Bisacce piene, morale alto: Volpi rilancia la corsa all’oro

03.12.2024
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Con Carboni, Malucelli e Pesenti che hanno cambiato squadra, il JCL Team Ukyo riparte per la nuova stagione forte dei risultati del 2024 e la sensazione di aver trovato la chiave per farlo ancora. Alberto Volpi racconta e attraverso le sue parole la nuova squadra prende forma. Il comunicato diffuso ieri ha reso noti i nomi dei quattro italiani selezionati per la prossima stagione. D’Amato, Fancellu, Garibbo e Raccani saranno la spina dorsale italiana della continental giapponese, che nel 2024 ha conquistato 16 corse.

Alberto Volpi, classe 1962, all’inizio del secondo anno da team manager del JCL Ukyo
Alberto Volpi, classe 1962, all’inizio del secondo anno da team manager del JCL Ukyo
La squadra ha fatto la sua parte, anche abbondantemente…

Sì, anche io sono contento, con tutta onestà. Quando ti aspetti delle cose belle che poi non arrivano, dici di essere moderatamente insoddisfatto. Mentre io devo dire il contrario. Avevo previsto di fare bene, ma siamo andati meglio delle previsioni. E’ la legge della compensazione, a volte i corridori ti stupiscono. Però quello che è stato è stato, adesso dobbiamo guardare avanti e cercare di fare ancora bene. E’ la nostra condanna (sorride, ndr).

Ti aspettavi che l’anima europea e quella giapponese si integrassero così bene?

Lo staff e i corridori sono veramente di buona qualità umana. Quando hai questo ingrediente, è solo questione di tempo, aspettare che si conoscano e si mettano insieme. Poi è chiaro che avevo anche tre italiani – due su tre molto esperti – che ci hanno messo del loro. Hanno trovato terreno molto fertile nei ragazzi giapponesi, quindi non è stato difficile che si integrassero. In realtà non mi ero neanche posto il problema dell’integrazione, è venuto tutto naturale.

Volpi aveva visto giusto: Carboni aveva solo bisogno di pazienza e di rispolverare le sue doti (foto JCL Team Ukyo)
Volpi aveva visto giusto: Carboni aveva solo bisogno di pazienza e di rispolverare le sue doti (foto JCL Team Ukyo)
Avevi tre italiani, hanno ottenuto i migliori risultati, ma sono andati via…

Abbiamo cominciato una trattativa dall’inizio di luglio. Avevano delle richieste importanti da altre squadre che io non potevo soddisfare in termini economici. Come in tutte le aziende, ho dovuto fare i conti con il budget e mi è molto dispiaciuto non poterli riconfermare. Credo sia stato giusto che abbiano colto le occasioni. Sono venuti da noi con la voglia di rivalutarsi e rilanciarsi e ci sono riusciti in pieno. Hanno dato tanto, noi gli siamo stati vicini ed era giusto che proseguissero la loro strada. Quando inizialmente in Giappone ho detto che sarebbero andati via, anche Malucelli che aveva vinto tanto, è certamente dispiaciuto, ma hanno riconosciuto che avessimo fatto delle scelte giuste. Anche questo è un motivo di orgoglio. Perdere delle persone di valore non è così sempre negativo, vuol dire che hai dato loro qualcosa di importante.

Che cosa ha rappresentato per la squadra giapponese aver vinto il Giro del Giappone con Carboni?

E’ stato un ottimo risultato. Subito prima, abbiamo vinto con Atsushi il Tour de Kumanu, la gara di preparazione. Vincere con un ragazzo giapponese a me fa super piacere, perché la matrice della squadra è chiara. Per cui i ragazzi europei servono per dare più qualità e questo l’hanno fatto. La mission sarebbe quella di portare fuori l’Arashiro del futuro. C’è da lavorare, però quando vince un corridore giapponese puoi essere davvero soddisfatto.

Malucelli ha vinto dieci corse: il miglior biglietto da visita per approdare all’Astana. Per Volpi impossibile trattenerlo
Malucelli ha vinto dieci corse: il miglior biglietto da visita per approdare all’Astana. Per Volpi impossibile trattenerlo
Come si rimpiazzano gli europei che sono partiti?

Adesso è complicato. Vivo in questo ambiente da tantissimi anni. Le cose sono cambiate per via delle varie categorie e degli sviluppi che ci sono stati nelle squadre WorldTour, che hanno integrato nella loro galassia anche i team di sviluppo. Noi siamo una continental un po’ anomala, ci vedono quasi come una professional perché riusciamo a partecipare a gare di livello. Per questo ci dicono che abbiamo un buon appeal, ma nonostante ciò è sempre più difficile trovare corridori giovani di un certo livello, perché se li accaparrano tutti i devo team, a partire da Redbull e Visma.

Quindi come si fa?

E’ un lavoro lungo, hai le amicizie, qualche valutazione fatta con dei test che permettono di individuare se il motore ha una certa portata, ma non sono tutto. Basarsi solo sui numeri non è la ricetta gusta. Possono pure avere un buon motore, ma se li porti su strada e non sanno stare in gruppo e far fruttare le loro doti oppure usare la testa, non vanno lontano. I numeri devono coincidere con la vera identità del corridore, altrimenti rischi che ti aspetti tanto e non ti danno niente.

Volpi soddisfatto: Pesenti si è messo in luce in gare dure come l’Abruzzo e il Romagna
Volpi soddisfatto: Pesenti si è messo in luce in gare dure come l’Abruzzo e il Romagna
Su cosa avete puntato per fare le vostre scelte?

Abbiamo deciso di avere fiducia nei giovani, sapendo che hanno bisogno del loro tempo. Aleotti, per fare l’esempio di un corridore che cresce in uno squadrone, sta venendo fuori gradualmente e con sostanza: non sono tutti come Evenepoel. Ne abbiamo cercati alcuni che per caratteristiche e voglia di dimostrare, possono fare il salto di qualità. Devi lavorare solo su quello, perché il giovane fenomeno ha addosso gli occhi dei procuratori. I ragazzi che sono andati via avevano le loro motivazioni forti e quelle fanno la differenza. Pesenti ad esempio…

Cosa avete visto in lui?

Thomas veniva dalla Beltrami, me ne avevano parlato bene, però non aveva ancora fatto corse di alto livello tecnico. Qui si è integrato bene anche nelle gare più toste e si è guadagnato un posto nel devo team della Soudal. Malucelli ha sempre vinto, era il più affidabile sotto il profilo del rendimento e sapevamo che in certi contesti poteva fare egregiamente la sua parte. Carboni veniva da un periodo difficile, ma si vedeva che avesse dentro qualcosa. Bisognava avere un po’ più di pazienza e fortuna e sperare che tirasse nuovamente fuori le sue qualità, cosa che ha puntualmente fatto. Si è sempre fatto trovare pronto nelle gare in cui era leader e ha lavorato molto bene con il gruppo giapponese.

La carriera di Fancellu non è stata lineare: il team giapponese è una sorta di ultima chance? Volpi ci crede
La carriera di Fancellu non è stata lineare: il team giapponese è una sorta di ultima chance? Volpi ci crede
Ci sono quattro nuovi italiani. 

Simone Raccani viene dalla Zalf. Due anni fa era stato preso dalla Quick Step come stagista a Burgos, ma è caduto e si è rotto un gomito. E’ andato alla Eolo-Kometa, invece l’anno scorso è tornato dilettante. Non tutti sono pronti per il salto a vent’anni, ma resta che ha fatto dei buoni risultati in salita. D’Amato viene dalla Biesse-Carrera, è un buon corridore, anche molto veloce. Non quanto Malucelli: si avvicina di più alle qualità di un Colbrelli, fatte tutte le distinzioni possibili. Poi abbiamo Garibbo, che arriva dalla Technipes, la squadra di Cassani, e quanto ai punteggi è stato uno dei più bravi dilettanti del 2024. Infine Fancellu, che arriva dalla Q36.5.

Una scommessa come quella su Carboni?

La squadra non lo ha confermato, ma resta un ragazzo che da junior si piazzò terzo al mondiale vinto da Evenepoel, è stato quinto a un Tour de l’Avenir, per cui un po’ di qualità le ha, vediamo se riusciamo noi a regolare la centralina. Ne ho parlato con Zanatta per un mese e mezzo, dato che ho cominciato a pensare a lui ad agosto. Ci sentiamo spesso e Stefano ci ha lavorato tanto. Mi ha detto che gli darebbe ancora una chance, per cui alla fine abbiamo deciso di crederci.

Al JCL Team Ukyo di Alberto Volpi arriva anche Garibbo, qui primo al Matteotti di Marcialla (foto Fruzzetti)
Al JCL Team Ukyo di Alberto Volpi arriva anche Garibbo, qui primo al Matteotti di Marcialla (foto Fruzzetti)
Questo è il quadro?

Ci sono altri nomi in arrivo, ma li sveleremo nei prossimi giorni. Il ciclismo è cambiato anche in questo, non è come prima che si diceva tutto subito, anche la comunicazione ha i suoi tempi. Per il resto i materiali restano gli stessi, le bici Factor, le ruote Shimano e le gomme Vittoria. Iniziamo fiduciosi, perché abbiamo visto che il nostro metodo di lavoro funziona. Gli anni non sono mai tutti uguali, lavoreremo perché anche questa sia un’ottima stagione.

L’occasione mancata: Donati e quel pasticcio in Slovenia

02.12.2024
5 min
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Ripercorrendo le corse della stagione 2024 che non sono andate come sperato, oggi ci concentriamo sul Giro di Slovenia, dove la VF Group-Bardiani ha vissuto una giornata cruciale. Alessandro Donati, direttore sportivo della squadra emiliana, ci racconta il dietro le quinte di quella terza tappa che avrebbe potuto cambiare l’esito dell’intero giro.

Domenico Pozzovivo, Giulio Pellizzari e Luca Covili, forti di una situazione di superiorità numerica, si sono visti sfuggire Giovanni Aleotti in discesa, complice una serie di errori tattici. E’ questo il momento “X” di cui ci parla Donati, che riavvolge il nastro e ci porta in ammiraglia con lui in quel 14 giugno.

Alessandro Donati (classe 1979) è uno dei diesse della VF Group-Bardiani (immagine Instagram)
Donati (classe 1979) è uno dei diesse della VF Group-Bardiani (immagine Instagram)
Alessandro, qual è stata la tua occasione persa di questo 2024?

Il Giro di Slovenia e in particolare quel che è successo durante la terza tappa, quella di Nova Gorica. Era una giornata in cui avevamo tutto per fare bene: Martin Marcellusi aveva lavorato molto bene nel circuito iniziale. Nelle due salite finali eravamo rimasti in 12 con Pellizzari, Pozzovivo e Covili dentro. Eravamo dunque in superiorità numerica.

E cosa è successo?

Abbiamo commesso un errore: ci siamo fatti scappare Aleotti in discesa. Ed è stato un errore soprattutto perché era una discesa pedalabile e non tecnica. Eravamo i più forti in salita, ma non abbiamo saputo gestire il momento. Non siamo riusciti a sfruttarlo. Aleotti non ha fatto neanche un vero e proprio scatto, la sua è stata quasi una “fagianata”.

Ti sei accorto subito dell’errore?

Sì, immediatamente. Non si può lasciare andare un corridore in discesa, soprattutto quando sei in superiorità numerica. Devi chiudere i buchi e giocartela, anche se poi arrivi in volata, almeno la classifica resta aperta. Questo errore ci ha penalizzato anche nella tappa successiva con arrivo in salita, dove un’incomprensione tra Pozzovivo e Pellizzari ci ha messo ulteriormente in difficoltà.

Cosa è successo il giorno successivo?

Il problema è stato figlio del giorno prima. Se Pellizzari o Pozzovivo fossero rimasti con Aleotti, il finale sarebbe cambiato anche quel giorno. Nella salita finale verso Krvavec Aleotti ha stretto i denti e ha difeso la maglia di leader. Era lì, lì… per staccarsi. Pozzo non ha visto che Pellizzari era anche un po’ al gancio e ha tirato forte per seguire Pello Bilbao.

Nova Gorica, Aleotti dopo aver guadagnato spazio in discesa si prende tappa e maglia. Dietro il drappello con i tre atleti della VF Group-Bardiani
Nova Gorica, Aleotti dopo aver guadagnato spazio in discesa si prende tappa e maglia. Dietro il drappello con i tre atleti della VF Group-Bardiani
Insomma non hanno gestito bene quella fase concitata. E addio Slovenia…

Esatto, noi avevamo tre corridori in classifica, ma una situazione diversa avrebbe potuto darci la vittoria generale. Anche psicologicamente, avere la maglia addosso cambia tutto: Aleotti, senza maglia, forse avrebbe sofferto di più. E noi avremmo corso in altro modo con gerarchie più definite sin dal giorno prima.

Come avete gestito la squadra dopo la terza tappa? Avete parlato subito?

Di solito aspettiamo prima di parlare con i ragazzi, non lo facciamo a caldo. Il giorno successivo, nella riunione pre-gara, abbiamo analizzato la situazione ed è stato chiarito come l’errore principale fosse stato lasciare andare Aleotti in discesa. Quel giorno abbiamo provato a recuperare con Covili, mandandolo in fuga, ma ormai il danno era fatto. Quei 18 secondi che abbiamo concesso ad Aleotti gli hanno permesso di vincere lo Slovenia, con Bilbao secondo e Pellizzari terzo.

Come ti sei sentito in ammiraglia quando hai capito la situazione?

È stato frustrante. Dalla macchina vediamo tutto con qualche secondo di ritardo, ma abbiamo capito subito che Aleotti stava guadagnando. Abbiamo cercato di chiudere, ma la discesa era pedalabile e Aleotti è un corridore molto forte sul passo. I nostri ragazzi si guardavano per cercare cambi, ma gli altri non collaboravano e lui si è allontanato.

Anche il giorno successivo non una tattica perfetta: prima Povvovivo va avanti, poi nonostante la fatica Pellizzari e Aleotti sopraggiungono da dietro
Anche il giorno successivo non una tattica perfetta: prima Povvovivo va avanti, poi nonostante la fatica Pellizzari e Aleotti sopraggiungono da dietro
E i ragazzi, come hanno reagito?

Si sono resi conto dell’errore. Per Pellizzari, che ha solo 20 anni, ci sta sbagliare: serve per crescere. Gli altri due erano più esperti e sapevano cosa fare, ma anche loro hanno ammesso l’errore. La cosa più assurda è che Giulio aveva attaccato poco prima che partisse Aleotti…

Beh, in effetti dovevano stare più attenti. Anche se poi è facile giudicare a posteriori e “dal divano” come si suol dire

Sono cose che succedono e, come ho detto prima, noi direttori quando vediamo le cose dalla tv in ammiraglia, sentiamo radio corsa o addirittura scorgiamo parte del percorso è sempre tardi quando poi diamo le indicazioni. Quel giorno poi la salita era stretta e non è che fossimo proprio subito dietro alla testa del gruppo. In gara ci sono i corridori e una situazione tattica come quella che avevamo era piuttosto chiara.

Nonostante tutto, siete soddisfatti della prestazione?

Sì, alla fine Pellizzari ha chiuso terzo in classifica generale e ha vinto la maglia dei giovani. È una soddisfazione vedere un ragazzo così giovane emergere, ma resta il rammarico per una corsa che potevamo vincere. Eravamo al Giro di Slovenia per questo, lo possiamo dire apertamente.

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La Coppa in Sardegna, per Pontoni è un ritorno al passato

02.12.2024
5 min
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Non è stata certo foriera di grandi soddisfazioni, la tappa di Dublino della Coppa del Mondo di ciclocross. Partita con una formazione ridotta a soli 3 elementi (quelli che avevano conquistato la medaglia agli europei), la nazionale italiana ha colto buoni piazzamenti ma nulla più con il cittì Pontoni che ha onestamente definito la prestazione generale «un po’ zoppicante, ma ne eravamo consapevoli. Filippo Agostinacchio era alla sua prima gara dopo la prova continentale, suo fratello Mattia aveva subìto uno stop nelle ultime due settimane ed era un po’ arrugginito, mentre mi è piaciuta la Pellizotti che era poco a suo agio sul percorso ma ha chiuso in crescendo».

Per il campione europeo Mattia Agostinacchio una trasferta complicata in Irlanda
Per il campione europeo Mattia Agostinacchio una trasferta complicata in Irlanda

Agostinacchio, mal di schiena e niente Sardegna

C’erano grandi aspettative sul campione europeo Mattia Agostinacchio, ma lo junior subito dopo la gara ammetteva le difficoltà: «Sono partito bene, affacciandomi anche in prima posizione ma poi ho sentito le gambe vuote ed è tornato il mal di schiena che mi aveva afflitto in settimana. Comincia a essere un problema, infatti domenica in Sardegna non ci sarò perché voglio affrontarlo e risolverlo prima possibile. Gli avversari non mi preoccupano più di tanto, lo stesso francese che ha vinto (Soren Bruyere Joumard, nella foto di apertura, ndr) , all’europeo aveva chiuso 17° e anche i belgi dietro di lui sono corridori con i quali posso giocarmela alla pari».

Nella sua disamina, Agostinacchio ha anche sottolineato le difficoltà della trasferta, logisticamente molto onerosa e lo stesso Pontoni aveva sottolineato questo aspetto alla vigilia, ma a parti invertite sarà lo stesso per chi ora dovrà spostarsi verso la Sardegna: «Sono trasferte onerose per i team che hanno un budget definito. Ho parlato con un po’ di responsabili in Irlanda e molti mi hanno detto che sono stati costretti a fare delle scelte: o lì o qui, d’altronde ci sono 2.500 chilometri di distanza, spostare il materiale sarebbe un costo esorbitante. Infatti in Irlanda non c’erano la Casasola, la Alvarado tanto per dire due nomi e so che anche in Sardegna soprattutto al femminile ci sarà qualche defezione».

Un percorso veloce e ordinario

Considerando la località di gara, c’era da aspettarsi un percorso molto vicino ai canoni del nord Europa, vicino alla spiaggia e quindi con molti passaggi su sabbia, ma dalle informazioni che il cittì ha non sarà così: «Non ho ancora visto il percorso di persona, mi baso sui link inviatimi dagli organizzatori. Presumo che sarà un percorso veloce, con ostacoli artificiali. So che hanno impedito il passaggio sulla sabbia di Sa Ruda, quindi ci sarà un breve passaggio su spiaggia e un paio di gobbe di terra e sabbia riportata che metteranno alla prova la guida dei corridori».

E’ una tipologia che si adatta ai corridori nostrani? «Diciamo che è nell’ordinario del nostro calendario, dove l’unica vera eccezione quest’anno è stata il weekend di Brugherio e Salvirola. Ormai la tipologia del nostro ciclocrossista medio è portata più verso i tracciati veloci piuttosto che fangosi. Poi molto influirà chi sarà della partita».

Vermiglio ha ospitato la Coppa fino al 2023. La rinuncia alla neve non aiuta la candidatura olimpica
Vermiglio ha ospitato la Coppa fino al 2023. La rinuncia alla neve non aiuta la candidatura olimpica

La mancanza di gare sulla neve

Fino allo scorso anno la tappa italiana era però quella di Vermiglio, si gareggiava sulla neve, ora c’è stato un ritorno al passato che sotto alcuni aspetti rappresenta anche un passo indietro che stride con le voci sempre più insistenti di un ingresso del ciclocross nel programma olimpico invernale a partire dal 2030: «Qui ci addentriamo in un discorso complesso, del quale non abbiamo neanche tutti gli elementi per giudicare. Alla base ci sono le scelte dell’Uci che redige il calendario in base principalmente alle richieste, tra l’altro c’è stato un cambio di società, le prove italiane hanno una genesi completamente diversa. Le gare sulla neve non sono semplici da allestire e anche in quel caso ci sono da preventivare forti spese, considerando anche le differenze tecniche con il resto del calendario. Almeno da questo punto di vista in Sardegna si rimane su canoni abbastanza comuni».

A Dublino eravamo completamente assenti nelle prove Elite, ma era una scelta da parte dei team abbastanza condivisibile: «Nel weekend c’era il GP Guerciotti che era di classe C1, quindi garantiva tanti punti, non avrebbe avuto senso investire ingenti cifre per spostarsi con un ritorno tecnico di gran lunga inferiore. A maggior ragione per la Fas Airport Services Guerciotti Premac che affrontava la sua gara di casa. Non c’è alcun casus belli».

Daniele Pontoni sempre molto acuto nel giudizio sulla gestione internazionale del ciclocross (foto Luca Giulietti)
Daniele Pontoni, cittì azzurro, sempre molto acuto nel giudizio sulla gestione internazionale del ciclocross

Un movimento depauperato

Parlando di elite però spicca il fatto che, a differenza delle categorie giovanili dove Pontoni spinge fortemente e in questo quadriennio ha comunque raccolto molti risultati, l’Italia (Casasola a parte) è ai margini del movimento, anche prescindendo dalle due nazioni guida Belgio e Olanda: «Parliamoci chiaro, come facciamo ad avere corridori di riferimento nella massima categoria se quando i nostri talenti ci arrivano, vengono tolti dal giro per dedicarli solo alla strada? Toneatti non c’è più, lo stesso dicasi per la Realini, la Persico, vedremo se si riuscirà a recuperare almeno parzialmente Corvi e Venturelli, come anche Masciarelli che ho visto riaffacciarsi. Questa è la realtà, c’è poco da fare. Io spero che le scelte di Casasola e Viezzi, in team che fanno doppia attività, possano portare altri a fare lo stesso. Ma senza un vero cambio di cultura non potremo fare molto».

EDITORIALE / Ciclismo e media, sono sempre rose e fiori?

02.12.2024
4 min
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Un corridore che dal devo team è stato promosso alla WorldTour, ma non si può dire. Un altro che da una continental è approdato al devo team di uno squadrone, ma non si può dire. Un team manager che vorrebbe raccontare i suoi nuovi corridori e lo fa anche, ma prega di non scrivere, perché non si può dire. Volete sapere che cosa succede in qualche angolo del ciclismo professionistico? Le cose accadono, quelli più informati ne sono al corrente, ma non possono scriverlo finché non esce il comunicato della squadra. E i corridori, fra l’incudine e il martello, sono lancinati dalla voglia di dirlo e il divieto che ricevono dal team. I media da parte loro si chiedono se sia opportuno andare dritti sulla strada del mestiere e dare la notizia oppure fermarsi davanti al divieto per non compromettere i rapporti futuri.

Attenzione, non parliamo di corridori in vista che cambiano squadra. Sapevamo da un pezzo che Elisa Longo Borghini sarebbe passata alla UAE e che la Consonni dalla UAE sarebba andata invece alla Canyon. Sapevamo che Marta Cavalli fosse in viaggio verso il Team DSM Firmenich, come che Albanese e Battistella fossero destinati alla Ef Education. Bettiol all’Astana e Garofoli alla Soudal-Quick Step: in quei casi ci sta di reggergli il gioco e uscire col pezzo assieme al comunicato. Se però parliamo di dilettanti che hanno fatto bene, ma per ora non si sono conquistati prime pagine o grandi vittorie, dove sta la logica?

Paolo Barbieri, che ha da poco lasciato la Lidl-Trek, ha spiegato le nuove dinamiche nel lavoro del press officer
Paolo Barbieri, che ha da poco lasciato la Lidl-Trek, ha spiegato le nuove dinamiche nel lavoro del press officer

Il nodo del 10 dicembre

Nel ciclismo che costa sempre più caro, accade anche questo. Con un po’ di ironia e se non ci costringesse a tenere in stand by articoli già pronti, potremmo trovarlo persino divertente. Tuttavia crediamo sia la spia di una chiusura embrionale nei confronti dei media. La causa potrebbe risiedere nella capacità delle squadre di raccontare la propria verità con contenuti social che a loro avviso bastano per il racconto. Lo raccontò anche Paolo Barbieri, press officer appena uscito dalla Lidl-Trek. La nuova ventata di addetti stampa, evidentemente imbeccata dai loro datori di lavoro, non ama il contatto fisico dei media con i corridori. Tende invece a prediligere le interviste online e a ridurre al minimo le altre.

Un’altra dimostrazione viene dalla prossima gestione dei media day (il giorno in cui le squadre aprono il proprio ritiro ai giornalisti). Il 10 dicembre sarà un bel crocevia. Saremo infatti al cospetto di Pogacar e delle due UAE: quella degli uomini e quella delle donne. Nello stesso giorno, si avrà il media day del Team Bahrain Victorious. Alla richiesta di pensare a un’altra data, ci è stato risposto che gli allenatori hanno previsto che il 10 dicembre sia il giorno di riposo in cui i corridori possono fare interviste. Al netto dell’imbarazzo di chi certe risposte deve darle, traspare il disinteresse di chi governa le squadre. Dato che la richiesta è stata fatta un mese prima del giorno in questione, davvero non era possibile modificare il piano? Hanno davvero scelto gli allenatori? E se la soluzione è che anche i media debbano presentarsi in Spagna con 2-3 inviati, siamo certi che tutti possano permetterselo? E che al contrario questo non si trasformi in un boomerang per le stesse squadre?

Il 10 dicembre a Benidorm si svolgerà il media day del UAE Team Emirates e della Bahrain Victorious
Il 10 dicembre a Benidorm si svolgerà il media day del UAE Team Emirates e della Bahrain Victorious

Tutti pazzi per Sinner

L’inverno, si sa, è nemico del ciclismo. C’è chi continua a seguirlo e approfondirlo, ma è evidente la sua scomparsa dalle pagine dei grandi quotidiani. Le redazioni specializzate al loro interno sono sparite. La stessa Gazzetta dello Sport che fino a qualche anno fa aveva un gruppo di 4-5 giornalisti distaccati soltanto sul ciclismo, ora ha una redazione di varie, in cui si muovono i colleghi che si occupano del nostro sport. Siamo certi, stando così le cose, che la testata abbia qualche interesse a investire ancora e non preferisca restare sul calcio e sul fenomeno Sinner?

Forse l’UCI, che spinge sulla mondializzazione e finora ha ottenuto principalmente il risultato di rendere tutto più costoso, potrebbe fermarsi a riflettere su questi dati. In Spagna e anche in Francia, dove L’Equipe resta un vero baluardo, la situazione è simile alla nostra: solo in Belgio sembra che nulla sia cambiato. Ci chiediamo invece quanto aver portato il ciclismo negli angoli più dispersi del mondo lo abbia reso motivo stabile di interesse, quindi anche lontano dai giorni degli eventi. La sensazione, come accade anche con alcune corse in Italia, è che il ciclismo arrivi qualche giorno prima, monti i palchi, mostri i suoi campioni, passi all’incasso e poi smonti le strutture, sparendo fino all’anno successivo. Non sarebbe forse il caso di riconnetterlo con le sue radici, spiegando a chi gestisce i team che l’irraggiungibilità potrebbe diventare motivo di disaffezione?

Albanese saluta Arkea: «La EF arriva al momento giusto»

02.12.2024
6 min
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I passi da gigante fatti nel 2024 da parte di Vincenzo Albanese lo hanno portato al centro delle attenzioni da parte del team EF Education EasyPost. Succede così che durante la pausa di fine stagione il ventottenne di Oliveto Citra, piccolo comune campano, si ritrova proiettato in uno dei migliori team al mondo. Lo fa dopo solamente un anno corso nelle file della Arkéa B&B hotels, team francese sempre di categoria WorldTour. 

Albanese in questo anno all’Arkea ha fatto un notevole passo in avanti (foto Instagram Arkea-B&B Hotels)
Albanese in questo anno all’Arkea ha fatto un notevole passo in avanti (foto Instagram Arkea-B&B Hotels)

Primo approccio

In questi giorni Albanese ha messo alle spalle il primo ritiro con la nuova squadra, nel quale ha preso le misure e ha conosciuto un mondo nuovo. Più grande, ci dice lui, ma non per questo complicato o difficile. 

«Siamo stati insieme una settimana – racconta Albanese – è stata la prima volta che ho visto i nuovi compagni, lo staff e tutta la macchina organizzativa. Sono molto contento di essere arrivato qui, è un bell’ambiente, molto più grande rispetto a quanto sono sempre stato abituato a vivere e vedere. Capire i vari ruoli non è facile. Poi ci sono anche tante cose nuove con le quali prendere le misure: medici, materiali, insomma tutto è curato al massimo. Non che l’Arkea sia un cattivo team, ma si vede il distacco con quelle che sono le prime dieci squadre al mondo, e la EF è una di queste».

Per lui tante top 10: ben 16, delle quali quattro podi. Gli è mancata solo la vittoria
Per lui tante top 10: ben 16, delle quali quattro podi. Gli è mancata solo la vittoria
Che effetto fa entrare in uno dei migliori team al mondo?

Mi aspetto di fare un ennesimo passo avanti. Penso di arrivare qui nel miglior punto della mia carriera, per condizioni fisiche e maturazione. Ci saranno tante cose da fare e da apprendere ma sono sicuro di essere nel posto giusto. 

Il 2024 è stato un anno di grandi progressi.

E’ andato bene, è innegabile. Tuttavia ci sono stati dei momenti nei quali, per colpa mia o per circostanze esterne, mi è mancato il risultato. In alcune gare, dove ho corso bene e sono stato spesso davanti poi non sono riuscito a capitalizzare. 

Albanese ha esordito anche nelle Classiche del Nord, scoprendo un nuovo modo di correre (foto Instagram)
Albanese ha esordito anche nelle Classiche del Nord, scoprendo un nuovo modo di correre (foto Instagram)
Cosa ti è mancato?

Mi è mancata solamente la vittoria. Ne ho parlato anche nei giorni scorsi con la EF, vogliamo trasformare qualche top 10 o top 3 in successi. Dal punto di vista atletico qualcosa sicuramente mi è mancato, in certe situazioni anche un appoggio esterno. 

Che settimana è stata quella del primo ritiro con la EF?

Intensa. Non abbiamo pedalato molto visto che era ancora novembre. Ho incontrato tutti i membri dello staff: dai medici ai nutrizionisti, poi ho parlato con i preparatori e visto tutti i materiali per la stagione 2025. E’ stato tutto un susseguirsi di meeting e riunioni, nelle quali ho conosciuto le persone e i loro ruoli. 

Nelle semi classiche ha raccolto tanti risultati e piazzamenti (foto DirectVelo/Ronan Caroff)
Nelle semi classiche ha raccolto tanti risultati e piazzamenti (foto DirectVelo/Ronan Caroff)
I compagni?

Ho visto anche loro naturalmente. E’ stato bello anche questo, nonostante fossi nuovo mi hanno subito fatto sentire a casa. Ero in stanza con Carapaz, un ragazzo tranquillo con il quale ho stretto subito amicizia. Di italiani, come corridori, ci siamo solamente io e Battistella. All’interno della squadra ci sono diversi connazionali: massaggiatori, meccanici, ecc… Poi anche i diesse sono persone che hanno vissuto il ciclismo degli anni ‘90, quindi l’italiano lo sanno molto bene. Rispetto ad un team in cui si parlava esclusivamente francese mi sento più a mio agio. Non che prima mi trovassi male, comunque parlo diverse lingue e sono uno che è capace di adattarsi. 

Avete parlato anche di programmi?

Fino a giugno so che cosa mi aspetta, a grandi linee. Poi vedremo come va l’annata. Il calendario sarà simile al 2024 con l’inizio a Maiorca e poi le semiclassiche in Belgio, fino ad arrivare alla Sanremo e alla Classiche del Nord. Avrò una maggiore logica nel preparare i vari appuntamenti, con delle pause che mi serviranno per concentrarmi e allenarmi. 

Per tramutare le top 10 in vittorie serve preparare al meglio certi appuntamenti (foto DirectVelo/Micael Gilson)
Per tramutare le top 10 in vittorie serve preparare al meglio certi appuntamenti (foto DirectVelo/Micael Gilson)
Prima non era così?

Non con questo livello di cura nei dettagli. Mi è capitato di arrivare in certe gare all’85 per cento, tornando alla domanda “cosa mi è mancato” direi anche questo: una programmazione dettagliata. Ora so quali sono i miei obiettivi e voglio arrivare al 100 per cento. 

E quali saranno?

Il mese cruciale sarà marzo, con la Parigi-Nizza e le prime gare in Belgio. 

Quando c’è stato il contatto con la EF?

Mi avevano cercato già nel 2023. Poi però si era fatta avanti l’Arkea e avevo accettato la loro proposta, firmando un biennale. In questa stagione mi hanno dato tanto spazio, penso che sia stato il gradino giusto per la mia maturazione. Sapevo non fosse uno dei top team del WorldTour ma mi hanno dato tanto spazio e hanno creduto in me, per questo posso solo ringraziarli. 

L’addio di Bettiol ha aperto le porte ad Albanese, la EF era alla ricerca di un corridore da Nord
L’addio di Bettiol ha aperto le porte ad Albanese, la EF era alla ricerca di un corridore da Nord
I motivi dell’addio?

Diversi, un po’ legati al momento economico dell’Arkea. Non nego che sarei arrivato fino alla fine del contratto, poi però il team mi ha parlato e mi ha chiesto se fossi disposto al trasferimento. Si è rifatta avanti la EF, nel mese di ottobre, e siamo arrivati a un accordo. 

Arrivi alla EF Education Easy Post in un momento di grande cambiamento, forse il periodo giusto?

La squadra ha cambiato tanto, soprattutto con la partenza di Bettiol a metà stagione. Hanno perso l’uomo di riferimento per le Classiche, ma hanno preso Asgren che è uno molto forte. Penso di arrivare nel team e avere la possibilità di giocarmi le mie carte. Non sono un campione, questo lo so e non pretendo di avere la squadra a mia disposizione in certi appuntamenti. Anzi, sono uno che in certe situazioni sa mettersi tranquillamente a disposizione. 

Oltre ad Albanese alla EF è arrivato anche Asgreen, uno in grado di vincere il Fiandre nel 2021 battendo in volata Van Der Poel
Oltre ad Albanese alla EF è arrivato anche Asgreen, uno in grado di vincere il Fiandre nel 2021 battendo in volata Van Der Poel
Quando vi ritroverete per pedalare tutti insieme al primo ritiro?

Gennaio, faremo due settimane a Maiorca. Dicembre non ci troviamo, la squadra ha preferito incontrarci tutti ora. Mi hanno dato il programma di lavoro e starò a casa. Da un lato non è male come cosa perché si evita lo stress del viaggio e dello stare lontani. Questi per me sono i mesi fondamentali, vedremo poi se il meteo mi permetterà di allenarmi con tranquillità dalle mie parti. Altrimenti farò dei giorni al caldo, ma deciderò all’ultimo.

Crescendo D'Amore, Davide Balboni, mondiali San Sebastian 1997

D’Amore, il destino e una foto che resterà per sempre

02.12.2024
6 min
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Questa foto, già usata un’altra volta in queste pagine, continua a girarci per la testa da due giorni, da quando abbiamo saputo che “Kresh” non c’è più. Crescenzo D’Amore era sopravvissuto al linfoma di Hodgkin, invece è morto sabato notte nella sua auto a 45 anni. Se un destino esiste, il suo era stato già scritto, ma lui da gran velocista almeno per una volta era stato in grado di schivarlo.

Il 10 ottobre 1997 era di venerdì e andando alla partenza del mondiale juniores di San Sebastian, il cittì Balboni sbagliò strada. Quando l’ammiraglia degli azzurri raggiunse la transenna, i poliziotti si rifiutarono di farli passare, finché il tecnico gli tirò contro la sua patente e quelli, intuita la necessità, aprirono la transenna. Il mondiale rischiava di cominciare nel modo sbagliato, anche se D’Amore sorrideva sornione. La tensione dei giorni precedenti si era sciolta dopo un dialogo illuminante con lo psicologo Rota e il napoletano era certo di poter fare la sua corsa. Il percorso non sembrava tagliato per un velocista e quando Balboni lo aveva inserito, persino Alfredo Martini era parso perplesso. Contro ragazzini di futuro talento come Alejandro Valverde e Bradley Wiggins, oltre a D’Amore l’Italia schierava Galli, Brugaletta, Claudio Bartoli e Michele Scarponi, che però bucò nel primo giro e il suo mondiale si chiuse lì.

Il 10 ottobre del 1997, Crescenzo D’Amore vinse così il mondiale juniores di San Sebastian
Il 10 ottobre del 1997, Crescenzo D’Amore vinse così il mondiale juniores di San Sebastian

La barca non deve affondare

Davide Balboni ricorda, con la voce comprensibilmente alterata. C’è voglia di tornare a quei giorni lontani per sentirsi ancora una volta giovani e spensierati, con il cappello girato sulla testa e la sensazione di potersi prendere il mondo che di colpo era tornata possibile.

«San Sebastian – dice – è l’esempio che dopo quel giorno ho sempre portato a tutti per far capire la forza del pensiero rispetto a quella fisica. A tre giorni dal mondiale, Crescenzo non muoveva la bicicletta. Poi dopo una chiacchierata fatta con il dottor Rota, lo psicologo della nazionale, venne fuori che il problema ero io, perché lui temeva di deludermi e di compromettere la mia carriera da tecnico appena iniziata. Allora gli dissi che era lì perché meritava di esserci e di non pensare ad altre cose. Bastò una chiacchierata per ribaltare tutto in tre giorni. Si staccava di ruota sui cavalcavia, invece vinse il mondiale. Gli dissi: “Ricordati che siamo sulla stessa barca e io, Davide, quella barca non la faccio affondare”. In quella foto che fu scattata da Pietro Cabras lui sta piangendo e mi sta dicendo: “A ogni giro pensavo a quella barca che non doveva affondare. Ogni santo giro…”. E io lo porto sempre ad esempio, perché lui fu proprio l’emblema di cosa significa la testa nel mondo dello sport, ma anche nella vita normale».

Sul podio con il corridore di Napoli salirono Bolt e Salumets (foto Epa Images)
Sul podio con il corridore di Napoli salirono Bolt e Salumets (foto Epa Images)
Non era un percorso per velocisti…

Crescenzo veniva dalla medaglia d’argento dell’anno precedente nel chilometro da fermo, quindi era comunque un corridore di alto livello, anche se tutti avevano bocciato le sue possibilità su strada. Invece in una prima chiacchierata mi aveva confidato che la pista gli era stretta e su strada in realtà voleva provarci, segno di una grande determinazione. Ricordo che andammo a vedere il percorso di San Sebastian con Alfredo Martini e Antonio Fusi, nel giorno di agosto in cui Davide Rebellin vinse la Clasica. E proprio con Alfredo feci una nota tecnica. Gli dissi: «Io che ero un corridore scarso mi staccavo quando la salita dura finiva e la discesa non iniziava subito. Qui invece la salita dura finisce e la discesa inizia subito. Un corridore intelligente non si stacca». Venni a casa con questa convinzione, nonostante Alfredo e Fusi non fossero d’accordo con me, e me la portai fino alle convocazioni in cui tenni il posto per un velocista e il velocista principe per me era Crescenzo perché era veramente veloce.

Avevi visto giusto.

Per il destino, la fortuna e da ultimo anche il fatto di averci visto giusto, tutti i mondiali, ad eccezione di quello dei pro’ in cui ci fu una tempesta che cambiò le carte in tavola, arrivarono in volata. Solo che mentre negli under 23 non avevamo il velocista, gli juniores ce l’avevano e Crescenzo diventò campione del mondo.

Dopo un anno alla Vellutex e uno alla Grassi, D’Amore approdò alla Mapei giovani
Dopo un anno alla Vellutex e uno alla Grassi, D’Amore approdò alla Mapei giovani
Che tipo era Crescenzo D’Amore a 18 anni?

Bravo ed estroverso e lo dico con un affetto particolare: un vero napoletano. Per me i napoletani sono estrosi, simpatici, ironici, istrionici. Io avevo 32 anni, ero uno dei tecnici più giovani dell’epoca. Il rapporto con lui era particolare, sentivo di essergli veramente entrato nella testa, perché tutti i personaggi estrosi ma vincenti, mi viene in mente anche Pozzato, hanno bisogno di trovare qualcuno che non che gli imponga le cose, ma che li capisca.

Seguisti quel mondiale dai box?

Esatto, ma non avevamo la TV. Per questo eravamo collegati via radio con Roberto Damiani sulla parte alta del circuito. La foratura di Michele Scarponi ci aveva tolto una pedina importante e così cercavamo di arrivare in fondo, seguendo le fughe e con un occhio alla possibile volata. I tedeschi accanto a noi avevano invece la televisione e piano piano, ci infilammo nel loro box per vedere il finale. Ricordo che ai 200 metri Crescenzo venne chiuso. Ma fu bravo, perché con la mano e con la bravura imparata in pista, spostò il corridore davanti senza prendergli il pantaloncino o sbilanciarlo, altrimenti lo avrebbero squalificato. Semplicemente tolse la mano dal manubrio, spostò l’altro che lo chiudeva e lanciò la volata.

Cosa ricordi?

Negli ultimi 20 metri si spense tutto, diciamo così. Non lo vidi alzare le braccia, perché il mio meccanico, che era “Ciccio” Risi e aveva condiviso con me tutto lo stress di quella vigilia così faticosa, mi fece volare. Era decisamente più grosso di me, per la tensione della volata mi prese per il collo e mi spinse nel box dei tedeschi. Di fatto io non ho visto la vittoria, non mi resi conto di niente. Sapevamo tutti che il mondiale fino a quel punto non era andato bene. Gli altri tecnici continuavano a darci il tormento per aver portato un velocista. Nella crono, Daniele Bennati, attuale cittì della nazionale, non era andato oltre il 16° posto. Le cose non stavano andando bene, per cui quella volata fu una vera liberazione.

D’Amore con Nocentini e Soler, sotto la neve al ritiro di inizio 2006 in maglia Acqua& Sapone
D’Amore con Nocentini e Soler, sotto la neve al ritiro di inizio 2006 in maglia Acqua& Sapone
Cosa disse Martini dopo la vittoria?

Mi disse: «Bravo Davide, ci hai visto lungo». Ricordo che prima della gara gli avevo detto che San Sebastiano è anche il patrono di Renazzo, il mio paesino in provincia di Ferrara. E Alfredo che più di tanto non era religioso, mi aveva detto di parlare anche con lui, che se fosse servito per vincere i mondiali, anche il santo poteva fare la sua parte.

Il resto, la sua carriera da professionista, è un racconto successivo che non toglie nulla a quel giorno di San Sebastian. Un mese dopo ci ritrovammo a raccontarlo nella sua casa alla periferia di Napoli, fra l’azienda di confezioni di suo padre e i capannoni di Caivano attorno cui si formavano i corridori di lì. Crescenzo aveva il sorriso stampato sul volto, come se ogni cosa fosse possibile. Eravamo tutti più giovani e convinti di poterci mangiare il mondo. E lui quel giorno a San Sebastian il mondo se lo mangiò davvero, ma poi da buon amico lo divise con i compagni e diede merito a quanti lo avevano portato a giocarsi la chance più grande della carriera. Il resto non lo sapeva. Col resto purtroppo, toccherà a noi farci i conti e poi la pace.

La Gariboldi detta legge, ma che sfida con Borello

01.12.2024
4 min
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BREMBATE – La gara riservata alle donne elite si caratterizza per un duello che prima vede un gruppetto di quattro ragazze, poi piano piano la selezione si fa naturale e a spuntarla è Rebecca Gariboldi dell’Ale Cycling Team. Un inizio di stagione 2024/2025 di grande spessore per la lombarda che ha raccolto ottime prestazioni e risultati di rilievo. Il continuo zigzagare del tracciato disegnato al Vittoria Park non le permette di fare tanta differenza, si vede che la condizione c’è ma manca lo spazio per sprigionare tutti i cavalli. Eppure Rebecca Gariboldi ci prova più di una volta, ma alle sue spalle le altre non mollano. 

«E’ stata una corsa in salita fin dal primo giro – commenta Gariboldi – in quanto durante il secondo giro, quando avevo già fatto un pochino di differenza, ho avuto un guaio meccanico. Mi è caduta la catena e nonostante avessi già fatto la differenza i giochi si sono riaperti. Sono stata costretta a rincominciare tutto daccapo, ho riattaccato e ho fatto ancora la differenza ma non è bastata ancora».

Tanta tecnica…

Per fare davvero la differenza sarebbe servito un percorso più impegnativo, o almeno con qualche rettilineo in più. Le tante curve costringevano le ragazze a rallentare e ripartire, perdendo l’inerzia delle azioni. Conveniva, come si è visto poi nella gara maschile, correre di rincorsa. Avere davanti qualcuna che dettasse il ritmo era un vantaggio perché dava un punto di riferimento, sia per la velocità che per le traiettorie

«Pensavo che i miei attacchi potessero farmi fare più differenza – riprende Rebecca Gariboldi – e di riuscire a fare il vuoto. Invece Carlotta Borello riusciva a guidare bene la bici e a rientrare nei tratti più guidati. Effettivamente il mio attacco era partito un po’ troppo presto, quindi sapevo che sarebbe stata dura arrivare in fondo da sola. Ero consapevole, tuttavia, di avere una buona condizione ma il tracciato particolare non permetteva di fare tanta differenza a livello di gamba. Ho capito che avrei dovuto dare tutto all’ultimo giro».

«Dopo la scalinata, nel finale, ho fatto un piccolo errore e Borello è passata in testa. Mi sono trovata costretta a mettere il piede a terra e rincorrere, ma sapevo di poter tornare sotto. Alla fine questo era un tracciato che non permetteva di fare errori ma che era anche facile commetterli. Ho avuto ragione dato perché poi Borello ha fatto un piccolo errore e questo mi ha permesso di ricucire e attaccare ancora per poi vincere». 

…E qualche spallata

Carlotta Borello è stata l’ultima ad arrendersi ai continui attacchi di Rebecca Gariboldi. La piemontese ha spinto davvero tanto ed è arrivata a soli quattro secondi da un successo importante. Il secondo posto però non le toglie il sorriso e nel raccontarsi nel post gara fa trasparire di avere fatto tutto il possibile oggi. 

«Non era semplice in questo percorso fare la differenza – dice – anche perché c’erano parecchi tratti in cui era importante guidare bene. Nonostante ciò non è stato semplice tenere la ruota di Rebecca (Gariboldi, ndr) perchè andava veramente forte. Diciamo che mi sono un po’ sorpresa delle mie abilità tecniche, il percorso non era troppo nelle mie corde però ho cercato di difendermi nel miglior modo possibile. E ci sono riuscita. Alla fine ho cercato di avvantaggiarmi nella parte della scalinata però purtroppo poco dopo sono scivolata e ho perso tutto. Nel testa a testa Gariboldi ha dimostrato di essere più forte, tutto qui. Non resta che farle i complimenti».

Guerciotti, vince Fontana ma alle sue spalle spunta Viezzi

01.12.2024
5 min
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BREMBATE – Lo scenario nel quale si svolge il 45° Trofeo Mamma e Papà Guerciotti è quello del Vittoria Park, la struttura realizzata dall’azienda bergamasca che ospita per la prima volta questa storica gara di ciclocross. Fettucciati e sterrato che costringono gli atleti a guidare bene la bici per poter fare la differenza. Il gelo nella notte ha ghiacciato il terreno e la paura di tutti i ragazzi, durante la prova del tracciato avvenuta in mattinata, era che potesse cedere e diventare sempre più morbido con il passare delle ore. E’ successo invece che le temperature si sono alzate, ma non così tanto da scaldare l’ambiente. Un tracciato che è rimasto compatto dall’inizio alla fine, sul quale contavano più la tattica e le abilità di guida

Filippo Fontana vince il 45° Trofeo Mamma e Papà Guerciotti in maglia tricolore
Filippo Fontana vince il 45° Trofeo Mamma e Papà Guerciotti in maglia tricolore

Gioia inaspettata

Lo sa bene Filippo Fontana, campione italiano in carica che ha giocato d’astuzia per vincere questa gara ambita e sulla quale gli atleti di spicco del nostro movimento del ciclocross puntano sempre. Il duello testa a testa con l’inglese Thomas Mein si risolve agli ultimi metri. Quando era importante farsi trovare davanti il campione del team CS Carabinieri Cicli Olympia non si è fatto attendere. Conquistando una vittoria che gli dona il giusto morale

«Sono molto felice – racconta ai margini del podio Fontana – alla fine era una vittoria che non mi aspettavo neanche. Quando arrivano successi del genere sono molto graditi. Alla fine direi che è stata una giornata perfetta. Non avevo una grandissima gamba, come è normale che sia visto che non ho una buona preparazione al momento. Tuttavia sono riuscito a limare e ho fatto una gara gestita molto bene. Per quello che erano le mie forze ho sparato la cartuccia all’ultimo giro, sapevo che avrei dovuto giocarmela così».

Nervi e tattica

Il ritmo lo ha impostato il britannico Mein fin da subito, cercando di allungare e scremare il gruppo dei 55 partenti. I due sono andati via con forza da metà gara in poi e si è subito capito che il livello fosse pari. Tra gambe e agilità nel muovere la bici tra curve e contropendenze nessuno dei due è riuscito a fare la differenza. 

«L’idea era di limare il più possibile – prosegue Fontana- almeno per vedere come si sarebbe poi svolta la gara. I primi giri ho lasciato tirare Mein, anche perché eravamo in tanti. Dopo metà gara ho provato ad allungare e siamo rimasti io e lui. Ci siamo dati praticamente cambi regolari fino alla fine della gara. All’ultimo giro mi ha lasciato davanti e ho gestito la cosa a mio favore. Nell’unico rettilineo, nel quale Mein avrebbe potuto passarmi, ho accelerato e sono riuscito a rimanere davanti. Nei tratti guidati, dove non era possibile sorpassare, ho respirato e abbassato leggermente il ritmo. Ho preso lo strappo finale in testa, era fondamentale, visto che negli ultimi cento metri la strada era stretta».

Giovani che scalpitano

Nella parte iniziale di gara alla coppia di testa si è accodato un pimpante Samuele Scappini, ragazzo under 23 che mostra di crescere bene e di essere in grande forma. Sull’ora di gara gli è mancato il ritmo per rimanere con i grandi e provare a vincere. Un problema meccanico gli ha tolto anche la soddisfazione del terzo posto, andato al campione del mondo juniores Stefano Viezzi. Tante attenzioni erano rivolte proprio al classe 2006, al primo approccio con il mondo dei grandi. 

«Non sono partito benissimo – analizza Viezzi – ho avuto un piccolo contatto in partenza che mi ha fatto un po’ indietreggiare. Mi sono trovato intorno alla ventesima posizione con l’obbligo di recuperare. Ho approfittato dei momenti morti davanti, quando si guardavano, per tornare sotto. E’ stato un continuo tira e molla perché appena tornavo sotto i primi ripartivano. Alla fine posso dirmi solo contento del piazzamento».

«L’approccio alla categoria – continua Viezzi, che dal 2025 sarà un corridore del devo team della Alpecin Deceuninck – penso sia buono. Correndo con gli elite posso solo crescere. Oggi, ma comunque in generale nell’ultimo periodo, sento che sto crescendo in vista degli appuntamenti importanti della stagione. Quello di massimo prestigio sarà il mondiale, al quale voglio arrivare alla mia massima condizione. Confrontarsi con questi atleti fa piacere, oltre a essere di calibro internazionale sono anche alla massima maturità. Io sono ancora troppo giovane per capire quale possa essere il mio livello, non mi pongo limiti».

Magnaldi gregaria di lusso per la Longo: «Sono pronta»

01.12.2024
4 min
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Il ciclismo è un gioco di squadra ed Erica Magnaldi lo sa bene. Dopo una carriera in cui spesso ha avuto la responsabilità del ruolo da leader, nel 2024 si prepara a una nuova sfida: supportare Elisa Longo Borghini, atleta tra le migliori al mondo. L’arrivo della campionessa italiana nella UAE Adq porta con sé aria di rinnovamento e grandi aspettative.

Magnaldi accoglie con entusiasmo questo nuovo ruolo di gregaria di lusso, pronta a lavorare per il successo della squadra e a sfruttare le opportunità che questa dinamica le offrirà per correre in maniera più aggressiva e libera.

Magnaldi (classe 1992) è una scalatrice pura. Nelle corse ondulate si è messa a disposizione delle compagne
Magnaldi (classe 1992) è una scalatrice pura. nelle corse ondulate si è messa a disposizione delle compagne
Che aria tira innanzi tutto, Erica?

Sicuramente tira aria nuova. Ci sono stati dei grandi cambiamenti, non soltanto per l’arrivo di Elisa, ma anche per l’inserimento di altre atlete di valore (arrivano tra le altre anche Brodie Chapman e Sofie Van Rooijen, ndr). Penso che il prossimo anno saremo una squadra molto più forte e si sente già fame, voglia di fare qualcosa di più rispetto agli anni scorsi. Abbiamo fatto un primo camp conoscitivo a ottobre e già in quei pochi giorni si è respirato un grande affiatamento, sia tra le ragazze nuove che con lo staff, che è stato rinnovato in parte anch’esso.

Voi avete i maschietti come metro di paragone… che piano non vanno!

Esatto! La nostra dirigenza non ci nasconde che l’aspirazione è quella di seguire le orme degli uomini della UAE Emirates. Anche senza Pogacar, il prossimo anno penso potremo fare bene e avvicinarci alle aspettative.

Cosa cambierà per te? Detta proprio fuori dai denti sarai chiamata a tirare…

Sono più che consapevole della forza di Elisa e del titolo di leader assoluta che si è guadagnata negli anni. Sono felice di affrontare un cambiamento nel mio ruolo. È anche uno stimolo. Significherà essere lì davanti, essere nel vivo della corsa, avere delle responsabilità…

Sin qui Elisa ed Erica hanno corso insieme solo in nazionale
Sin qui Elisa ed Erica hanno corso insieme solo in nazionale
Che poi è lo specchio del livello del ciclismo femminile che cresce. Un po’ come tra gli uomini. “Di là”, restando in casa UAE, c’è Almeida che tira che Pogacar, qui una scalatrice importante come te…

Esatto. Ma infatti anche per questo sono contenta e fiduciosa. Vero che l’anno scorso ero spesso leader, ma questo comportava una certa pressione e limitava la mia libertà di correre in maniera aggressiva. Il prossimo anno, lavorare per Elisa significherà supportarla nei momenti chiave, ma al tempo stesso mi permetterà di rischiare di più, cercare fughe e giocarmi altre carte, sapendo di avere una leader solida alle spalle.

Piccolo passo indietro: cosa t’è piaciuto della tua stagione e cosa un po’ meno?

Quello che mi è piaciuto di più è stata il mio approccio al Giro Women, dove non ero leader e ho potuto rischiare di più, entrando in fughe buone e ottenendo il mio primo podio. Ho scoperto un’Erica diversa, capace di correre in maniera più aggressiva, e vorrei portare questa mentalità nel 2024. Mi è piaciuto molto anche il Tour Femmes, soprattutto per il livello altissimo della competizione e l’emozione di correre sui grandi passi alpini. Se ripenso all’Alpe d’Huez ancora ho i brividi!

Erica (a destra) crede molto nella squadra e una leader forte come Longo Borghini non potrà che cementare questo spirito
Erica (a destra) crede molto nella squadra e una leader forte come Longo Borghini non potrà che cementare questo spirito
E cosa ti è piaciuto meno?

La prima parte della stagione, invece, è stata sottotono. Ho sofferto mentalmente le aspettative e ho commesso errori, ad esempio nella nutrizione, che ho pagato nelle gare a tappe come la Vuelta.

Mi fai un esempio di errore nella nutrizione?

Semplicemente, durante una tappa stressante come quella dei ventagli, che non sono di certo il mio terreno, sono rimasta concentrata nello stare davanti e ho dimenticato di bere e mangiare a sufficienza. E in quei frangenti una come me spende moltissimo. Questo, nell’economia di una corsa a tappe, lo paghi.

Vi siete già scritte, tu ed Elisa?

Sì, Elisa la conoscevo già, ci siamo incontrate tante volte. Ho sempre desiderato lavorare per una leader come lei, perché la stimo molto, sia come atleta che come persona. Per cui, anche se non ce ne fosse bisogno, lo farò con entusiasmo. Siamo all’inizio, ma sono sicura che ci prenderemo confidenza presto. Sarà importante conoscerci meglio anche su strada, con lei ci siamo sfidate molte volte, ma dal prossimo anno sarà tutto diverso. Quest’anno più che mai ho capito quanto è bello contribuire alla vittoria di squadra. Gioire tutte insieme… anche se non hai vinto tu.