I primi passi, anzi le prime pedalate di Sara Fiorin con la nuova maglia della Ceratizit Pro Cycling Team sono arrivate in Australia. La velocista e pistard azzurra è al suo primo anno nel WorldTour, un salto importante che ha voluto fare insieme al team tedesco. Una scelta legata anche alla doppia attività, infatti con la Ceratizit, pista e strada riusciranno a combaciare.
Per Sara Fiorin (a destra) l’approccio con il mondo Ceratizit è stato facile, con le compagne ha trovato subito il giusto feelingPer Sara Fiorin (a destra) l’approccio con il mondo Ceratizit è stato facile, con le compagne ha trovato subito il giusto feeling
Subito WorldTour
Dopo il Santos Tour Down Under Fiorin ha continuato a correre in Australia prendendo parte ad altre gare di un giorno terminando di correre l’1 febbraio. Da lì è volata in direzione Emirati Arabi per prendere parte al UAE Tour Women. In poco meno di un mese la velocista classe 2003 ha già preso parte a diverse gare di categoria WorldTour.
«E’ stato sicuramente un inizio di stagione bello intenso – ci racconta a poche ore dalla prima tappa del UAE Tour Women – ma devo dire che è un bene aver iniziato la stagione con le gare in Australia. Questo mi ha aiutato anche per l’adattamento al caldo, rendendo più semplice il passaggio a temperature alte, cosa che abbiamo trovato qui negli Emirati Arabi».
L’esordio in Australia, seppur difficile all’inizio, le ha permesso di fare tanti chilometri e aumentare il volumeL’esordio in Australia, seppur difficile all’inizio, le ha permesso di fare tanti chilometri e aumentare il volume
Facciamo un passo indietro, com’è andato il ritiro invernale?
La preparazione con la nuova squadra è andata bene, siamo state a Calpe dall’8 al 20 dicembre e in quei giorni ho subito alzato l’asticella, si può dire, perché sono aumentati per me volume, intensità e dislivello. Direi che è stato un gran blocco di lavoro, anche se non semplice, ma comunque è sempre bello poter lavorare tutte insieme e iniziare a entrare in sintonia con le compagne.
Raccontaci dell’esordio in Australia.
I primi giorni non sono stati semplicissimi a causa del jet lag e delle alte temperature, che in alcune tappe sono arrivate anche a 36/37 gradi centigradi. E’ stato un po’ difficile gestire questo lato, ma giorno dopo giorno mi sono sentita sempre meglio. Dopo le prime due tappe ero più a mio agio in bici. Nelle altre gare dopo il Tour Down Under le temperature si sono abbassate ed è stato tutto un po’ più semplice.
Il confronto con le compagne serve per crescere e migliorare Il confronto con le compagne serve per crescere e migliorare
In gara le gambe come stavano?
In generale non ho iniziato a correre al mio massimo, nella settimana prima di partire non sono stata molto bene fisicamente e sono arrivata un po’ vuota alle gare. Con il passare dei chilometri la condizione è migliorata, comunque in queste prime gare dovevo restare vicina alle mie compagne a dar loro supporto. Nelle tappe adatte a me non arrivavo abbastanza fresca nel finale per provare a giocarmi qualche chance allo sprint.
Cosa ti aspetti da questo primo anno nel WorldTour?
Sarà un anno di adattamento, l’obiettivo principale è di aumentare il volume in modo da arrivare più pronta nel finale. Non ho fretta di cercare risultati, anche la squadra mi lascia tranquilla e senza pressioni. Questo aspetto mi mette a mio agio e non vedo l’ora di fare i giusti passi di crescita.
Visti i tanti impegni su strada Sara Fiorin non parteciperà all’europeo su pista a ZolderVisti i tanti impegni su strada Sara Fiorin non parteciperà all’europeo su pista a Zolder
Dopo le gare in Australia subito un’altra corsa a tappe…
E’ un inizio di stagione intenso, ma devo ammettere che è un bene soprattutto in vista del fatto di voler mettere chilometri e volume nelle gambe.
Prenderai parte ai campionati europei su pista?
Visto l’esordio in Australia e poi l’impegno del UAE Tour, non ho avuto modo di prepararli nel migliore dei modi. Ho comunque mantenuto la doppia attività, aspetto di cui la squadra è felice e mi supporta. Infatti anche prima di partire per il Tour Down Under sono stata spesso in pista ad allenarmi e sono riuscita a fare parecchi lavori ad alto ritmo e di intensità.
Dopo il UAE Tour cosa farai?
Torno in Italia e dopo un periodo di recupero e di allenamento riprenderò a gareggiare al Trofeo Oro in Euro a Montignoso il 9 marzo.
L'avvio di stagione di Moro si è infranto contro una transenna alla vigilia del Down Under. La sua ironia e il ritorno in gruppo fra 10 giorni al UAE Tour
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Da Continental ad Hutchinson, un cambio non da poco in casa Intermarché-Wanty, anche se resta la tecnologia tubeless per gli pneumatici. Quello di Hutchinson è un ritorno ufficiale, ma solo in parte, perché la realtà dei fatti è che la tecnologia delle mescoleHutchinson, delle carcasse e delle strutture delle gomme è mutuata da alcune aziende di pneumatici del settore, per la strada, la mtb e anche nel ciclocross.
Kevin Colleoni al primo ritiro e durante i test con i nuovi materiali (foto @cyclingmedia agency)Kevin Colleoni al primo ritiro e durante i test con i nuovi materiali (foto @cyclingmedia agency)
Abbiamo chiesto a Kevin Colleoni, uno dei quattro azzurri del team belga con Busatto, Rota e Petilli, cosa sia cambiato in termini di feeling, sensazioni e feedback dopo circa un paio di mesi di utilizzo. E’ ovvio che alle spalle di una sponsorizzazione e fornitura tecnica, nei confronti di un team WorldTour, ci sono delle direzioni di ricerca e sviluppo, marketing e visibilità, ma anche di crescita del marchio sotto molti aspetti. La fornitura diretta di Hutchinson è parte di una strategia ben precisa.
Quando sei entrato in contatto con i nuovi materiali?
A dicembre, durante il primo ritiro ufficiale che è stato anche diverso da altri degli ultimi anni, perché ci hanno presentato i nuovi tubeless. I responsabili di Hutchinson ci hanno messo sul piatto dati, numeri, analisi e abbiamo fatto anche dei veri e propri workshop.
Rispetto alla generazione precedente cambia il design del battistrada e probabilmente anche la mescola (foto @cyclingmedia agency)Rispetto alla generazione precedente cambia il design del battistrada e probabilmente anche la mescola (foto @cyclingmedia agency)
Da Continental ad Hutchinson, un cambio che non passa inosservato.
Un cambio non da poco, anche noi ci siamo accorti di questo, oltre ad una bici che oggi è equipaggiata full Shimano. Abbiamo i pedali Dura Ace che hanno sostituito i Look.
Torniamo ai tubeless, avete fatto dei test e fornito riscontri fin dal primo ritiro?
Ne abbiamo fatti diversi durante il primo collegiale, conditi da riunioni e dove man mano sono state prese in considerazione delle prove eseguite da laboratori esterni. Test che presumo siano stati fatti prima del ritiro.
Una combo di Hutchinson con le ruote NewMen dai raggi in carbonio (foto @cyclingmedia agency)Una combo di Hutchinson con le ruote NewMen dai raggi in carbonio (foto @cyclingmedia agency)
Riesci a quantificare un cambio da Continental ad Hutchinson?
La scorrevolezza è praticamente uguale a Continental, a parità di sezione, pressioni e condizioni meteo. In generale molto bene, anche se credo sempre che la prova del nove sia la situazione di gara. Quello che invece ha colpito in modo positivo tutti i corridori del team è un maggiore grip in situazioni di umido e bagnato.
Hai e avete trovato una mescola più morbida?
Sì, esatto. Un aspetto che è stato oggetto di confronto con lo staff tecnico della squadra e di Hutchinson. Proprio per questo motivo siamo al corrente di un consumo maggiore del battistrada, rispetto a Continental. E’ un fattore che non riguarda noi corridori, piuttosto l’azienda ed eventualmente i meccanici, ma al tempo stesso abbiamo un tubeless che ha una super tenuta.
Una tipologia di tubeless per le gare e 3 profili differenti ruote (foto @cyclingmedia agency)Una tipologia di tubeless per le gare e 3 profili differenti ruote (foto @cyclingmedia agency)
Pneumatici super agili in diverse situazioni?
Agili e scorrevoli a prescindere dalla tipologie di ruoteutilizzate, dai profili più alti a quelli bassi.
Il cambio di gomme prevede anche pressioni di esercizio variate?
Di pochissimo, nel senso che con Hutchison rimaniamo più bassi.
Le pressioni sono concordate con il team?
Sì, con delle tolleranze in base al feeling e condizioni delle strade o del meteo. Tutto è concordato con lo staff tecnico e con una sorta di supervisione di Hutchinson che ha dato delle indicazioni per sfruttare al meglio gli pneumatici. Per quanto mi riguarda, rimango sempre tra le 4,5 e 4,7 atmosfere, tra bagnato e asciutto.
In test gomme prototipo per le gare del Nord? Possiamo scommetterci (foto @cyclingmedia agency)In test gomme prototipo per le gare del Nord? Possiamo scommetterci (foto @cyclingmedia agency)
E’ stato fornito solo un modello, oppure diversi modelli di pneumatici?
Un modello di tubeless specifico per le gare e montato sulle ruote da gara. Con Hutchinson abbiamo, per ora, una sola versione. Con Continental non di rado usavamo i tubeless TT anche per le corse in linea con clima caldo ed asciutto, al posto dei TR. Poi abbiamo una versione Hutchinson più durevole da usare a casa sulla bici da allenamento. Entrambi tubeless.
Sempre tubeless anche in allenamento?
Sempre. Oltre ad una questione legata alla fornitura tecnica c’è anche la volontà del corridore di mantenere lo stesso feeling, per il training e in gara.
I vermicelli e la punta di Effetto Mariposa, nella tasca di Colleoni durante l’allenamento (foto Colleoni)I vermicelli e la punta di Effetto Mariposa, nella tasca di Colleoni durante l’allenamento (foto Colleoni)
Quando esci in allenamento cosa porti con te, per contrastare eventuali forature e danni alle gomme?
Partiamo dal presupposto che da quando uso i tubeless non ho mai più avuto la necessità di farmi venire a prendere lontano da casa. Direi che non è male. In caso di microforature il liquido chiude e spesso non ci si accorge neppure di aver forato.
E se il buco è più grande?
Ho e abbiamo preso l’abitudine di mettere in tasca i vermicelli (EffettoMariposa, ndr) che ci ha fornito lo sponsor. Nel caso di un taglio, o danno importante con grosse dimensioni, difficile da chiudere con il solo liquido.
Molto buone le sensazioni di scorrevolezza e grip (foto @cyclingmedia agency)Molto buone le sensazioni di scorrevolezza e grip (foto @cyclingmedia agency)
Come funziona quando devi cambiare e/o integrare un componente che utilizzi in allenamento?
Durante il primo ritiro ci viene data una fornitura che prevede anche un cambio. Parliamo di tubeless, quindi una coppia in uso e una di scorta. Nel caso ci fosse un danno, o il semplice consumo, si chiede al team quando si resta lontano dalle corse per un lungo periodo, oppure si chiede un’integrazione al momento in cui ci trova per le gare.
Per quanto concerne le sezioni?
Larghezza da 28, sempre. Quelli da 30 e oltre solo per le gare del pavé e del Nord in genere.
Ad inizio gennaio Wout Van Aert ha ufficializzato il suo calendario per il 2025, che sarà focalizzato su Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix, Giro d’Italia e Tour de France. Come già l’anno scorso dunque non parteciperà alla Milano-Sanremo, l’unica classica monumento che ha già vinto e che per certi aspetti potrebbe sembrare la più adatta alle sue caratteristiche. A causa della caduta alla Dwars door Vlaanderen la scorsa stagione non abbiamo potuto vederlo sulle pietre che contano, e quindi quest’anno sarà il primo vero test di questo suo calendario.
Ma, detto questo, siamo sicuri che saltare la Classicissima sia una scelta azzeccata per un corridore totale come lui? Non è un azzardo sacrificare uno degli appuntamenti più importanti dell’annoper puntare tutta la primavera sul Fiandre – dove dovrà vedersela con mostri come Van Der Poel e Pogacar – e sulla Roubaix – dove le incognite sono incalcolabili e la sfortuna è sempre dietro l’angolo, come si è visto nel 2023? Ne abbiamo parlato con Pippo Pozzato, che come Van Aert ha vinto una Sanremo e colto piazzamenti importanti nelle classiche delle pietre.
Filippo Pozzato alla partenza del mondiale gravel 2022Filippo Pozzato al mondiale gravel 2022
Filippo, come vedi questa scelta?
Certamente mi dispiace non vederlo lì, in una gara così adatta a lui. Forse sì è un po’ un azzardo, ma mi pare di aver capito che abbia scelto di non andare per allenarsi al meglio per la seconda parte della primavera, Giro compreso. Mi fa strano che uno come lui non ci sia, però è anche vero che nel ciclismo moderno devi puntare solo certi obiettivi, quindi da una certo punto di vista lo capisco.
Ai tuoi tempi era diverso?
Totalmente. Considerate solo che io in certe stagioni ho fatto anche 110 giorni di corsa, loro se va bene ne fanno la metà. Adesso fanno molta più intensità in allenamento e infatti arrivano alle gare già che volano. A me per esempio non piaceva troppo andare in altura, preferivo correre. Adesso però quel ciclismo non esiste più. Soprattutto negli ultimi due-tre anni secondo me c’è stato un cambiamento grandissimo in questo senso.
La caduta di Van Aert alla Dwars door Vlaanderen, che gli è costata buona parte della scorsa stagioneLa caduta di Van Aert alla Dwars door Vlaanderen, che gli è costata buona parte della scorsa stagione
Anche per questo tu hai sempre corso tutte e tre le prime monumento, perché era più semplice ai tuoi tempi?
Secondo me sì. Poi la Sanremo è davvero una gara particolare. Al Fiandre viene fuori chi ha più gambe, alla Sanremo invece ci sono mille incognite perché è davvero aperta a tutti. Io ho sfiorato la vittoria un sacco di volte per un motivo o per l’altro, e alla fine non l’ho vinta l’anno in cui andavo più forte, ma quello in cui ha girato tutto giusto.
Credi sia questo uno dei motivi di questa scelta, perché la Sanremo è comunque un terno al lotto e quindi meglio puntare su altro?
No, non credo, penso contino molto di più altri fattori. Poi, se devo dire la verità, io ho sempre pensato che la corsa perfetta di Van Aert sia il Fiandre.
Van Aert al Fiandre 2020, battuto in volata da Van Der PoelVan Aert al Fiandre 2020, battuto in volata da Van Der Poel
Anche contro Van Der Poel e Pogacar?
Se è al top della forma credo se la possa giocare benissimo, sì. Gli altri sono due fenomeni, certo, ma devono comunque riuscire a staccarlo se non vogliono trovarselo in volata. A livello di motore puro credo che sia il più forte, l’ho sempre detto. Il suo problema è che non lima tanto, non sa muoversi come Van Der Poel, forse gli manca qualcosa tecnicamente, come spesso si vede anche nel ciclocross.
Però Van Der Poel le classiche di primavera le fa tutte…
Ma Van Der Poel corre in una maniera diversa, ha una squadra in cui può fare praticamente quello che vuole. Al Tour magari tira qualche volata, ma aiutare un capitano che il Tour può vincerlo, come fa Van Aert, è tutta un’altra questione. Dopodiché, torno a dire, corridori come Van Der Poel gareggiano davvero poco e non so come facciano ad andare così forte. Questo ti dà davvero l’idea della differenza tra il mio ciclismo e quello che c’è adesso, non capisco come facciano ad allenarsi con quell’intensità senza l’adrenalina delle corse. Devi davvero essere sempre super concentrato, e quindi credo che mentalmente sia più difficile.
Wout Van Aert festeggia con Julian Alaphilippe la sua vittoria alla Milano-Sanremo 2020. Lo rivedremo nel 2026?Wout Van Aert festeggia con Julian Alaphilippe la sua vittoria alla Milano-Sanremo 2020. Lo rivedremo nel 2026?
Quindi alla fine sei d’accordo con la scelta di Van Aert e della squadra?
La Sanremo, il Fiandre e la Roubaix dovresti sempre farle secondo me, ma se è una scelta tecnica e io la capisco. Poi non mi sento di avere la competenza per giudicare i metodi di preparazione che ci sono adesso io, perché appunto è tutto diverso, e sicuramente loro avranno fatto tutti i calcoli, come anche nella scorsa stagione. Infatti avrei voluto vederlo anche l’anno scorso perché andava davvero fortissimo prima dell’incidente.
Per rivederlo alla Sanremo allora dobbiamo sperare che quest’anno vinca il Fiandre o la Roubaix?
Questa potrebbe essere una buona soluzione. Come tifosi di Van Aert e del ciclismo forse dovremmo augurarcelo tutti.
Bikone è il movimento centrale usato da Pogacar e dal UAE Team Emirates. Ovvio, ci vorrebbero le sue gambe, la sua testa, il suo cuore ed i suoi polmoni, ma in qualche modo usare un componente che utilizza anche il fuoriclasse sloveno ci fa sentire un po’ più vicini a lui.
Abbiamo provato il movimento centrale che adotta la medesima tecnologia, quella dei cuscinetti ceramici, dell’involucro completamente in alluminio in due parti (DC Tech). Il Team UAE-Emirates adotta la versione T47 per via della predisposizione Colnago V4Rs (la nuova Y1Rs ha le calotte esterne al telaio), noi abbiamo utilizzato un press-fit, ma la sostanza non cambia. Per fare chiarezza anche su alcuni aspetti dei movimenti centrali ceramici abbiamo posto alcuni quesiti allo staff tecnico Maclart, importatore di Bikone in Italia.
Il corpo del movimento è tutto in alluminioDue calotte in lega, maschio e femminaIl corpo del movimento è tutto in alluminioDue calotte in lega, maschio e femmina
Rispetto ad un movimento centrale standard è quantificabile il vantaggio che fornisce un movimento centrale Bikone DC Tech Ceramic?
Il primo vantaggio è che i cuscinetti in acciaio tendono progressivamente ad accumulare calore e quindi ad aumentare di dimensioni, con conseguente aumento dell’attrito. I movimenti centrali con cuscinetti in ceramica disperdono il calore immediatamente ed in modo costante nel tempo. Significa che l’attrito non cambia, nel nostro caso è minimo. In una corsa breve non si nota, ma quando si superano i 50/60 chilometri il calo è evidente e si aggrava. La perdita di wattaggio è compresa tra 13 e 18 watt, a seconda dell’atleta.
Che operazioni sono necessarie per mantenere alto il livello tecnico e di resa di un bb ceramico?
Come utente privato, diciamo che ogni 1.000-1.500 chilometri in condizioni normali di utilizzo, il movimento centrale deve essere smontato, pulito e sgrassato. Deve essere poi applicato il grasso adeguato. E’ consigliabile utilizzare la giusta quantità di grasso al Graphene. Se l’uso è agonistico, professionale o simile, il consiglio è di rimuovere il grasso ad ogni uscita e applicare nuovo grasso o gel specifico.
E’ possibile quantificare la vita utile in piena efficienza di un movimento centrale Bikone DC Tech Ceramic?
E’ difficile essere precisi, le variabili sono diverse. La pulizia, la manutenzione corretta e fatta nel modo giusto. Temperatura, ambiente di utilizzo, clima in generale, ma proviamo ad azzardare un’ipotesi. Tra i 10.000 e 15.000 chilometri per la versione Ceramic, tra i 10.000 e 20.000 chilometri per la versione con i cuscinetti in acciaio.
Prima del montaggioBen oltre i 1.000 chilometri (invernali), grasso originale ancora presente e zero umidità all’internoPrima del montaggioBen oltre i 1.000 chilometri (invernali), grasso originale ancora presente e zero umidità all’interno
Come si presenta il movimento Bikone
Due calotte completamente in alluminio che si innestano l’una nell’altra. Sono molto rigide e ben fatte. Non hanno filettature (abbiamo testato la versione press-fit) e al pari del punto di innesto c’è una guarnizione (una sorta di or in gomma) che ha l’obiettivo di fissare le due porzioni e non fare passare lo sporco. Non c’è Teflon. Quest’ultimo non è presente neppure nelle due boccole d’ingresso dell’asse passante della guarnitura (nel nostro caso 24 millimetri Dura Ace).
La rigidità è nettamente superiore rispetto ad un buon movimento centrale standard. Fin dal primo momento in cui il movimento centrale è estratto dalla busta mostra una libertà assoluta e una scorrevolezza mai riscontrata in precedenza su movimenti centrali di pari livello e categoria.
Le sedi per l’asse passante, anch’esse in legaLe sedi per l’asse passante, anch’esse in lega
Cuscinetti ben riparati
I cuscinetti sono montati a pressione. Sono protetti dalle boccole menzionate in precedenza. Ci sono due schermi parasporco (uno per lato) e c’è l’anello in polimero dove alloggiano le sfere. Queste ultime non si vedono e sono girate verso l’interno del movimento centrale (ottima soluzione, non così scontata).
E’ presente del grasso/gel in abbondanza, indice che sancisce l’utilizzo della tecnologia ceramica al 100%. Non è solo un rivestimento.
Quasi una confezione sottovuoto96 grammi rilevati, tanta sostanzaVersione T47 sulla V4Rs di PogacarLa Y1Rs di Almeida, calotte esterneQuasi una confezione sottovuoto96 grammi rilevati, tanta sostanzaVersione T47 sulla V4Rs di PogacarLa Y1Rs di Almeida, calotte esterne
Più di 1.000 chilometri
Utilizzare un movimento centrale del genere, in una stagione dove lo sporco che arriva dalla strada è tanto e invasivo, è quasi un delitto. Non fosse altro per un prezzo di listino impegnativo. Eppure il Bikone si conferma un gran bel prodotto, fatto e confezionato a regola d’arte. L’indice di pulizia dopo oltre 1000 chilometri di utilizzo conferma il nostro feedback e non abbiamo risparmiato nulla, uscite con il bagnato, sporco e umidità. Eccellente anche il grasso di base che anche dopo i 1000 chilometri rimane e tutto sommato resta pulito e non pastoso.
Ne guadagna la scorrevolezza, anche se è difficile quantificare dei watt, in quanto riteniamo che dovrebbe essere coinvolta tutta la trasmissione, con una pulizia adeguata ed un trattamento specifico (catena in primis e anche il bilanciere posteriore con le sue pulegge). L’aumento della rigidità del comparto centrale invece è quantificabile nell’immediato. Merito del fusto in alluminio, merito di una fluidità del movimento che agevola lo scorrimento complessivo. Un controllo periodico del comparto è fondamentale anche nell’ottica di preservare l’asse passante e la boccola dove appoggia quest’ultimo, in quanto sono entrambi in alluminio.
Wout Van Aert si porta a casa la E3 Saxo Classic, battendo Van der Poel e Pogacar. Botte reciproche sui muri, poi decide lo sprint. Si va verso il Fiandre
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E’ un’eredità difficile quella che Serge Pauwels (nella foto di apertura Instagram/Photonewsbelgium) ha accettato. Dopo una lunga carriera da corridore, chiusa nel 2021 dopo essere stato per anni una colonna del Team Sky, a poco più di 40 anni Pauwels sale sull’ammiraglia della nazionale belga raccogliendo l’eredità di Sven Vanthourenhout reduce da un quadriennio culminato con il risultato più grande possibile, la doppietta di ori ai Giochi Olimpici.
Van Aert e Evenepoel, i loro successi hanno avuto un notevole effetto traino sulle giovani generazioniVan Aert e Evenepoel, i loro successi hanno avuto un notevole effetto traino sulle giovani generazioni
Un fardello pesante per Pauwels, da molti visto come ancora giovane e forse troppo inesperto per guidare una macchina complessa come quella della nazionale belga, ma l’uomo di Lier non è tipo da spaventarsi, ancor meno da tirarsi indietro di fronte alle responsabilità.
Quanto è difficile gestire una nazionale come quella belga?
Beh, è una bella sfida. Gli standard nelle squadre su strada sono molto alti e come federazione vuoi davvero essere all’altezza di quegli standard. Non essere da meno di un team del WT. Quindi essere all’avanguardia nel campo della nutrizione, della meccanica, la logistica. Ma soprattutto lavorare sul gruppo, pur avendolo a disposizione per pochissimo tempo e con gente abituata a corrersi contro giorno dopo giorno. Devi mettere corridori che sono leader nelle loro squadre a confronto, in coabitazione. Far loro accettare anche un ruolo di supporto. E’ un grande puzzle, ma è molto impegnativo da realizzare.
Il neo cittì insieme ad Angelo De Clercq che raccoglie la sua eredità fra gli junioresIl neo cittì era già nei quadri della federazione belga, gestendo gli juniores
Sei all’inizio della tua avventura, che situazione trovi?
Molto buona, abbiamo una generazione molto forte. Non è un caso, dietro i campioni abbiamo ora una filiera di talenti, ci sono molti giovani che sono davvero promettenti, ma sono al loro inizio, vanno seguiti. E’ bello poter lavorare con questi campioni e provare a lottare per la vittoria nei grandi eventi. Ma per farlo questi corridori andranno seguiti e accompagnati, anch’io nel mio ruolo conto di farlo, non solo nei campionati ma anche nelle occasioni che la stagione presenta.
A tuo giudizio, quanto i risultati di Van Aert prima ed Evenepoel poi stanno influendo sulle giovani generazioni?
Oh, non possiamo sottovalutare il loro ruolo di modelli per i più giovani. Io credo che molti dei giovani emergenti siano ispirati da Remco, dalla sua affermazione repentina. Sta influendo anche sul tipo di corridori: 10 anni fa non avevamo specialisti di corse a tappe, puntavamo solo sulle classiche, ora i suoi successi stanno cambiando tutto, vediamo uno spostamento verso i grandi giri, le classifiche generali. E i corridori in grado di emergere si moltiplicano sempre di più.
Su Alec Segaert, Pauwels è pronto a scommettere dopo averlo avuto nelle file nazionali da juniorSu Alec Segaert, Pauwels è pronto a scommettere dopo averlo avuto nelle file nazionali da junior
Tu hai avuto una lunga carriera con molti risultati importanti. Quando hai iniziato fra i professionisti, era un ciclismo diverso da quello che i giovani trovano oggi?
Certo, Oggi c’è molta più trasparenza e cura nel modo in cui i professionisti si allenano e mangiano perché tutto è messo in mostra, su Strava o sui social media. Ciò significa che quelle informazioni sono in un certo senso disponibili per i giovani ciclisti che cercano di copiare già in giovane età. Questo porta a una maggiore professionalità, forse anche precoce. Noi tutto ciò non l’avevamo, ci affidavamo ai direttori sportivi. Infatti oggi la categoria degli juniores sta già diventando anche più importante degli under 23, a 20 anni sei già un corridore formato.
I mondiali in Rwanda quali difficoltà comporterebbero, sei favorevole al loro spostamento?
La situazione politica lì è molto complicata, ma io di base non sono favorevole. Perché penso che sia un’ottima occasione per allargare gli orizzonti. Ho in programma di andare in Rwanda il mese prossimo per un sopralluogo se la situazione lo consentirà. Io posso parlare dal punto di vista ciclistico e penso che sarà una corsa super dura per tre fattori di stress. Il primo è l’altitudine, perché si pedala sempre sopra i 1.400 metri. Poi il caldo, siamo sempre tra i 25-30 gradi, infine l’umidità che è piuttosto alta. Tutto ciò unito alla distanza, si farà sentire. Vedremo quel che succederà.
I successi della Kopecky nascondono una situazione del ciclismo femminile belga ancora difficile ma in evoluzioneI successi della Kopecky nascondono una situazione del ciclismo femminile belga ancora difficile ma in evoluzione
Molte nazionali però, se i mondiali restano in Africa, pensano di rinunciare alle categorie giovanili, come successe nel 2020 per il covid. Sarebbe un danno, per l’evoluzione dei giovani?
In un certo senso sì, sarebbe un po’ triste. E’ chiaro che la trasferta è molto costosa e per molti non è possibile sostenerla. Non c’è niente che la federazione possa fare da sola. Noi facciamo affidamento anche sul supporto del governo, degli sponsor e non è così facile sostenere una spedizione che può costare dai 150 mila euro in su. E’ un fattore sul quale ragionare.
Perché c’è così grande disparità fra uomini e donne in Belgio, con poche atlete d’elite dietro la Kopecky?
Lei sta facendo tantissimo con il suo esempio, è un po’ l’effetto di Evenepoel al femminile. Bisogna aspettare che il movimento cresca e dietro di lei ne emergano altre. Ci sono alcune giovani promettenti, come Lore de Schepper. Poi è chiaro che Lotte è la numero 1 in assoluto, un talento così non nasce spesso. Ma lei è anche un’ispirazione per tante ragazze, per provare a seguire le sue orme, i suoi effetti si vedranno negli anni a venire.
La tappa di Faenza al Giro 2009, vinta da Pauwels dopo la squalifica di Bertagnolli (foto Getty Images)La tappa di Faenza al Giro 2009, vinta da Pauwels dopo la squalifica di Bertagnolli (foto Getty Images)
Quando hai chiuso la tua carriera, ti saresti mai aspettato di arrivare alla guida della nazionale?
Beh, forse non subito, ma quando ho potuto entrare in federazione, curare prima la fascia di sviluppo e poi l’anno scorso come responsabile degli juniores, avevo l’ambizione di arrivare a questo incarico. E naturalmente, i giovani corridori con cui ho lavorato nel mio primo anno ora sono tutti professionisti, come Segaert. Forse è arrivato un po’ prima di quanto pensassi, ma è sempre stata la mia ambizione. Ora sono lì, in quella posizione e sono, ovviamente, super felice e orgoglioso di potermi mettere alla prova.
Se torni indietro nel tempo, qual è stato il tuo momento più bello da corridore?
Difficile a dirsi, ma se dovessi scegliere propenderei per la tappa al Giro d’Italia del 2009. Mi stavo scoprendo come corridore, mi sentivo molto forte allora. Poi nel 2015, il Tour de France corso con la MTN Qhubeka, oppure la partecipazione alle Olimpiadi di Rio nel 2016. Porto con me tanti bei ricordi, difficile sceglierne uno, ognuno è un pezzetto di quel che sono.
Di colpo in gruppo si è cominciato a parlare di carboidrati e quanti mangiarne ogni ora per essere forti fino alla linea del traguardo. Niente più crisi di fame, massima efficienza dall’inizio alla fine e la necessità di allenarsi per mandarli giù e farci poi la pace. Sarà stato un caso, ma la svolta è diventata evidente a partire dal 2020, l’anno frenetico della ripresa post lockdown, quando ogni corsa rischiava di essere l’ultima per chissà quanto tempo ancora.
Che cosa è successo in quei tre mesi di chiusura totale? I nutrizionisti hanno avuto il tempo per studiare oppure si è andati avanti sulla cresta di un’onda che era già partita in precedenza? Cercheremo di scoprirlo coinvolgendo due nutrizionisti del gruppo: Laura Martinelli del Team Jayco-AlUla e Nicola Moschetti del Team Bahrain Victorious.
Laura Martinelli è la nutrizionista del Team Jayco-AlUla (foto Jayco-ALula)Laura Martinelli è la nutrizionista del Team Jayco-AlUla (foto Jayco-ALula)
E’ stato per caso che di tanti argomenti si sia iniziato a parlare alla ripresa dal Covid?
MARTINELLI: «Da un lato forse è una coincidenza, dall’altro invece no. Un’attenzione così grande nei confronti della nutrizione, secondo me a volte anche eccessiva, è multifattoriale. Tra i fattori possono essere stati il Covid e la necessità di gestire il peso e la forma fisica senza la reale possibilità di allenarsi. Ci siamo tutti trovati in una situazione straordinaria in cui il corridore spesso lavorava sui rulli e non poteva uscire o poteva farlo in maniera limitata, senza sapere quando sarebbero riprese le corse. Però l’attenzione verso questi aspetti era già schizzata in maniera vertiginosamente alta fra il 2010 e il 2015. Probabilmente il Covid ha alimentato una tendenza che era già viva».
MOSCHETTI: «Forse è successo che fermandosi il mondo intero, si è approfondito di più l’aspetto. Dal punto di vista nutrizionale, fino a otto anni fa il massimo di carboidrati che si poteva pensare era di 90 grammi/ora. Invece gli ultimi studi evidenziano come 120 grammi/ora in sport di endurance o gare di alta intensità siano fondamentali per massimizzare la performance in tutte le categorie. Prima i più giovani non ponevano attenzione all’alimentazione, adesso la pongono e soprattutto si adattano. Arrivano anche loro a 120 grammi/ora e secondo me certe prestazioni sono la conseguenza. Mentre atleti più maturi, abituati da dieci anni a mangiare anche 50 grammi di carboidrati/ora, hanno sofferto per questa capacità di utilizzo che non avevano. Anche prima del Covid erano iniziati gli studi su questo assorbimento dei carboidrati, però poi è stata tutta un’evoluzione».
Nicola Moschetti è il nutrizionista della Bahrain VictoriousNicola Moschetti è il nutrizionista della Bahrain Victorious
E’ pensabile che i nutrizionisti abbiano sfruttato il lockdown per studiare e mettere a punto nuove strategie?
MARTINELLI: «E’ innegabile che nei mesi di chiusura, io ad esempio abbia studiato molto più del solito. Eravamo a casa e ho avuto più tempo da dedicare all’aggiornamento e allo studio. Un po’ anche per necessità, dato che ci siamo dovuti confrontare con uno scenario nuovo e quindi nel cercare soluzioni alternative, ti metti a studiare. Almeno io faccio così. Ricordo che facemmo delle riunioni proiettando delle slide, delle presentazioni preparate insieme ai preparatori e ai medici, anche perché c’era anche una certa competitività con le altre squadre. Non era più legata a chi avesse i cavalli migliori, ma anche chi li gestisse meglio».
MOSCHETTI: «Il fatto che tutto questo sia avvenuto durante il lockdown può essere anche stato una coincidenza. Possono esserci più fattori che abbiano influenzato e spinto gli stessi professionisti della nutrizione ad approfondire la letteratura. Provo e sperimento, perché finalmente ho il tempo per farlo. Quello che ha dato la sferzata maggiore in effetti è stato il tempo, averne di più per riflettere e fare degli esperimenti».
Per tre mesi nel 2020 i corridori si sono allenati sui rulli con diverse esigenze alimentari. Qui RoglicPer tre mesi nel 2020 i corridori si sono allenati sui rulli con diverse esigenze alimentari. Qui Roglic
Può essere che l’attenzione sia aumentata per evitare che, allenandosi solo sui rulli, i corridori assumessero più carboidrati del necessario?
MARTINELLI: «Ricordo che ero ancora al Bahrain e con Landa si era fatta una programmazione in modo che non prendesse peso nello stare fermo. Quindi magari il Covid ha limitato l’allenamento, ma non ha limitato la nutrizione. Anzi, era una delle poche variabili che si riuscivano a controllare. Non credo però che si sia studiato per tenere sotto controllo il quantitativo di carboidrati che gli atleti prendessero quando si allenavano sui rulli. Perché alla fine erano gli amatori che passavano anche 5-6 ore sui rulli, i professionisti facevano al massimo un’ora, un’ora e mezza».
MOSCHETTI: «Forse c’è stata un’attenzione maggiore perché durante il lockdown la difficoltà principale per gli atleti era allenarsi senza poter uscire e quel periodo ha trasformato l’allenamento sui rulli. L’alimentazione è stata adattata, per la paura di aumentare di peso. Un’attenzione maggiore che su strada si è sposata all’aumento dell’intensità. E’ evidente che il livello di questi ultimi tre anni sia folle. In tutte le categorie, non solo nel WorldTour, lo vedo anche fra gli allievi, gli juniores e gli under 23».
Da principale fonte di carboidrati, la pasta è stata affiancata se non sostituita da prodotti specificiDa principale fonte di carboidrati, la pasta è stata affiancata se non sostituita da prodotti specifici
Quindi è possibile che semplicemente il lockdown abbia fatto sembrare più brusco il cambio di passo, che però era già iniziato prima?
MARTINELLI: «Secondo me in ambito scientifico era un tema emerso prima e poi venuto fuori in maniera sempre più prepotente. La ricerca si è accorta che i trasportatori del fruttosio non si saturano a 20 grammi/ora come pensavamo prima e allora si è provato ad aumentare. Ci sono state varie congetture da parte dei soliti noti, i due o tre esperti mondiali di riferimento, che ci hanno visto giusto. Da lì poi hanno innescato un circolo virtuoso di nuovi ricercatori appassionati che hanno pubblicato sul carboidrato».
MOSCHETTI: «E’ possibile, come credo che non si potrà andare avanti a oltranza. Non penso che ora si possa arrivare a 200 grammi di carboidrati oppure anche 150-160, anche se il limite si sta spostando sempre verso l’alto. Adesso è alla quota di 130 grammi/ora, ma si ragiona già di più sulla distribuzione in gara, in base ai percorsi e al ruolo del singolo atleta. Si arriva a 130 se ad esempio nella seconda ora di gara hai una salita impegnativa, ma scendi a 100 se l’ora successiva si farà a ritmo più blando».
La quota carboidrati in corsa viene raggiunta principalmente tramite borracce o gelLa quota carboidrati in corsa viene raggiunta principalmente tramite borracce o gel
Se con i carboidrati abbiamo raggiunto il limite, su cosa si concentrerà ora l’attenzione?
MARTINELLI: «Qualcosa si sta muovendo con le proteine. Per decenni si è pensato che ci fosse un limite di assorbimento intestinale, oltre al quale l’eccesso di proteine veniva convertito in grassi. L’anno scorso invece un ricercatore ha avuto l’intuizione giusta e ha dimostrato il contrario, quindi mi aspetto a breve più interesse dalla comunità scientifica verso le proteine. Quel limite in realtà non era reale e quindi si proverà ad oltrepassarlo. La stessa cosa fatta dieci anni prima con i carboidrati. L’aspetto proteico potrebbe essere il prossimo fronte di approfondimento. Anche perché negli ultimi anni i corridori sono ovviamente magri, però secondo un concetto diverso di magrezza. Hanno una muscolatura superiore rispetto a vent’anni fa, quando la magrezza era piuttosto un deperimento».
MOSCHETTI: « Secondo me quello che accadrà sarà invece lo studio a livello di intestino, cioè la flora batterica intestinale che è diversa per ognuno di noi. Quindi si lavorerà sull’utilizzo di probiotici specifici, ragionando su tutto l’asse intestinale. Il microbioma intestinale, lo studio sul microbioma e l’aumento della personalizzazione. Proprio per questo li seguiamo 365 giorni l’anno. Inviamo loro la quantità di grammi di grassi e proteine che devono mangiare per ogni pasto. Dalla colazione fino alla cena: in ritiro, a casa e anche in gara. In base al tipo di allenamento, in base alla potenza che hanno fatto, in base ai tanti fattori nella vita di un atleta professionista».
Mirco Maestri la polvere dalle ruote l’ha già tolta il 25 gennaio quando ha corso alla Classica Camp de Morvedre. Il corridore emiliano ha iniziato così la sua quarta stagione nel team di Ivan Basso, che nel frattempo ha cambiato nome passando da Eolo-Kometa a Polti VisitMalta (in apertura foto Maurizio Borserini).
«Ho corso quella gara classificata come .2 sul calendario – spiega Maestri – perché la squadra aveva bisogno di un corridore esperto da affiancare ai giovani. In corsa non c’erano le radio e avevano bisogno di un punto di riferimento che coordinasse il tutto. In quell’appuntamento è andato molto bene Crescioli, che è arrivato ottavo. E’ un bel corridore con tanti margini di crescita, l’ho visto bene e sono fiducioso di quello che può fare».
La stagione di Maestri è partita dalla Spagna con la Classica Camp de MorvedreLa stagione di Maestri è partita dalla Spagna con la Classica Camp de Morvedre
Quattro giorni di carico
La presenza estemporanea alla Classica de Morvedre non era di certo prevista, ma Maestri ci ha sempre mostrato una grande predisposizione al sacrificio e all’aiuto, così quando è arrivata la chiamata “Paperino” non si è tirato indietro.
«Coordinare tutto – continua a raccontare – non è facile, ma vedere che i ragazzi ti seguono e ti ascoltano è bello, dà soddisfazione. Fare il diesse in gara è sempre un ruolo delicato, soprattutto se non ci sono le radioline, se poi si sbaglia si devono fare i conti con i capi in ammiraglia (ride, ndr). Io arrivavo direttamente dal ritiro, eravamo in Spagna e serviva un corridore esperto. La sera stessa sono tornato in hotel e poi ho fatto una “tripletta”, altro che riposo (altra risata, ndr)».
Eccoli i giovani della Polti VisitMalta alle spalle dell’esperto Maestri, diesse in garaMaestri in gara ha svolto il ruolo di diesse in corsaEcco i giovani della Polti VisitMalta al riparo dietro le sue ruote
C’è anche una bella foto di te con tutti i ragazzi intorno.
L’obiettivo era correre uniti e scortarli fino all’ultima salita, tenendoli sempre lontani dai pericoli e assicurandomi di non far andare via fughe numerose senza uno dei nostri dentro. In quella foto li stavo tenendo al riparo dal vento, ho detto loro: «Sto io davanti, voi dietro al riparo».
Ora tocca a te fare sul serio…
Si parte tra poco, domani con la Volta a la Comunitat Valenciana. E’ stata la mia gara tra i professionisti, nove anni fa. Durante l’inverno ci siamo preparati bene, ma come dice Zanatta: «Puoi fare tutti i test del mondo ma poi si vede in gara come stanno le gambe». E ha ragione.
Maestri ha esordito alla Volta a la Comunitat Valenciana nel 2016Maestri ha esordito alla Volta a la Comunitat Valenciana nel 2016
La squadra come sta?
Bene! Sono arrivati anche due rinforzi molto importanti: Tonelli e Zoccarato. Quest’ultimo l’ho voluto con tutto me stesso e sono contento che sia qui. Mentre Tonelli avevo provato a convincerlo due anni fa di venire qui alla Polti. Lo conosco da tanti anni, siamo sempre stati amici anche con maglie diverse. Basta guardare alle ultime Sanremo, eravamo sempre in fuga insieme.
Allora quest’anno proverete a tornarci con la stessa maglia?
Magari (ride, ndr). Ormai in queste corse devi partire con la consapevolezza che di spazio ce ne sarà poco. Tonelli è uno che va forte anche in salita, e sarà un ottimo rinforzo per dare una mano a Piganzoli.
Una delle figure di riferimento per la Polti VisitMalta per la stagione 2025 sarà PiganzoliUna delle figure di riferimento per la Polti VisitMalta per la stagione 2025 sarà Piganzoli
Ripensare a quella prima Valenciana cosa ti provoca?
Un ricordo dolce-amaro. Ricordo che alla prima tappa alzai lo sguardo e c’era la Sky in testa a tirare e ho pensato: «Cavolo, ma sono davvero qui?». In quella stessa giornata ero andato in fuga con un corridore della Quick Step (Dan Martin, ndr) che mi staccò all’ultimo giro. Lui vinse, mentre io fui ripreso negli ultimi 200 metri. Ora però queste gare le preparo diversamente, con il passare degli anni ho cambiato ruolo. Sono sempre di supporto ai compagni ma mi metterò alla prova nelle corse più impegnative.
Arrivi da una stagione di conferme da questo punto di vista…
Ne parlavo con Basso qualche giorno fa. La seconda metà del 2024 mi ha dato tante risposte positive, a partire dal Giro del Lussemburgo nel quale sono andato forte. Tutte prestazioni che mi hanno permesso di guadagnarmi la prima convocazione in nazionale agli europei.
Maestri riparte in questa stagione con nuove conferme e la solita voglia di imparare e mettersi in giocoMaestri riparte in questa stagione con nuove conferme e la solita voglia di imparare e mettersi in gioco
Dal 2025 cosa ti aspetti?
Metterò la stessa mentalità, una pagina bianca nella quale non dovranno mancare voglia di migliorare e imparare. Non si deve mai dare nulla per scontato, dopo la scorsa stagione ho più consapevolezza nei miei mezzi. Ne parlavo con Zanatta, che è stata una figura di riferimento nella mia carriera, ora si devono provare le fughe che possono andare. Bisogna ponderare le scelte e non sprecare energie.
La Polti VisitMalta sembra una squadra ben equilibrata e pronta a una bella stagione…
Ci sono tanti giovani, ognuno in un momento diverso della carriera ma tutti di valore. Piganzoli è forte, molto, e ha iniziato bene questo 2025. Restare con noi un altro anno gli darà la possibilità di provare e farsi valere. Poi se si consacrerà definitivamente sarà il momento giusto di lasciare il nido e provare a spiccare il volo.
Secondo Maestri il nome che dovrà emergere in questa stagione è quello di TerceroSecondo Maestri il nome che dovrà emergere in questa stagione è quello di Tercero
Ci sono anche talenti appena arrivati e altri da lanciare.
Uno di quelli appena arrivati è Crescioli che nell’esordio stagionale mi ha sorpreso davvero. Tuttavia credo che questo sia l’anno giusto per provare a far emergere il talento di Tercero. Ci sono le prospettive per renderlo uno dei nostri uomini di punta. Ha le qualità per farlo, il 2024 è stato un anno difficile visti i tanti problemi fisici. Ma ora è il suo momento.
Anna Van der Breggen torna a correre dopo tre anni di stop e lo fa con la maglia della Sd Worx-Protime. E questo forse è il colpo di mercato, dopo la Longo Borghini alla UAE Adq, più grosso dell’anno. Ma non è di questo che vogliamo parlare (in apertura foto @gettysport).
Van der Breggen è una delle più grandi campionesse del ciclismo femminile di ogni tempo e si rimette in gioco, ma con una prospettiva nuova. Accanto a lei c’è Gianpaolo Mondini, uno dei direttori sportivi del team. In qualche modo “Mondo” l’aveva già seguita per anni nel suo percorso e ora la vede affrontare questa sfida. Numeri, aspetti psicologici e il confronto con un ciclismo che continua ad evolversi: Mondini, una laurea in Psicologia, ci aiuta a capire quali siano le sensazioni della fuoriclasse olandese e cosa aspettarsi dal suo rientro.
Gianpaolo Mondini (classe 1972) è pronto a debuttare come direttore sportivo nella Sd WorxGianpaolo Mondini (classe 1972) è pronto a debuttare come direttore sportivo nella Sd Worx
Giampaolo, che rapporto hai con Anna van der Breggen e che tipo di persona è?
Ho iniziato a lavorare con Anna dopo Rio 2016, quando ha vinto l’oro olimpico ed è entrata nelle squadre che usavano Specialized. La conosco da molti anni ed è sempre stata una ragazza molto riservata, riflessiva, una che si fa molte domande. Non è il tipo esplosivo alla Sagan o alla Pogacar, è più compassata e controllata, anche nei momenti di esultanza. È l’opposto di una Lorena Wiebes, per fare un paragone.
Tre anni di assenza non sono pochi…
Ma è questa la sfida. Negli anni in cui aveva smesso ha continuato comunque a lavorare come coach nel team, specializzandosi nella preparazione e nell’analisi dei dati, allenandosi quasi sempre con le ragazze. Non è mai uscita del tutto da questo mondo.
Essere così analitica e “sul pezzo” anche come coach può essere un vantaggio o un limite?
Un tempo si diceva che bisognava essere un po’ più “stupidi”, non chiedersi troppe cose, ma oggi il ciclismo è cambiato. Gli atleti vogliono sapere, capire i meccanismi dietro la preparazione, l’alimentazione, l’allenamento. Se riesci a comprendere il tuo motore, hai un vantaggio. Anna è molto avanti in questo senso, ha studiato nei dettagli la sua strategia vincente, come ha fatto per anni nelle classiche. Ricordo per esempio quando disse anche alla Vollering che sul Muro d’Huy alla Freccia Vallone, non doveva mai alzarsi sui pedali fino ai 150 metri dal traguardo. Facendo così ne ha vinte sette! Il suo unico dubbio potrebbe essere adattarsi alle nuove dinamiche di gara e ai cambiamenti del gruppo (cosa che in parte ci aveva detto anche Elena Cecchini, ndr).
Cioè?
Altre ragazze, atlete più giovani, gare un po’ più lunghe, un livello mediamente più elevato. Insomma, ritrova un gruppo diverso.
In questi anni da coach, la stima per Anna da parte delle ragazze è cresciuta. E’ sempre più un riferimentoIn questi anni da coach, la stima per Anna da parte delle ragazze è cresciuta. E’ sempre più un riferimento
Si allena da sola o ha un supporto esterno?
Noi in squadra abbiamo una rete di coach, allenatori e medici che monitorano la preparazione di tutti gli atleti. Anna è in grado di gestirsi da sola e preparare le sue tabelle, ma può sempre contare sul supporto del team e su consigli esterni. Il nostro sistema garantisce un continuo aggiornamento sulle sue condizioni e la possibilità di intervenire se necessario.
Si dice che abbia ottimi dati, in termini di watt: ma ha ancora il motore per il ciclismo moderno?
Anna non ha mai smesso davvero di allenarsi, ha sempre lavorato con il gruppo, e i valori che abbiamo testato non sono lontani da quelli che aveva in passato. La vera sfida sarà trasferire quei numeri in gara, nel momento decisivo. Non è solo questione di potenza, ma anche di gestione dello stress, di posizionamento in corsa, di capacità di adattarsi alle situazioni. Sarà una prova importante per lei anche a livello mentale.
Come sta vivendo questo rientro? Come la vedi?
Con grande serenità, senza l’assillo del risultato. Il suo obiettivo non è dimostrare di poter vincere di nuovo, ma di essere competitiva, di poter fare la differenza nel finale di corsa. Si mette a disposizione della squadra, vuole essere un elemento prezioso per il team. La sua carriera parla per lei, non ha bisogno di conferme.
Il suo passato da coach può influire sui rapporti nel gruppo? E può essere una diesse in corsa?
Sì, assolutamente. Anna ha vinto tutto e questo le garantisce un enorme rispetto all’interno della squadra. E’ una che parla poco, ma quando lo fa, difficilmente sbaglia. Negli ultimi anni ha sviluppato la capacità di stare vicino alle compagne, di capire quando e come intervenire, di dare consigli nei momenti giusti. E’ una leader silenziosa ma molto efficace.
Freccia Vallone 2021: Van der Breggen resta seduta e cerca di andare agile. Questa sarà la sua settima vittoria consecutiva sul Muro d’HuyFreccia Vallone 2021: Van der Breggen resta seduta e cerca di andare agile. Questa sarà la sua settima vittoria consecutiva sul Muro d’Huy
Quali saranno i suoi obiettivi stagionali?
L’idea è farla partire dalle classiche, soprattutto le Ardenne, che sono sempre state il suo terreno ideale. Però dobbiamo ancora definire il calendario con precisione.
Quando inizierà a correre?
Sistemate alcune pratiche burocratiche, finalmente possiamo dire che inizierà alla Volta Comunitat Valenciana. Da lì poi le classiche.
Come vedi il suo ritorno nel lungo periodo?
Dipenderà molto da come si adatterà alle corse moderne. I numeri ci sono, la testa pure, ma il ciclismo oggi è più veloce e aggressivo. Se riuscirà a trovare il giusto equilibrio, potrebbe essere un valore aggiunto enorme per la squadra, non solo come atleta ma anche come riferimento per le compagne.
Chiaro…
Io credo che Anna avrà un impatto positivo, senza dubbio. Una come lei non può che far crescere l’intero team. Il suo rientro è un segnale importante, non solo per la squadra ma per tutto il ciclismo femminile. Sarà interessante vedere come evolverà la sua stagione.
Fiandre delle donne a Lotte Kopecky. Una corsa intensa, ben gestita dalla Sd Worx (in ammiraglia la Van der Breggen) in cui corre Elena Cecchini. Che racconta...
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«Quando avevo 15 anni per tutta l’estate ho fatto la baby sitter. Con i soldi guadagnati ho comprato la mia prima bici». Eva Lechner è così. È sempre stata così: semplice, diretta, coriacea, determinata. Sabato, cioè l’altro ieri, ai mondiali di ciclocross a Liévin, ha chiuso una carriera straordinaria.
Strada, ciclocross, mountain bike: la campionessa altoatesina ha lasciato il segno ovunque. A 39 anni, 40 a luglio, Lechner ha detto basta, ma il suo lascito resta indelebile. Comprese le categorie giovanili, si contano oltre 30 titoli italiani, uno persino su strada tra le elite, tre medaglie ai mondiali, due nella mtb (un argento e un bronzo), e una nel cross (un argento). E ancora: titoli europei, partecipazione a quattro Olimpiadi… Potremmo continuare all’infinito.
Eva Lechner (classe 1995) ha chiuso la carriera al mondiale di LiévinLechner (classe 1995) ha chiuso la carriera al mondiale di cross Liévin
Vero, le cose sono cambiate a dicembre. Non sono andata al mondiale per i meriti sportivi di quest’anno, ma il cittì Daniele Pontoni aveva in mente di darmi un premio carriera. Ne abbiamo parlato, io avevo questo desiderio di chiudere con un Mondiale e lui mi ha promesso che avrebbe fatto di tutto per portarmi. Con la Federazione si è deciso di farmi questo regalo, che ho apprezzato tantissimo. Per me è stato un onore poter indossare ancora una volta la maglia azzurra.
Come hai vissuto quest’ultima gara della tua carriera?
È stato bello. Il percorso era duro, ma mi sono sentita bene e per questo mi sono anche divertita. Ho fatto il miglior risultato della stagione, il che non è poco a 39 anni, gareggiando contro atlete di altissimo livello. Nell’ultimo giro mi sono goduta ogni istante, salutando il pubblico. Avevo un buon vantaggio su chi era dietro di me, posto che avrei potuto anche perdere una posizione, ma sapete… non si vuole mai mollare. Neanche alla fine. C’era un lungo rettilineo in salita pieno di gente: ho dato il cinque a tantissimi tifosi e sono arrivata al traguardo con il sorriso.
Sei stata una campionessa in più discipline. Se pensi a un momento per ognuna, quale ti viene in mente?
Parto dalla strada, che è quella che ho fatto meno. Direi senza dubbio il Mondiale di Varese 2008: una bellissima esperienza. Quel giorno lavorai tanto per la squadra e mi ritirai, ma che giornata! Ricordo tutto questo pubblico e io lì a difendere i colori dell’Italia. Poi ricordo bene anche il titolo italiano vinto un po’ a sorpresa. Era il 2007 a Genova. Quando passai in testa la linea del traguardo non ci credevo: «Ma cosa ho fatto?», mi dicevo.
Mondiali di ciclocross 2014: Lechner fu la prima azzurra a riuscire nell’impresa di salire sul podio in questa disciplina. Qui con Marianne VosMondiali di ciclocross 2014: Lechner fu la prima azzurra a riuscire nell’impresa di salire sul podio in questa disciplina. Qui con Marianne Vos
Nel cross?
Nel ciclocross mi viene in mente la prima vittoria in Coppa del Mondo a Hoogerheide e il secondo posto al Mondiale: arrivare dietro Marianne Vos era come vincere a quei tempi. Quel giorno pensai a mettermi alla ruota di Marianne. Pensavo intanto a stare dietro a lei. Questo mi avrebbe fatto guadagnare terreno sulle altre e andò esattamente così. Poi nel corso della gara lei mi staccò, ma io stavo bene e mantenni il secondo posto.
E infine la “tua” MTB…
Per la mountain bike i momenti sono tantissimi, ma direi anche qui la prima vittoria in Coppa del Mondo a Houffalize nel 2010. C’era tanto fango quel giorno. A un certo punto, in cima a una salita, c’era una stradina stretta, stretta. Io ero a ruota di Willow Rockwell e ricordo che lì stavo benissimo. Avrei potuto passarla quando volevo. Ma lì non si poteva. Con estrema tranquillità dissi a me stessa che lo avrei fatto appena possibile. E così feci. Andò tutto secondo i piani, tutto era sotto controllo. Tutto facile. Il top a livello psicofisico. E poi ricordo la medaglia d’argento ai Mondiali di Leogang: salire sul podio iridato fu una grandissima soddisfazione. Era il 2020 ed era passato qualche anno (per la cronaca vinse Pauline Ferrand-Prévot, ndr).
Ci sono stati momenti difficili? Delusioni?
Direi le Olimpiadi, soprattutto quelle di Londra 2012, dove davvero potevo fare qualcosa di importante. Era un anno difficile, non riuscivo a esprimermi al meglio, avevo troppa pressione. Dopo la gara ero a pezzi. Per un bel po’ non sono riuscita neanche a salire in bici.
Le Olimpiadi, il tasto dolente di Lechner. Ne ha disputate quattro. Miglior piazzamento il 16° posto a Pechino 2008Le Olimpiadi, il tasto dolente di Lechner. Ne ha disputate quattro. Miglior piazzamento il 16° posto a Pechino 2008
E come ti sei rialzata?
Non so di preciso. C’era ancora un Mondiale e, piano piano, sono ripartita. Mi ha aiutato pormi un nuovo obiettivo: quando hai qualcosa da raggiungere, trovi la forza per ripartire e così è andata. Ma fu una vera batosta.
Senza togliere nulla agli altri, qual è il “tuo” tecnico?
Edi Telser, il mio preparatore per 13 anni. Lui è di Prato allo Stelvio. Ora è il cittì della Svizzera. Mi ha seguita a lungo e ha avuto un impatto enorme sulla mia carriera. È lui che mi portò nella selezione dell’Alto Adige, mi fece fare il primo ritiro, le gare all’estero e tanto altro.
Come hai iniziato a correre?
Ho iniziato a 16 anni, un po’ tardi. Non sapevo nemmeno che esistessero le gare di mountain bike. Dalle mie parti c’erano tutti sport di squadra. Io ho sempre amato la competizione, ma non mi piacevano gli sport di squadra appunto. Ho provato anche l’atletica leggera, ma…
Una Eva in formato bambina. Eccola, piccolissima, con una mtb ben più grande di leiUna Eva in formato bambina. Eccola, piccolissima, con una mtb ben più grande di lei
Ma?
Ma non mi piaceva, non tanto per lo sport in sé, ma perché quando andavi ad allenarti facevi altre cose, esercizi. Mentre nella bici, se gareggi o se ti alleni, comunque pedali.
E quindi come sei arrivata alla bici?
Avevo iniziato ad andare in bici, ma così, da sola. Era quella delle mie sorelle più grandi. Ma ormai, arrivata a me, era sempre rotta. Papà me l’aggiustava, ma io questa cosa proprio non la sopportavo. Così un’estate ho fatto la baby sitter e con i soldi ho comprato la mia prima bici. Era una Giant argentata, una mtb rigida. La scelsi perché mi piaceva. Quello però fu anche il momento in cui cambiarono le cose.
Perché, cosa accadde?
Entrando nel negozio di bici ad Appiano ho conosciuto il mio primo allenatore, Anglani, che mi ha invitata a provare. Alla prima gara, a Villa Lagarina, feci una fatica immensa, ma mi è piacque subito. Ero proprio contenta e soddisfatta. Da lì altre gare. C’era una ragazza, sempre dell’Alto Adige, che mi batteva sempre. Poi al campionato italiano l’ho battuta io! Da quel giorno non mi è più arrivata davanti.
Avevi messo le cose in chiaro!
Sì, l’anno dopo, il primo anno junior, vincevo tutto. Al secondo anno, nel 2003 a Nalles, che per me era una gara di casa, Morelli e Telser ebbero l’idea di farmi partire con le élite, giusto per capire dove potevo arrivare. I giudici fecero un’eccezione e mi fecero partire con le élite. C’era un bel parterre: Kalentieva, Dahle, Kraft… Finii terza, davanti a tutte le altre italiane.
I cavalli, una passione di lungo corso per Eva (foto Sabine Jacobs)I cavalli, una passione di lungo corso per Eva (foto Sabine Jacobs)
Oggi c’è una nuova Eva Lechner in Italia?
Bisogna vedere. Oggi i ragazzi sono già super allenati e hanno materiale al top. Bisogna capire quanto lavoro hanno già fatto e quanto margine di miglioramento gli resta, perché vedo delle ragazze e dei ragazzi sono fortissimi da piccoli, poi però non arrivano. Ci sono i giovani stra-allenati. Tutto è diverso, anche le discipline. Le gare sono più corte, sono più intense… Non so, ma credo sarà difficile per loro avere una carriera lunga tanto quanto la mia. Sono costretti ad essere professionali sin da subito e mentalmente non è facile.
E dal punto di vista della multidisciplinarietà?
Quella c’è e credo sia un bene. Spero che continuino a fargliela fare anche quando sono più grandi. Io l’ho fatta sin da giovane. “Tels”, ai tempi, mi faceva fare le gare su strada e questo è importante soprattutto per chi fa ciclocross da quel che vedo.
Oltre ai tuoi cavalli, cosa prevede il futuro?
Mi piacerebbe rimanere nell’ambiente e aiutare i giovani a crescere. Trasmettere la mia esperienza e far parte del loro percorso. È una cosa che mi piacerebbe molto, anche se non so ancora in quale ruolo. Vedremo nelle prossime settimane cosa accadrà, visto che devo parlare con qualcuno. Speriamo bene!
Van Aert arriva a Vermiglio nella notte del sabato. Stamattina ha provato le gomme. Poi ha demolito i rivali. «Fatta la storia del cross, volevo esserci»