Se in Italia Bennati è tenuto a bagnomaria in attesa delle elezioni presidenziali, in Belgio è già deciso che ci sarà un cambio alla guida della nazionale. Sven Vanthourenhout ha deciso di chiudere la sua quadriennale esperienza per tuffarsi nel mondo del WorldTour.
Molti media lo danno vicinissimo alla Red Bull Bora Hansgrohe, ma l’ex campione di ciclocross non ha ancora ufficialmente deciso dove andrà. Intanto però mette alle spalle un quadriennio che di soddisfazioni ne ha portate tante, ma si sa che nella patria del ciclismo i palati sono fini e non ci si sente mai appagati, anzi…


E’ proprio dall’analisi di questi quattro anni, così intensi e per molti versi difficili, che parte l’intervista al tecnico belga: «Posso dire che sono stati abbastanza eccitanti. Perché sono arrivato un po’ a sorpresa, avendo un passato da ciclocrossista e non da professionista di spicco su strada. Oltretutto a capo di una nazionale piena di grandi corridori e con una federazione importante alle spalle. È stato un grande passo nella mia carriera. Posso dire di aver avuto successo, favorito naturalmente dai nomi a mia disposizione per ogni grande evento. Le medaglie sono importanti, ma per me conta anche il modo in cui ho lavorato».
Quanto cambia tra il guidare una nazionale ed essere direttore sportivo in un team?
È un po’ diverso. Con la tua squadra puoi lavorare ogni settimana, ogni giorno con gli stessi corridori che hai, condividi gli obiettivi. Nella squadra nazionale devi sempre unire corridori di team differenti. Oltretutto in un Paese come il Belgio dove hai molti leader. Non è sempre facile farli diventare una squadra, quando ognuno è in grado di vincere o prendere medaglie. Ogni anno rendere la squadra vincente è un lavoraccio…


E’ stato difficile mettere insieme due campioni come Evenepoel e Van Aert?
Oh sì, all’inizio posso dire che non è stato così facile perché Van Aert era tutto. Aveva vinto classiche, tappe al Tour, ma intanto arrivava Remco, giovane e ambizioso. Per il quale tutto era nuovo. Quindi all’inizio non è stato così facile. Avevamo bisogno di molto tempo, di parlare apertamente e con calma. Alla fine posso dire che avevamo un ottimo rapporto, sapevamo che se volevamo vincere avevamo ognuno bisogno l’uno dell’altro e mi ci metto anch’io con le mie responsabilità. Non c’era posto per una persona singola, ma per un gruppo. Alla fine posso dire che ce l’abbiamo fatta alla grande con il nostro lavoro.
Van Aert lo conosci bene: soffre il fatto di vincere meno di Evenepoel, Van der Poel, Pogacar?
Lo conosco da quando aveva 16-17 anni come giovane crossista, ho visto molto presto di che cosa era capace. Pochi sottolineano che ha avuto molta sfortuna, vedendo affermarsi tanti giovani mentre lui era alle prese con brutti infortuni. D’altra parte, sapeva anche di essere un ottimo corridore, ha anche capacità non comuni, che magari gli altri non hanno. Io penso che alla fine si accorgerà di avere un palmarés invidiabile, una carriera da grande campione. Ma non è il momento di pensarci, perché può ancora vincere tanto.


Qual è stata la tua più grande gioia in questi 4 anni?
Sicuramente le Olimpiadi. Posso dire di aver chiuso alla grande. Quello è stato il più grande obiettivo nella mia carriera e posso dire che a Parigi abbiamo fatto il massimo, prima con la cronometro con l’oro di Remco e il bronzo di Wout. Era il massimo che potevamo fare e l’abbiamo fatto. Quella è stata una giornata davvero bella per noi. Abbiamo lavorato molto perché si realizzasse. Siamo entrati nella storia. Poi con Evenepoel abbiamo vinto anche la corsa su strada con una squadra eccezionale. Una squadra che lavorava insieme. Quindi sì, per me è stata una settimana incredibile.
E quale il momento più difficile?
Penso che siano stati i campionati del mondo in Belgio nel 2021. È stato anche il mio primo anno come allenatore della nazionale, il mio primo grande evento. C’era molta pressione su di noi, correvamo in casa, Abbiamo fatto un buon lavoro di squadra e e abbiamo provato a vincere, ma quel giorno trovammo un Alaphilippe davvero in stato di grazia. Mancando anche il podio e in un Paese come il nostro e con le responsabilità che avevamo è stato un duro colpo da mandar giù. Ma penso che alla fine, abbiamo imparato molto da quella giornata e che sia stata anche propedeutica per gli eventi successivi.


Tra i tanti nuovi talenti belgi chi vedi più capace di diventare protagonista fra i professionisti?
Abbiamo un sacco di buoni corridori che sono in grado di fare una bella carriera. In questo momento posso dire che con Jarno Widar abbiamo anche un elemento molto promettente per i Grandi Giri. Ma anche nella categoria junior abbiamo gente abituata a vincere. Io credo che il nostro vivaio sia ricchissimo e soprattutto produca corridori molto diversi, in grado di vincere nelle corse in linea come in quelle a tappe, in salita come allo sprint. In Belgio possono fidarsi del futuro. Ce l’abbiamo.