Intanto Hirschi a suon di vittorie prepara il mondiale

31.08.2024
5 min
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E’ innegabile che Marc Hirschi sia uno dei grandi protagonisti di questa fase della stagione, in alternativa alla Vuelta e in preparazione a un rutilante finale di stagione. Non solo per i suoi risultati, perché il suo passaggio alla Tudor è stato uno dei “botti” del ciclomercato in vista del 2025, una scelta che dice molto anche della nuova conformazione che la Uae sta assumendo sempre più intorno al vincitutto Pogacar ma anche delle ambizioni della squadra elvetica, protagonista di acquisti eccellenti.

Nel testa a testa di San Sebastian beffa Alaphilippe, suo prossimo compagno di colori
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Doppio colpo

Hirschi, anche per rispetto nei confronti dei suoi attuali datori di lavoro, non vuole parlare della sua nuova destinazione, d’altro canto c’è molto da dire in relazione a quanto sta facendo, basti pensare che in 55 giorni di gara ha colto 5 vittorie e 14 Top 10, ma viene soprattutto da due trionfi prestigiosi nelle ultime due classiche del WorldTour, San Sebastian e Bretagne Classic.

«Entrambe le vittorie sono state importanti perché parliamo di WorldTour – racconta l’elvetico – ma soprattutto di corse con tanta storia nel ciclismo, con grandi nomi nel loro albo d’oro. Non posso dire quale sia più stata la vittoria più grande, sono molto felice di aver vinto queste due gare che da sole portano in ampiamente positivo il giudizio sulla mia stagione, anche se la voglia di vincere è ancora tanta».

Hirschi sul podio di Plouay dopo aver battuto Magnier e Cort
Hirschi sul podio di Plouay dopo aver battuto Magnier e Cort
Quattro vittorie nell’ultimo mese: pensi sia il tuo periodo migliore da quando sei passato professionista?

Sì, penso sia molto simile al 2020. Ero allora in ottima forma dopo il Tour de France e portai a casa vittorie importanti e ora sono sicuro di essere al top della forma al momento. Spero di poter sfruttare questo stato ancora a lungo.

Ti è pesato non aver potuto effettuare un Grande Giro o per le tue caratteristiche sono state meglio le corse che hai fatto?

Avevamo deciso insieme con la squadra il mio calendario, in particolare questo periodo della stagione incentrato sulla preparazione per i campionati del mondo a Zurigo. Piuttosto che la Vuelta, che pure so essere utilissima per fare la gamba, preferisco andare in quota e se il meteo è molto buono è una buona preparazione, ma senza rinunciare alle corse perché non sai mai che tempo potrai trovare nel periodo stabilito in altitudine, soprattutto in questo periodo. Per cui preferisco alternare brevi periodi in altura e gare. Ora farò un periodo in quota, di nuovo un blocco di allenamento e poi farò le gare italiane, dal GP Industria e Commercio dell’8 settembre al Matteotti del 15, cinque corse in tutto.

Per Hirschi 4 anni alla Uae, con 17 vittorie ma non sempre vissuti in tranquillità
Per Hirschi 4 anni alla Uae, con 17 vittorie ma non sempre vissuti in tranquillità
E quale è quella che ritieni più adatta a te?

Nessuna in particolare, sono tutte gare molto buone per me e sono anche una preparazione super buona per le caratteristiche del percorso del mondiale. Il Toscana l’ho vinto due anni fa e so che va molto bene per me, la prova di Peccioli dove ho prevalso lo scorso anno ha un percorso molto mosso, il Memorial Pantani ha molte salite brevi e ripide. Penso che siano tutte buone per me.

Guardandoti indietro, ai Giochi di Parigi potevi fare di più?

Alla fine è stata una gara molto particolare, senza radio, con piccole squadre. Tutto molto diverso dal solito e non era facile adattarsi. A un certo punto c’era Kung davanti, quindi non era il caso di muovermi, poi nel finale sul pavé era davvero difficile capire come muoversi, non avevamo riferimenti ed eravamo tutti davvero al limite. Su quel percorso, con la forma che avevo al momento ero comunque inferiore a chi è andato a medaglia. Col senno di poi penso che la corsa avrebbe dovuto essere più dura e lottata nella prima parte, prima di arrivare al circuito finale, lì per me è stato difficile seguire il ritmo dei migliori.

Ai Giochi Olimpici di Parigi un 16° posto non pari alle sue aspettative, a 2’13” da Evenepoel
Ai Giochi Olimpici di Parigi un 16° posto non pari alle sue aspettative, a 2’13” da Evenepoel
Il mondiale nella tua Zurigo lo ritieni adatto a te e ha un’importanza particolare correre davanti alla tua gente?

Sì, per me ce l’ha. E’ il grande obiettivo di quest’anno. Si corre in casa e il tracciato non è male per le mie caratteristiche. È un percorso duro, un po’ per tutti, emergerà chi ne avrà di più. Può essere buono per chi ha fondo, per chi è portato ad attaccare, ma anche per gli scalatori. Quindi è una gara abbastanza aperta. Io mi gioco tutto lì, ci tengo particolarmente a emergere davanti ai miei connazionali.

Viste le tue caratteristiche, tra corse di un giorno e brevi corse a tappe dove pensi di andare più forte?

Dipende molto dal momento. Per ora mi alleno molto per le gare d’un giorno. Ma penso di poter essere tra i migliori anche in altre gare, soprattutto sto lavorando molto per il futuro. Io credo di poter far meglio anche nelle corse a tappe più grandi. Sapendo però che i grandi giri sono un altro livello, non basta sentire che le gambe vanno super forte, devi avere anche caratteristiche di resistenza, di gestione che devo ancora fare mie. Ma spero intanto in futuro di diventare molto competitivo anche nelle corse di una settimana.

Per il bernese la vittoria nel Czech Tour a conferma della sua dimensione anche nelle corse a tappe
Per il bernese la vittoria nel Czech Tour a conferma della sua dimensione anche nelle corse a tappe
Quanto è importante per tutto il ciclismo svizzero avere una squadra prossima all’ingresso nel WorldTour come la Tudor nella quale correrai nel 2025?

Penso che sia fondamentale soprattutto per i giovani corridori perché è più facile trovare spazio nella formazione di casa. Guardate le squadre francesi, prendono principalmente i corridori giovani francesi, consentendo loro di completare la loro crescita. A noi serve una realtà simile. E’ difficile entrare in una realtà straniera per un giovane corridore svizzero, quindi penso che dia molte opportunità ai giovani corridori di mettersi in mostra. Non ci sono tanti spazi per trovare un contratto, quindi questo aumenterà le possibilità.

Due fratelli, il loro tandem e un bronzo storico

30.08.2024
8 min
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Il giorno dopo di Davide Plebani, Lorenzo Bernard e del loro tandem ha il ritmo del riposo. Ieri sera dopo la medaglia di bronzo nell’inseguimento le cose sono andate per le lunghe, tra formalità e antidoping. Tempo per riflettere poco: i festeggiamenti, la medaglia sotto il cuscino e tutti a nanna.

Plebani racconta, le domande servono solo per indirizzare il fiume delle parole. Il bergamasco ha sempre trasmesso la sensazione di avere di fronte una brava persona. E il suo stupore per i valori dello sport paralimpico lo conferma. L’ambiente lo aveva già colpito nei giorni dei mondiali di Rio, la dimensione olimpica ha fatto il resto. Dice che non gli era mai capitato di abbracciare un avversario prima del via di una finale, mentre ieri lo ha fatto. Lui che normalmente soppesa le parole, ha voglia di raccontare ed è un’occasione da cogliere al volo. Accanto c’è Lorenzo Bernard.

Il tempo di rendersi conto e poi sul tandem esplode la gioia. Medaglia di bronzo al primo tentativo (foto CIP)
Il tempo di rendersi conto e poi sul tandem esplode la gioia. Medaglia di bronzo al primo tentativo (foto CIP)
Che effetto fa il giorno dopo avere quella medaglia tra le mani?

Abbiamo dormito insieme, l’ho tenuta sotto il cuscino e l’effetto è bellissimo. Io ho questo rito che quando prendo le medaglie, la notte ci dormo insieme. E’ un’emozione grandissima e siamo molto contenti, perché comunque il giusto e duro lavoro paga. Non sempre, pur lavorando, si viene ripagati, magari perché si sta lavorando male.

Voi avete fatto tutto bene?

Sono contentissimo di lavorare con Lorenzo e di essere cresciuti insieme, anche se in poco tempo. Ho spinto un po’ sull’acceleratore con lui per riuscire ad ottenere subito il massimo. Vedendo le sue qualità, sapevo che avremmo potuto far bene. Solo che dovevamo recuperare terreno sui nostri avversari, che ormai stanno insieme da dieci anni.

Ieri Perusini ha parlato proprio del poco tempo, da Glasgow in avanti…

E noi tra l’altro Glasgow non l’abbiamo fatto. Praticamente facciamo pista da veramente poco, da ottobre scorso. Però adesso non vorrei che arrivasse il messaggio che è banale prendere una medaglia Paralimpica, mi dispiacerebbe che passasse questo messaggio. Perché non lo è stato affatto!

Nella finale per il bronzo, gli azzurri hanno fatto il tempo di 4’04″613 (foto CIP)
Nella finale per il bronzo, gli azzurri hanno fatto il tempo di 4’04″613 (foto CIP)
Che cosa ha fatto la differenza?

Il discorso è stato solamente che Lorenzo è portato. Tutti i nostri avversari ci temono veramente tanto e ci hanno fatto i complimenti. Soprattutto perché lui è l’unico B1, cioè totalmente cieco. Vuol dire che deve avere doppia grinta. Perché hai sicuramente dei deficit in più rispetto agli altri, che riescono a vedere il movimento di quello davanti. Che si allenano da soli con la loro bicicletta, su strada. E’ una situazione totalmente diversa.

Davvero in così poco tempo gli avversari vi hanno inserito fra quelli da guardare?

Capiscono che Lorenzo è veramente forte, mentre io ho fatto il professionista praticamente fino a ieri. Avevo smesso e quando mi hanno chiesto di continuare sembrava che fare la guida del tandem fosse una passeggiata. Invece ci siamo trovati davanti a un livello devastante. Basta vedere i tempi: 3’55” significa volare. Ieri abbiamo spinto il 67×14, sono numeri da inseguimento al top. Sicuramente il fattore che ha permesso di abbreviare i tempi è stata la mia esperienza. Abbiamo anche preso delle batoste, però il duro lavoro ha pagato. E vi assicuro che Lorenzo non è ancora al massimo.

Di te si diceva che girassi sui tempi di Ganna, per cui Lorenzo è forte, ma tu non sei da meno…

Sono arrivato davvero a giocarmi due Olimpiadi (parlando di questo, la sua voce cambia impercettibilmente e vira su un tono più freddo, ndr), ma non ci sono mai riuscito. E quando mi si è aperta la porta di Lorenzo, che comunque aveva questo motore eccezionale, mi sono detto che dovevamo crederci fino in fondo. La cosa è che, come i nostri tecnici giustamente continuavano a ripetere, essendo la prima Paralimpiade, poteva anche non venire il risultato. Io però non l’ho mai vista così. E’ la mia prima Paralimpiade, ma voglio portare a casa qualcosa. Sapevo che era possibile.

Fra europei e mondiali, Plebani ha conquistato cinque podi. Qui l’argento nell’inseguimento agli europei di Monaco 2022
Fra europei e mondiali, Plebani ha conquistato cinque podi. Qui l’argento nell’inseguimento agli europei di Monaco 2022
Siete sempre stati in vantaggio, c’è mai stato un momento difficile?

Sì, ai meno 6. In partenza l’abbiamo gestita bene. Sentivo che siamo stati sempre in vantaggio, perché eravamo entrambi costanti. Solo che noi avevamo un ritmo maggiore, quindi guadagnavamo. Non abbiamo mai avuto un cedimento. In qualifica il tempo era stato migliore, però nell’ultimo chilometro avevamo sofferto di più. Qui invece siamo riusciti a essere sempre costanti, anche se un pelo più lenti. Però a un certo punto il fisico ti dice no. Ti dice: aspetta, guarda che adesso sta finendo la batteria! Quindi le gambe diventano durissime e non si va più avanti. Ecco, il fulcro secondo me è arrivato a quel punto, perché ho capito di dover andare a tutta e allora avremmo fatto la storia. Quindi ho chiuso gli occhi e ho dato tutto. Per modo di dire (ride, ndr), altrimenti chi lo guidava il tandem?

A proposito di tandem, ne avete usato uno in carbonio?

Sì, siamo stati fortunati perché la squadra di Lorenzo, il Team Equa, ha permesso l’acquisto di questo tandem. Altrimenti non saremmo riusciti ad averlo. Quando ho parlato con Ercole Spada, il suo presidente, è stato subito gentile. Ha detto che credeva in noi e grazie a lui abbiamo potuto fare una grande differenza nei materiali e per i ritiri, per i quali ci ha appoggiato. Quindi un grazie va a lui e sicuramente anche da parte mia alle Fiamme Oro, perché senza il loro permesso e il loro supporto, non sarei potuto venire qui a giocarmi la medaglia.

E’ presto per pensare a Los Angeles 2028?

Decisamente. Ero molto concentrato e mi sono detto di fare un passo alla volta. Quando hai un obiettivo, cerchi di focalizzare le tue energie. Non abbiamo neanche fatto un giro nel Villaggio. Ho tolto anche Instagram per un mese, ho cercato di isolarmi e concentrarmi con Lorenzo. Sono stato veramente bene. Non ho pensato al futuro, ma una cosa la so. Avrei dovuto fare i mondiali, ma non andrò, perché in quei giorni devo sposarmi.

A proposito di matrimonio, raramente si è vista Elisa Balsamo tanto commossa per un risultato…

Lo ha detto anche lei: «E’ stata un’emozione più forte di quando vinco io». E io le ho risposto: «Adesso almeno capisci cosa provo quando vinci tu!».

Lorenzo Bernard, classe 1997, ha debuttato come canottiere (foto Instagram)
Lorenzo Bernard, classe 1997, ha debuttato come canottiere (foto Instagram)

Come due fratelli

Qui potrebbe scattare la gelosia, diciamo ridendo. Cosa dirà Lorenzo Bernard, sapendo che il suo compagno di Paralimpiadi preferirà andare a sposarsi piuttosto che fare con lui il prossimo mondiale? La risata scatta per entrambi. Il posto di Davide sarà preso da Manuele Caddeo, ligure, a sua volta un ex stradista.

«No, no – sorride – non sono geloso. Lui per me è come un fratello e assieme a lui ho realizzato il sogno di una vita. Come ho sempre detto a tutti, vincere una medaglia era una mia ossessione. Mi stava turbando e mi sono levato un grosso peso di dosso. Sapevo che Davide sarebbe stato la persona migliore per me. Abbiamo visto da subito che se ci impegnavamo e avevamo un buon feeling, si poteva fare questa roba. Quindi io ci ho creduto dal primo giorno e ho messo tutto me stesso. Come ha fatto anche lui».

Plebani ammette di aver trovato un livello stellare nei tandem. Ieri hanno corso con il 67×14 (foto CIP)
Plebani ammette di aver trovato un livello stellare nei tandem. Ieri hanno corso con il 67×14 (foto CIP)
E’ stato davvero così semplice passare dal canottaggio alla bicicletta?

Devi avere gambe veramente forti e poi più o meno lo sforzo è quello. Io facevo i 2.000 metri: erano 6 minuti di sforzo intenso. Quindi ho dovuto solamente trasformare il mio corpo in un corpo da ciclista, quindi levare un po’ di massa sopra e mettere tutta la concentrazione nelle gambe. E’ stata una progressione, pian piano sono migliorato e siamo arrivati alla medaglia. Mi hanno mandato messaggi un sacco di persone, mentre la mia famiglia era qui.

Davide ha parlato di strette di mano prima del via, ma come sono state le fasi prima della partenza?

Secondo me le ho gestite molto meglio rispetto ai mondiali. Certo, è un’altra situazione. Ha funzionato il fatto di restare tranquillo e con la mente abbastanza rilassata, non pensarci troppo e dare tutto. Però comunque c’era tensione, l’adrenalina non mancava.

Al sesto chilometro si è capito che la gara fosse alla svolta. Siete riusciti in qualche modo a comunicare?

Durante la gara no. Noi abbiamo la nostra tecnica, che consiste nell’andare a tutta finché ne hai. Quindi io metto giù, so che sono 16 giri e mi metto a contarli. Almeno ci provo. In qualifica e ieri in finale fra il dodicesimo e il tredicesimo giro ho perso il conto. Ma sapevo che ne mancavano pochi e sono andato avanti a pedalare finché non ha smesso anche Davide.

Secondo Bernard il tipo di sforzo fra i 2.000 metri al remo è simile a quello dell’inseguimento (foto CIP)
Secondo Bernard il tipo di sforzo fra i 2.000 metri al remo è simile a quello dell’inseguimento (foto CIP)
Qual è stato il primo pensiero, quando hai capito che era fatta?

Ci sono stati due o tre giri di assestamento, per prendere entrambi fiato. Poi quando Davide me l’ha detto, è esplosa una gioia infinita. Non sono mai stato così felice, credo, in tutta la mia vita. Secondo me, nulla succede per caso. Credo che ci sia un motivo per tutto e quindi sono contento. Cerco di raccontare a tutti quello che mi è successo, affinché non succeda ad altri (Lorenzo ha perso la vista per l’esplosione di una granata della Seconda Guerra Mondiale mentre era a lavorare nei campi, ndr). Quindi in qualche modo l’ho presa bene e non ho rimpianti.

Si guarda al futuro o, come dice Davide, si vive il presente?

Fino ad ora, ero concentrato su questa gara, si vedrà poi come andrà avanti nei prossimi anni. Adesso lascio finire queste Olimpiadi, che abbiamo ancora tre gare da fare, poi ci penseremo. Intanto però mi godo questa medaglia, sapeste da quanto tempo la inseguivo…

Masotti: «I bronzi mondiali in pista delle juniores valgono tanto»

30.08.2024
5 min
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La spedizione azzurra è rientrata dai mondiali juniores in pista a Luoyang col terzo posto nel medagliere. Undici apparizioni totali sul podio (al pari della Gran Bretagna che vanta più ori) da contestualizzare in due modi differenti tenendo conto dei metalli conquistati.

Se i maschi hanno rispettato le attese, dove su tutto spicca il record del mondo del quartetto, le ragazze devono vedere il bicchiere mezzo pieno. I sei bronzi conquistati da loro non rappresentano necessariamente un passo indietro rispetto ai trionfi di un anno fa in Colombia, anche se qualcosina in più era lecito aspettarselo in alcune discipline. Così come avevamo fatto prima della trasferta in Cina, abbiamo voluto sentire nuovamente Fabio Masotti, collaboratore tecnico del cittì Villa, per avere un bilancio dei risultati femminili.

Fabio come valuti la rassegna cinese delle ragazze?

Siamo partiti sapendo che non potevamo andare come i maschi. Loro sono andati veramente forte, però non mi lamento delle ragazze. E’ vero, qualcuno dei sei bronzi, potevano essere argento e addirittura oro, ma non sono stati mondiali semplici. In parte hanno pagato un po’ di inesperienza e in parte non sono state fortunate. Inoltre, stando ai tempi in pista, quest’anno il livello era molto più alto.

Quali sono le medaglie in cui avete più rammarichi?

Sicuramente quella del quartetto, che avevamo preparato molto bene. Purtroppo in qualifica a Sgaravato è uscita una tacchetta dal pedale proprio in partenza, quindi le compagne hanno perso del tempo per riorganizzarsi subito. Nonostante quello hanno centrato il terzo tempo. Purtroppo per noi anche la Gran Bretagna ha avuto un problema simile e girando solo in tre hanno fatto il secondo tempo. Quindi ce la siamo ritrovata in semifinale e sapevamo che era fuori portata per noi. Per tutti per la verità. Infatti hanno vinto l’oro col record del mondo grazie ad atlete come Ferguson e Lloyd, già prese dalla Movistar per i prossimi anni. Se avessimo trovato la Francia, ce la saremmo potuta giocare visto che avevamo tempi simili e magari arrivavamo in finale con le britanniche.

C’è un altro bronzo che poteva brillare di più?

Nell’eliminazione Baima poteva bissare l’oro dell’anno scorso e quello europeo di luglio, ma anche in questo caso la fortuna non ci ha sorriso. La gara è partita un’ora e mezzo dopo rispetto al programma iniziale per una serie di ritardi nelle corse precedenti. E’ stata un’odissea, è stata una gara che nel complesso è durata quasi quaranta minuti. Cadevano le atlete quasi ad ogni giro e si è accumulato ritardo ulteriore. Poi quando erano rimaste in quattro non ha funzionato il fotofinish e quindi hanno dovuto neutralizzare la corsa. Con tutto questo tira e molla Anita si è spaesata.

Si poteva gestire meglio la situazione?

Noi possiamo solo adeguarci al caos che si crea. Da sotto le gridavamo cosa fare, ma quando sei dentro che giri è tutt’altra cosa, specie se in contesto simile. E’ stata una gara che ha sfalsato i valori in pista. Anita è una che fa la differenza sulla resistenza, quando le altre accusano la stanchezza, però se prima degli ultimi sprint la corsa viene interrotta, le atlete meno forti possono recuperare. E probabilmente nelle volate finali possono anche sfruttare meglio il proprio spunto veloce. Peccato perché quella poteva essere una medaglia d’oro, però con i se e con i ma non puoi farci molto.

Nelle altre prove invece?

Nella madison Baima e Sanarini hanno valutato male una situazione perdendosi proprio negli ultimi giri. Un errore che tuttavia ci può stare. Come dicevo prima, da fuori vedi come va la gara, ma in pista può essere più difficile. Anche per loro poteva arrivare un argento. Per contro siamo contenti del bronzo di Pegolo nello scratch, una ragazza polivalente. Lei l’abbiamo inserita all’ultimo momento nella velocità a squadre facendo solo un paio di prove prima di gareggiare. Ed è arrivato un bel terzo posto. Bravissime le altre due ragazze, Trevisan e Cenci, che a sua volta ha preso un buon bronzo nel keirin.

Cosa avete messo dentro la valigia di ritorno per queste ragazze dai mondiali?

Non ci stanchiamo mai di ripeterlo. Quella juniores è una categoria nella quale cambiano gli interpreti ogni due anni e nella quale di conseguenza bisogna ottimizzare un lavoro ciclico. Alla fine dei conti, sono stati sei bronzi che danno parecchia soddisfazione, rispetto all’anno scorso in cui eravamo quasi certi di vincere. Le ragazze lo hanno capito e sanno che hanno margini di miglioramento, quanto meno quelle del primo anno che saranno con noi anche nel 2025. A febbraio dell’anno prossimo riprenderemo con i ritiri e nuovi inserimenti. Nel frattempo cercheremo di capire tra segnalazioni di società, test del Centro Studi e prove in pista quali saranno le migliori allieve che passano juniores.

Ceci, applausi per Plebani-Bernard e lo sguardo al 2028

30.08.2024
7 min
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ASCOLI PICENO – Ceci arriva su una Caballero 700 rossa, con i bermuda e la maglia nera. Ha smontato dal turno nel supercarcere di Marino del Tronto e dopo un rapido passaggio da casa, ha accettato l’invito per un caffè. La città è calda, anche se negli ultimi giorni, qualche scroscio di pioggia ha provato a rinfrescare l’aria.

«Complimenti a Davide e Lorenzo – dice Ceci prima di ogni altra cosa – sono stati grandissimi. Erano andati per una medaglia e ci sono riusciti al primo assalto. Si sono meritati ogni applauso!».

Due giorni fa, il 28 agosto, sono iniziate le Paralimpiadi di Parigi, che andranno avanti fino all’8 settembre. E ieri Davide Plebani e Lorenzo Bernard hanno centrato la medaglia di bronzo nell’inseguimento. Nel commentare il risultato, il cittì Perusini ha usato parole molto chiare. Ha lodato i due azzurri pr la rapidità dei loro progressi. Poi ha fatto notare il gap tecnologico a livello di biciclette. Infine ha dedicato il bronzo a tutti i ragazzi che nell’ultimo anno hanno fatto pista e hanno ottenuto risultati ai mondiali di Rio, ma non sono a Parigi per il ridotto numero di slot.

Ieri a Parigi, la medaglia di bronzo storica di Plebani e Bernard nell’inseguimento (foto Instagram)
Ieri a Parigi, la medaglia di bronzo storica di Plebani e Bernard nell’inseguimento (foto Instagram)

Gli esclusi più illustri per l’esiguità dei posti sono Francesco Ceci e Stefano Meroni, oltre a Elena Bissolati e Chiara Colombo che proprio ai mondiali brasiliani hanno conquistato un oro storico nel Mixed tandem team sprint. E anche se questo è il momento di tifare per i compagni di nazionale, si può capire che l’esclusione abbia bruciato. E proprio per questo, probabilmente, Silvano Perusini si è sentito di fare quella dedica. Non c’è voglia di piangersi addosso né di attaccare: certe cose non si possono cambiare. Quel che sta a cuore al velocista marchigiano è semmai la possibilità di riprendere presto la preparazione. Di fatto i tandem veloci non gareggiano dai mondiali di Rio. A Montichiari c’è stato tempo solo per un ritiro a maggio, in occasione del quale sono stati anche comunicati i nomi di chi sarebbe andato a Parigi. Da allora è tutto fermo.

Puntavi a Parigi?

A livello personale, ci puntavamo tanto e sapevamo di avere l’età giusta e la possibilità per puntare a una medaglia. Abbiamo iniziato a lavorare insieme da un anno e la cosa positiva è che sono arrivati subito dei buoni risultati. Siamo entrambi due atleti lavoratori, quindi ci prepariamo dopo aver finito i nostri turni. Potete immaginare cosa abbia significato prepararsi d’inverno sui rulli e in palestra. Magari fai un paio d’ore su strada, sapendo che i lavori sono completamente diversi rispetto alla pista.

Colombo-Bissolati, Meroni-Ceci: l’iride nella velocità a squadre di Rio 2024 resta una pietra miliare per la pista paralimpica
Colombo-Bissolati, Meroni-Ceci: l’iride nella velocità a squadre di Rio 2024 resta una pietra miliare per la pista paralimpica
Eppure i risultati sono arrivati lo stesso…

Oltre alla vittoria nella velocità olimpica, nel chilometro abbiamo fatto la qualifica con il quarto tempo a due decimi e mezzo dall’argento. E poi in finale siamo arrivati quinti, a 7 decimi dalla medaglia. Abbiamo avuto un problema con la bicicletta in partenza, ma non potevamo fermarci per effettuare una seconda partenza. Quindi abbiamo tirato dritto abbassando il nostro tempo di 7 decimi rispetto all’anno prima. Quindi, pensando a Parigi, secondo me ci sarebbe stata la possibilità di fare bene.

Quando ti alleni con Meroni?

Quando ci sono collegiali in pista. Lui vive a Lurago d’Erba, siamo a sei ore di macchina l’uno dall’altro. Dopo il mondiale, abbiamo continuato ad allenarci forte, finché non ci hanno dato la notizia che non saremmo andati. Ovviamente si accettano le scelte, quelle non si discutono. E siccome ci è stato detto che il nostro progetto dovrà dare i frutti migliori a Los Angeles 2028, speriamo che effettivamente si possa continuare a lavorare per allora. Spostiamo gli obiettivi a lungo termine.

Si fa il tifo per gli altri azzurri?

Ho scritto un messaggio nel gruppo Whatsapp facendo gli bocca al lupo a tutti. In pista purtroppo siamo pochi, perché abbiamo solo Claudia Cretti, oltre a Davide e Lorenzo che hanno già preso la medaglia. E ripeto: sono stati strepitosi! Speriamo che il bilancio finale sia ottimo, per dare slancio al settore. Se iniziamo a creare una storicità anche nel settore pista, automaticamente cresce tutto il movimento. Mi auguro che si possa continuare in questo lavoro, in modo che al prossimo mondiale possiamo pensare di andare per vincere un titolo. In un anno tutto il movimento è cresciuto. Abbiamo riportato ottimi risultati, il nostro titolo mondiale ha avuto un bel risalto. Peccato non si sappia ancora quando e dove si faranno i prossimi.

Prove di partenza ai mondiali di Rio per il team azzurro. Partono Bissolati e Ceci (foto Instagram)
Prove di partenza ai mondiali di Rio per il team azzurro. Partono Bissolati e Ceci (foto Instagram)
Perusini ha parlato di margini enormi per noi su pista.

E ha ragione. Ovviamente Nazioni come Gran Bretagna, Francia, Germania e Olanda sono molto avanti. I paralimpici usano le stesse bici dei “normo” e fa tanto. Noi siamo partiti da un anno e mezzo e corriamo con il tandem di alluminio. Abbiamo lavorato per migliorarlo, abbiamo ottenuto dei miglioramenti, ma i tandem in carbonio di altre squadre restano più performanti.

In che modo procede ora la vostra attività?

Siamo in attesa di conoscere i calendari, perché non ci sono gare per noi. L’importante sarebbe dare continuità al lavoro per poter crescere. Non è sfuggito il fatto che in tutti i Paesi stiano cercando atleti di elite per dare forza ai loro tandem. Ai mondiali mi sono ritrovato con altri velocisti con cui anni fa facevo i tornei della velocità. Per cui a un certo punto diventa decisiva anche l’affinità nella coppia. Con Stefano ci si sente spesso al telefono. Ha 37 anni ed è partito da zero. Non aveva mai fatto certi lavori in palestra, per cui per arrivare a certi livelli ha messo costanza e impegno. Sappiamo anche cosa ci servirebbe per migliorare nel chilometro.

A Rio 2024, Ceci e Meroni hanno sfiorato la medaglia nel chilometro (foto Instagram)
A Rio 2024, Ceci e Meroni hanno sfiorato la medaglia nel chilometro (foto Instagram)
Che cosa?

Abbiamo visto che perdiamo tanto nel primo giro e mezzo. Dobbiamo lavorare su forza massima, forza esplosiva e tecnica di partenza. Però bisogna farlo insieme. Al momento ognuno di noi lavora su se stesso, in modo che quando ci ritroveremo, partiremo da un livello più alto. Ci sentiamo spesso, a volte discutiamo. Io sono molto duro e a volte lo richiamo sul lavoro da fare. Sono contento, perché secondo me è la maniera giusta. Gli ho detto sin dal principio, che quando siamo in nazionale siamo due atleti che gareggiano per un obiettivo. Quindi, a prescindere dalle condizioni in cui lavoriamo, dobbiamo dare il massimo. Lo sappiamo entrambi e riusciamo a farlo.

Tu hai fatto parte del gruppo sportivo delle Fiamme Azzurre: credi che se lo fossi ancora, quei 7 decimi che vi hanno diviso dalla medaglia ai mondiali di Rio sareste riusciti a limarli?

Io penso con la massima serenità che la medaglia fosse alla portata, se si fosse investito sul mezzo meccanico come in ogni disciplina e se avessimo avuto il tempo di prepararci al meglio. Con più ritiri e investendo su noi stessi, avendo davanti la possibilità di andare a un’Olimpiade. Se fossi rientrato nel gruppo sportivo subito dopo i mondiali di Glasgow, forse in Brasile la medaglia sarebbe arrivata, dato che in qualifica eravamo a due decimi e mezzo dall’argento. Il tempo c’è, il valore è quello. Ci manca solo la rifinitura finale, considerando che ci sono grandissimi step e grandissimi margini di crescita dati da aspetti oggettivi, che possono essere modificati con un minimo di sforzo da parte di tutti.

Il cittì Perusini assieme a Clauda Cretti in un’immagine 2023: la bergamasca è a Parigi
Il cittì Perusini assieme a Clauda Cretti in un’immagine 2023: la bergamasca è a Parigi
Quindi cosa ti auguri quando le Paralimpiadi saranno concluse?

Che l’UCI vari subito i nuovi calendari e si possa riprendere a lavorare, avendo davanti un quadriennio per arrivare a Los Angeles nel modo migliore. Allenarsi nelle pause del lavoro non è facile, considerando che altri fanno solo gli atleti. Se la domenica gareggi e il giorno dopo vai in ufficio, non riesci a recuperare. E se ti alleni la sera dopo il lavoro, ci arrivi già stanco. Nonostante tutto, devo ringraziare il mio Istituto che mi permette di farlo. Lo fai quando sai che ne vale la pena, con la consapevolezza che significa togliere dalla propria vita ogni altra cosa. Per un’Olimpiade ha senso. Ma noi non siamo come gli altri atleti che se non corrono su pista hanno la strada. Noi abbiamo solo la pista. E in questo momento quello che fa paura è il vuoto che vediamo davanti.

Champoussin, quando i secondi posti hanno un valore particolare

30.08.2024
5 min
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Dopo un Tour de France nel complesso modesto, senza squilli, Clement Champoussin ha tirato fuori le unghie: protagonista assoluto all’Arctic Race of Norway dopo una rimonta furiosa nell’ultima tappa piegandosi solo al danese Magnus Cort e secondo anche al Circuito de Getxo dietro il basco Barrenetxea. Il francese dell’Arkea B&B Hotels ha confermato così quella vecchia equazione che vuole chi esce dalla Grande Boucle, anche se corsa in modo anonimo, con una condizione invidiabile, da sfruttare.

Lo sprint finale di Getxo, Champoussin prova a fare lo sgambetto al locale Barrenetxea
Lo sprint finale di Getxo, Champoussin prova a fare lo sgambetto al locale Barrenetxea

Il transalpino di Nizza non si è fermato, chiude un agosto in attivo e si prepara per un grande finale di stagione per rilanciare la sua sfida per il prossimo anno, per il quale ha già il contratto di riconferma con il team WT del suo Paese.

Come giudichi questa tua seconda stagione all’Arkea?

Il primo anno è stato una scoperta, mi sono orientato anche se qualche squillo è arrivato come la tappa nella corsa in Norvegia, nella quale mi trovo particolarmente bene. Ho trovato un team di famiglia con grande senso di ascolto, di condivisione. Quest’anno mi sento più regolare con un 11° posto alla Freccia Vallone, 2° all’Arctic Race, 2° a Gexto. Voglio continuare a migliorare le mie prestazioni nel tempo, ma anche vincere perché tutti corriamo per questo scopo.

Ottava frazione al Delfinato, Clement è già sofferente per il Covid e si ritirerà di lì a poco
Ottava frazione al Delfinato, Clement è già sofferente per il Covid e si ritirerà di lì a poco
Il tuo Tour de France non è stato come quello dello scorso anno, perché?

Sono stato male prima della partenza, ho avuto il Covid mentre correvo il Criterium du Dauphiné tanto che sono stato costretto al ritiro. E ci ho messo molto tempo a riprendermi con il passare dei giorni, pur continuando ad allenarmi e a correre. Mi è particolarmente spiaciuto perché al Delfinato avevo avuto ottime sensazioni, ma gli strascichi sono stati pesanti.

Tra l’inizio e la fine del Tour hai notato un cambiamento nella tua condizione di forma?

Sì. Le mie condizioni fisiche sono migliorate con il passare dei giorni, non solo perché man mano gli effetti del Covid svanivano, ma al contempo sentivo riemergere una grande condizione fisica, il lavoro precedente stava iniziando a dare i suoi frutti. Frutti che ho potuto raccogliere quando la grande corsa francese si era conclusa, per questo era giusto tirare avanti.

Cort guarda al suo fianco Champoussin, tenendolo dietro e vincendo anche l’ultima tappa in Norvegia
Cort guarda al suo fianco Champoussin, tenendolo dietro e vincendo anche l’ultima tappa in Norvegia
Sei andato molto bene all’Arctic Race chiuso al 2° posto, poi al Circuito de Getxo hai ottenuto un altro 2° posto: quale dei due ti ha lasciato un po’ deluso?

Volevo vincere entrambe le volte e mi sono scontrato con qualcuno che era più forte di me. Non fa mai piacere finire al secondo posto per un ciclista, anche se significa portare una bella dote di punti alla tua squadra e quindi onorare al meglio il tuo contratto, ma bisogna anche prendere atto di chi hai contro. Cort sta vivendo anche lui una fase davvero straordinaria, guardate quel che ha fatto dopo il Tour, non esce mai dalle posizioni alte delle classifiche. Lo spagnolo correva sulle sue strade. Io poi non sono abituato a lamentarmi, tanto meno di un secondo posto…

L’impressione è che sei sempre più orientato a essere un corridore in grado di ottenere risultati nelle classiche ma anche nelle brevi corse a tappe: quale delle due dimensioni pensi sia più adatta alle tue caratteristiche?

In realtà mi piacciono le gare di un giorno, come le gare a tappe di una settimana. Ma mi attirano anche i Grandi Giri, so cosa vuol dire vincere una tappa in un evento di questo tipo e una volta vissuto un momento del genere, tu inevitabilmente vuoi sperimentarlo di nuovo. Quel giorno alla Vuelta 2021, quella vittoria da godersi appieno con gli avversari lontani, incapaci di rispondere, pur essendo grandi campioni come Roglic, Yates, Mas è qualche cosa che resta stampato indelebilmente nella mia memoria.

Gli avversari sono staccati, da Roglic in poi: la vittoria alla Vuelta 2021, nella tappa di Castro de Herville è sua
Gli avversari sono staccati, da Roglic in poi: la vittoria alla Vuelta 2021, nella tappa di Castro de Herville è sua
Con questi risultati e questa forma pensi di poter ambire a un posto per i Mondiali e il percorso di Zurigo si adatta alle tue caratteristiche?

Questa è una bella domanda, ma credo che la risposta stia nella mente di Thomas Voeckler. Io possono solo continuare a fare il mio dovere e andare più forte che posso, se mi vuole sono qua…

Guardando le Olimpiadi, pensi che le due medaglie vinte dalla Francia possano dare ulteriore sviluppo al movimento ciclistico nazionale?

Io non faccio parte degli organismi che governano il ciclismo francese, da praticante posso solo sperare che ci sarà un’eredità olimpica. Il successo dei Giochi Olimpici in ogni caso è stato totale, abbiamo ottenuto una quantità straordinaria di medaglie e di titoli, la gente si è esaltata per oltre due settimane non parlando d’altro e il ciclismo su strada, con le medaglie di Valentin Madouas e Christophe Laporte, ha partecipato brillantemente.

Una stagione nel complesso positiva per il nizzardo con 8 Top 10, ma manca la vittoria
Una stagione nel complesso positiva per il nizzardo con 8 Top 10, ma manca la vittoria
Sei sempre in buona evidenza all’inizio come alla fine della stagione: soffri particolarmente il caldo?

Non particolarmente visto che le mie ultime due prestazioni sono state ottenute con il caldo dell’Arctic Race e della Gexto. Non influisce particolarmente la stagione o il clima nelle mie prestazioni, dipende tutto da quando la migliore condizione arriva e il nostro compito è farla arrivare il prima e il più a lungo possibile.

Da qui alla fine dell’anno quali sono i tuoi obiettivi?

Uno solo: vincere!

Preparazione estiva: cala (poco) il volume, ma l’intensità resta

30.08.2024
5 min
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Siamo verso la fine di agosto e in qualche modo il grande finale di stagione è già iniziato. A questo punto dell’anno viene da chiedersi come cambia la preparazione. I corridori si allenano ancora in un certo modo? E cosa guardano i preparatori? 

Un tempo neanche troppo lontano, basta andare indietro di 10 anni, forse meno, si diceva che ad un certo punto dell’anno era sufficiente fare del mantenimento, che tanto la condizione non sarebbe continuata a crescere. E che addirittura insistere sarebbe stato controproducente. Di tutto questo ne parliamo con Claudio Cucinotta, uno dei preparatori in forza all’Astana-Qazaqstan . 

Il coach Claudio Cucinotta (classe 1982) cura la preparazione degli atleti dell’Astana e anche di molti biker d’elite
Il coach Claudio Cucinotta (classe 1982) cura la preparazione degli atleti dell’Astana e anche di molti biker d’elite
Claudio, quindi cosa fa un corridore a fine agosto?

Dipende da tante cose. Dalla periodizzazione fatta durante l’anno, dagli appuntamenti in programma, dall’atleta in questione… C’è anche chi in questo momento è al top della forma perché rende bene con il caldo. Altri atleti con certe temperature non vanno altrettanto forte, rendono invece in primavera.

A questo punto dell’anno, mediamente, i valori sono gli stessi o calano un po’?

Rispetto ad inizio stagione quel che è un pelo più basso è il peso e quindi alcuni valori non sono proprio gli stessi. Magari a marzo si hanno più negli sforzi esplosivi, dei picchi assoluti che adesso non si fanno più. Mentre restano più o meno invariati in salita.

A te preparatore cosa interessa fargli fare in questo periodo?

Ancora una volta devo dire dipende. Magari è più difficile che lo scalatore puro faccia dei lavori massimali, mentre lo sprinter deve mantenere alti i livelli di forza sui 5”, sui 15”, sui 30” e quindi farà degli sforzi anaerobici e anaerobici lattacidi. Molto in questo caso è legato al calendario e alle caratteristiche degli atleti.

In questa fase dell’anno, per alcuni atleti non va tralasciato l’aspetto del caldo… che molti soffrono
In questa fase dell’anno, per alcuni atleti non va tralasciato l’aspetto del caldo… che molti soffrono
Okay, facciamo un esempio estremo: Pogacar e Van der Poel che puntano al mondiale. Stesso obiettivo, caratteristiche fisiche diverse. Cosa fanno?

Pogacar può vincere un grande Giro e le classiche, quindi è più forte dal punto di vista aerobico. Van der Poel è più forte nelle classiche, è più esplosivo. Più pronto alle volate e alle salite brevi. Immagino si prepareranno in modo diverso. Pogacar che per sua stessa ammissione ha lavorato molto sulle salite e la resistenza, laddove pagava qualcosa rispetto a Vingegaard, insisterà sugli sforzi brevi, le volate… proprio per rispondere agli attacchi di gente come VdP o Van Aert, che potrebbe anche ritrovarsi nella volata finale e non sono facili da battere.

Chiaro…

Al contrario Van der Poel che sullo sforzo anaerobico è già fortissimo di suo, vista la durezza del mondiale, che a mio avviso propende un filo a favore di Pogacar, lavorerà sulla resistenza. Immagino molta Z3-Z4, per riprodurre il modello prestativo richiesto dal mondiale.

Un tempo, come dicevamo all’inizio, da luglio in poi i volumi calavano parecchio…

I volumi più grandi restano quelli d’inizio stagione. In questa parte dell’anno un’atleta medio ha fatto almeno un grande Giro o è impegnato alla Vuelta e a livello di volume, tra gare fatte e il calendario fitto che si propone, non dovrebbe aver grossi problemi. Quindi si fa “meno volume”, ma l’intensità resta. E con un calendario tanto folto si possono sfruttare proprio le gare per fare intensità e fare meno a casa. E così facendo non gli mancherebbe neanche il volume. Pensiamoci: c’è la Vuelta, è da poco finito il Giro di Germania, c’è il Renewi Tour, poi Bemer Classic… anche chi non è alla Vuelta può mettere insieme 15-20 giorni di corsa gestendo bene i recuperi.

Meno ore, ma l’intensità resta secondo Cucinotta e anche secondo gli altri coach
Meno ore, ma l’intensità resta secondo Cucinotta e anche secondo gli altri coach
Insomma si lavora ancora forte…

Poi per scelta posso anche correre meno e lavorare a casa sull’intensità. Fermo restando che se l’atleta dovrà andare al mondiale non potrà trascurare la parte di volume: la corsa iridata sarà comunque di 6 ore, 6 ore e mezza. Chiaro però che non saranno più le triplette di 5-6 ore d’inizio stagione, ma qualche doppietta di 4 ore, tre ore e mezza. Magari una sola volta fa le 6 ore.

Claudio, invece tu da preparatore quali valori osservi?

Più o meno gli stessi che tengo sott’occhio tutto l’anno. I parametri sono quelli: la potenza media, la normalizzata in gara e in allenamento, forse si dà un pelo più di peso alla variabilità cardiaca che è un buon indice sullo stato di recupero e di freschezza dell’atleta, ma anche questa si valuta tutto l’anno. La vera differenza sapete qual ‘è?

Vai, spara…

E’ che oggi si tende a programmare e a periodizzare meglio. La fase intensa è intensa per davvero e quella di stacco è più netta. Una volta un corridore non staccava mai del tutto nel corso dell’anno. Era sempre abbastanza pronto, ma raramente era al 101 per cento. Oggi invece almeno una o due volte nel corso dell’anno, il corridore non tocca la bici 5-7 giorni. E questo fa sì che arrivi meglio ai periodi di picco, che di solito sono due l’anno, in qualche caso anche tre. Ma questo ti consente anche di poter lavorare sempre, quando ne hai bisogno. Che poi è il concetto che l’amatore medio fa fatica a comprendere. Fanno scarico a 32 di media, quando Pogacar forse fa 28.

Visma-Lease a Bike, obiettivo WorldTour 2026 per Belletta e Mattio

29.08.2024
4 min
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L’auspicio di Pietro Mattio di passare nella Visma-Lease a Bike WorldTour è lo stesso dello squadrone olandese. Lo stesso vale per Belletta. Per questo motivo ai due italiani del devo team è stato prolungato il contratto di un altro anno. In modo che nel 2025 proseguano nel cammino di crescita iniziato nella scorsa stagione e guadagnino la solidità che serve.

«Non tutti hanno lo stesso percorso – spiega Robbert De Groot, il responsabile tecnico della squadra – non tutti sono in grado di passare direttamente dagli juniores al WorldTour. E’ un fenomeno che abbiamo osservato anche noi, vedendo negli anni scorsi ragazzi del 2003 oppure 2004 fare direttamente il salto. Resta il dubbio di quanto fossero davvero pronti e l’incognita di quanto dureranno le loro carriere. Per cui oggi non è possibile fare previsioni. Si può ragionare invece su Pietro e Dario, crediamo di averli ben definiti».

Robbert De Groot è il responsabile tecnico del devo team olandese (foto Visma-Lease a Bike)
Robbert De Groot è il responsabile tecnico del devo team olandese (foto Visma-Lease a Bike)

Le differenze culturali

Mattio in fuga al Tour de l’Avenir negli stessi giorni in cui Belletta si è ritrovato al Lidl Deutschland Tour sono i due italiani della squadra. Oltre a loro, ma al piano superiore, c’è Edoardo Affini, che in questi giorni è alla Vuelta.

«In realtà – prosegue De Groot – i contatti fra loro sono esigui, perché non svolgono programmi compatibili. Potrebbero esserlo in futuro. Se c’è una cosa che posso dire sulla nostra squadra è che dopo un po’ che si lavora tutti allo stesso modo, con preparatori e nutrizionisti che propongono programmi coerenti, le differenze di nazionalità tendono a sparire. Restano come ricchezza culturale, ma l’obiettivo è fare di questi ragazzi dei corridori professionisti, a prescindere da quale sia la loro provenienza. Pietro ha avuto una partenza regolare di 2024, Dario un po’ meno e poi ha avuto l’incidente al Tour de Bretagne. E’ stato determinato a tornare e da quel momento la sua stagione ha avuto una svolta. Ha infilato una serie di piazzamenti molto interessanti, che ci hanno spinto a portarlo al Giro di Germania».

La Volta NXT Classic è stata la prima gara pro’ del 2024 per Mattio
La Volta NXT Classic è stata la prima gara pro’ del 2024 per Mattio

Non tutti possono vincere

La solidità di Mattio e la brillantezza di Belletta, gli facciamo notare, non hanno ancora portato a risultati personali di rilievo. Zero vittorie, avendo però lavorato tanto e spesso per far vincere i compagni.

«Non hanno ancora vinto – ammette De Groot – ma ci stanno provando e ci proveranno ancora e sempre di più. Non si può dire che Pietro al Tour de l’Avenir non sia andato in fuga. Ha fatto una corsa veramente solida. Stessa cosa per Dario in Germania (in apertura la fuga di 112 chilometri della seconda tappa, ndr). Ma non è detto che tutti debbano e possano vincere, ragioniamo su questo. Ci sono carriere che prevedono altro. Corridori molto rispettati anche se non vincono perché magari fanno vincere gli altri. Credo sia presto mettere etichette su ragazzi di vent’anni, anche perché sono in piena fase di sviluppo. Certamente, per il percorso che abbiamo individuato e che loro hanno condiviso, il 2025 sarà l’anno in cui avranno le potenzialità per emergere. Vincere non è mai facile, anche fra gli under 23».

Il devo team olandese è un crogiuolo di nazionalità amalgamate dallo stesso metodo di lavoro (foto Visma-Lease a Bike)
Il devo team olandese è un crogiuolo di nazionalità amalgamate dallo stesso metodo di lavoro (foto Visma-Lease a Bike)

La base negli juniores

Il tema iniziale interessa. I passaggi prematuri e le attenzioni su categorie giovanili che negli anni sono cambiate, se non nella quantità di certo nell’interpretazione. Quanto deve essere intensa l’attività negli juniores, come suggeriva la saggezza dei vecchi tecnici, se la categoria è ormai palesemente la porta di accesso al professionismo?

«E’ chiaro che già negli juniores – De Groot dice la sua – sia necessario saper lavorare seguendo un metodo che abbia seguito negli anni successivi. E’ chiaro che si debba saper mangiare nel modo giusto, sapendo anche che il vero… approfondimento si farà nei devo team. Quando ho cominciato 16 anni fa, sentivo dire spesso che in alcuni Paesi gli juniores venivano viziati con i migliori materiali, senza che però gli venissero insegnate le cose fondamentali dello stare in gruppo. Oggi mi pare che tutto questo non avvenga più. E’ chiaro che non tutti lavorino allo stesso modo. Per questo nella scelta dei ragazzi da inserire nel devo team, guardiamo anche alla loro storia. Da qui a dire che avranno carriere lunghissime oppure no, il passo è lungo. Siamo tutti nella stessa fase storica, capiremo insieme se il metodo attuale paga oppure no. Intanto però restiamo su Pietro e Dario. L’obiettivo condiviso è arrivare nel WorldTour nel 2026 quando avranno 22 anni. E per questo stiamo lavorando. Detto questo, non vengo per il Giro del Friuli, ma sarò in Italia per la Coppa San Daniele e per il Piccolo Lombardia, ci vediamo lì?».

SC Padovani: 40 anni dopo, un ritorno in grande stile

29.08.2024
5 min
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Il panorama delle squadre under 23 ed elite italiano si allarga, è notizia di questi giorni che la SC Padovani tornerà a formare una squadra nella categoria che tanti successi ha regalato in passato. Dopo 40 anni il team riprende il filo con l’ultima categoria del ciclismo dilettantistico e lo fa con un progetto giovane ma che ha al suo interno dei mix diversi di esperienza e conoscenze tecniche. Si legge, infatti, sul comunicato divulgato, che il team manager sarà Alessandro Petacchi (in apertura con Ongarato e il presidente Peruzzo, photors.it) mentre nello staff tecnico entrano figure come Paolo Slongo e Carlo Guardascione

Ritorno alle origini

Alberto Ongarato, ex corridore professionista e ora figura di riferimento per la SC Padovani, tanto da ricoprire il ruolo di vice presidente, racconta di un progetto nato anni fa ma con un obiettivo unico, concretizzato proprio in questi giorni. 

«Era da quando sono entrato a far parte del team – racconta Ongarato – nel 2012 che ragioniamo insieme a Martino Scarso (anche lui ricopre il ruolo di vice presidente, ndr) su come rendere concreta l’idea di formare una formazione under 23 ed elite. Abbiamo sempre svolto attività nel miglior modo, dapprima organizzando la Gran Fondo di Padova e poi lavorando con i più giovani. Fino a quest’anno abbiamo avuto una formazione juniores, che cesserà di esistere. L’idea è stata, fin dai primi giorni del 2012, di ambire a creare un team per la categoria massima del ciclismo italiano, chiederemo infatti l’affiliazione come continental. Il ciclismo è cambiato e si è evoluto e avere un team continental è il massimo a cui si riesce ad ambire ora. In Italia abbiamo delle formazioni professional ma sono poche, quindi le continental acquistano sempre più spazio».

La SC Padovani è la società più longeva nel mondo del ciclismo (foto Facebook)
La SC Padovani è la società più longeva nel mondo del ciclismo (foto Facebook)
Le figure coinvolte fanno capire l’importanza che si vuole dare al progetto, come saranno coinvolte?

Alessandro Petacchi sarà il nostro team manager e curerà i rapporti tra i vari componenti del team: ragazzi, staff, presidente, ecc. Sarà anche l’uomo immagine e seguirà gli atleti in qualche trasferta, compatibilmente ai suoi impegni in RAI. Posso dire di averlo visto molto motivato. Credo che per un ex corridore come lui sia stimolante entrare in un team come il nostro. 

Poi ci sono i membri dello staff tecnico come Slongo e Guardascione.

La loro presenza è arrivata grazie a diverse conoscenze. Il nostro sponsor principale in questa avventura con la Padovani: Polo Ristorazione Spa, è stata accanto al team Bahrain anni fa. Una serie di conoscenze che ci hanno permesso di entrare in contatto, senza considerare il fatto che anche io sono stato professionista dal 1998 al 2011. Guardascione uguale, lo conosciamo da anni e quando gli abbiamo parlato si è dimostrato subito interessato

Tra le sue fila sono nati tanti campioni, qui Alberto Dainese in forza alla Padovani nel 2016 (photors.it)
Tra le sue fila sono nati tanti campioni, qui Alberto Dainese in forza alla Padovani nel 2016 (photors.it)
Due figure importanti da inserire in un team under 23 ed elite. 

Vero, ma dobbiamo considerare che se vogliamo fare una formazione continental l’idea è di confrontarsi con l’estero. E al di fuori dell’Italia ci sono le squadre di sviluppo delle formazioni WorldTour che lavorano con lo stesso staff dei grandi. Avere delle figure di grande conoscenza è fondamentale per crescere.

Lo staff come sarà formato?

Avremo tre diesse e uno di questi è una figura importante nel mondo dilettantistico come Lampugnani. Ci saranno anche cinque accompagnatori e dei meccanici. Alcuni membri del personale mancano ancora ma stiamo valutando tanti profili, per scegliere al meglio. La Padovani comunque parte da una base solida, in questi anni ha avuto una formazione juniores. 

I primi contatti con Petacchi sono arrivati al Giro d’Italia nella tappa di Padova
I primi contatti con Petacchi sono arrivati al Giro d’Italia nella tappa di Padova
A proposito, il team juniores non rimarrà, perché?

No. Abbiamo deciso di toglierlo. La scelta è legata anche a diverse problematiche nate con i genitori dei ragazzi. A 17 e 18 anni i genitori sono coinvolti, ma quando sono eccessivamente presenti non è facile. Ci siamo anche resi conto che un lavoro come il nostro fosse bello a livello di formazione dei ragazzi che però poi venivano attratti anche da altri team juniores e perdevamo il lavoro fatto. 

Però in Italia ci sono 13 formazioni continental, non si rischia di entrare in un mercato già saturo?

Le voci dicono che qualche squadra si sta ridimensionando. Il rischio di non correre certe gare o di non ricevere gli inviti c’è, ma dobbiamo lavorare bene e meritarceli. All’estero ci sono tante occasioni, chiaro che vanno meritate anche quelle. Per il numero di squadre penso che sia meglio avere abbondanza, i ragazzi che vogliono correre in bici ci sono. 

Polo Ristorazione Spa sarà lo sponsor principale per la stagione 2025 (foto Facebook)
Polo Ristorazione Spa sarà lo sponsor principale per la stagione 2025 (foto Facebook)
Quanti atleti avrete?

12 o 13 in tutto. Siamo già a un buon 70 per cento di posti presi, ne avanzano cinque. Da quando è uscita la notizia siamo stati bombardati di telefonate e richieste da procuratori e atleti. Anche il fatto di avere gli elite è in funzione del ciclismo italiano. A 21 o 22 anni i ragazzi vengono considerati maturi, ma non è detto. Serve equilibrio. La nostra idea è di fare attività doppia concedendo a tutti le giuste occasioni in base alle qualità e agli impegni. 

Non resta che augurarvi buona fortuna e aspettare i primi riscontri.

Grazie! A presto.

Pablo Torres, il racconto di un’impresa (quasi) totale

29.08.2024
5 min
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Non ce ne voglia l’inglese Joseph Blackmore, ma in qualche modo Pablo Torres esce come vincitore morale del Tour de l’Avenir. Lo spagnolo ha infiammato la corsa francese: ha vinto due tappe, la maglia bianca e soprattutto è stato autore di un epilogo al cardiopalma sul Colle delle Finestre.

Anche il suo coach, Giacomo Notari, lo seguiva con apprensione da casa. Sapeva ciò che poteva fare e quanto avevano lavorato sodo. Vedersi sfumare il grande obiettivo per dodici miseri secondi non deve essere stato facile, neanche per chi era da casa appunto. Soprattutto perché Torres era stato secondo già al Giro Next Gen e aveva ben figurato al Giro della Valle d’Aosta.

«Però – ci racconta Torres – io alla fine sono stato contento. Ho vinto due tappe, la maglia di miglior giovane ed è stata una grandissima esperienza che mi servirà moltissimo per il futuro». Una risposta simile dice già molto sulla mentalità innata da campione che può avere un ragazzo. Non pensa a quello che non è stato, su cui non può fare nulla, ma a quello che potrà essere.

Disastro a Condove

Il Tour de l’Avenir Pablo Torres non lo ha perso sul Finestre, ma il giorno prima. Nella tappa che arrivava in Italia, a Condove, lo spagnolo era rimasto sorpreso dall’attacco in testa al gruppo ad inizio frazione. Un attacco propiziato tra l’altro dagli azzurri.

«C’era una discesa molto veloce – riprende Torres – e c’erano molti attacchi. Ho pensato di stare coperto. Non ho risposto subito io ma ho pensato di stare con la squadra. Poi però sono rimasto con un solo compagno. Sulla seconda salita, un Gpm di seconda categoria, eravamo arrivati a 30”. La fuga dopo la discesa ha continuato a prendere spazio. Io ci ho provato anche da solo ma non sono riuscito a rientrare».

E infatti, all’imbocco del lunghissimo Moncenisio, il ritardo di Torres dalla fuga, dove dentro c’era anche Blackmore, era quasi di 3′. Lui, tutto e completamente da solo (e con due borracce, senza ammiraglia dietro almeno nella prima parte) è riuscito ad arrivare fino ad un minuto dalla testa. Ma una volta in cima iniziava la lunga discesa e il fondovalle: si capisce bene che uno scalatore da solo non può fare molto. A Condove l’orologio segnava 4’58” di ritardo.

«Quella sera, quando ho perso la maglia gialla ero un po’ deluso in effetti. Durante la corsa sapevo che la situazione era complicata. Ma era difficile fare di più. A quel punto abbiamo parlato con la squadra e speravamo almeno di riprendere il podio il giorno dopo, di fare il massimo possibile».

Finestre da record

E da qui nasce l’impresa del Colle delle Finestre. Pablo dà fondo a tutto quello che ha e sigla un tempo che lo vede fare il record assoluto della scalata: quasi 2′ meglio di Rujano, che deteneva il primato siglato nel 2011, e oltre 4′ meglio di Froome nel 2018. Si stima abbia sviluppato 6,3 watt/chilo per 60′. Roba da elitaria da Giro e Tour.

«Se quel giorno pensavo alla maglia gialla? Quello che sapevo è che stavo bene, mi ero preparato in altura (Sierra Nevada, ndr) e che il Colle delle Finestre era una salita dura e lunga. Una salita che sarebbe durata almeno un’ora, quindi ci sarebbe stato dello spazio per recuperare, almeno per il podio. I miei compagni hanno tirato molto prima della salita e io ho cercato di fare il possibile. Ma per recuperare tanto terreno bisognava scattare presto e con un ritmo molto alto sin da subito. Quando sono partito mi facevano male le gambe. Ho pensato che avrei dovuto superare quel momento. Così ho rallentato e ho cercato un ritmo con cui sapevo che sarei potuto arrivare sino in cima».

Il podio finale dell’Avenir: 1° Jospeh Blackmore (Gran Bretagna), 2° Pablo Torres (Spagna) a 12″, 3° Tijmen Graat (Olanda) a 50″ (foto Tour de l’Avenir)
Il podio finale dell’Avenir: 1° Jospeh Blackmore, 2° Pablo Torres a 12″, 3° Tijmen Graat a 50″ (foto Tour de l’Avenir)

Tra presente e futuro

Ma chi è Pablo Torres? Madrileno, è un classe 2005 (di novembre). Fino allo scorso anno correva nell’US Ciclista San Sebastian de los Reyes. Da piccolo si barcamenava tra calcio e ciclismo, ma poi a forza di guardare le gare in tv con il nonno e stando in una famiglia in cui la bici era già presente, il ciclismo ha preso il sopravvento.

E’ curioso notare come Pablo abbia qualcosa in comune sia con Remco Evenepoel, il calcio, che con Tadej Pogacar, la squadra. Torres corre infatti per il UAE Emirates Gen Z. «Ma Tadej è il mio idolo. Ancora non ci sono stato, ma spero di arrivare presto nella prima squadra».

Come accennavamo e come si confà ai campioni, Pablo Torres già guarda avanti e di questa sfida mette in tasca il meglio. «E’ stata un’esperienza molto bella e in cui ho imparato tanto. Mi servirà certamente per il futuro». Tra l’altro, proprio ieri uno dei tecnici e talent scout della UAE Emirates, il noto Matxin, ha detto che a fine Vuelta valuteranno se far passare subito in prima Torres, o lasciarlo alla Gen Z ancora una stagione come previsto. Due podi nei “grandi Giri under 23” cambiano le carte in tavola. Come fu l’anno scorso con Del Toro del resto…

Adesso per Torres si profilano le altre gare.

«Sarò in Italia: prima al Giro del Friuli e poi, più in là, farò anche il Piccolo Giro di Lombardia. Il mondiale? Spero di essere selezionato. In quel caso lo preparerò al massimo».