Alessandro Fontana non è solo il papà di Filippo, riconfermato campione italiano di ciclocross. E’ anche un riferimento storico dell’offroad italiano. Nato nel 1970, veneto purosangue, è salito per due volte sul podio in Coppa del mondo di mtb in terra americana e argento a un mondiale militare di ciclocross, ma soprattutto per quasi vent’anni è stato protagonista sia d’inverno sui prati che negli altri mesi sui sentieri italiani e non solo. Fontana ha vissuto la trasformazione dell’attività fuoristradistica, passando dal pionierismo alla ribalta olimpica e vivendo anche l’evoluzione del ciclocross.
Ha chiuso la sua carriera poco più di 10 anni fa, ma non si è allontanato dal suo mondo, anche perché un Fontana c’è ancora ed è Filippo: plurivincitore del titolo italiano, sempre sfuggito al padre. E’ normale, quasi scontato che ci sia un parallelo fra i due, non tanto dal punto di vista personale quanto di tutto il contorno.
«Le differenze sono tante – spiega papà Fontana – ma riguardano più la mountain bike che il ciclocross. Ho visto il mondo delle ruote grasse evolversi in una maniera clamorosa dal punto di vista tecnico, ma a me piace guardare anche altri aspetti. Quel che non è cambiato è il significato dell’attività sportiva, vera e propria palestra di vita che insegna l’importanza del sacrificio. Questo ho insegnato a Filippo e insegno ai ragazzi che frequentano la nostra società ciclistica».
Com’era il ciclocross quando hai iniziato?
Erano gli anni Ottanta, si usciva da un difficile periodo economico e di soldi non ne giravano tanti, certamente una minima parte rispetto a quanto avviene adesso. Eravamo in pochi a praticarlo: considerando tutte le categorie era difficile arrivare a 100 corridori, oggi ne trovi 800. E’ impressionante soprattutto vedendo quanti ragazzini corrono.
E dal punto di vista tecnico?
Le innovazioni ci sono state, questo è chiaro, ma nel complesso le bici sono rimaste le stesse, come anche l’immagine. Sì, è vero, oggi i cavi sono interni, ma in fin dei conti poco cambia… Se proprio devo trovare una differenza, è che quando correvo io pioveva molto di più e quindi si trovava sempre tanto fango… I percorsi nel complesso sono quelli, solo che è cambiato il modo di interpretarli. Noi avevamo più ostacoli artificiali e per affrontarli si scendeva di bici, quindi ci trovavamo a correre a piedi molto di più di quanto avviene adesso. Almeno da noi, perché vedo gare belghe dove con il fango ci sono tanti passaggi bici in spalla.
Tra Alessandro e Filippo quali differenze ci sono nell’approccio alle gare?
Molte, ma questo dipende dal fatto che abbiamo due fisici diversi. Io ero abituato a partire abbastanza lentamente e recuperare in corso d’opera. Filippo è molto più esplosivo. In questo senso è decisamente più forte, più adatto anche al ciclocross di oggi dove la partenza è un aspetto fondamentale di tutta la corsa. Oggi per me sarebbe molto più difficile emergere. Allora come detto c’erano tanti tratti di corsa, potevo riguadagnare sfruttando anche la potenza fisica.
Ti piacciono le gare di oggi?
Io sono e sarò sempre un ciclista, appassionato a prescindere. E’ chiaro che la presenza di Filippo mi porta a guardare le gare con un occhio di riguardo, ma questo varrebbe in qualsiasi caso, se capita una prova estera in Tv non me la perdo.
Come la tua famiglia è così legata all’ambiente offroad?
E’ un ambiente più familiare. Io vengo dal ciclismo su strada, lo seguo, mi piace, ma sono sempre rimasto legato a un mondo, quello della mtb e anche quello del ciclocross, più contenuto, dove si sente ancora il valore umano. In questo tipo di gare conta ancora chi va più forte, su strada la gara la fanno i diesse e questo non mi piace.
Tu hai vissuto un’epoca ciclocrossistica diversa da quella di oggi. Ai tuoi tempi non c’erano i campioni che facevano tutto…
Di professionisti ne trovavamo, ma per lo più erano corridori che facevano attività invernale pensando unicamente a preparare quella su strada, che – è bene sottolinearlo – aveva calendari molto diversi da quelli odierni. Allora erano soprattutto i biker ad abbinare mtb e ciclocross. Oggi però viviamo un’epoca di fuoriclasse, che emergono dappertutto. Sono l’evoluzione della multidisciplina, campioni che fanno parlare di sé, che danno un’immagine a tutto l’ambiente, pur in un contesto molto più difficile.
Torniamo a te e Filippo: ciclisticamente parlando com’è il vostro rapporto?
Domanda complessa, che temevo… E’ un rapporto “work in progress”, ci vogliamo un mondo di bene, ma nel ciclismo spesso abbiamo idee diverse. Anche noi abbiamo attraversato quella fase di contrasto che avviene sempre con un figlio adolescente: io che dicevo una cosa e lui che faceva l’esatto contrario. Ma ci sta. Ora è tornato a chiedere consigli, poi magari fa di testa sua ed è anche giusto così, ma almeno ci confrontiamo, ascolta e valuta. Anche questo dimostra che lo sport è una palestra di vita.