome in pista anche loro puntano forte sul quartetto, si sono inventati uno stratagemma per consentire a Michael Morkov di difendere la sua medaglia d’oro della madison. La Danimarca ha infatti già dato le convocazioni per tre dei quattro stradisti, puntando su Mads Pedersen, Mathias Skjelmose e appunto Morkov. Il quarto nome verrà fuori ai primi di giugno dalle ultime corse utili.

«La selezione di Michael – ha spiegato a Cyclingnews il tecnico danese Anders Lund – si basa sulla considerazione delle ambizioni complessive della Danimarca per la medaglia olimpica in tutte le discipline del ciclismo. Ma detto questo, Michael ha anche delle ottime capacità su strada, di cui trarremo beneficio a Parigi. Negli ultimi tre campionati del mondo su strada, Michael ha svolto un lavoro di supporto esemplare per la squadra nazionale. La sua grande esperienza e la capacità unica di guidare il suo capitano attraverso una lunga corsa su strada saranno senza dubbio preziose per le possibilità di Mads Pedersen di vincere la medaglia che sogniamo».

Negli ultimi tre mondiali su strada (qui a Glasgow con Magnus Cort), Morkov ha lavorato per i compagni
Negli ultimi tre mondiali su strada (qui a Glasgow con Magnus Cort), Morkov ha lavorato per i compagni

Morkov e la madison

La Danimarca, come pure l’Italia, su pista affida delle grandi speranze al suo quartetto e questo fa sì che nelle scelte dei tecnici della pista ci sia stato un certo sbilanciamento verso il gruppo degli inseguitori. E Morkov, che pure ha fatto parte di quartetti vincenti in Coppa del mondo e nella specialità ha conquistato l’argento a Pechino 2008, probabilmente non dà le garanzie necessarie per puntare all’oro, neppure come riserva. Di conseguenza, non potendo essere selezionato per una sola disciplina (la madison di cui è campione olimpico assieme a Lasse Norman Hansen), si è ritenuto di portarlo anche su strada. Il suo avvicinamento alle Olimpiadi passerà per il Tour de France, dove scorterà Cavendish nel tentativo di battere il record di tappe detenuto da Merckx.

«Michael – ha detto ancora Lund – vuole difendere la sua medaglia d’oro nella madison. Tuttavia, possiamo selezionare solo quattro corridori per tutti gli eventi di ciclismo su pista, ovvero inseguimento a squadre, madison e omnium. Fortunatamente, i Paesi possono anche “prendere in prestito” corridori da altre discipline, quindi se Morkov viene selezionato come ciclista su strada, potrà competere in entrambe le discipline. In questo modo possiamo convocare un corridore in più in pista, in modo che i nostri corridori rimangano abbastanza freschi per completare tutti gli eventi».

Ganna e Milan, oro e bronzo nell’inseguimento di Glasgow, con Villa: i due fanno parte del quartetto
Ganna e Milan, oro e bronzo nell’inseguimento di Glasgow, con Villa: i due fanno parte del quartetto

La strada azzurra

La scelta danese apre uno spiraglio anche per le altre Nazioni? In che modo saranno distribuite le quote azzurre? A quanto si è saputo, uno stradista azzurro potrebbe essere chiamato a correre anche la crono, per affiancare Ganna che farà il quartetto e la prova contro il tempo. Sappiamo che Milan correrà soltanto su pista e non su strada, ma non potrebbe essere lui il secondo cronoman? Si è discusso e si continuerà a farlo dell’impiego di Elisa Balsamo anche su strada. I tecnici hanno davanti a sé ancora due mesi e mezzo per comporre il puzzle perfetto, sapendo che l‘Italia maschile correrà su strada con soli tre uomini (quattro invece le donne), a causa del ranking per nazioni che a fine 2023 ci ha visto in ottava posizione.

La pista è il settore che probabilmente dà le maggiori garanzia di medaglia con gli uomini e con le donne, al pari della cronometro individuale maschile. Stando così le cose, è immaginabile che fra i tre della strada approdi un pistard, che però non sia un inseguitore, consentendo a Villa di chiamare un uomo in più? E se così sarà, visti i risultati azzurri nelle grandi classiche, con quale potenziale arriveremo alla sfida di Parigi su strada? Come detto, sarà un puzzle difficile da comporre. Almeno su questo non ci sono dubbi.

Arriva il Liberazione, festival mondiale delle due ruote

15.04.2024
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Chi ama il ciclismo sa bene che cos’è il Gran Premio Liberazione e quanto la classica romana ha contato e conta nel ciclismo italiano. Nello scorso secolo era considerato il “mondiale di primavera” perché metteva di fronte i maggiori talenti del Pianeta a livello dilettantistico, era quindi uno dei pochissimi terreni di confronto con i Paesi del Blocco Sovietico dove vigeva il dilettantismo di Stato. Poi i cambi profondi nel mondo delle due ruote hanno portato il Liberazione verso un progressivo tramonto, finché Claudio Terenzi non ne ha ripreso le redini. Trasformandolo.

Oggi il Gran Premio Liberazione è qualcosa di ben diverso. Non è poi così lontano dalla sua tradizione, ma sarebbe meglio dire che se ne sta costruendo una nuova, seguendo i venti del progresso. Oggi il Liberazione è molto più che una corsa ciclistica: è un festival delle due ruote, allestito su più giornate e che coinvolge quasi tutte le categorie. E chissà che un domani non completi l’opera…

Grande orgoglio e tanto lavoro da fare per Claudio Terenzi
Grande orgoglio e tanto lavoro da fare per Claudio Terenzi

Tre giorni di ciclismo

Terenzi ha predisposto un programma ricchissimo, profondamente rinnovato rispetto allo scorso anno che riempirà le strade del centro storico romano per tre giorni.

«E’ un impegno enorme non solo per noi, ma per tutta la città – afferma l’organizzatore – e per questo dobbiamo dire grazie all’amministrazione comunale, perché si è fatta pienamente coinvolgere dal Liberazione, lo sente davvero come qualcosa di appartenente a Roma. Cominceremo nella mattinata del 25 aprile con la gara femminile, portata al livello Uci 1.1 con al via anche la formazione WorldTour della Uae, tornerà quindi Persico vincitrice nel 2022. Alle 14 sarà poi la volta degli Under 23, la gara dalla quale è nato tutto».

La vittoria di Silvia Persico nel 2022, he precede la compagna Consonni (fotoGiessegi)
La vittoria di Silvia Persico nel 2022, he precede la compagna Consonni (fotoGiessegi)
Quest’anno quante richieste avete avuto?

Un numero clamoroso, tanto che a gennaio eravamo già sold out e per me dover dire di no alle richieste dei team, soprattutto dall’estero è un dolore. Ma d’altronde l’Uci impone il limite di 175 partecipanti e è giusto che sia così. Nella scelta sono molto pragmatico, voglio portare a Roma il miglior cast possibile, con nazionali e club di spicco. Quindi guardo al pedigree di ogni squadra e dei suoi componenti. E’ un dovere verso la storia stessa del Liberazione, verso il suo percorso che non ha eguali al mondo. Quest’anno poi, tra la gara femminile e quella under 23 ci sarà un intermezzo importante.

Quale?

La Bike for Fun-Pedalata del Dono, una prova per trapiantati ed emodializzati in collaborazione con Aned e Aido. Sarà una pedalata solidale con maglia celebrativa e offerta libera a favore delle associazioni, 8 chilometri disegnati attraverso il centro storico toccando anche punti che la corsa agonistica non attraversa, perché si andrà non solo alla Piramide Cestia, ma sull’Aventino, al Circo Massimo, anche per i Fori Imperiali e il Colosseo per concludersi sotto lo striscione d’arrivo a Caracalla. Lo scorso anno furono in 500 a partecipare, quest’anno speriamo siano molti di più.

Il percorso del Liberazione non cambia: un circuito nel centro storico di 6 chilometri
Il percorso del Liberazione non cambia: un circuito nel centro storico di 6 chilometri
Come reagisce la città?

Benissimo, anche se è un impegno notevole quello che dobbiamo sostenere. Noi facciamo grande promozione presso gli esercenti, soprattutto quelli sportivi perché chiunque pratica ciclismo (e non solo) deve sentirsi coinvolto. Il Liberazione deve essere qualcosa di inclusivo, per questo alla pedalata tengo in particolar modo.

Il Liberazione però non finisce il 25 aprile…

No, come detto sarà un festival delle due ruote che andrà avanti per altri due giorni. Al venerdì spazio per gli amatori con la gara in programma alle 15. Ma ci sarà anche tanto altro, ad esempio le prove per i più piccoli, con la gimkana che coinvolge non meno di 300 bambini senza contare i loro genitori… Questa è già una novità, l’altra sarà la prova di corsa a piedi alle 18, sullo stesso percorso del Liberazione allestita con il Comitato Organizzatore della Roma Appia Run.

Grande novità al venerdì pomeriggio con la prova podistica, “sorella” della Roma Appia Run
Grande novità al venerdì pomeriggio con la prova podistica, “sorella” della Roma Appia Run
E al sabato?

Daremo il massimo spazio alle categorie giovanili a cominciare dalla prova juniores, anche questa sold out con molti team stranieri presenti. Ormai la prova juniores è allo stesso livello di quella degli under 23, visto anche quanti corridori passano direttamente nei team emanazione di quelli WorldTour. Poi avremo quelle per allievi ed esordienti, a completare tre giorni di grande ciclismo.

Quasi tutte le categorie rappresentate. Ma un pensiero ai professionisti non lo fai?

L’abbiamo fatto, uno dei miei desideri è riesumare il Giro del Lazio. Ne ho parlato con i vertici di Rcs Sport, ma per ora è loro opinione che ci siano troppe gare e non ci sia spazio per altro. Poi però guardo il calendario e vedo che vengono riesumate corse storiche come il Giro dell’Abruzzo. Il Lazio ha un passato clamoroso, andrebbe assolutamente ripescato. Mi chiedo se darebbe fastidio… Io comunque la squadra organizzativa ce l’ho: pronta, affiatata, in grado di sostenere la sfida.

La vittoria di Romele al Liberazione dello scorso anno in volata sul danese Wang
La vittoria di Romele al Liberazione dello scorso anno in volata sul danese Wang
Potrebbe essere allora quello l’ulteriore step…

Diciamo che è il mio sogno, per ora concentriamoci però su quel che abbiamo cercando di dare sempre il meglio. Allestire un grande evento è sempre più difficile, anche con l’appoggio delle istituzioni tra cui inserisco anche la Federazione che ci dà un grande supporto, ma noi dobbiamo fare sempre il meglio. Un esempio: avevamo già stretto l’accordo per l’assistenza medica con una struttura privata per ambulanze e medici, ma poi mi sono chiesto se facevano anche primo soccorso. Mi hanno detto di no, quindi abbiamo virato sulla Croce Rossa. Anche se costa di più, sulla sicurezza non transigo né lesino spese, lo dobbiamo a chi corre.

Eroica Juniores: la Nations’ Cup torna sulle strade bianche

15.04.2024
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A breve, giovedì prossimo, scatterà la seconda edizione dell’Eroica Juniores Nations Cup. Una gara a tappe di quattro giorni, con cinque frazioni, tra le strade bianche delle terre del Chianti e non solo. Viene replicato quello che l’anno scorso è stato un successo. Anzi, a testimoniare la buona riuscita dell’edizione passata, la corsa è stata rivisitata. Nel 2023 le tappe erano state tre, distribuite in due giorni, dove a vincere fu Jorgen Nordhagen, talento norvegese passato nel Visma-Lease a Bike Development Team. 

La Nation’s Cup degli juniores si è aperta il 7 aprile con la Parigi-Roubaix e per il 2024 propone 11 tappe: L’Eroica Juniores e il G.P. F.W.R Baron sono le sole due prove italiane.

Per il territorio

Il successo e l’apprezzamento dell’Eroica Juniores Nations Cup ha portato gli organizzatori, a capo dei quali troviamo Franco Rossi, a spingere e promuovere l’evento. 

«E’ una gara – ci racconta – nata per rafforzare il messaggio valoriale del territorio. Si è capito subito che la manifestazione potesse avere un buon sviluppo, anche perché è stata apprezzata da tutti: corridori, cittì e addetti ai lavori. L’invito ad allargarla, anzi direi anche la voglia, è venuta da sé e così quest’anno abbiamo raddoppiato i giorni e i chilometri. Ci siamo rivolti agli juniores perché è diventata una categoria fondamentale nel ciclismo moderno, che può decretare già chi saranno i corridori del futuro. Poi c’è anche la parte valoriale, legata al voler trasmettere ai giovani il piacere delle strade bianche. Il nostro evento madre, la ciclostorica L’Eroica, vede avvicinarsi, piano piano tanti ragazzi, e questo ci fa un immenso piacere».

L’edizione 2024 si aprirà con una cronometro a squadre di 22,5 chilometri
L’edizione 2024 si aprirà con una cronometro a squadre di 22,5 chilometri

Da tutto il mondo

L’edizione 2024 dell’Eroica Juniores Nations Cup supera di poco i 400 chilometri, una fatica non da poco se si pensa alla categoria e al fatto che è tutto racchiuso in cinque giorni. Il Giro della Lunigiana, giusto per fare un esempio, viaggia sugli stessi numeri in quanto a giorni e chilometri di gara. 

«C’è stata una grande adesione – continua Rossi – con la presenza di ben 18 team nazionali. Ai quali si aggiungono i team satellite del WorldTour come Decathlon AG2R La Mondiale U19, JEGG-Dir Academy U19-Visma e la Grenke Auto Eder-Bora. Ci saranno anche quattro rappresentative regionali italiane: Veneto, Lombardia, Sicilia e Toscana. Infine Team Veleka, Fensam Hoves, Team Alta Austria e la Vangi Pirata.

«Avere così tante Nazioni rappresentate – continua – è un modo per far capire quanto il brand Eroica si sia esportato nel mondo. Già portiamo il valore del ciclismo eroico e del nostro territorio in nove Paesi del mondo con eventi organizzati».

Entriamo nel dettaglio di questi 400 e passa chilometri con la presentazione delle cinque tappe. Ogni frazione prevede almeno un passaggio su una strada bianca il vero filo conduttore della manifestazione.

«Il primo giorno – spiega Rossi – ci saranno due tappe: una cronometro a squadre da 22 chilometri con partenza da Punta Ala e arrivo a Castiglione della Pescaia. Il pomeriggio, invece, una frazione da 68 chilometri. Volevamo fare una prima tappa in linea pianeggiante, ma da noi in Toscana non ce n’è molta e già il primo giorno ci saranno 500 metri di dislivello. Nella seconda giornata ci sarà l’arrivo a Siena, in Piazza del Campo, dopo 110 chilometri e cinque tratti di strade bianche. Si passano i luoghi iconici della Strade Bianche, la gara dei professionisti. Penso che far arrivare i ragazzi dove pochi mesi fa ha trionfato Pogacar sia un motivo di orgoglio per noi e per loro.

«La terza tappa – conclude – sarà quella che probabilmente scaverà i veri distacchi in classifica generale. Si parte da Siena e si arriva a Montevarchi, con un doppio passaggio sull’arrivo e un traguardo volante a Gaiole in Chianti, dove è nata L’Eroica. Qui ci sarà il passaggio su una salita di 7 chilometri, tutta di strada bianca, il Passo di Monte Luco, che collega il Chianti alla Valdarno. L’ultima fatica prevede 102 chilometri, da Siena a Chiusdino e attraversa tutta la provincia di Siena e la Val d’Elsa. Dopo un duplice passaggio sotto l’arrivo festeggeremo il successore di Nordhagen».

Amstel Gold Race: Pidcock l’ha vinta, Wiebes l’ha buttata

14.04.2024
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A Berg en Terblijt si respira l’aria della festa mentre Tom Pidcock si sbaciucchia il cane Chestnut. L’Amstel Gold Race è finalmente sua, dopo la beffa che nel 2021 lo relegò alle spalle di Van Aert, a capo di un fotofinish che ancora oggi lascia qualche dubbio. Il britannico della Ineos Grenadiers ha fatto pace con la corsa dei mastri birrai e con una stagione che non voleva saperne di prendere la strada giusta.

«Adesso mi sento bene – dice – quest’anno è stato davvero duro. All’inizio ho dovuto fare grandi sacrifici, stando tanto a lungo lontano da casa. Quindi adesso alzare le mani al cielo significa molto. Questa è una gara che ho sempre amato, è piuttosto speciale. Oggi la squadra era totalmente dalla mia parte. “Kwiato” sta andando davvero bene, ma si è impegnato completamente a mio favore. Riuscire a ripagarli è davvero speciale.

«C’è stato il momento in cui tutti si guardavano e io ho attaccato: non è sempre una questione di gambe, serve anche scegliere il giusto tempo. Per come erano messe le mie mani dopo la Roubaix, avevo paura che avrei avuto difficoltà a sprintare. Quindi non ero così fiducioso, ma è andata bene. E ora che la pressione è allentata, possiamo semplicemente andare a correre e finalmente a divertirci alla Freccia e alla Liegi».

Il gruppo dell’Amstel Gold Race fra ali di tifosi: la passione è straripante
Il gruppo dell’Amstel Gold Race fra ali di tifosi: la passione è straripante

Le mani di Pidcock

Le sue mani alla vigilia dell’Amstel sono state l’oggetto di una dichiarazione a metà fra l’ironico e lo scaramantico, rilasciata venerdì da Pidcock.

«Le mie mani sono ancora doloranti – ha detto – immagino che sia una lezione che dovevo imparare. Ora so che non si può semplicemente andare alla Parigi-Roubaix senza preoccuparsi anche di questo. Normalmente non ho problemi con queste cose, ma di recente non sono andato in mountain bike e non ho fatto nessun’altra corsa sul pavé. Quindi le mie mani sono un po’ più morbide del solito. L’Amstel è una gara fantastica, poi verranno le Ardenne, un mio grande obiettivo fin dall’inizio dell’anno. Quindi non vedo l’ora di mettermi in gioco, insieme alla squadra. Questo è un periodo dell’anno davvero bello».

Van der Poel sotto tono

Il fatto è che quando Pidcock ha attaccato, la gente guardava fisso alle sue spalle, cercando di capire quando Van der Poel avrebbe attaccato per andarsi a prendere la corsa di casa. Dopo il Fiandre e quella Roubaix, ci si abitua alle imprese. E il fatto che il campione del mondo non si fosse ancora mosso, si riconduceva forse al volersi risparmiare per la Liegi o al correre più accorto in una corsa che non si risolve solo con grandi attacchi. Invece Mathieu questa volta è rimasto indietro, chiudendo anonimamente oltre la ventesima posizione.

«In effetti non avevo delle super gambe – ha detto dopo l’arrivo – anche se in generale non ci siamo comportati male con la squadra. Forse c’è mancato qualcuno per il tratto tra Fromberg e Keutenberg, dove tutti hanno iniziato ad attaccare. E lì ho fatto una scelta tattica, perché se avessi attaccato, gli altri sarebbero saltati. Se in questa corsa metti troppo preso le carte in tavola, vieni punito. Perciò abbiamo mantenuto un ritmo alto e speravo che saremmo rientrati, ma i primi erano davanti per un motivo ben preciso: erano semplicemente i più forti.

«Non potete aspettarvi che vinca ogni fine settimana, tanto più che le corse più adatte a me sono passate. Oggi c’era una probabilità maggiore di perdere rispetto a quella di vincere. E’ una corsa diversa con altri corridori, sono abbastanza realista da sapere che non posso vincere tutto. E così sarà anche la prossima settimana. La Liegi è ancora un grande obiettivo e ci riproverò, anche se ci sarà in corsa un certo Tadej Pogacar. Oggi parto per la Spagna per riposarmi un po’ e godermi il bel tempo».

Prma del via, Van der Poel con Leo Van Vliet, organizzatore dell’Amstel
Prma del via, Van der Poel con Leo Van Vliet, organizzatore dell’Amstel

Il colpaccio di Marianne

Poco prima, nella gara delle donne, si è consumata la beffa più grande ai danni di Lorena Wiebes per mano di quella splendida volpe di Marianne Vos. L’olandese del Team SD Worx-Protime ha fatto tutto bene, prendendo la ruota di Elisa Longo Borghini che ha lanciato lo sprint. Si è destreggiata fra le altrui gambe e quando ha visto arrivare la riga, ha buttato lo sguardo verso destra ed ha allargato le braccia, convinta di aver ormai finito il lavoro.

«Ho visto che Lorena si è alzata e ha iniziato a sperare – ha raccontato Marianne Vos – e sapevo per esperienza che in quei casi si può perdere molta velocità. Io ero molto lanciata e ho deciso di sprintare fino al traguardo, anche se non avrei mai pensato di poter vincere. E’ un tipo di errore che fortunatamente non mi è mai capitato e che a Lorena non capiterà più. Le ho parlato brevemente, ma non potevo fare altro che dirle che un giorno tornerà per vincere. Anche a me è dispiaciuto per lei, mi rendo conto che si sentisse davvero a terra».

L’ironia di Wiebes

Per fortuna Wiebes l’ha presa abbastanza bene, consapevole che per un po’ sarà lo zimbello delle colleghe e delle stesse compagne di squadra.

«Demi Vollering – ha raccontato nella conferenza stampa – mi ha detto che tornerà a questa corsa con ancora più fame. Ma so che per questo gran finale non dormirò bene per qualche notte, anche perché la squadra ha fatto un ottimo lavoro. Quando ho capito che non avevo vinto? In realtà abbastanza rapidamente. Non ho visto arrivare Marianne, è stato solo uno stupido errore. E’ la prima volta che mi succede e spero davvero che sia l’ultima. Metterò da parte la bici per qualche giorno e cercherò di godermi la vita».

La corsa delle donne è stata falsata dalla caduta di un poliziotto in moto. La gara è stata fermata e dopo un’ora di sosta, il gruppo è stato guidato in convoglio fino al traguardo. Qui è stata data una seconda partenza. La gara così rimodulata è stata lunga appena 55 chilometri e questo ha impedito che ci fosse l’attesa selezione.

Ora la carovana punta il naso verso le salite delle Ardenne. Mercoledì la Freccia Vallone, domenica la Liegi. Prima che inizi la stagione dei Grandi Giri, gli appassionati e i corridori hanno ancora davanti delle sfide pazzesche.

Pinotti e la nuova Paternoster: «Bisogna lavorare di più»

14.04.2024
4 min
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Allo stesso modo in cui, vinto il Fiandre, Elisa Longo Borghini ha ringraziato Paolo Slongo, nelle parole di Letizia Paternoster è risuonato più volte quello di Marco Pinotti. La trentina non ha ancora vinto grandi corse su strada, ma è innegabile che rispetto allo scorso anno le prestazioni di questa primavera siano nettamente superiori. Per cui si è accesa la stessa curiosità. E come qualche giorno fa contattammo Paolo Slongo sul Teide, ora è la volta di Pinotti che risponde da Andorra. Si lavora in funzione del Giro d’Italia, i preparatori in questa fase hanno le loro tante cose da fare.

Letizia Paternoster è sempre stata allenata da Dario Broccardo, Maestro dello Sport che con Pinotti collaborò negli anni della BMC. Tutto quello che sa sulla cronometro a squadre, ammette onestamente il bergamasco, l’ha imparato dal tecnico trentino. Allora in che modo Marco è entrato nella routine della “Pater”?

«Ci tengo a confermare – inizia – che Letizia è sempre seguita da Broccardo. Ma io mi occupo di sovraintendere alla preparazione degli atleti, per cui quando lo scorso anno è arrivata, ho iniziato a seguire anche il suo lavoro. Devo dire che la prima sensazione era che non lavorasse abbastanza e soprattutto mi sono accorto che non caricava i file. Siccome non sono uno che le manda a dire, gliel’ho fatto presente e forse lei ha visto in questo una forma di attenzione. A un certo punto, all’inizio del nuovo anno, mi ha chiesto in che modo avrebbe potuto cambiare la preparazione. Voleva fare bene al Nord, ma era febbraio e non c’era tanto tempo. Io ho obiettato che avremmo dovuto parlarne con Broccardo, ma mi ha detto che lo avrebbe fatto lei. E così ho cominciato a darle qualche consiglio».

Crono di Monte Lussari al Giro 2023: Pinotti sulla moto alle spalle di Filippo Zana
Crono di Monte Lussari al Giro 2023: Pinotti sulla moto alle spalle di Filippo Zana
Parlando di te, Letizia ha fatto riferimenti alla necessità di crescere nell’esperienza e nella resistenza.

E ha ragione. E’ certamente un’atleta di talento, che però da solo non basta. Bisogna lavorare: gliel’ho detto subito. Si è visto alla Roubaix. Le sono mancati gli ultimi 20 chilometri, proprio perché non ha la resistenza di base necessaria. Ma ugualmente, anche se 21ª a 2’14”, è stata la migliore delle nostre e questo conferma il talento. Invece per il discorso dell’esperienza, mi chiedeva chi curare e come muoversi in gara.

E tu?

E io, consapevole che sia adatta a quelle corse, le ho dato qualche consiglio. Ero consapevole che non avessimo una squadra per chiudere sugli attacchi delle altre, soprattutto alla Roubaix, e che lei non potesse seguirle tutte. Al Fiandre siamo andati bene e tutto sommato anche alla Roubaix finché le gambe hanno tenuto.

Hai parlato di poco lavoro.

Quando mi ha cercato, sono stato un po’ duro. Le ho detto che non avrei voluto perdere tempo. Avevo visto da poco un suo file e c’era scritto che aveva fatto 5 ore a 90 watt medi. Davanti alla mia durezza, deve aver apprezzato il fatto che io guardassi quotidianamente il suo lavoro. Si è sentita supportata e si è rimboccata le maniche. Le manca l’abitudine a certe distanze, ma si sta impegnando e i risultati si iniziano a vedere.

Dario Broccardo, Maestro dello Sport trentino, è stato tecnico federale e ha collaborato con la BMC. Qui a Richmond 2015 con Oss e Quinziato
Broccardo è stato tecnico federale e ha collaborato con la BMC. Qui a Richmond 2015 con Oss e Quinziato
Sentendola parlare, è parsa un’atleta più consapevole.

E’ più matura, ma questo fa parte del processo di crescita. Sta imparando a fare le sue scelte, facciamo l’esempio della Roubaix. Dopo il Fiandre, avrebbe dovuto lavorare su pista. A noi come squadra è un discorso che interessa relativamente, ma ci siamo impegnati a lasciarla libera di andare. Invece lei ha deciso di voler tornare su per correre ancora. Mi ha detto che per Broccardo andava bene: ci ha parlato lei. Ha fatto un giorno in pista e poi è tornata al Nord.

In che modo state gestendo la preparazione olimpica?

Ho parlato con Dario. In questa fase stiamo valutando che non facendo il Giro d’Italia, Letizia potrebbe non avere un programma abbastanza importante in vista di Parigi. Come squadra, corriamo il Thuringen Ladies Tour con la Devo Tem, quindio lei non può partecipare. Quindi farebbe la Ride London e il Womens Tour, che è poco. Altre faranno un calendario più pesante di lei.

Nella Coppa del mondo di Milton, per Paternoster arriva l’argento nell’eliminazione (foto FCI)
Nella Coppa del mondo di Milton, per Paternoster arriva l’argento nell’eliminazione (foto FCI)
Perché non può fare il Giro d’Italia?

Perché finisce il 14 luglio e non avrebbe tempo per fare i lavori specifici che servono per la pista.

Non credi che questa sovrapposizione con Broccardo potrebbe generare qualche confusione?

Dario la conosce da tempo e lei si fida. Non so come andrà avanti la collaborazione. Se mi chiederà consiglio, io glielo darò. Ma Dario è uno bravo e con lo studio può certamente tenersi al passo con le nuove tendenze della preparazione. Certo che Letizia ha bisogno di lavorare di più: quello che faceva prima non può assolutamente bastare.

I pericoli del nuovo ciclismo. Le proposte di Hansen

14.04.2024
5 min
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L’impatto mediatico generato dalla terribile caduta all’Itzulia Basque Country, con Vingegaard, Evenepoel e Roglic fuori causa per chissà quanto tempo ha riproposto il tema della sicurezza nelle corse ciclistiche a livelli inusuali. Sembra di essere tornati indietro nel tempo di tanti anni, quando nella Formula 1, dopo la scomparsa di Ayrton Senna, sin parlava solo di come rendere le monoposto più sicure. I progressi in quel campo sono stati evidenti e hanno avuto un ricasco anche nelle auto di tutti i giorni. Per le bici tutto sembra però più difficile.

La terribile scena dei corridori a terra all’Itzulia Basque Country. Vingegaard, a sinistra, è esanime
La terribile scena dei corridori a terra all’Itzulia Basque Country. Vingegaard, a sinistra, è esanime

Da più parti sono arrivate proposte legate soprattutto alla diversa regolamentazione delle corse e della loro organizzazione. Proposte arrivate anche dai corridori stessi. Al presidente della loro Associazione, l’australiano Adam Hansen da poco eletto, abbiamo quindi sottoposto una serie di domande per capire come i principali protagonisti dell’attività possono porsi di fronte a un problema che coinvolge tutto il futuro dello sport stesso.

Rispetto a quando correvi tu, noti che l’attività è più pericolosa e perché?

Non penso che sia più pericolosa. Penso che ci sia la stessa quantità di incidenti. Tuttavia, oggi ci sono attrezzature e pneumatici più veloci, bici più dinamiche e i ciclisti consumano più carboidrati che mai, quindi hanno molta più energia extra. Quindi stanno andando più veloci per questo motivo. Ma ci sono sempre stati incidenti gravi, i dati dicono che la quantità è la stessa.

Evenepoel e Vingegaard davanti al gruppo all’Itzulia Basque Country, corsa maledetta per loro
Evenepoel edavanti al gruppo all’Itzulia Basque Country, corsa per lui maledetta
I ciclisti vanno molto più veloci, soprattutto in discesa: vedendo cadute come quella di Evenepoel qualche anno fa al Lombardia o quella terribile dell’Itzulia Basque Country, non pensi che gli organizzatori dovrebbero rivedere i propri percorsi, magari adeguandoli con protezioni come nella downhill di mtb?

E’ interessante. Ma di difficile attuazione, se pensiamo che ci sono gare come in Francia dove i chilometri di discesa sono tanti. Come fai a proteggere tutta la strada? Qualcosa però per i punti nevralgici, come quello dove il gruppo si è schiantato va pensato. Ma è sempre difficile farlo dopo. Gli organizzatori avevano messo segnali per avvertire della pericolosità di quella curva, del fatto che era molto stretta. L’indicazione c’era, non è stata colta. Se si guarda il video al rallentatore, in realtà i primi due corridori sono passati, il terzo ha sbagliato e gli altri sono andati dietro. E’ stata una reazione a catena e gli altri sono caduti con lui. A quel punto era difficile prendere la curva, Evenepoel non aveva più margine ed è caduto. Io vedo che gli organizzatori stanno facendo molto adesso per proteggere il più possibile, ma penso che sia molto più difficile. Penso che ognuno dovrebbe semplicemente assumersi la responsabilità quando sbaglia.

Van Aert, caduto alla Dwars door Vlaanderen, dovrà saltare il Giro d’Italia
Van Aert, caduto alla Dwars door Vlaanderen, dovrà saltare il Giro d’Italia
Oliver Naesen ha recentemente proposto di riprendere il sistema di penalizzazioni del calcio, con cartellini gialli e rossi per i corridori: è un sistema che ti piace?

Non è un’idea nuovissima. In realtà, l’abbiamo valutata l’anno scorso e ne abbiamo discusso nell’Associazione. Quest’anno lanceremo questa iniziativa con una fase di prova. Abbiamo lavorato parecchio su questo, come anche sulle proposte di chicane in alcuni punti.

A tal proposito molti, sentendo questa idea, hanno detto che così si svilisce la tradizione del ciclismo: che cosa rispondi?

Qui il problema è la velocità. E’ questa che ha causato i brutti incidenti. Ho proposto la chicane perché entrare nella foresta di Arenberg a gran velocità è molto pericoloso, volevamo che i corridori rallentassero. C’è stato un grande polverone mediatico riguardo alla chicane che rallentava la velocità del ciclismo e distruggeva lo sport. Ma dobbiamo guardare oltre, al ciclismo nel nuovo secolo, con nuovi mezzi, prendendo le giuste contromisure. Le chicane sono la cosa che rende i ciclisti più lenti. E anche se alla gente Arenberg non è piaciuto, ha funzionato. Nessuno è caduto andando ad Arenberg e penso che sia stata una delle prime volte in cui ho visto che non c’è stato un solo incidente. Quindi le chicane funzionano e abbiamo bisogno che alcune cose come questa siano messe in atto per rallentare la velocità.

La chicane all’entrata per Arenberg, contestata da molti puristi del ciclismo
La chicane all’entrata per Arenberg, contestata da molti puristi del ciclismo
Non pensi che questa continua ricerca della velocità vada poi a scapito del puro talento del corridore, portando il ciclismo a essere un po’ come la formula uno, chi ha il mezzo migliore vince?

Forse un po’, ma penso che siano sempre le gambe che contano alla fine. Penso che ci siano differenze nelle bici, ma c’è una differenza più grande che è data dal talento di ognuno, dalla sua preparazione, dalla sua inventiva. L’innovazione fa parte dello sport, penso che sia molto buona. Lo mantiene bello e attivo, il pubblico si entusiasma per i nuovi prodotti. Ma dobbiamo controllare l’aspetto della sicurezza. E’ proprio quello in cui credo.

Perdere nello stesso periodo Van Aert, Evenepoel, Roglic e Vingegaard sta penalizzando l’immagine del ciclismo?

Non credo. E’ triste perdere tanti campioni in poco tempo, ma chi c’è fa spettacolo. Le imprese di Van Der Poel, la sua incredibile performance a Roubaix restano lì, nella storia a prescindere da chi c’era. Tutti vorrebbero vederlo vincere con 1 centimetro su Van Aert e viceversa. Quando manca un campione è sempre un peccato. Il brutto spettacolo è stato quello in Spagna, quel caos simile a una zona di guerra. Non è una buona immagine per lo sport. Non spinge i genitori a incoraggiare i propri figli a correre in bicicletta. Questo è ciò che dobbiamo ricordare e che deve spingerci a cambiare.

Nel salotto di Gasparotto con due Amstel sul tavolo

14.04.2024
6 min
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Amstel Gold Race, la più giovane delle classiche del Nord, ma anche una delle più affascinanti. Nata nel 1966 per far sì che anche l’Olanda avesse la sua perla della “Campagna del Nord”, l’Amstel Gold Race a partire dagli anni ’90 è stata anche un buon terreno di caccia per gli italiani. Il primo a vincerla fu Stefano Zanini, oggi diesse dell’Astana-Qazaqstan, nel 1996 e a seguire Michele Bartoli, Davide Rebellin, Danilo Di Luca, Damiano Cunego, e due volte Enrico Gasparotto.

E proprio l’attuale direttore sportivo della Bora-Hansgrohe ci accompagna nel presentare l’Amstel che prenderà il via fra poche ore. Sarà la 58ª edizione della corsa della birra, l’Amstel appunto: 253 chilometri da Maastricht a Berg en Terblijt con tante cotes (qui il dettaglio del percorso).

E quindi con questa ipotetica birra sul tavolo, tuffiamoci nella corsa dell’oro… da bere.

Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2016
Amstel 2016, Gasparotto mette a segno una vittoria memorabile. Precede Valgren e dedica la vittoria al compianto Demoitié
Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2016
Amstel 2016, Gasparotto mette a segno una vittoria memorabile. Precede Valgren e dedica la vittoria al compianto Demoitié
Enrico, due vittorie memorabili 2012 (nella foto di apertura) e 2016. Se chiudi gli occhi qual è la prima che ti viene in mente?

La seconda chiaramente. Correvo con la Wanty all’epoca, squadra professional e dopo anni di WorldTour era come se fossi “retrocesso”. Tra l’altro il team non era organizzato come oggi. Ma soprattutto due settimane prima alla Gand avevamo perso Antoine Demoitié. Un nostro compagno aveva perso la vita in corsa, vi rendete conto. Tagliare quel traguardo, ma anche semplicemente correre, fu da brividi. E i brividi ancora mi vengono ogni volta che ci ripenso.

E’ comprensibile, Gaspa…

Tutti questi eventi hanno segnato il mio modo di essere attuale. Di come interpreto il ciclismo e la vita. Fu un vero shock, una giornata, una corsa… un incidente che può accadere a tutti. Fu una presa di coscienza, uno scossone anche sul come essere, nel rapportarmi con gli altri. Se oggi sono più calmo e più professionale fu anche grazie a quel momento. Prima spesso ero stato scontroso. Chiedetelo a “Martino” (Giuseppe Martinelli, ndr) quando ero in Astana. Dico che quel giorno è nato il Gaspa 2.0.

Enrico, hai vinto due Amstel e altre due volte sei arrivato terzo. Come nasce il feeling con questa corsa? Quando e perché hai capito che era adatta a te?

L’ho capito nel 2009 quando feci le Ardenne per la prima volta. Sin lì avevo sempre fatto la parte delle pietre. Tranne che a De Panne, non ero mai andato troppo forte. Non avevo mai finito un Fiandre, per dire… E così nel 2009 mi resi conto che questa poteva essere la mia corsa e dal 2010 è diventata il focus della mia preparazione.

Una caratteristica della corsa olandese sono le sue strade strette, oltre alle tante svolte e alle cotes in successione
Una caratteristica della corsa olandese sono le sue strade strette, oltre alle tante svolte e alle cotes in successione
Bello! Racconta…

Allenamenti, ritiri, gare erano finalizzate all’Amstel. Certe volte ero sul Teide e mi chiudevo in me stesso, mi concentravo su questa corsa. Cercavo di visualizzare le situazioni che avrei ritrovato in gara, sul quel percorso. L’ultima settimana prima dell’Amstel facevo il Brabante. In alternativa, a casa, il giovedì facevo tre ore di dietro motore e al termine dell’allenamento partivo per l’Olanda. Lo facevo con mia moglie che è davvero brava o con un mio amico che dal Friuli veniva in Svizzera appositamente per farmelo fare.

Addirittura dal Friuli…

Sì, loro mi motivavano. Era una responsabilità in qualche modo averli a disposizione.

Analizziamo questa corsa da un punto di vista tecnico. E’ più dura di un Fiandre (altimetricamente) ma meno di una Liegi…

Esatto, è una via di mezzo tra Fiandre e Liegi. Le salite sono lunghe al massimo 1,5 chilometri e non c’è pavé: alla fine diventa una gara veloce. Oggi poi ancora di più. E’ una corsa di posizione. Devi essere concentrato per sei ore, non devi mai farti trovare nel posto sbagliato. Se ci finisci nel momento poco opportuno è la fine dei giochi. E anche nel finale è questione di posizione… e di gamba ovviamente.

Esatto di gamba. Una volta si finiva sul falsopiano in cima al Cauberg, ora l’ultimo muro è il Bemelerberg. Tu adottasti la tattica di fare il tratto duro col 39 e poi di mettere il 53 non appena calava la pendenza.

Esatto, fu così per entrambe le volte: 39 prima, 53 poi. Oggi però è imparagonabile tutto ciò. Altre velocità, altre potenze e altri rapporti. Oggi ci sono il 52 o il 54 davanti e il 12 velocità e non il 10 dietro. In quegli anni al massimo la differenza era fra 54×11 e 53×11.

Gasparotto sul Cauberg nel 2016. Ha ancora il 39 e il tratto duro sta per finire. Lui è in spinta, gli altri arrancano
Gasparotto sul Cauberg nel 2016. Ha ancora il 39 e il tratto duro sta per finire. Lui è in spinta, gli altri arrancano
Questo utilizzo dei rapporti era una scelta ponderata a monte?

Sì, sì… sul Cauberg la vera differenza la si fa nel tratto finale, nel passaggio dal segmento duro al falsopiano. Io usavo il 39 per sfruttare la cadenza, il mio punto di forza. In questo modo riuscivo a preservare i muscoli quel po’ per spingere forte il 53. Era la mia tattica studiata e ponderata: mi dovevo arrangiare in qualche modo, non avevo il motore di Van Aert o di Van der Poel!

C’è il classico aneddoto che potresti raccontare?

Non in particolare. Però ricordo che quando feci terzo nel 2010 forai. Nel 2012 quando ottenni la prima vittoria forai lo stesso e pensai: «Beh, quella volta andò bene, magari sarà così anche stavolta».

Enrico, hai parlato di corsa di posizione, di grande concentrazione, come trasmetterai tutto ciò ai tuoi ragazzi?

Cercherò di spiegargli che bisogna essere concentrati appunto, ma anche che nei primi 100 chilometri ci sono dei punti in cui ci si può “rilassare” un po’. Mentre negli ultimi 75 chilometri se si è fuori dai primi 30, o primi 20 in certi precisi momenti, si è fuori dai giochi. Cercherò di fargli capire che non possono sbagliare. Non sono VdP.

Pogacar è il campione uscente. Quest’anno non ci sarà. Ma ci sarà Pidcock, a ruota dello sloveno. Sarà lui il principale sfidante di VdP?
Pogacar è il campione uscente. Quest’anno non ci sarà. Ma ci sarà Pidcock, a ruota dello sloveno. Sarà lui il principale sfidante di VdP?
Cioè?

Mathieu ha un motore talmente più grande degli altri che anche se sbaglia può recuperare. Loro no e proprio per questo per loro la posizione è ancora più importante.

Hai parlato di Van der Poel. E’ lui ancora il favorito indiscusso?

Direi che nelle ultime gare ha dimostrato di stare bene! Oltre ad essere forte ha grandi abilità di guida che in queste corse gli torna molto utile. Pensate una cosa: Mathieu corre la Roubaix senza guanti e al termine non ha neanche una vescica. Vuol dire che è sciolto, che ha feeling. E poi è massiccio. Non lo sposti facilmente. Quindi sì: credo che sia il favorito numero uno. Inoltre è olandese e immagino abbia voglia di vincere anche entro i suoi confini, visto che tra le altre cose si è sorbito lanci e grida poco gentili nelle altre corse.

Qualche outsider?

Pidcock può essere pericoloso, ma non è del livello di Van der Poel chiaramente. Però per come è andato alla Roubaix, uno leggero come lui, credo stia bene. Poi c’è il blocco UAE Emirates che sta dimostrando di essere ad alto livello con più corridori e dappertutto. Ecco, loro potrebbero sfruttare l’effetto della superiorità numerica. E’ così che potrebbero stanare Van der Poel. Insomma sono questi tre soggetti che produrranno la corsa, che non la subiranno.

Barbieri in crescita: il doppio ruolo e un sogno estivo su Parigi

13.04.2024
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Al primo anno con la maglia del Team DSM Firmenich, Rachele Barbieri ha aiutato la compagna Georgi Pfeiffer a conquistare il secondo posto nella Roubaix vinta da Kopecky (le due sono insieme in apertura). Lo scorso anno, con la LIV Racing Techfind aveva propiziato il secondo posto di Katia Ragusa. Che la corsa del pavé le porti bene o sia lei che porta bene alle compagne, la singolare statistica l’ha messa di buon umore. La campagna del Nord si è chiusa, il prossimo passaggio sarà la Vuelta, ma per ora l’orizzonte è un breve passaggio a casa dopo tre settimane in Olanda.

Rachele parla veloce, come quando ha tante cose da dire. L’adattamento nella nuova squadra procede spedito e anche se finora è mancata la vittoria, i segni che qualcosa di buono potrebbe presto accadere non mancano. Per questo il clima appare disteso. Le ragazze vanno forte: il lavoro sta dando i suoi frutti.

L’inserimento di Barbieri nella DSM Firmenich procede bene: ora il programma prevede la Vuelta
L’inserimento di Barbieri nella DSM Firmenich procede bene: ora il programma prevede la Vuelta
Alla Roubaix per qualche passaggio non sei sembrata una velocista, piuttosto un diavolo…

Sono stata molto contenta che fosse nel mio programma da inizio stagione. E’ la mia gara preferita, ma non era scontato che mi inserissero al primo anno nella squadra nuova. Ero già contenta per questo, poi avvicinandoci al grande giorno ho iniziato a sentirne l’importanza. Abbiamo avuto le disposizioni, ognuno aveva un ruolo ben definito. Correvamo per Georgi Pfeiffer e, se fosse stata bene, anche Franziska Koch avrebbe avuto le sue possibilità. Siamo partite con l’idea di lavorare al massimo per loro e anche se non siamo riusciti ancora a raggiungere la vittoria, abbiamo sempre dimostrato che lavoriamo bene.

Nessun condizionamento legato ai risultati?

Zero. Almeno dal mio punto di vista come atleta, correre in questa squadra è una grande soddisfazione. Tutte le ragazze mettono il loro 110 per cento nel loro lavoro, che sia all’inizio che nessuno le vede neanche, che sia appunto alla fine per finalizzare. Il giorno della Roubaix siamo stato un po’ sfortunate con Charlotte Kool, perché è caduta subito e ha dovuto cambiare anche una ruota a causa di un problema. Per cui siamo entrate nel primo settore di pavé che lei era già indietro e non è mai riuscita a tornare davanti. Da quel momento mi è stato dato il compito di portare Pfeiffer davanti su tutti i settori di pavé e di tenerla davanti il più a lungo possibile. Ci siamo sempre trovate al momento giusto nel punto giusto. Ognuna si fida dell’altra, quindi mi viene abbastanza semplice anche muovermi.

Fino a quando è durata la sensazione di forza?

Fino al momento in cui ha attaccato la Kopecky. Io ero alla sua ruota, ma la Pfeiffer mi ha passata. Ho provato a stare lì, ma ho visto che non sarei riuscita, quindi mi sono fatta sfilare e sono rimasta in un gruppettino subito dietro. Non eravamo tanto lontane, ma ovviamente ho smesso di collaborare. Il tentativo di tornare dentro c’è sempre stato e alla fine siamo entrate nel velodromo con tre minuti.

Nella sua seconda Roubaix, Barbieri ha lavorato per Georgi Pfeiffer, arrivata poi alterzo posto
Nella sua seconda Roubaix, Barbieri ha lavorato per Georgi Pfeiffer, arrivata poi alterzo posto
Che effetto fa?

E’ sempre bello, anche ritrovarsi a fare la volata è una cosa particolare. All’inizio non volevo neppure farla, dato che non c’era nulla in palio. Ma quando ho visto che nessuna mollava, allora mi sono fatta prendere dall’adrenalina e l’ho vinta. Si fa per dire, non sai mai chi si sia impegnata davvero. Diciamo che sono passata per prima, il resto rimane nel dubbio. In più, quando siamo entrate in pista, avevo quasi capito che avesse vinto la nostra compagna, invece…

Invece?

Invece poco dopo dal maxi schermo ho capito che era toccato a Kopecky e che Georgi era arrivata terza. Quando ci siamo fermate dopo la volata, l’ho incontrata che piangeva ed era contentissima. Non è una vittoria, ma per lei essere riuscita a battere in volata la Vos in quel velodromo è stato speciale. Peccato abbia trovato davanti la campionessa del mondo ed Elisa Balsamo. Davvero un bel mix di emozioni.

L’anno scorso un secondo posto, quest’anno il terzo…

Manca il primo, dite? Non posso paragonarla allo scorso anno. Anche quella è stata una bellissima gara, però sono stata sfortunata. Ho forato nel Carrefour de l’Arbre, quindi in quel momento ho perso ogni possibilità. Però era venuto un bel risultato perché Katia Ragusa era davanti e sapevamo che c’erano tante possibilità che la fuga arrivasse. Sappiamo bene com’è andata a finire, penso che per Katia sia stata una bella soddisfazione, anche se un po’ inattesa. Sicuramente, come pure quest’anno, eravamo partite per vincere, ma sapevamo di non essere le più forti. Quest’anno avevamo più consapevolezza, in qualche modo sapevamo che Pfeiffer poteva giocarsela e così è stato.

Ai primi di marzo, Barbieri terza alla Drentse Acht van Westerveld, dietro Van Rooijen e Consonni
Ai primi di marzo, Barbieri terza alla Drentse Acht van Westerveld, dietro Van Rooijen e Consonni
Cosa prevede adesso il tuo programma?

Farò la Vuelta e per questo siamo rimaste una settimana in più per allenarci, fare qualche prova di cronosquadre, ma adesso torno a casa. Dopo la Roubaix ho fatto qualche giorno tranquilla, ho recuperato un po’ e adesso finalizzerò un po’ tutto per arrivare alla Vuelta con la migliore condizione possibile. Niente Giro invece, facendo la Vuelta non se ne è parlato.

Cosa rimane del sogno di fare le Olimpiadi su strada?

Ho parlato con il cittì Sangalli a inizio stagione, non recentemente. Onestamente sono molto contenta di quello che sto facendo, perché sta uscendo un lato di me che non si conosceva. Cioè non solo la velocista che pensa a finalizzare, ma anche quello dell’atleta che sa sacrificarsi per la squadra e le compagne. Sto dimostrando che sono in grado di fare coprire i ruoli. Se sono leader, posso fare la volata e qualche bel piazzamento è arrivato. Altrimenti posso mettermi al servizio di un’altra. Ho sempre detto e continuo a pensare che all’Olimpiade corrono in quattro e due sono decise, cioè Longo Borghini ed Elisa Balsamo. Io continuo a crederci e proverò a dimostrare che voglio quel posto. Sono certa che andrà chi più l’avrà meritato, come pure che di qui ad agosto possono cambiare ancora molte cose. Per questo tengo i piedi per terra.