Il valore e le difficoltà della Tirreno: parola al Re dei Due Mari 2010

10.03.2025
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Con la cronometro individuale di oggi è scattata la Tirreno-Adriatico, una delle gare più attese dell’intera stagione. La Tirreno è ormai un appuntamento che in tanti segnano in rosso e al tempo stesso un viatico per chi insegue il Giro d’Italia, più di rado per chi punta al Tour de France.

Tosta, tortuosa nelle strade, con un parterre di rango elevatissimo, abbiamo chiesto a Stefano Garzelli (nella foto di apertura con Scarponi), uno degli ultimi vincitori italiani della Corsa dei Due Mari che cosa sia appunto la Tirreno. Perché è così difficile da vincere. E il “Garzo” tra aneddoti e spunti tecnici ci ha dato sotto!

Lotta ai traguardi volanti nell’ultima tappa della Tirreno 2010. Sfida fra l’Acqua e Sapone di Garzelli e l’Androni di Scarponi
Lotta ai traguardi volanti nell’ultima tappa della Tirreno 2010. Sfida fra l’Acqua e Sapone di Garzelli e l’Androni di Scarponi
Stefano, sei stato uno degli ultimi vincitori italiani della Tirreno. Che significa vincere questa corsa? Quanto è importante?

Prima di tutto è una grandissima soddisfazione. Io mi ricordo che arrivai terzo nel 1999, secondo nel 2009 dietro a Michele Scarponi e primo nel 2010. Per me la vittoria della Tirreno ha tantissimi significati, sia sportivi che affettivi. E’ una corsa che si svolge in un periodo particolare dell’anno, con le prime vere battaglie tra i grandi campioni. Vincere qui vuol dire avere gamba e astuzia. E per un corridore italiano, avere il nome nell’albo d’oro della Tirreno-Adriatico è qualcosa di speciale.

Quali sono nello specifico questi significati sportivi ed emotivi?

Quelli sportivi mi riportano al 2010: avevo 37 anni e non ero più un ragazzino. L’anno prima l’avevo sfiorata, duellando con Michele (Scarponi, ndr). Lui fu nettamente più forte. Nel 2010 però volevo giocarmela fino in fondo, specie con i tanti ragazzini che arrivavano su forte, anche se poi fu ancora una sfida con Michele. Iniziammo quella edizione scherzando su fatto che sarebbe stato ancora un duello fra di noi e la finimmo con Michele arrabbiatissimo, tanto che non mi parlò per qualche tempo.

A Lido di Camaiore, Ganna ha appena vinto la crono di apertura a 56,174 di media con 22″ su Ayuso
A Lido di Camaiore, Ganna ha appena vinto la crono di apertura a 56,174 di media con 22″ su Ayuso
Perché? Raccontaci…

Al termine dalla penultima tappa, quella di Macerata, ero secondo a 2″ da Scarponi. Quel giorno non riuscii a vincere e ormai davo per persa la corsa. Poi quella sera arrivò in camera Luca Paolini e mi disse: «Stefano, domani ci sono i traguardi volanti con gli abbuoni. Ce la possiamo fare». E così abbiamo deciso di provarci: arrivai terzo nel primo traguardo e andai a -1″, terzo nel secondo traguardo volante e andai pari con Michele. Così la Tirreno si decise sul traguardo finale di San Benedetto: chi fosse arrivato davanti, avrebbe vinto. Fu un thriller. Io arrivai prima di lui e conquistai la Tirreno. Fu incredibile, noi di due “squadrette” italiane battemmo squadroni come Sky o Bmc. Tra l’altro quel 2010 fu il primo anno in cui come premio diedero il tridente. Ce l’ho a casa in bella vista.

E a livello affettivo?

Questa gara mi lega a tanti ricordi. E’ una corsa che si disputa in territori meravigliosi, con tifosi calorosi che ti spingono su ogni salita. Ricordo la folla che ci aspettava a Chieti o sui muri marchigiani, le emozioni che ti dà il passaggio da un versante all’altro d’Italia. Vincere qui ti fa sentire dentro un pezzo importante della storia del ciclismo.

Strade ondulate e poche tappe: la Tirreno non è una corsa attendistica secondo Garzelli
Strade ondulate e poche tappe: la Tirreno non è una corsa attendistica secondo Garzelli
Quanto pesa la Tirreno nel percorso di avvicinamento al Giro?

Quando correvo io, poco o nulla. Oggi è tutto cambiato. Ai miei tempi chi vinceva la Tirreno difficilmente vinceva anche il Giro nello stesso anno. Oggi invece abbiamo fenomeni che possono riuscirci. Però in generale, arrivare al top della forma a marzo e poi esserlo ancora a maggio è complicato. La Tirreno può servire per trovare la condizione, ma deve essere gestita bene. Il mio favorito per il Giro è Ayuso: lui potrebbe anche vincere la Tirreno, ma parliamo di un talento straordinario, e non è detto che ci riesca.

Chiaro…

Negli ultimi anni la Tirreno è diventata sempre più dura e selettiva. Ha frazioni adatte agli scalatori, tappe per velocisti e giornate mosse che strizzano l’occhio ai cacciatori di tappe. Una vera mini-corsa a tappe completa, un banco di prova perfetto per capire a che punto si è della preparazione. Ed è per questo che ormai tanti big non la trascurano più.

Nella storia solo Nibali nel 2013 e Roglic (maglia blu in foto) nel 2023 sono riusciti a vincere Tirreno e Giro nello stesso anno
Nella storia solo Nibali nel 2013 e Roglic (in foto) nel 2023 sono riusciti a vincere Tirreno e Giro nello stesso anno
Se dovessi fare un paragone con la Parigi-Nizza?

Sono sincero: ho fatto 15-16 Tirreno-Adriatico, però mai la Parigi-Nizza. Però la Tirreno ha una caratteristica: non è attendista, in cui puoi “metterti comodo”. No, è sempre tirata. Il percorso è insidioso, attraversa il Centro Italia con strade tecniche e imprevedibili. Devi stare sempre attento, trovare l’attimo giusto, non incappare nei trabocchetti. Oggi poi tutti conoscono ogni dettaglio del percorso, quindi è più difficile inventarsi qualcosa, ma resta una corsa dura. La Parigi-Nizza ha un’altra natura: ha un meteo spesso più rigido, il vento che fa selezione e un percorso che varia molto di anno in anno. La Tirreno ha un’identità ben precisa, con le sue tappe intermedie insidiose e le salite secche che fanno selezione. Se vinci qui, vuol dire che sei pronto per grandi cose.

Quindi la corsa come s’interpreta nelle strade del Centro Italia?

Come sempre direi. Chi deve andare forte deve stare davanti. La verità è che dopo un po’ i corridori capiscono la natura delle strade e si adeguano. Chiaro che poi serve la gamba. Penso alla tappe marchigiane e ai muri che sono durissimi.

Per Garzelli Ayuso è il favorito del Giro e, quasi sicuramente, anche della Tirreno
Per Garzelli Ayuso è il favorito del Giro e, quasi sicuramente, anche della Tirreno
Quanto è difficile da vincere la Tirreno?

Molto. Dopo i tre Grandi Giri e il Giro di Svizzera, è la corsa a tappe più importante. Il livello è sempre stato alto e quando il livello è alto, la corsa diventa più difficile. E questa la prima difficoltà. Anche perché arriva in un momento della stagione in cui tanti sono già in forma: chi punta alle classiche è al 100 per cento, chi mira al Giro è almeno all’80 per cento. Questo alza il livello medio e rende tutto più competitivo.

Che poi rispetto ad un Grande Giro, con un tracciato tanto variegato e la crono iniziale, resta aperta ad un ventaglio di corridori più ampio (togliendo il fenomeno della situazione come Vingagaard l’anno scorso o Pogacar)…

La difficoltà sta anche nella varietà delle tappe. Devi essere completo: forte a cronometro, resistente sulle salite, scaltro nelle tappe miste. Non puoi avere punti deboli, perché chi ce l’ha, qui paga dazio. È una corsa che premia i corridori completi e con grande fondo. Ma anche attaccanti non per forza da grandi Giri.

La Tirreno-Adriatico sarà un bel test anche per Tiberi, oggi 4° a 28″ da Ganna
La Tirreno-Adriatico sarà un bel test anche per Tiberi, oggi 4° a 28″ da Ganna
Cosa ti aspetti da questa edizione?

Vorrei vedere bene Antonio Tiberi, che sta preparando il Giro. E’ un bel banco di prova per lui. E poi sono curiosissimo di vedere Juan Ayuso: lui ha un solo obiettivo in testa ed è vincere il Giro d’Italia, ma sono convinto che vorrà vincere. Alla Valenciana ho incontrato il suo massaggiatore, che fu anche il mio, e mi ha detto che non è mai andato così forte. Mi aspetto che anche Van der Poel ci faccia divertire. Vedremo se giocherà a nascondino come quando vinse poi la Sanremo nel 2023 o se attaccherà. Sarà una settimana spettacolare. E poi occhio agli outsider: la Tirreno è una corsa che ha regalato vittorie inaspettate, come Van Avermaet o Kwiatkowski (e prima ancora Pozzato o Cancellara, ndr), gli attaccanti che dicevo prima.

Le bici per il pavé: l’evoluzione e il punto con Enrico Pengo

10.03.2025
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La stagione delle gare sul pavé è già cominciata con il weekend di apertura del Belgio, manca poco alla primavere delle grandi classiche che anno dopo anno non smettono mai di regalare emozioni.

Non è più nel circus delle squadre dei professionisti (anche se qualche presenza in nazionale non è mancata), ma Enrico Pengo resta un riferimento quando si vuole raccontare l’enorme cambio tecnico che ha coinvolto il mondo della bici e la tecnica dei componenti. Pengo è il Wikipedia della bici in carne ed ossa. Con lui facciamo il punto sul comfort (o presunto tale) funzionale delle bici con i freni a disco e tutte le soluzioni più moderne, rispetto alle bici di non molto tempo fa.

Contano le gambe, ma anche il mezzo fa una grande differenza

«Le scelte tecniche fanno la differenza da sempre – racconta Pengo – era così in passato e lo sarà anche in futuro. Certo che contano le gambe, le abilità del corridore e la capacità di leggere la corsa, ma se la bicicletta, oppure un componente non funzionano in modo adeguato, si può compromettere la performance e la gara. Talvolta – prosegue Pengo – le scelte sono dettate da alcune convinzioni e abitudini, ma anche questi fattori sono parte integrante della ricerca del massimo risultato possibile.

«Qualche anno fa c’era sempre molto dialogo tra i meccanici, i direttori sportivi ed i corridori – prosegue – ancor di più quando si affrontava la campagna del pavé. Oggi questo scambio continuo di opinioni tecniche e feedback resta più celato perché la valutazione numerica ha un peso maggiore. E’ vero che c’era un grado di personalizzazione maggiore ed era fondamentale confrontarsi costantemente. Ora è tutto standardizzato e c’è una disponibilità di materiali/scelte enorme a disposizione di tutti».

Il pavé? Quello del Nord è molto diverso da quello che vediamo nel centro storico delle nostre città
Il pavé? Quello del Nord è molto diverso da quello che vediamo nel centro storico delle nostre città
In tema di pavé e preparazione alle corse del nord, cosa è cambiato?

La campagna del pavé si preparava da una stagione con l’altra, era quasi un rito. Da un anno a quello successivo noi meccanici, i direttori sportivi ed anche alcuni corridori, annotavamo tutto, per creare una sorta di memoria e cercare di migliorare in vista del futuro. A partire dalla stagionatura dei tubolari con il talco, perché andare sul pavé con le gomme fresche significava forare al 100% al primo tratto di pietre, fino ad arrivare alla preparazione di ruote e bici speciali. I tubolari ormai sono scomparsi a favore dei tubeless.

Cancellara sul pavé ha contribuito allo sviluppo di bici specifiche e molto comode
Cancellara sul pavé ha contribuito allo sviluppo di bici specifiche e molto comode
L’epoca delle bici e delle ruote specifiche sembra terminata

Effettivamente è così. In occasione del pavé c’era la rincorsa anche da parte delle aziende che adottavano soluzioni appositamente dedicate. Anche lo staff dei meccanici forniva delle indicazioni a tal proposito. Carri posteriori allungati, oppure forcelle con un rake maggiorato, in genere biciclette più lunghe in modo da essere più stabili e confortevoli. Ruote a 32 raggi con cerchi bassi in alluminio, fino a quando non sono arrivate le ruote in carbonio. Il paradosso è che le ruote con cerchio in carbonio hanno aperto una nuova era. Ora il pavé si affronta con le bici aero.

Cosa vuoi dire?

Ogni volta che si andava in ricognizione sul pavé, avevo l’abitudine di annotarmi quanta pressione perdeva un tubolare all’uscita di ogni settore. Memorizzavo umidità, condizioni meteo ed eventuali problematiche. Quando abbiamo iniziato ad usare le ruote in carbonio, sempre con i tubolari, la prima cosa che è balzata all’attenzione è che il medesimo tubolare perdeva meno aria con il carbonio, rispetto all’alluminio. Non un dettaglio, considerando che la pressione delle gomme ha da sempre influenzato gli esiti delle corse sul pavé.

La vittoria di Van Der Poel alla Roubaix più veloce di sempre
La vittoria di Van Der Poel alla Roubaix più veloce di sempre
Quindi il comfort funzionale del mezzo meccanico esiste da tempo

Direi che è così, lo era all’epoca dei tubolari, lo è adesso che siamo nell’era delle bici in carbonio con i freni a disco e dei tubeless. Anzi, la comodità è stata uno dei segreti dei successi di diversi corridori che hanno vinto sul pavé negli ultimi chilometri di queste corse durissime, sfruttando il risparmio di energie e quella comodità derivante dal mezzo meccanico. Quando affronto questo argomento mi piace ricordare la vittoria di Sonny Colbrelli, uno dei primissimi a correre e vincere con tubeless dalle pressioni molto basse e gomme larghissime.

I tubolari sono praticamente spariti, così come le sezioni “piccole” da 25
I tubolari sono praticamente spariti, così come le sezioni “piccole” da 25
Dati a parte, le bici di oggi sono più veloci?

Non c’è paragone con le bici rim del passato, soprattutto quando si tratta di fare dei confronti su tratti pianeggianti, pavé. In salita le differenze diminuiscono un po’, ma ci sono ed è innegabile che quelle con i freni a disco siano più performanti. Mi piace dire che con le bici disco di ultima generazione si va a 30 all’ora anche in ciabatte, una bici rim per essere lanciata e mantenuta a certe andature aveva bisogno di un grande dispendio di energie.

C’è un componente che fa la differenza, oppure è il sistema bici nella sua totalità?

Non è solo un componente, è l’insieme delle cose che ha portato al raggiungimento di certe prestazioni. C’è anche il risvolto della medaglia, perché le biciclette di oggi sono anche molto esigenti, sono impegnative, sono rigide e devono essere guidate con attenzione.

Cosa, secondo te, ha fatto realmente la differenza in questa crescita tecnica?

Questa ricerca estremizzata dell’aerodinamica e l’applicazione di essa, non solo sulle bici da crono, ma su tutto. L’aerodinamica è nelle bici, nell’abbigliamento, nei caschi e nelle posizioni in sella, nelle scarpe, nei guantini. Ormai non si tratta solo di un tubo schiacciato/affusolato o di una ruota con il cerchio alto, l’aerodinamica non è solo una questione di sponsorizzazione.

Ti piace ancora mettere le mani sulle bici?

E’ la mia passione, non è solo un lavoro. Chi lavora nel mondo del ciclismo deve avere tanta passione, prima di tutto il resto. Mi rendo conto che essere alle corse adesso è come andare all’Università. Stare a contatto con i giovani corridori è stimolante, molti di loro sono preparatissimi sulla tecnica del mezzo meccanico. Sanno di cosa si parla, sanno cosa vogliono e cosa può rendere migliore la gara. Al loro fianco hanno dei performance staff con delle figure competenti che una volta non esistevano, specializzate nelle valutazioni ed analisi.

EDITORIALE / Quando anche i giganti hanno paura

10.03.2025
4 min
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Dovunque vada, Pogacar vince. Le eccezioni rafforzano la regola. A partire da gennaio 2024, lo sloveno ha… fallito appena due volte. Alla Milano-Sanremo, chiusa al terzo posto. Poi nel Grand Prix Cycliste de Quebec, in cui è arrivato settimo. Tolta la Tre Valli Varesine annullata per avverse condizioni meteo e problemi di sicurezza, le altre le ha vinte tutte. Parliamo di Strade Bianche, Catalunya, Liegi, Giro, Tour, Montreal, mondiale, Giro dell’Emilia, Lombardia, UAE Tour e ancora la Strade Bianche. Si può capire che gli altri ne abbiano paura.

Non si vuole dire che il ciclismo nell’era Pogacar risulti monotono, ma di certo – rischiando le ire dei suoi tantissimi tifosi – sarebbe auspicabile assistere a un minimo contraddittorio, che renderebbe le sue vittorie più emozionanti e lo spettacolo meno prevedibile.

Chiappucci contro Indurain, una sfida impari che però ha dato spesso il sale a Tour e Giro
Chiappucci contro Indurain, una sfida impari che però ha dato spesso il sale a Tour e Giro

I dominatori del passato

L’esperienza personale e diretta di un così grande dominatore, sia pure meno vorace, risale agli anni di Indurain. Era un altro ciclismo, lo spagnolo lasciava le classiche ai corridori più adatti e vinceva in serie il Giro e il Tour. Imbattibile, inattaccabile, educato e spietato. Qualcuno ci provava in Francia, qualcuno in Italia. Bugno, Chiappucci e per un po’ anche Chioccioli andavano all’assalto, ma alla fine neanche ci provavano più, vittime della paura e stanchi d’essere piegati.

Tolta la grande impresa di Chiappucci al Sestriere nel 1992, le corse seguivano lo stesso schema di attacchi spesso spuntati sull’ultima salita. E Indurain intanto dominava e probabilmente ringraziava, fino all’arrivo di Pantani che, sconfiggendolo e piegandolo, conquistò i cuori degli sportivi che dopo un po’ si erano anche stancati di quel dominio.

L’attacco di Pidcock ha acceso la Strade Bianche e messo pressione su Pogacar, vivacizzando il finale
L’attacco di Pidcock ha acceso la Strade Bianche e messo pressione su Pogacar, vivacizzando il finale

Il coraggio di Pidcock

Alla Strade Bianche è successo qualcosa di inatteso: qualcuno ha riposto la paura e ha attaccato Pogacar. Lo ha fatto Pidcock, pur sapendo probabilmente di essere sconfitto nel momento stesso in cui ci ha provato. Eppure la sua presenza e le ammissioni successive di Pogacar hanno dimostrato che in determinate circostanze il solo modo per tenere aperta mezza porta sul risultato a sorpresa sia mettere pressione al campione.

Lo ha detto Tadej, appunto, nella conferenza stampa dopo la vittoria. Avere a ruota uno che è stato campione del mondo e olimpico di mountain bike e campione del mondo di ciclocross lo ha spinto probabilmente a osare di più in discesa, fino all’errore e la caduta. Dinamiche che fanno parte del gioco, come la sua reazione da campione assoluto che si è rialzato e ha rimesso a posto i tasselli del mosaico. Lo stesso Mauro Gianetti, il grande capo del UAE Team Emirates, si è accorto delle novità e si è complimentato con il britannico del Q36.5 Pro Cycling Team.

Van der Poel ha debuttato a Le Samyn, attaccando e poi vincendo. Poteva correre a Strade Bianche? Probabilmente sì
Van der Poel ha debuttato a Le Samyn, attaccando e poi vincendo. Poteva correre a Strade Bianche? Probabilmente sì

La paura di Van der Poel

Non si tratta di fare tifo contro, ma a favore del ciclismo. Affinché la Sanremo si trasformi nella più bella corrida, la Liegi proponga il confronto di alto livello con Evenepoel e magari il Tour mostri un Vingegaard finalmente a posto.

I mancati incroci per motivi di salute sono inevitabili. I mancati incroci per opportunità o paura di rimetterci la faccia sono la piaga di questa fase. Se alle spalle di Pogacar oltre a Pidcock ci fosse stato un altro campione del mondo di ciclocross, dopo la caduta forse lo sloveno non sarebbe rientrato. E Pidock e Van der Poel, collaborando, si sarebbero giocati la corsa. VdP ha avuto paura di fare una figuraccia? E’ possibile, molto possibile. La sua squadra ha preferito risparmiarsela e risparmiargliela? E’ altrettanto possibile. Chissà che fastidio avrà già addosso l’olandese al pensiero che Pogacar possa davvero sfidarlo anche alla Roubaix dopo averne subito la lezione nell’ultimo Fiandre corso insieme.

Lo abbiamo detto in apertura: dovunque vada, Pogacar vince. Gli altri, evitandolo, gli rendono semplicemente la vita meno complicata. Gli organizzatori, disegnando corse sempre più dure remano contro la possibilità di uno spettacolo aperto. Aspettiamo dunque la Sanremo, il primo scontro senza grandi assenti, sul percorso meno scontato di tutti.

Team Bike Sicilia, 2° anno. Parla Tiralongo, maestro di salite

10.03.2025
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Il Team Bike Sicilia di Paolo Tiralongo, nato lo scorso anno con un grande battesimo, riparte con dieci under 23 e il supporto a un team juniores di Palermo che potrebbe esserne il vivaio. Di facile in questa sua impresa non c’è proprio niente. Se soffrono team strutturati e con una grande storia sulle spalle, immaginate quanto sia difficile per una squadra che cerca di fare attività in Sicilia e nel Sud dimenticato da tutti.

Un tempo, in fase di campagna elettorale, i vari candidati si lanciavano in progetti e dichiarazioni. Questa volta il ciclismo del Meridione non è stato neppure sfiorato. Ne hanno preso i voti, laddove possibile, ma l’attività resta marginale: punto di partenza della desertificazione sportiva da cui tanti mettono in guardia.

«Non c’è il cambio di generazione – ragiona l’avolano che è stato pro’ dal 2000 al 2017 – non ci sono ragazzi invogliati a fare ciclismo. Bisogna andare nelle scuole a promuoverlo, bisogna invogliare le scuole a darci una mano, magari supportando i ragazzi quando mancano per andare alle gare. Invece il ciclismo in Italia è percepito come un fastidio. Perché chiude le strade, perché ci sono gli incidenti. Come li trovi gli sponsor se l’immagine è questa?».

A Melilli, con il sindaco Carta (al centro), a sinistra il vice presidente Aloschi e a destra l’assessore Caruso
A Melilli, con il sindaco Carta (al centro), a sinistra il vice presidente Aloschi e a destra l’assessore Caruso

Sicilia, Toscana e Lombardia

Il Team Bike Sicilia ha una base in Toscana, una in Sicilia e una a Bergamo. Nella regione in cui ha corso a lungo da under 23, Paolo ha ritrovato il vecchio amico Leonardo Giordani, compagno di squadra nella Vellutex e poi nella Fassa Bortolo, che gli dà una mano come direttore sportivo. E il resto è tutto da costruire, meritare, immaginare e concretizzare. Qualcuno direbbe che certe squadre non hanno senso. Ma senza di loro, chi va più a cercare i corridori in zone in cui il ciclismo fa fatica a crescere?

«Noi siamo una squadra piccola – spiega Tiralongo – e mettiamo il massimo impegno per dare un’opportunità ai siciliani. La difficoltà è trovare i corridori che facciano lo stesso e abbiano le motivazioni che servono. Sul fronte degli sponsor, non è che in Italia si vivano momenti belli, però alla fine siamo riusciti a chiudere l’annata in pari ed è già buono».

Quest’anno ci sono anche gli juniores, come mai?

Abbiamo fatto un gemellaggio col Team Madone di Palermo e gli diamo un supporto tecnico e logistico in Toscana, in modo da alleggerire le loro spese. Sono venuti a correre al Trofeo Baronti. Sono stati in fuga, hanno visto come funziona. Loro sono forti nella multidisciplina, hanno ragazzi di qualità che vengono fuori dalla mountain bike.

Ieri Visconti raccontava di quanto sia più difficile oggi per un ragazzo siciliano riuscire a emergere.

Ha ragione Giovanni, perché l’ambiente è cambiato totalmente. Le squadre WorldTour vanno a cercare i giovani migliori con devo team dal budget superiore a quello delle professional. Gli altri si devono accontentare di ciò che rimane. Il problema è che anche fra i cosiddetti migliori, pochi emergono davvero, mentre questa ricerca dal basso sta indebolendo il movimento. Le development fanno le gare con i professionisti e quando gli under 23 vanno alle internazionali, le differenze sono enormi.

Anche perché l’attività degli under 23 in Italia non è più così qualificata.

Abbiamo fatto la Firenze-Empoli e il Memorial Polese. Domenica non corriamo, non mi va di fare i criterium. Servono le gare vere, non circuiti con solo 1.000 metri di dislivello. Un under 23 deve fare corse di 180-190 chilometri con 2.500 metri di dislivello. Invece nel calendario italiano c’è poca sostanza e come fai a garantire che uno che vince ha le qualità per andare avanti? Vincere di per sé non conta, meglio essere sempre protagonisti e presenti degli ordini di arrivo, la qualità la vedi così.

Che calendario farete?

Ho fatto delle richieste all’estero e in alcune gare andremo se ci sarà la qualità per essere protagonisti. Se ci invitassero al Giro Next Gen, sarei il primo a chiedergli di lasciarci a casa. O si ha la qualità per fare le corse oppure meglio lavorare per diventare migliori.

Anche i migliori fanno fatica a emergere?

L’obiettivo dei ragazzi è andare in una development, non passare professionisti. Dovrebbero ambire a passare nella squadra numero uno, invece ne vedo molti che vanno nel devo team e si sentono già arrivati. Quello probabilmente è l’accesso diretto alle grandi squadre, ma come ci arrivi? Sei pronto? Il problema non è diventare professionista, ma durare a lungo e andare forte. Questo si devono mettere in testa, perché se ti ammazzi per passare e poi duri cinque anni, cosa hai concluso?

Come si fa per rimanerci?

Devi creare in primis la mentalità. Devono crescere e capire veramente cosa vuol dire fare il professionista. Poi ovviamente servono anche le qualità. Adesso invece funziona che li prendono dagli juniores in base ai test, vanno all’estero e se non sfondano, alle spalle ce ne sono altri che spingono. Ma se vieni respinto a vent’anni, ce la fai a ripartire oppure smetti senza aver dimostrato chi sei? La testa conta più delle gambe. Se hai degli stimoli mentali, vai avanti. Sennò devi lasciare strada.

Da quest’anno il Team Bike Sicilia collabora con il palermitano Team Madone negli juniores
Da quest’anno il Team Bike Sicilia collabora con il palermitano Team Madone negli juniores
Cosa c’è a livello ciclistico in Sicilia?

C’è la squadra di Angelo Canzonieri. Quella di Giarratana. Ci sono quelli di Monterosso Almo che organizzano il Trofeo Cannarella. C’è la squadra di Mancuso, che ha l’affiliazione col Cene. Il problema è trovare il corridore di qualità. Ci vuole pazienza perché i corridori buoni sono pochissimi e prenderli è difficile perché non possiamo spendere come una development. Questa è la difficoltà di tutte le squadre, non solo la mia.

Dicono che non partono più perché non ce la fanno a stare due anni fuori casa senza prendere soldi.

Ma voi credete che ai nostri tempi tutti prendessero soldi? Sai quanti ce n’erano nella Vellutex che non prendevano una lira? Io avevo il mio stipendio, di certo anche Visconti e Nibali, ma perché eravamo nel giro della nazionale sin da juniores e vincevamo le corse. Prima serve la qualità e poi semmai arrivano i soldi. Devono pagarti solo perché sei siciliano e vai via di casa? Per avere i soldi devi lavorare, diventare migliore e capire se hai quello che serve per farti una carriera.

Come si diventa migliori?

Glielo dico sempre. Vi piace andare in bici e avete scelto di fare i corridori, ma sono due cose molto differenti. Per correre in bicicletta bisogna fare tanti sacrifici, essere motivati. Lo devi desiderare, puoi avere grandi valori fisici, ma se non ci metti la testa non arrivi. E soprattutto gli dico che un corridore si fa per gradi, troppo facile mandarli a correre per ottenere tutto e subito. E se poi non arriva?

Sanremo Donne: Cecchini ci guida nella lettura del percorso

10.03.2025
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E’ stato presentato mercoledì 5 marzo il percorso della Sanremo Women: 156 chilometri da Genova alla città dei fiori. Il traguardo di Via Roma ospiterà anche l’arrivo della corsa femminile, una corsa che ha già aperto il dibattito sul suo svolgimento. Terminato l’impegno della Strade Bianche e dopo il Trofeo Binda il gruppo si porterà sulla riviera ligure per ispezionare ogni singolo dettaglio. Alcune atlete però hanno già avuto modo di fare una ricognizione del percorso, una di queste è Elena Cecchini, scudiera della SD Worx-Protime.

«Pensare che ci saranno tre settimane di gara qui in Italia – dice Cecchini – è molto stimolante. Anche a livello logistico è una bella notizia per gare come il Trofeo Binda, perché il parterre sarà di primissimo piano. E’ una bellissima gara e spostarla di una settimana in anticipo è stata diciamo la scelta vincente,  sia per noi ragazze che per gli organizzatori. Concludere poi questo periodo di gare con il ritorno della Sanremo è un bel segnale per il ciclismo femminile». 

La presentazione della Sanremo Women è avvenuta a Genova, sede di partenza della corsa
La presentazione della Sanremo Women è avvenuta a Genova, sede di partenza della corsa

Prendere confidenza

Nelle ultime settimane è capitato spesso di vedere, grazie ai social, molte atlete che sono andate ad allenarsi sulla Cipressa e sul Poggio

«Anche io – prosegue Cecchini – ho approfittato del tempo trascorso a Monaco insieme a Elia (Viviani, ndr) per vederle metro per metro. Devo essere sincera, in allenamento negli anni passati non le ho affrontate tanto. Però negli ultimi due mesi ci sono stata più volte e una delle prime è stato a febbraio con Viviani. Pedalavamo piano e lui intanto mi spiegava ogni dettaglio, mi diceva: «qui da noi succede così». Avere dei riferimenti visivi ci darà una grande mano in corsa. Nelle settimane scorse sono ritornata insieme a Vittoria Guazzini, che è stata qui a Monaco un paio di giorni. Il primo abbiamo visto ancora Cipressa e Poggio, mentre il giorno seguente siamo andate sui Capi

Quali dettagli hai raccolto con il tuo occhio esperto?

I Capi è stato un bene vederli prima, per sapere cosa aspettarmi e per capire il posizionamento da avere in quella fase di corsa. La cosa che mi ha colpito maggiormente è la distanza tra l’ultimo Capo, il Berta, e la Cipressa. Pensavo ci fossero più chilometri, e invece ne passano solamente una decina. Tra l’altro la strada sul lungomare è molto veloce e in gara si andrà fortissimo per prendere davanti la Cipressa. Sarà importante non spendere troppe energie sui Capi ma comunque restare davanti

Una corsa difficile da leggere?

Può andare in mille modi. La verità è che dipenderà dal vento, su cinque volte che sono stata a visionare Cipressa e Poggio, quattro volte era favorevole e una volta era nel senso opposto. E poi nel ciclismo femminile le prime edizioni sono sempre difficili da interpretare, quindi non escludo veramente nessun tipo di scenario per la Sanremo. 

Pensi che ci potrà essere selezione fin dai Capi?

Sì anche perché sono tre e abbastanza in fila e fare la differenza non sarà difficile, soprattutto se fatti forte. Sono salite che se fatte ad alto ritmo sono super selettive ma ci dovranno essere delle squadre che sacrificano tutte le loro atlete per una leader. Ci saranno dei team che vorranno rendere la gara molto dura e ce ne sono altri a cui va bene arrivare in un gruppo ristretto perché avranno una velocista forte. 

Che scenario ti immagini?

Se una squadra decide di lavorare tanto fin dai Capi deve avere la forza per farlo e non lasciare la capitana da sola quando inizierà la Cipressa. Non so cosa decideremo di fare però noi avremo sia Kopecky che Wiebes, quindi ci potrebbe andare bene anche una volata a ranghi ristretti. Però ci sono squadre, come la FDJ penso e la UAE, che vorranno fare una gara estremamente dura.

La UAE ADQ sarà una delle squadre che vorrà fare corsa dura su Cipressa e Poggio per avvantaggiare Elisa Longo Borghini
La UAE ADQ sarà una delle squadre che vorrà fare corsa dura su Cipressa e Poggio per avvantaggiare Elisa Longo Borghini
Pensi che le velociste possano tenere su Cipressa e Poggio? 

Solo se sono in giornata di grazia. Sono salite che saranno fatte davvero forte.

Atlete come Longo Borghini e Vollering potrebbero riuscire a fare la differenza?

Le due che avete menzionato sicuramente. Nel ciclismo femminile serve molto meno per fare tanta differenza in salita, lo si vede al Binda dove una salita di 2 chilometri fa sempre disastri. In una corsa come la Sanremo si può fare la differenza, ma probabilmente anche una ragazza appena sotto il loro livello come la Lippert potrebbe non staccarsi su salite come quelle. 

Voi avrete una squadra per tenere in mano la corsa tutto il tempo?

Non penso. Avremo delle atlete che vanno bene in qualsiasi situazione. Penso che con i rostri che abbiamo possiamo essere in grado di coprire qualsiasi situazione. Saremo pronte per diversi scenari, se arriva un gruppetto Wiebes può dire la sua in volata. Al contrario Kopecky dovrebbe essere in grado di seguire gli attacchi

L’atleta più in forma al momento è Demi Vollering, ma il percorso della Sanremo sarà abbastanza duro per fare selezione?
L’atleta più in forma al momento è Demi Vollering, ma il percorso della Sanremo sarà abbastanza duro per fare selezione?
E invece sulle discese di Cipressa e Poggio

Sono entrambe corte, ma quando arrivi in cima sei davvero a tutta e non hai tempo di rifiatare. Specie sulla discesa del Poggio potrà fare la differenza, come è accaduto tra gli uomini. Anche da noi ci sono ragazze con abilità superiori in discesa e potranno provare ad allungare. Da quello che ho visto nei giorni scorsi le curve della discesa del Poggio sono impegnative e ti portano sempre fuori. Ci tengo infatti che le mie compagne la vedano più volte perché sarà importante.

Si può pensare ad un attacco dalla Cipressa?

Magari l’azione vincente sì, però serve un gruppetto in grado di fare velocità. Il fattore vento inciderà tanto. Se un’atleta va via da sola è chiaro che da dietro si fa di tutto per chiudere, però se esce un gruppetto con una composizione che va bene a tutte le squadre è sicuramente una mossa che può arrivare fino alla fine.

L’esordio (sfortunato) di Manlio Moro alle classiche del Nord

09.03.2025
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In un’intervista rilasciataci a inizio febbraio, Manlio Moro ci aveva parlato del suo calendario 2025, incentrato sulle classiche del Nord. La prima a cui il corridore friulano della Movistar ha preso parte, il primo marzo, è stata la Omloop Het Nieuwsblad. Un esordio che però non è andato come si aspettava, dal momento che Moro (nella foto in apertura sulle pietre della Roubaix nel 2024) si è classificato ultimo. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare qualche retroscena di questa esperienza comunque particolare e per sapere di più sul prosieguo della sua stagione. 

Manlio Moro, classe 2002, è alla seconda stagione tra i professionisti (foto twitter/X)
Manlio Moro, classe 2002, è alla seconda stagione tra i professionisti (foto twitter/X)
Manlio, andiamo dritti al punto. Com’è che sei finito ultimo?

Non avevo le migliori sensazioni fin dall’inizio e poi mi sono spento all’improvviso. Sicuramente non mi sono alimentato bene, anche per quanto riguarda l’idratazione. Ho perso un rifornimento e sono rimasto senza acqua per un bel po’. Non è facile in quei frangenti rifornirsi, in quelle gare c’è una tale confusione… E niente, è finita che mi sono spento di colpo e da lì ho solo puntato ad arrivare al traguardo. 

Di solito l’attenzione dei media si concentra sempre sui primi, mentre gli ultimi restano fuori dai riflettori. Tu che eri lì, come hai visto gli altri corridori?

Ho visto molta fatica in generale, perché in queste gare, chi prima chi poi, tutti arrivano al limite, al 100% della fatica. Le classiche del Nord sono particolari perché ti portano allo sforzo massimale, devi avere il perfetto equilibrio tra energia di gambe e di testa, sennò salti per aria. E per questo ci vuole esperienza. E’ il mio secondo anno a questi livelli e di esperienza me ne manca ancora un po’. 

Moro (a destra) impegnato nella Omloop Het Nieuwsblad dello scorso anno, il suo battessimo al Nord da pro’
Moro (a destra) impegnato nella Omloop Het Nieuwsblad dello scorso anno, il suo battessimo al Nord da pro’
Quel giorno qual era il tuo ruolo, correvi libero o in supporto ai compagni?

Dovevo aiutare Ivan Cortina, in teoria, ma poi è difficile correre uniti, ti perdi anche tra compagni in quelle stradine strette del Belgio. In tutto il gruppo non c’erano due corridori della stessa squadra assieme. Ogni curva si rimescola tutto, è impressionante, difficile da spiegare se non ci sei dentro. Ogni frenata magari perdi 50 posizioni solo perché ti trovi dal lato sbagliato della strada, e se invece sei nel lato giusto magari ne guadagni 50 in attimo. Le classiche sono proprio una cosa in sé.

Per quanto riguarda il pubblico invece, com’era l’atmosfera? 

Lì in Belgio è sempre uno spettacolo, è sempre pieno di gente che rimane sino alla fine ad incitare tutti. Lì respiri proprio il ciclismo vero, in cui le persone applaudono dal primo all’ultimo. 

Moro, qui al centro, nel 2025 metterà da parte la pista per concentrarsi sulla strada.
Moro, qui al centro, nel 2025 metterà da parte la pista per concentrarsi sulla strada.
Il giorno successivo hai preso parte alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne. Lì è andata un po’ meglio, giusto? 

Direi proprio di sì, molto meglio come sensazioni, sono stato un po’ sfortunato perché sono rimasto indietro quando il gruppo si è spezzato e poi quelli davanti sono andati. Ma avevo delle buone gambe, l’esperienza del giorno precedente mi è servita, mi sono alimentato molto meglio e anche a livello tattico credo di aver fatto un passo in avanti. Anche se ho comunque sbagliato io a farmi trovare nella posizione sbagliata nel momento sbagliato. Ma alle classiche è così, come dicevo devo ancora fare un po’ di esperienza. 

Nell’intervista di un mese fa ci hai detto che punti alle classiche del Nord, qual è la tua preferita?

Diciamo la Parigi-Roubaix dai, anche visto il mio peso che si adatta meglio alle pietre pianeggianti che a quelle dei muri del Fiandre. 

Il friulano in ricognizione nella Foresta di Arenberg, punto chiave della Parigi-Roubaix, dove quest’anno punta a fare bene (foto Instagram/Team Movistar)
Il friulano in ricognizione nella Foresta di Arenberg, punto chiave della Parigi-Roubaix, dove quest’anno punta a fare bene (foto Instagram/Team Movistar)
Allora restiamo sulla Roubaix. Lavorerai sempre per Cortina o potrai fare la tua corsa? 

Vediamo cosa diranno alla riunione il giorno prima. Poi ogni gara è qualcosa a sè, io vado sempre con l’ambizione di fare il meglio possibile, sia per me che per la squadra. Poi certo, non penso di potermi giocare la vittoria, ma mi piacerebbe essere nel gruppo di testa nei momenti che contano, questo sì. Vedremo. 

Ti chiediamo un’ultima battuta sulla possibile, forse probabile, presenza di Pogacar. Come la vedi? 

Credo non ci siano limiti a quello che può fare, ha valori che gli permettono di arrivare davanti anche lì, in una gara in teoria non adatta a gente da corse a tappe. Sono curioso anch’io e, che dire, quel giorno spero di vederlo da vicino.

Il Giro torna in Valtellina, Gavazzi ci fa da Cicerone

09.03.2025
5 min
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Il Giro d’Italia torna in Valtellina anche quest’anno con arrivo di tappa a Bormio e la partenza del giorno successivo da Morbegno. Due momenti chiave per la Corsa Rosa, che sarà da poco entrata nella sua terza e fatidica settimana di fatiche. Nella frazione numero diciassette il gruppo partirà da San Michele all’Alpe e arriverà appunto a Bormio dopo 154 chilometri e tre gran premi della montagna rispettivamente di seconda, prima e terza categoria. 

Dalla provincia di Trento a quella di Sondrio passando da Brescia. La prima difficoltà di giornata sarà il Passo del Tonale e dopo una lunga discesa le biciclette dei corridori torneranno a guardare il cielo per scalare il Passo del Mortirolo. L’ultima difficoltà di giornata sarà rappresentata dal GPM de Le Motte, poi un rapida discesa fino al traguardo. 

L’ultima volta che il Giro è arrivato a Bormio, Landa e Nibali si giocarono la vittoria di tappa in volata, la spuntò il siciliano
L’ultima volta che il Giro è arrivato a Bormio, Landa e Nibali si giocarono la vittoria di tappa in volata, la spuntò il siciliano

La Corsa Rosa torna a Bormio

La voce tecnica per guidarci all’interno delle tappe valtellinesi del Giro è un ex-corridore del calibro di Francesco Gavazzi. Sedici anni da atleta e poi due stagioni vissute accanto ai ragazzi della Polti VisitMalta (ex Eolo-Kometa con la quale ha chiuso la carriera). Valtellinese DOC, nato a Morbegno, che su queste strade ha corso e si è allenato per tanti anni

«Quella che porterà il gruppo a Bormio – racconta Gavazzi – non è una vera e propria tappa di montagna di quelle dure da far paura, ma raccoglie tante insidie. Il profilo è interessante ma l’ultimo GPM impegnativo, che è il Mortirolo, si trova a poco meno di 50 chilometri dal traguardo. Pensare di vedere l’azione decisiva su quelle rampe è difficile, però il fondo valle è complicato. Credo sia la classica tappa con due gare in una, la fuga che si gioca la vittoria e dietro gli uomini di classifica».

La squadra può giocare un ruolo fondamentale nel tratto di fondo valle che porterà il gruppo fino a Bormio
La squadra può giocare un ruolo fondamentale nel tratto di fondo valle che porterà il gruppo fino a Bormio
Pronti via e il gruppo sale verso il Tonale…

Penso sia difficile che una squadra provi a tenere chiusa la corsa gestendo il distacco sulla fuga. Servirebbero corridori molto forti e nonostante tutto si rischierebbe di arrivare corti in cima al Mortirolo, finita la discesa inizia un’altra corsa.

Mortirolo che il gruppo prenderà da Monno, che salita è?

Una signora salita, con gli ultimi tre chilometri davvero impegnativi. Però non nascondiamoci, non è il lato più duro. La prima parte, che misura 8 chilometri, è regolare. Poi spiana per un paio di chilometri e infine arriva il tratto duro. Comunque non penso scollineranno più di 15 corridori. Vedere azioni personali è difficile anche perché in quei 25 chilometri di fondo valle fino a Le Motte e poi i restanti 9 per arrivare Bormio non sono semplici. 

Il Giro affrontò il Mortirolo dal versante di Monno anche nel 2022, in rosa c’era Carapaz
Il Giro affrontò il Mortirolo dal versante di Monno anche nel 2022, in rosa c’era Carapaz
Quali scenari si aprono?

Innanzitutto la differenza vera la faranno le condizioni del vento appena si scende dal Mortirolo. Appena si torna sul fondo valle le situazioni sono due: il vento è favorevole oppure contrario. Di solito nelle mie zone, a Morbegno che si trova una cinquantina di chilometri indietro, il vento la mattina va verso sud mentre al pomeriggio gira e spinge a nord. 

I corridori però scenderanno a Grosio…

Trovandosi già in alta valle le condizioni del vento sono più imprevedibili, basta poco affinché il vento cambi direzione. L’ultimo dubbio le squadre se lo toglieranno alla partenza, da lì capiranno che tattiche potranno mettere in atto. 

Uno dei più attesi quest’anno è Piganzoli, corridore di casa qui scortato da Fabbro proprio sul Mortirolo
Uno dei più attesi quest’anno è Piganzoli, corridore di casa qui scortato da Fabbro proprio sul Mortirolo
Raccontaci di questi chilometri nel fondo valle, come sono?

Tosti. Prima di Bormio c’è uno strappo molto duro, anzi due. Fare velocità è difficile anche perché la strada sale costantemente. Se la fuga rimane numerosa può arrivare al traguardo. Dietro i capitani dovranno stare attenti, avere un uomo al loro fianco sarà importante per non stare al vento a tirare. Saremo solamente all’inizio della terza settimana, buttare via energie inutili non avrebbe senso. 

Sappiamo che stai facendo il corso per il patentino di terzo livello, facciamo un gioco: da tecnico cosa diresti?

Di non attaccare mai sul Mortirolo, ma di seguire le azioni e lo sviluppo della corsa. Il vero trampolino di lancio sarà lo strappo de Le Motte, che misura due chilometri ma è impegnativo. Penso che non essendoci corridori del calibro di Pogacar la classifica sarà corta, quindi ogni secondo conta. Una bella azione può portare a guadagnare parecchio. 

Da Morbegno il Giro partì anche nel 2020, era la diciannovesima tappa, Kelderman era in rosa
Da Morbegno il Giro partì anche nel 2020, era la diciannovesima tappa, Kelderman era in rosa
E’ una tappa dove se qualcuno non sta bene può pagare tanto?

Quei 25 chilometri di fondo valle non perdonano e rischiano di sembrare infiniti. C’è un tratto, nella zona de Le Prese, dove la strada si impenna per un chilometro con punte fino al 16 per cento. Ricordo che anche in allenamento sembrava infinito: la strada è larga, sale e ti sembra di essere fermo. Dopo sedici tappe a qualcuno potrebbe anche arrivare il conto da pagare

Il giorno dopo, per la tappa numero diciotto, si parte da casa tua: Morbegno. 

Quella è una frazione molto più semplice, ma allo stesso tempo impegnativa. Sulla carta potrebbe esserci un arrivo in volata. Però i velocisti dovranno reggere nella parte centrale che è molto mossa ed esigente. Il vero obiettivo sarà capire che ritmo potrà tenere il gruppo perché se la fuga prende margine poi si hanno pochi chilometri per ricucire. Dall’ultima salita al traguardo ci saranno solamente 50 chilometri. Arrivare in volata non sarà scontato. 

Ciclocross olimpico? Van der Spiegel è pronto a tornare sulla neve

09.03.2025
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La stagione di ciclocross si è conclusa da poco, ma l’argomento continua a tenere banco. Fra pochi giorni dalla riunione plenaria del CIO che eleggerà il nuovo presidente, potrebbero arrivare novità importanti a proposito dell’ingresso della specialità nel programma olimpico invernale, a partire dal 2030. Ma questo fa un po’ a pugni con la sparizione dal calendario di gare sulla neve.

Di questo e di altro abbiamo allora voluto parlare con Tomas Van der Spiegel, “deus ex machina” di Flanders Classics, reduce dall’impegno organizzativo all’Omloop Het Nieuwsblad.

Tomas Van der Spiegel è stato un famoso cestista, dedicatosi poi all’organizzazione di eventi ciclistici
Tomas Van der Spiegel è stato un famoso cestista, dedicatosi poi all’organizzazione di eventi ciclistici
Come giudichi la stagione di ciclocross appena conclusa?

Noi siamo molto soddisfatti. Credo che l’aspetto principale sia che abbiamo trovato una stabilità intorno anche alla Coppa del mondo, cambiando il calendario non sapevamo che cosa aspettarci. Il nuovo format è piaciuto molto ai tifosi, la stagione è stata seguitissima e non possiamo che rallegrarcene e continuare su questa strada.

Secondo te la presenza non frequente dei grandi campioni come Van der Poel e Van Aert penalizza quella parte di stagione senza di loro?

Meno di quel che si poteva pensare, perché anche nei mesi ottobre-novembre siamo riusciti comunque ad avere tanta gente nei percorsi e gli ascolti televisivi erano molto buoni. Il ciclocross ha molto seguito perché è facile da capire, attira nella sua meccanica. E’ chiaro che la presenza di Mathieu Van der Poel cambia tutto in positivo, ma la stabilità di cui parlavo prima credo che c’era anche prima del rientro suo e di Van Aert.

Van der Poel è un richiamo enorme quando c’è, con un crescita di presenze intorno al 25 per cento
Van der Poel è un richiamo enorme quando c’è, con un crescita di presenze intorno al 25 per cento
Ma come partecipazione popolare hai notato delle differenze, in base alla loro presenza o meno?

Certo che c’è una differenza, soprattutto se ci sono tutti e due, ma non è come avveniva in passato che la massa di gente raddoppiava. Ora c’è un aumento più contenuto, diciamo sul 20-30 per cento in più. Ma va anche considerato che a livello complessivo c’è stato un forte aumento delle presenze.

L’ingresso del ciclocross nel programma olimpico appare sempre più probabile, che cosa ne pensi?

Sarebbe una cosa bellissima per il nostro sport, darebbe una spinta spettacolare al suo sviluppo. Potrebbe significare che ci sarà interesse in altri Paesi, in altri mercati che potrebbero solo aiutare questa disciplina. Siamo entusiasti all’idea, ma finché non ci sarà nulla di ufficiale dobbiamo rimanere con i piedi per terra.

Il pubblico quest’anno ha invaso le gare internazionali, con un forte aumento di presenze
Il pubblico quest’anno ha invaso le gare internazionali, con un forte aumento di presenze
Appare però un controsenso che, mentre si discute dell’ingresso olimpico del ciclocross siano sparite le prove sulla neve…

Noi siamo consci che abbiamo fatto una bellissima cosa a Vermiglio. Una cosa non semplice, che ci ha spinto per ora ad accantonare l’idea, ma non è escluso che dal 2026 in poi non si riprenda a gareggiare sulla neve, magari anche in un’altra destinazione invernale, magari ampliando anche la gamma di eventi. Abbiamo già delle candidature adesso per la stagione 2026-27 che riguardano percorsi sulla neve. Stiamo alla finestra… Teniamo però presente che lo spirito del ciclocross è di regola un altro, fatto di fango, di ostacoli, dove i percorsi sulla neve sono un po’ l’eccezione anche considerando le temperature.

Accennavi al calendario. Voi state prendendo in considerazione la possibilità di ristabilire qualche prova sulla neve, ad esempio per testare il futuro percorso in Francia per il 2030?

Noi siamo aperti a tutti i siti e a tutte le possibilità, abbiamo già pensato anche a fare primi test proprio nella stagione 2026-27, ma abbiamo anche tante altre candidature. Come detto c’è solo da attendere, poi affronteremo la questione con tutta la nostra struttura.

Flanders Classics ha sperimentato il ciclocross in Val di Sole. Un’esperienza da ripetere
Flanders Classics ha sperimentato il ciclocross in Val di Sole. Un’esperienza da ripetere
Quelle esperienze vissute in Val di Sole che cosa ti hanno lasciato?

Siamo molto orgogliosi di quel che abbiamo fatto. Di essere stati i primi a organizzare lì perché prima nessuno sapeva cosa aspettarsi. Credo sia stata molto ben organizzata, grazie anche all’apporto del comitato locale, molto esperto e rodato dalla mountain bike attraverso l’organizzazione di coppa del mondo e mondiali. I partecipanti erano molto contenti dell’evento anche sotto l’aspetto tecnico. Abbiamo un ricordo molto positivo e speriamo di tornarci.

Quelle esperienze vissute in Val di Sole che cosa ti hanno lasciato?

Guarda, abbiamo un fenomeno assoluto con Mathieu e un altro fenomeno con Van Aert. Ma la corsa che mi fa più piacere è vedere che dietro stanno emergendo altre nazioni, altre scuole. Guardate fra le donne, con la Backstedt, la Vas, anche le italiane con la Casasola, si vede che la concorrenza si amplia e questo fa bene. Lo stesso dicasi per le categorie giovanili, le affermazioni dei ragazzi italiani, con Agostinacchio ad esempio, sono un bel segnale, di crescita del movimento. E’ però importante che questi giovani possano continuare a dividersi fra le due discipline ma questo è quel che sta succedendo. Vedere Pieterse o Backstedt che possono essere sulla breccia d’estate come d’inverno è importantissimo.

Blanka Vas è una delle principali oppositrici al dominio olandese. Van den Spiegel punta però anche sull’Italia
Blanka Vas è una delle principali oppositrici al dominio olandese. Van den Spiegel punta però anche sull’Italia
Secondo te un ingresso del ciclocross alle Olimpiadi porterà altri grandi nomi di strada e mountain bike a frequentare i campi d’inverno?

Dalla strada al ciclocross è molto difficile, però se prima tanti campioni del ciclocross poi lo lasciavano per dedicarsi solo alla strada, in futuro magari non avverrà più. Noi abbiamo avuto autentici talenti come Alaphilippe o Sagan che andavano forte anche nel ciclocross, penso che avendo uno sbocco olimpico non avrebbero lasciato. Quello è un po’ anche il nostro obiettivo e per quello che noi come società abbiamo investito molto nella specialità, perché crediamo veramente nella sua complementarietà con la strada.

Parigi-Nizza, si parte. Chi fermerà Vingegaard?

09.03.2025
5 min
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«Ricordo la mia prima partecipazione nel 2023. Ho molti ricordi – ha detto ieri Vingegaard nella conferenza stampa di vigilia alla Parigi-Nizza – alcuni belli e alcuni brutti. Ero venuto per vincere, invece arrivai terzo, quindi rimasi un po’ deluso. Non si può sempre vincere, ma sono tornato per farlo. Dovrò stare al coperto nelle prime tappe, senza perdere tempo. Poi potremo guadagnare nella cronometro a squadre e pure il giorno dopo alla Loge des Gardes, cinque minuti di salita dura. Poi restano le ultime due tappe, che saranno davvero impegnative».

La Parigi-Nizza parte oggi e si concluderà domenica prossima: 1.212,6 chilometri con dislivello complessivo di 15.863 metri
La Parigi-Nizza parte oggi e si concluderà domenica prossima: 1.212,6 chilometri con dislivello complessivo di 15.863 metri

Il parco dei pretendenti

Parte oggi la corsa francese, con un giorno di vantaggio sulla Tirreno-Adriatico che scatterà domani. Nel complesso e singolare intreccio dei calendari, senza Tadej Pogacar e Remco Evenepoel, chi potrà impedire a Jonas Vingegaard di portarla a casa?

Lo scorso anno il danese vinse la Tirreno-Adriatico, con disarmante superiorità. Al giorno d’oggi, sono solo quattro i corridori – fra classiche e Giri – in grado di staccare in modo significativo il resto del gruppo e produrre differenza evidenti. Uno è il danese, l’altro è Pogacar, poi ci sono Evenepoel e Van der Poel. Per questo, senza imprevisti, è immediato inserire Vingegaard tra i favoriti della corsa francese. Anche perché il vincitore 2024, Matteo Jorgenson, correrà al suo fianco ed è intuibile che sarà chiamato ad aiutarlo.

Contro di loro, il campo dei partenti è solido, ma non irresistibile. La Soudal-Quick Step schiera Schachmann che ha vinto la corsa per due volte. La UAE Emirates avrà Almeida e assieme a lui Sivakov e McNulty. La Red Bull-Bora si affida a Vlasov. La Jayco-AlUla schiera O’Connor, secondo nel 2024 alla Vuelta e al mondiale. Infine la Bahrain Victorious ripropone la coppia Buitrago-Martinez.

Mentre Vingegaard vinceva la Tirreno 2024, Jorgenson conquistava la Parigi-Nizza
Mentre Vingegaard vinceva la Tirreno 2024, Jorgenson conquistava la Parigi-Nizza

Il punto dopo l’Algarve

Vingegaard si presenta al via della Parigi-Nizza cercando di mettere a punto la condizione dopo il debutto a mezze tinte della Volta ao Algarve, vinta grazie alla crono, ma faticando più del previsto in salita.

«In Portogallo abbiamo imparato molte cose – ha proseguito Vingegaard – soprattutto riguardo al primo arrivo in salita, che per me non ha funzionato. Abbiamo provato a capire di cosa si trattasse per provare a fare di meglio. Qui avrò anche una squadra molto forte, mentre in Algarve ero da solo e per questo mi sono ritrovato in una posizione difficile. Da allora ho recuperato. Ho fatto buoni allenamenti a casa. La forma è abbastanza buona, non sono ancora stato in altura per cui non sono nella forma migliore, ma neanche male. Spero di aver guadagnato qualche punto percentuale rispetto all’Algarve».

Sull’arrivo di La Loge des Gardes nel 2023 il duello tra Pogacar e Vingegaard si risolse a favore dello sloveno
Sull’arrivo di La Loge des Gardes nel 2023 il duello tra Pogacar e Vingegaard si risolse a favore dello sloveno

Otto tappe impegnative

La Parigi-Nizza ha otto tappe, come ha accennato Vingegaard. Parte da Le Perray en Yvelines e si concluderà domenica prossima a Nizza. Dopo le prime due giornate destinate ai velocisti e la veloce cronosquadre della terza, il primo scossone alla classifica verrà il quarto giorno, con l’arrivo in salita di La Loge des Gardes. E’ il luogo in cui nel 2023 Pogacar piegò per la prima volta Vingegaard, vincendo la tappa.

L’indomani, la tappa di La Cote Saint André ripropone un profilo da classica delle Ardenne, che precede il sesto giorno (nervoso) di Berre l’Etang. C’è poi l’arrivo in salita ad Auron il settimo giorno, dopo aver scalato la Colmiane. Infine l’ottava tappa si conclude a Nizza dopo quattro salite e il Col de Quatre Chemins a 9 chilometri dall’arrivo.

Il computo totale parla di 1.212,6 chilometri con dislivello complessivo di 15.863 metri e 28 gran premi della montagna.

Dopo l’Algarve, Vingegaard sarà alla Parigi-Nizza con un super squadrone
Dopo l’Algarve, Vingegaard sarà alla Parigi-Nizza con un super squadrone

Il calendario di Vingegaard

Dopo aver raccontato a Eurosport lo stato disastroso in cui si è ritrovato lo scorso anno dopo la caduta al Giro dei Paesi Baschi, il danese ha spiegato come il suo livello al Tour de France non potesse essere accettabile. Perciò da allora si è rimboccato le maniche, pensando alla rivincita contro Pogacar. Anche a costo di snobbare le classiche e le corse sulle quali lo sloveno sta costruendo invece la sua leggenda.

«Abbiamo visto che le corse a tappe mi si addicono molto bene – ha detto Vingegaard – quindi sono più propenso a quelle che alle gare di un giorno. L’anno scorso ho vinto la Tirreno-Adriatico, quindi la cosa più normale è puntare alla Parigi-Nizza, per fare qualcosa un po’ diverso dagli ultimi anni. Vorrei vincere quante più gare a tappe WorldTour possibili e la Parigi-Nizza è la più grande, al di fuori dei Grandi Giri.

«Qui correremo con due leader, Jorgenson e il sottoscritto. Con lui ho un ottimo rapporto, sarei felice se vincesse. Non sono così egoista da pensare soltanto a me stesso. Sarò felice di sacrificarmi se lui sarà nelle condizioni di vincere, oppure se sarà il più forte e avrà la possibilità di vincere. E sono certo che sarà lo stesso anche al contrario, se sarò io a meritare. Su questo siamo uguali».