Confalonieri e un 6° posto che vale. Nelle pieghe dell’Inferno

19.04.2025
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Ci sono ritorni a casa che hanno un valore particolare. Maria Giulia Confalonieri, rientrata dal “suo” periodo di classiche può finalmente tirare il fiato, ora l’attende solo allenamento e poi si tornerà a correre a maggio. Ha terminato la prima parte di stagione senza vittorie, è vero, ma il fatto di avere chiuso la Roubaix nell’elite del ciclismo ha un forte peso. Tanto è vero che il suo 6° posto finale forse non ha neanche avuto il rilievo che meritava.

Per la ciclista di Giussano sesto posto finale a Roubaix, a 1’01” dalla Ferrand Prevot, lottando per il podio fino alla fine
Per la ciclista di Giussano sesto posto a Roubaix, a 1’01” dalla Ferrand Prevot, lottando per il podio fino alla fine

La scelta di non esserci alle Ardenne era già stata preventivata all’inizio della stagione: «Anche noi della Uno-X facciamo turn over come tante altre squadre del WorldTour. Qualcuno ha tirato avanti e sarà presente all’Amstel ma se guardate la starting list, già lì c’è un forte cambio. A Freccia e Liegi ci saranno molte protagoniste diverse. Io sono contenta di poter staccare un po’ per poi riprendere con vigore dal prossimo mese».

Torniamo alla corsa del pavé, essere stata protagonista fino alla fine ti ha soddisfatto?

Diciamo che ho tenuto fede a quello che era un obiettivo fin dall’inizio. Già lo scorso anno avevo capito che potevo giocare le mie carte, ma allora ho pagato dazio alla sfortuna, con un paio di forature lontano dalla fine dei tratti di pavé e quindi dalla possibilità di cambiare bici. Alla Roubaix è così, devi essere anche fortunato non solo a non forare, ma quando capita dipende molto da dove avviene, se puoi intervenire presto oppure no. E’ questione di attimi, se perdi il treno giusto non hai più possibilità. Quest’anno ero partita con l’idea di centrare una Top 10, ma guardando com’è andata la gara resta sempre quel pizzico di amaro in bocca sapendo che si poteva fare anche di più.

Maria Giulia con Letizia Borghesi. Le due sono state grandi protagoniste sul pavé
Maria Giulia con Letizia Borghesi. Le due sono state grandi protagoniste sul pavé
Probabilmente il tuo 6° posto non è stato sufficientemente valutato anche perché “coperto” dalla piazza d’onore della Borghesi

Lei ha fatto una gran gara, niente da dire. Ha saputo scegliere il momento giusto per attaccare e andarsi a prendere un risultato prestigioso. Come detto, la Roubaix è una questione di attimi, lei è stata brava ad attaccare mentre Vos e Wiebes si stavano guardando, d’altronde Marianne non poteva muoversi avendo la Ferrand Prevot davanti. Io ho perso il momento giusto perché pensavo che Lorena sarebbe stata più attiva nell’inseguimento, dovevo osare di più, ma alla fine è arrivato comunque un risultato importante.

L’azione della Ferrand Prevot ha cambiato un po’ le strategie che avevate messo in cantiere?

Fino al quinto settore di pavé, la corsa era andata avanti in maniera piuttosto lineare. Poi c’è stata la caduta di due ragazze e lì già sono stata costretta a rincorrere, ma la corsa non era ancora esplosa. Che qualcosa doveva succedere si doveva capire quando sono andate in fuga le 6 ragazze, dietro non si è fatto nulla di particolare per inseguirle, eppure c’è stato il ricongiungimento perché molte squadre aspettavano che fosse la Sd Worx a prendere l’iniziativa, sapendo che la Kopecky avrebbe lavorato per la Wiebes. Così, quando la francese ha attaccato, tutte sono rimaste in attesa, si sono appoggiate alla Kopecky, favorendo Pauline.

Un piazzamento buono per la lombarda, trovatasi presto senza compagne lungo il percorso
Un piazzamento buono per la lombarda, trovatasi presto senza compagne lungo il percorso
Tu a quel punto com’eri messa?

Non potevo far molto perché ero sola del mio team lì davanti. C’erano altre squadre più rappresentate, ma non c’è stato accordo nell’inseguimento. Il fatto è anche che della Roubaix si ha sempre un po’ paura, sai che all’improvviso ti si può spegnere la luce e non vai più avanti. Intendiamoci: la francese è stata bravissima, nei tempi come nella condotta di gara, la sua sapienza di guida si è vista tutta.

Nella Roubaix quanto incide?

Molto. Un aspetto sul quale si pone poca attenzione è il fatto che fondamentale è la scelta di “dove” mettere le ruote. Essere davanti è un vantaggio perché vedi il terreno, altrimenti se sei dietro devi fidarti di chi ti sta davanti. Il pavé della Roubaix è diverso da qualsiasi altro, gli spuntoni sono tantissimi e paradossalmente sono maggiori sulle canaline laterali, dove spesso si pedala perché si va più veloci. Al centro è più lineare, almeno nelle belle giornate come quella che abbiamo vissuto. Diciamo che se sei la prima della fila è meno probabile forare perché hai una visuale migliore.

Nella Roubaix è fondamentale la scelta delle traiettorie per ridurre il rischio di forature
Nella Roubaix è fondamentale la scelta delle traiettorie per ridurre il rischio di forature
Quanto incide l’aspetto umano?

Tanto, ma meno che in altre corse. Per me la Roubaix è una corsa da gravel, ma ognuno fa le sue scelte, infatti alla partenza trovi le soluzioni più diverse, chi usa la monocorona e chi no, ad esempio. La Visma adesso adotta questo nuovo sistema del “gonfia e sgonfia”, tanti hanno usato il salsicciotto per prevenire lo sgonfiaggio e arrivare a fine settore anche in caso di foratura. Alla Roubaix è tutto estremizzato, molto più che in qualsiasi altra corsa e bisogna considerare anche un altro fattore: per le donne è una gara nuova, siamo solo alla sesta edizione, ogni anno se ne capisce di più su come interpretarla.

Nel complesso il tuo inizio stagione com’è stato?

Non ci sono stati grandi acuti, ma posso ritenermi soddisfatta. Diciamo che sono abbastanza in credito con i risultati, ma bisogna tenere conto che in molte gare ho corso in aiuto di Linda Zanetti, che è molto veloce e infatti in alcune gare sono stata il suo ultimo elemento nel tirarle la volata. Io credo che sia stato un buon periodo, per me come per il team, ci facciamo vedere di più, continuiamo a crescere.

Nel team norvegese la Confalonieri ha corso da leader, ma anche in aiuto alle compagne
Nel team norvegese la Confalonieri ha corso da leader, ma anche in aiuto alle compagne
Dove ti vedremo ora?

Ora mi attende un periodo di preparazione per poi tornare in gara in Lussemburgo, dove il giro a tappe è stato sostituito da due prove in linea, alla Vuelta a Burgos, che fra le corse a tappe spagnole è quella che più si adatta alle mie caratteristiche e dove voglio affinare la gamba in vista del Tour of Britain. Lì voglio davvero portare a casa qualcosa d’importante…

In viaggio da Parigi a Roubaix: due debuttanti sul pavé

19.04.2025
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La prima Parigi-Roubaix è come il primo amore, non si scorda mai. L’emozione dell’esordio, la presentazione delle squadre il giorno prima, la ricognizione del percorso, i momenti concitati in gara e, ovviamente, i tratti di pavé. L’inferno del Nord è una corsa unica, come ognuna delle cinque Classiche Monumento, ed esordire non è affatto banale. Sia per i meriti sportivi che per il significato che questa corsa riesce ad avere nei cuori degli spettatori e dei ciclisti stessi. 

Tra i giovani italiani che hanno solcato per la prima volta le pietre della Parigi-Roubaix ci sono Daniel Skerl e Andrea Raccagni Noviero. I due sono arrivati nel velodromo tra gli ultimi, rispettivamente 114­° e 115° ma non per questo la loro cavalcata assume un valore differente. A qualche giorno di distanza andiamo da loro per farci raccontare questo incontro ravvicinato con l’Inferno

SKERL: «Tutto a posto. Poco alla volta io e la mia schiena abbiamo recuperato. Il giorno dopo mi faceva davvero male, anche le gambe ma a quello sono abituato (ride, ndr). Lunedì ho riposato, mentre martedì ho fatto un’uscita di un’oretta».

RACCAGNI: «Ho avuto per qualche giorno dolore al soprasella e alle gambe. Per il resto tutto bene. Mi sono preso un paio di giorni per recuperare, anche se ieri (mercoledì, ndr) sono salito in bici e avevo ancora un po’ di dolore».

Andrea Raccagni Noviero è arrivato sfinito a Roubaix, l’ultima ora e mezza è stata una sofferenza (foto Instagram)
Andrea Raccagni Noviero è arrivato sfinito a Roubaix, l’ultima ora e mezza è stata una sofferenza (foto Instagram)
Com’è andato l’esordio?

SKERL: «La mattina della gara avevo un po’ di ansia perché c’era l’incognita del meteo. Andando alla partenza avevo visto che alcuni tratti erano pieni di fango, non proprio il massimo. Con l’andare delle ore e delle gare che ci hanno preceduto (juniores e U23, ndr) la situazione è migliorata. 

RACCAGNI: «E’ la gara più dura a cui ho preso parte. Si tratta di uno sforzo diverso, non intenso ma a sfinimento. Poi è lunghissima, l’ultima ora e mezza ero devastato. Non so come ho fatto ad arrivare a Roubaix».

Che ruolo avevi in corsa?

SKERL: «Dovevo stare accanto a Fred Wright. All’inizio ho preso i tratti di pavé anche in posizioni decenti, poi mi sono staccato poco prima della Foresta di Arenberg. All’uscita di quel settore mi sono trovato da solo con Declercq, in quel momento ho capito che raggiungere il traguardo sarebbe stato difficile. Per fortuna da dietro è rientrata gente e insieme siamo andati all’arrivo

RACCAGNI: «Fino alla Foresta di Arenberg ero a supporto di Tim Merlier. Siamo entrati un po’ dietro e mi sono dovuto spostare sulla sinistra perché era pieno di corridori fermi a bordo strada. Nello spostarmi ho bucato e lì ho perso una marea di tempo. Sono uscito insieme ad altri quattro corridori, mancavano novanta chilometri all’arrivo e c’era sempre vento contro o laterale. A un certo punto ci ha raggiunto un gruppo grande, ma prendeva i settori a tutta e mi sono staccato. Ho fatto gli ultimi venticinque chilometri da solo. 

Uno dei pochi accorgimenti tecnici della Bahrain Victorious è stato montare copertoni da 35 millimetri
Uno dei pochi accorgimenti tecnici della Bahrain Victorious è stato montare copertoni da 35 millimetri
Emozioni particolari?

SKERL: «Quando ho saputo della convocazione, mi sono detto che sarebbe stata una gara come un’altra. Poi nella settimana prima mi è salita un po’ di tensione, inizi a pensare che sono 270 chilometri, che si corre a 47 di media, nella ricognizione vedi cosa vuol dire pedalare sul pavé. Poi il primo tratto di pietre lo prendi a 160 chilometri dall’arrivo, tra l’altro quei quattro settori all’inizio li ho fatti a ruota di Van Aert. Ammetto che mi ha dato un po’ di energia in più. La cosa impressionante è che mi staccava sui tratti d’asfalto, lima in maniera incredibile. In due pedalate risaliva cinque o sei posizioni. 

RACCAGNI: «In squadra si parlava da un po’ di farmi fare questa corsa. Le carte si erano un attimo rimescolate, poi il mercoledì prima del Fiandre mi hanno detto che sarei andato alla Roubaix. Così quella domenica mi sono fatto un bel lungo di 230 chilometri per prepararmi. L’emozione più grande, oltre ai settori di pavé, l’ho vissuta durante la presentazione delle squadre il giorno prima. Non avevo mai visto così tanta gente». 

Qual è il settore che più ti ha impressionato?

SKERL: «Il Carrefour de l’Arbre. Lì il pubblico è qualcosa di incredibile. A bordo strada era colmo di gente, tutti che urlano e ti incitano, anche a me che sono passato un quarto d’ora dopo i primi. Ero sfinito ma il calore del pubblico ti spinge avanti».

RACCAGNI: «La Foresta di Arenberg. Un po’ perché è la cosa che guardi in tv da bambino e poi perché quando esci realizzi che ti mancano ancora diciotto settori di pavé e sei disperso nelle retrovie che pedali a tutta. Quando ho bucato per fortuna non è andata giù subito la pressione ma è rimasta a un bar, un bar e mezzo. Nel momento in cui entri la corsa esplode, trovi corridori con le ruote distrutte e poi il pubblico batte le mani contro le barriere di plastica e fa un frastuono infernale».

Il sostegno del pubblico è per tutti…

SKERL: «Ti vedono un po’ come un eroe. Nonostante fossi tra gli ultimi il tifo era ugualmente caloroso. C’è una passione così grande per il ciclismo che ti senti parte di qualcosa di grande. Quando ero a ruota di Van Aert sentivi proprio l’amore del pubblico per un campione del suo calibro». 

RACCAGNI: «Tutti quelli che erano lungo la strada urlavano e ti sostenevano. Comunque tra Van der Poel e me saranno passati più di quindici minuti, avrebbero potuto guardare la corsa sul telefono o andare via. Invece erano lì, a bordo strada, ad aspettare gli ultimi e dare loro supporto».

Quando hai capito di aver compiuto la tua impresa personale?

SKERL: «Nel viale alberato di Roubaix. Mancava l’ultimo settore (200 metri proprio in quel viale, ndr) poi sono arrivato nel velodromo. Pensavo che quel giro e mezzo fosse più corto, devo ammetterlo. Con il suono della campana ho capito di aver terminato la mia prima Classica Monumento. Un giorno da non dimenticare, anche perché sono partito alle 11 del mattino da Compiègne e sono arrivato alle 17 a Roubaix». 

RACCAGNI: «Nel velodromo, lì ho pensato a tutta la fatica che ho fatto per finire la gara. Non so con quali forze sono andavo avanti. Ho anche pianto, più per la fatica fatta in bici, non sentivo più nulla. Un’altra cosa che mi ha impressionato è la dimensione del velodromo. E’ piccolo, sembra una pista che abbiamo anche noi vicino a Genova. Dalla tv sembra grande il doppio».

Il sostegno del pubblico è uguale dall’inizio alla fine, anche per l’ultimo del gruppo (foto Instagram)
Il sostegno del pubblico è uguale dall’inizio alla fine, anche per l’ultimo del gruppo (foto Instagram)
Scelte tecniche particolari?

SKERL: «L’unica novità sono stati i copertoni, abbiamo usato quelli da 35 millimetri. Quando sono salito in bici durante la ricognizione mi sembravano quasi ridicoli, invece mi hanno salvato perché sul pavé mi hanno dato una grandissima mano». 

RACCAGNI: «Nessuna. Avevamo gli stessi materiali che utilizziamo nelle altre corse. I copertoni erano da 32 millimetri gonfiati a 3,5 e 3,6 bar».

Ti sei concesso un premio per la tua prima Monumento? 

SKERL: «Nulla di particolare. La cosa che mi ha sorpreso sono stati i messaggi ricevuti a fine gara da amici e conoscenti. Questo è stato il mio regalo più grande, aver dato a tutti quelli che mi vogliono bene un motivo per essere orgogliosi di me mi ha reso felice». 

RACCAGNI: «Festeggiare nel nord delle Francia non è semplice. C’era la mia famiglia, è venuta anche la mia ragazza dalla Repubblica Ceca. La sera ci siamo presi una pizza e l’abbiamo mangiata in hotel. Comunque una cena premio me la sono meritata».

Simone Gualdi, la Liegi U23 per fare come Busatto

19.04.2025
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Quando lo abbiamo raggiunto, Simone Gualdi stava ultimando l’ultima distanza in vista della Liegi U23, che si correrà proprio oggi fra Bastogne e Blegny. Era sulle sue salite, tra queste il Selvino: una delle scalate simbolo del Giro di Lombardia, ma soprattutto, almeno in questo caso, una delle sue salite test. Quelle che ti dicono come stai. E a quanto pare le risposte della montagna sono state positive.

Il giovanissimo atleta della Wanty – Nippo – ReUz, devo team della Intermarché, è pronto dunque per una sfida che piace ai ragazzi del team belga, visto che due anni fa a vivere questa corsa fu un suo connazionale e compagno, Francesco Busatto. Le assonanze tra i due non mancano. Speriamo che anche il risulto finale sia lo stesso.

Sin qui Gualdi ha disputato una buona stagione. Ha fatto qualche apparizione con i pro’. Ha sfiorato il successo al Le Tour des 100 Communes, battuto, pensate un po’, da quel Matthew Brennan che avrebbe poi vinto due tappe al Catalunya e si sarebbe messo in luce anche alla Parigi-Roubaix. Ma soprattutto ha mostrato la solidità per cui dal prossimo anno passerà nella prima squadra e quindi nel WorldTour.

La Cube di Gualdi in cima al Selvino: ultime pedalate prima di volare in Belgio
La Cube di Gualdi in cima al Selvino: ultime pedalate prima di volare in Belgio
Innanzitutto, Simone, come stai? Come sta andando la stagione?

Va sicuramente molto bene. Ho iniziato subito forte, anche con i professionisti. Ho avuto qualche occasione, ho raccolto qualche bel piazzamento e diciamo che per avere la ciliegina sulla torta manca la vittoria. Però non posso assolutamente lamentarmi o avere rammarichi. Anzi…

Parteciperai alla Liegi U23. Avete mai parlato di questa corsa con Francesco Busatto, che l’ha vinta due anni fa?

In realtà non troppo, alla fine non ci vediamo così spesso. Però sicuramente ci tengo a far bene. E’ una corsa anche adatta alle mie caratteristiche. So che sto bene e quindi ci terrei a replicare quello che ha fatto Francesco.

Hai già studiato il percorso? Come ti stai preparando?

Sì, ho bene in mente ciò che mi aspetta. La Liegi U23 l’ho fatta già l’anno scorso, quindi mi ricordo i punti chiave. E poi al giorno d’oggi con VeloViewer possiamo vedere un po’ tutti i dettagli della corsa. E posso dirvi che l’ho guardata e riguardata un bel po’ di volte e ho capito dove potrò provare a fare la differenza. Però poi vedremo in gara, in base a come si evolvono le situazioni.

Hai già individuato i rivali più pericolosi?

Sicuramente ci sarà Jarno Vidar, con cui ho corso questa settimana al Circuit des Ardennes e l’ho visto in gran forma. Penso anche che Lorenzo Finn sarà un avversario tosto. Poi vedremo… sono corse grandi, importanti e alla fine qualcuno di forte esce sempre. So che le mie qualità le ho, so che posso far bene…

Gualdi (classe 2005) è stato il miglior giovane all’ultimo Trofeo Laigueglia
Gualdi (classe 2005) è stato il miglior giovane all’ultimo Trofeo Laigueglia
A questa età si cresce molto rapidamente. Dove senti di essere migliorato rispetto al 2023?

Sicuramente ho accumulato tantissima esperienza che mi aiuta a capire meglio certe situazioni di corsa e a sprecare meno in momenti non determinanti. Prima buttavo via qualche energia di troppo che poi mi costava sul finale. Anche i miei numeri sono migliorati. So di essere più forte, non solo mentalmente e tatticamente, ma anche fisicamente.

E in cosa sei cresciuto dal punto di vista fisico?

Ho lavorato tanto sia sulla resistenza che sulle salite lunghe. Ho notato un grosso miglioramento proprio su quelle. Infatti quest’anno mi piacerebbe provare a fare bene in classifica generale nelle corse a tappe.

Ti riferisci anche il Giro Next Gen?

Esatto. Quello è il prossimo obiettivo dopo la Liegi U23. E’ una corsa a cui tengo molto. Ci ho lavorato.

Vieni da un corsa particolare, il Circuit des Ardennes, alla quale i francesi tengono molto ed è sempre molto combattuta? Che impressione hai avuto in queste cinque tappe?

Mi sono trovato bene. Non erano percorsi durissimi, nei quali poter fare una grossa differenza, ma quando c’era qualche salita sono riuscito a essere sempre con i migliori. Ci sono state un paio di occasioni con gli abbuoni in cima a delle cotes e ho anche acciuffato qualche secondo per la generale. Erano cinque tappe nervose (alcune anche del vento, ndr) e siamo sempre stati in gara. Ho ottenuto due top dieci.

Al Circuit des Ardennes il bergamasco è sempre stato nella mischia. Si è mosso bene anche tra i ventagli (foto FG Photos)
Al Circuit des Ardennes il bergamasco è sempre stato nella mischia. Si è mosso bene anche tra i ventagli (foto FG Photos)
Veniamo alla Liegi: anche tra gli U23 la cotes de la Redoute sarà decisiva?

Sì, sicuramente inizierà anche per noi da lì. Però è un po’ diverso rispetto ai professionisti. Secondo me ci sono anche altri punti chiave prima come Wanne o Haute Levée. Alla fine in quelle fasi devi avere le gambe: se hai le gambe sei davanti e il resto poi viene un po’ di conseguenza. Dopo c’è una scrematura.

Simone, per i giovani italiani all’estero spesso non è facile, anche dal punto di vista ambientale: senti la fiducia dei tuoi compagni di squadra?

Sì, parecchia fiducia. Sotto questo punto di vista sono tranquillo. Anche perché mi sono guadagnato il rispetto nella squadra. Quando quel giorno non è un’occasione per me, sono il primo ad aiutare i compagni. E penso che questa sia una delle chiavi per creare un bel gruppo: aiutare quando serve, ma anche essere aiutato quando arriva la tua occasione.

Insomma, Simone Gualdi è pronto: dal Selvino alla Liegi!

Sì, esatto. Mercoledì ho svolto un ultimo allenamento in vista di questa gara. Però è stata più che altro una rifinitura. Quello che bisognava fare era già stato fatto. Ora c’è solo la corsa da affrontare. Sono arrivato in Belgio un paio di giorni prima, così da fare tutto con calma. Abbiamo un hotel, un punto d’appoggio vicino al service course del team, e da lì ci spostiamo direttamente alla partenza della Liegi.

Van Aert, lo sprint è sparito. Invece Remco vola già

19.04.2025
4 min
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Uno che sperava di vincere, l’altro che lo ha sognato per settimane, forse mesi. Wout Van Aert ha pedalato verso l’arrivo della Freccia del Brabante restando alla ruota di Evenepoel. Remco ha corso come sempre, senza voltarsi e chiedendo solo una volta il cambio. Uno si è allenato minuziosamente rincorrendo (invano) la condizione perfetta, l’altro ha dovuto arrangiarsi appena gli hanno dato la possibilità di ripartire dopo l’incidente. Quando hanno iniziato la volata, le motivazioni erano per entrambi fortissime. Forse però nella mente di Van Aert c’era già il dubbio che gli ha impedito di sprintare come ha sempre saputo fare. O forse nelle sue gambe non c’è più quel che serve in situazioni simili. D’altra parte il percorso del Brabante strizza gli occhi agli scalatori.

«Certo che speravo di vincere – ha dichiarato Wout subito dopo la sconfitta – soprattutto in questa situazione, con la corsa che si sarebbe risolta con una volata a due. Ma non mi era rimasto più niente. Nell’ultima ora Remco mi ha lentamente sfinito, è stato già duro resistere nell’ultimo giro del percorso.

«E’ incredibile – ha dichiarato Evenepoel dopo la vittoria – pensavo di non avere molte possibilità contro Wout allo sprint. E’ uno che ha vinto volate di gruppo, ma è stata una gara dura e negli ultimi anni sono diventato un po’ più esplosivo anche io».

Van Aert ha ammesso che l’azione di Evenepoel lo ha sfinito
Van Aert ha ammesso che l’azione di Evenepoel lo ha sfinito

Lo sprint di Remco

Il rompicapo è lungi dall’aver trovato una soluzione. Che cosa sta succedendo a Van Aert? Evenepoel ha ragione: allo stesso modo in cui si pensava che avrebbe fatto un sol boccone di Powless alla Dwars door Vlaanderen, il finale della Freccia del Brabante sembrava scritto perché Wout cogliesse finalmente la vittoria che gli manca dal 27 agosto, dalla decima tappa della Vuelta.

«Mi sentivo bene – ha detto Van Aert – e ho contribuito a far esplodere la corsa. Sono rimasto scioccato dal fatto che ci sia stata una selezione così rapida. Per me sarebbe stato meglio se in finale ci fossero stati più corridori, perché non è stato un gran regalo restare a ruota di Remco. Speravo che dopo l’ultima salita calasse un po’ il ritmo, in modo da poter fare uno sprint esplosivo, ma lui ha tirato dritto. Nell’ultimo giro avevo già capito che fosse lui il più forte e lo ha dimostrato in volata».

«Avevo previsto questo scenario – ha detto Evenepoel – ma mi sono comunque sorpreso. Sapevo di stare bene, ma vincere al rientro non è facile. Ho dovuto impegnarmi a fondo. Durante gli allenamenti il mio cardiofrequenzimetro a volte arrivava a 190 battiti, ma oggi è andato verso i 200».

La vittoria di Remco al rientro ha avuto del prodigioso
La vittoria di Remco al rientro ha avuto del prodigioso

Lo sprint di Wout

Fra i due non è mai corso buon sangue. Dopo la vittoria di Evenepoel ai mondiali di Wollongong, Van Aert fece una gran fatica a complimentarsi con lui. Wout sembrava il predestinato, il solo e vero avversario di Van der Poel. Il gigante capace di vincere le volate e le crono, poi di tirare in salita come i migliori scalatori. La Jumbo-Visma di quegli anni era una squadra prodigiosa, poi qualcosa si è inceppato. Andate a rileggere i nomi di quelli che c’erano ai Tour del 2022 e del 2023.

«Non sono troppo deluso – ha detto Van Aert – ma come ho detto, puntavamo a qualcosa di più. Per come si era messa, speravo di batterlo in volata, ma a quanto pare non ho più uno sprint. Vorrei anche una risposta alla domanda sul perché sia accaduto. Non abbiamo lavorato in modo diverso, ma è qualcosa che dobbiamo valutare. Non ho idea del motivo. L’unica spiegazione che vedo per oggi è che ho sofferto negli ultimi chilometri ed ero già oltre il limite quando lo sprint è iniziato».

Una spiegazione andrà cercata. Non è possibile che “quel” Van Aert sia sparito nei meandri di una preparazione sempre più cervellotica e in conflitto con il suo essere un uomo per le battaglie. Ha dovuto arrendersi a Van der Poel, così come a Pogacar e Pedersen. E’ stato battuto in volata da Powless e ora da Evenepoel. Il prossimo esame sarà l’Amstel di domani, poi il focus si sposterà sul Giro d’Italia. Ma quale sarà per allora lo scopo di questo immenso campione che ha smesso di trovare la strada?

Zanini e lo spirito ritrovato tra le pietre del Nord

18.04.2025
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Un anno fa raccontavamo del Giro delle Fiandre concluso con il ritiro dell’ammiraglia da parte dell’Astana Qazaqstan. Qualcosa che rimane dentro e che ha ferito l’animo del team e del suo staff. 365 giorni dopo, più o meno, i ragazzi della XDS Astana Team sono tornati sulle pietre di Fiandre e Roubaix per prendersi la rivincita. Il risultato è stata una campagna del pavé vissuta in prima linea e con il coltello tra i denti, guidati in macchina da uno Stefano Zanini che da queste parti ha lasciato un pezzo di cuore e tante emozioni. Lo sentiamo mentre si trova in macchina e ha appena ritirato l’ammiraglia dal tagliando.

«Anche i veicoli – dice Zanini con un sorriso – devono fare un controllo dopo due settimane nelle Classiche del Nord. Per fortuna tutto a posto. Ora torno a casa e mi godo un periodo di riposo prima di ripartire con le gare nel mese di maggio».

La XDS Astana Team ha corso un Fiandre d’attacco anticipando i favoriti e cogliendo un decimo posto con Ballerini
La XDS Astana Team ha corso un Fiandre d’attacco anticipando i favoriti e cogliendo un decimo posto con Ballerini

L’altra faccia del pavé

Quest’anno la XDS Astana ha un altro spirito, lo si è capito fin dalle prime gare in Spagna e la campagna del Nord ne ha dato conferma. La rincorsa ai punti ha portato tutti a fare un salto a livello mentale e di approccio alle corse. La ciliegina sulla torta è arrivata al Fiandre e alla Roubaix, dove la squadra ha corso da protagonista. 

«Abbiamo avuto l’impressione di un cambio di mentalità fin da dicembre – racconta Zanini – l’ambiente dei corridori era diverso. L’arrivo di ragazzi nuovi ha portato qualcosa in più e lo si è visto. C’era tanta motivazione e il riscontro lo abbiamo avuto fin da subito. Nel 2024 le pietre ci erano rimaste indigeste, un anno dopo posso dire che è andata in maniera totalmente diversa e il grazie va a tutti. Anche ragazzi giovani come Romele e Toneatti si sono dimostrati all’altezza della situazione. Da questo punto di vista siamo contenti perché per loro si prospetta un bel futuro. Con il mix di corridori esperti e giovani sono convinto che in futuro potremo fare delle belle cose».

Dicevi della mentalità che è cambiata, ci spieghi meglio?

Mi riferisco all’approccio a questo tipo di gare. Tatticamente la strategia non cambia, negli anni ci troveremo sempre a competere contro i soliti Pogacar, Van der Poel, Pedersen e Van Aert. Però l’atteggiamento dei ragazzi deve essere quello di dire: «Non vedo l’ora che arrivino queste gare». Solo così ti viene la voglia di soffrire e di provarci fino in fondo. 

Hai rivisto la corsa?

Lunedì, una volta rientrato a casa. Abbiamo corso bene, fin dai primi tratti eravamo davanti. La Roubaix è una corsa nella quale serve fortuna ma anche tanta calma, tra cadute e forature il gruppo esplode ma poi si ricompatta sempre. Bisogna avere una gran dose di fortuna ma la si deve anche cercare. I momenti difficili vanno gestiti e interpretati. Non si può correre solamente quando tutto va bene. 

Mike Teunissen si è dimostrato solido e tenace, per lui un 12° posto al Fiandre e il 16° alla Roubaix
Mike Teunissen si è dimostrato solido e tenace, per lui un 12° posto al Fiandre e il 16° alla Roubaix
Chi è rimasto dall’anno scorso, a partire da voi dello staff, ha cercato di instillare questa voglia di rivincita anche nei nuovi arrivati?

Per quanto mi riguarda no. I corridori sanno che queste sono le mie corse preferite, chi viene qui capisce che è un altro modo di vivere il ciclismo. Forse inconsciamente riesco anche a trasmettere questa mia passione. Le Classiche del pavé le senti maggiormente rispetto alle altre, sarà per l’ambiente o altro, ma non c’è bisogno di tante parole. Chi viene a fare queste gare percepisce nell’aria il ciclismo.

I due punti di riferimento quest’anno per il Nord erano Ballerini e Bettiol…

Sì, poi purtroppo Bettiol ha avuto un’infiammazione ai polmoni e ha saltato tutta la campagna del pavé. Ballerini, invece, ha fatto una buona serie di gare con ottimi risultati: sesto alla Gand, decimo al Fiandre. Peccato per la Roubaix dove è stato messo fuorigioco dalla sfortuna e da un incidente con uno spettatore. 

La forza (ancora grezza) di Fedorov ha impressionato Zanini
La forza (ancora grezza) di Fedorov ha impressionato Zanini
La squadra, nonostante l’assenza di quello che poteva essere il leader, non si è disunita. A testimonianza di quanto dicevi sulla mentalità giusta.

E’ stato un modo per capire quanto valgono anche gli altri, da Ballerini a Bol e passando per Teunissen. Quest’ultimo mi ha sorpreso in positivo, ha dimostrato una grande professionalità ed è stato un perfetto capitano in corsa. Perché a volte c’è il capitano che trascina con la sua personalità, altre invece servono corridori come Teunissen. Dotati di carisma e di una grande gestione dei momenti di gara. 

Fedorov ha fatto degli ottimi passi in avanti rispetto allo scorso anno.

A mio avviso è fortissimo, ha una forza sovrumana. Deve imparare a correre meglio e leggere le fasi di gara. Alla Roubaix fino alla Foresta di Arenberg è rimasto tra i primi, poi ha speso troppo per rientrare su un gruppetto e da lì è mancato. Sono passi naturali da fare, ha comunque venticinque anni. Non voglio dimenticarmi nemmeno di Gazzoli, è stato una pedina importante e di supporto alla squadra.

La cosa più importante che portate a casa?

Che la stagione non finisce con le Classiche del Nord. Quello che abbiamo fatto fino ad ora è solamente l’inizio e dobbiamo proseguire su questa strada.

La “prima” di Villa su strada. Tante idee e un talento cristallino

18.04.2025
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Al Giro della Città Metropolitana di Reggio Calabria vinto da Luca Colnaghi, c’è stato l’esordio di Marco Villa sull’ammiraglia della nazionale italiana. Una prima assoluta? Non proprio, considerando che nel lungo periodo di permanenza del cittì azzurro nel mondo della pista, spesso ha portato i suoi ragazzi a competere nelle gare su strada con la maglia azzurra. Resta però il fatto che la classica italiana era la prima occasione per indossare le “nuove” vesti di responsabile chiamato a rilanciare il mondo della strada, quello guida del ciclismo italiano.

Villa però resta attaccato fortemente alla pista, tanto è vero che in queste ore è a Gand, con la Fidanza e la Baima chiamate a raccogliere punti in una competizione nel velodromo insieme a 6 ragazzi. Sa bene però che tutti guardavano alla prova calabrese con una certa curiosità e il pluripremiato tecnico non si tira indietro.

Gli azzurri alla partenza da Reggio Calabria, alla sinistra Finn, alla destra Viviani (foto Mazzullo)
Gli azzurri alla partenza da Reggio Calabria, alla sinistra Finn, alla destra Viviani (foto Mazzullo)

«Parlare di esordio mi pare un termine eccessivo, non solo per il fatto che sono già stato su un’ammiraglia azzurra, quanto perché un vero e proprio esordio è quando affronti una gara titolata. Questa era una rappresentativa nazionale in una corsa per club e con questo non intendo minimamente sminuirla, anzi credo che esperienze simili, che ho già affrontato, siano utilissime».

Come ti sei regolato nelle convocazioni?

Ho scelto di portare una squadra di giovani insieme a Elia Viviani, che ringrazio sempre per la sua disponibilità e che ha fatto un po’ da “chioccia” per i suoi compagni. Era importante sfruttare quest’occasione per far capire che una nazionale è qualcosa di diverso da una normale corsa vissuta nel proprio team, si ha una responsabilità diversa vestendo quella maglia con tutto il suo carico di storia e devo dire che ho trovato fra i ragazzi uno splendido affiatamento.

L’arrivo vittorioso di Colnaghi. Per Finn il primo podio da pro’ (foto Mazzullo)
L’arrivo vittorioso di Colnaghi. Per Finn il primo podio da pro’ (foto Mazzullo)
Come sei stato ricevuto dagli altri dirigenti delle formazioni italiane, è cambiato qualcosa?

Non direi, paradossalmente era più complesso parlare con loro prima, quando bisognava affrontare la programmazione di un quadriennio. Ora da questo punto di vista è tutto molto più semplice. E’ chiaro che alla base dei mio lavoro c’è sempre il dialogo costruttivo con i manager e i team per quegli atleti che ritengo utili alla causa azzurra e in questo senso ho già avuto segnali molto positivi.

In quale misura?

Io ho già in testa una certa intelaiatura per la nazionale per mondiali di settembre ed europei di ottobre, in base ai percorsi. La gran parte degli atleti che mi interessano, faranno programmi che contemplano Giro e Vuelta e questo ai fini delle prove titolate è un programma che mi va benissimo. Il Tour è lontano, significa chiedere ai ragazzi di avere un terzo picco di forma che non si raggiunge con facilità. Poi ci può essere l’eccezione, ma io devo ragionare su dati reali. Anche perché io avrò bisogno di una nazionale composta da corridori tutti al 100 per cento della forma.

Con Finn e Viviani, Villa ha portato anche D’Amato, Fancellu, Garibbo, Raccani e Belletta
Con Finn e Viviani, Villa ha portato anche D’Amato, Fancellu, Garibbo, Raccani e Belletta
Che impressione hai tratto dalle classiche nella tua nuova veste, le hai viste con occhio nuovo?

Non direi, d’altronde non è che prima la strada non la guardavo, anzi. Ho fatto il professionista per 11 anni, i miei corridori su pista hanno sempre gareggiato su strada, non avrei potuto non avere un occhio interessato oltre che appassionato. La mia esperienza mi dice ad esempio che non bisogna guardare solo ai risultati: il Fiandre con tanti italiani davanti è stato un bellissimo segnale.

Tu hai detto che guardi soprattutto ai giovani, la maggior parte dei quali è all’estero…

Anche su pista ero chiamato a parlare con i team esteri per i vari Ganna, Viviani, Consonni e compagnia. Dobbiamo abituarci a un ciclismo globalizzato, avere rapporti con tutte le squadre del WorldTour, era ed è ancora di più il mio compito. Se quelle squadre investono sui nostri ragazzi, significa che il talento non è minimamente venuto meno.

Podio finale per Colnaghi, Bais e Finn nell’ordine (foto Mazzullo)
Podio finale per Colnaghi, Bais e Finn nell’ordine (foto Mazzullo)
La tua prova calabrese si è chiusa con il podio di Lorenzo Finn, chiaramente sul campione del mondo junior c’è tanta attenzione addosso. Tu come lo hai visto?

Avevo visto il mondiale e quel successo non è stato casuale – afferma Villa – Ho parlato di lui con Gasparotto e mi ha detto che nei ritiri prestagionali ha visto un ragazzo molto talentuoso ma anche maturo, che era già all’altezza di corridori molto più esperti e blasonati. Ha iniziato la stagione in ritardo per colpa della frattura alla clavicola, ma io l’ho visto alla Coppi e Bartali trovandolo già brillante. Sapendo che doveva correre nelle Ardenne gli ho chiesto se voleva mettere dentro un’altra gara, l’ha chiesto al team e mi ha dato la sua adesione.

Che corridore hai trovato?

Ho trovato un gran talento, ma non parlo solo delle sue qualità fisiche. Ha già la testa del professionista, dall’alimentazione alla vita in hotel, anche a come organizzarsi per le trasferte. In gara ha corso da leader: ha attaccato nella prima salita e si è innervosito perché non aveva collaborazione, ha attaccato nella seconda portando con sé il solo Fiorelli con lui e gli ho detto di non spingere troppo ma aspettare la rampa finale. Così ha fatto portando via la fuga decisiva. Per essere all’inizio della sua avventura da pro’, ha fatto vedere belle cose.

Il ligure Finn ha attaccato più volte nel corso della gara, impressionando il suo cittì per la sua autorevolezza
Il ligure Finn ha attaccato più volte nel corso della gara, impressionando il suo cittì per la sua autorevolezza
C’è da attendersi una nazionale imperniata sulla gioventù?

Chi mi conosce sa che sono sempre stato abituato a lavorare con corridori giovani ma anche con gente esperta – sentenzia Villa – Io mi baso su due principi che valevano prima come adesso: un corridore esperto, a prescindere dall’età, che può darmi qualcosa troverà sempre la porta aperta da me, se sarà utile per il team. Dall’altra parte non mi sono mai fatto scrupoli nel gettare nella mischia ragazzi che hanno talento, anche qui a prescindere dalla data di nascita. Il metodo di lavoro non cambia…

Abruzzo, tempo da lupi. La storia e le lacrime di Callejas

18.04.2025
6 min
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AREMOGNA – C’è da scommettere che ce lo saremmo trovato accanto sotto la tenda riservata ai giornalisti e ai massaggiatori in cima a questo arrivo d’Abruzzo flagellato dalla pioggia che in certi momenti è diventata neve. Quando c’era un suo corridore in fuga, Gianni Savio non stava mai in mezzo agli invitati dell’hospitality, preferiva stare sulla strada con chi va alle corse per lavorare. Ha sempre fatto così.

Dedica alla nonna scomparsa

Il Giro d’Abruzzo ha appena vissuto la tappa regina, con il traguardo sopra Roccaraso e la vittoria di Alejandro Edison Callejas, che già sentiamo nelle orecchie la voce di Gianni scandirne il nome. Con l’accento sulla jota a renderlo ancora più sudamericano. E ora che Gianni non c’è più, rivedere l’arrivo del ragazzo con il pugno al cielo, potrebbe far pensare che il colombiano abbia appena dedicato a lui la vittoria. Ci piacerebbe pensarlo, non è così, ma tutto nella sua storia parla del manager piemontese. E allora la vittoria gliela dedichiamo noi con questo scritto fradicio e gelato.

«Negli ultimi 50 metri – dice Callejas con le labbra che gli tremano – ho pensato soprattutto alla mia famiglia e alle persone che mi hanno aiutato ad arrivare fin qui. Sono loro ad essere presenti nei momenti difficili, per questo gli dedico la vittoria. E alla mia nonna, scomparsa un mese fa. Tutto questo oggi è stata un’ulteriore motivazione per essere qui e vincere».

Callejas, classe 2000, è partito a 11,2 chilometri dall’arrivo, tirando dritto fino alla vittoria
Callejas, classe 2000, è partito a 11,2 chilometri dall’arrivo, tirando dritto fino alla vittoria

La giacca di Valerio

Sulla cima non c’è nessuno. I ragazzi arrivano fradici e gelati, perché nessuno si aspettava di trovare 3 gradi a metà aprile, ma il meteo racconta delle inondazioni in Piemonte e di una Pasqua che si annuncia flagellata dal maltempo. Fiorelli, che ha appena perso la maglia, dice che lui di solito con il cattivo tempo si trova bene, ma anche che non riesce a smettere di tremare. Una giacca per alleviare la sua sofferenza gliel’ha passata Valerio Bianco, che lavora per RCS Sport, ma ricorda bene gli anni accanto a questi ragazzi nei panni di addetto stampa.

Sotto la tenda dei massaggiatori, quando mancavano due chilometri all’arrivo ed era ormai chiaro che Callejas avrebbe vinto, Luigino Zanin che fa l’autista del bus e oggi è in alto per aiutare il massaggiatore, ha gli occhi lucidi per l’emozione, mentre intorno lo prendono in giro come fanno tra loro quando uno è vicino alla vittoria.

Il colombiano più piccolo

Callejas si racconta. Le labbra battono, gli occhi sono lucidi. Per la Petrolike di Marco Bellini si tratta di una vittoria importante, in questo percorso che dal prossimo anno dovrebbe vedere il team salire al rango di professional per la spinta dello sponsor Hector Guajardo, che ne ha certo le possibilità e anche l’estro.

«E’ la mia prima vittoria da pro’ – dice Callejas incredulo – spero sia l’inizio di grandi cose e spero che sarà la prima di molte vittorie con questa squadra. Questo gruppo ha una storia molto lunga, ha fatto sempre passare grandi corridori e porta avanti l’eredità di Gianni Savio. E’ una vittoria per tutti loro, che hanno sempre creduto nelle mie possibilità e anche per me. Sono nato a Bogotà, in Colombia, ma credo di essere il colombiano più piccolo, per quello che ho fatto finora in bicicletta. Però il mio sogno è arrivare a correre i tre Grandi Giri, come Nairo Quintana, Rigoberto Uran e ovviamente Egan Bernal. E spero di riuscire a realizzarlo».

L’albergo ristorante Tina

Lo ritroviamo dopo mezz’ora, mentre aspetta il pulmino che venga a prenderlo. Sulla montagna c’è davvero poca gente, visti il giorno feriale e il tempo da lupi. Però non mancano qualche bambino e qualche tifoso che si avvicinano e gli chiedono timidamente una foto.

«All’inizio della salita – aggiunge – avevo gambe molto buone. Ho visto che gli altri erano quasi tutti al limite e mi sono detto che poteva essere il momento buono. Ho voluto provare ed è andata bene. Il freddo non mi piace, ma viviamo a Cossato, nello stesso albergo da Tina, dove ha vissuto per qualche tempo anche Egan Bernal. E’ la nostra casa e lì siamo molto vicini alle montagne. Conosco la neve e quando ho visto che iniziava a piovere, ho pensato solo a pedalare ed è andata bene. La squadra continuerà a correre in Europa e Gran Bretagna, anche nelle gare più importanti per under 23. Io invece torno in Colombia per ricaricare le batterie con la mia famiglia. Mio padre è un grande appassionato di ciclismo, ho un fratello che mi ha sempre supportato in ogni momento, soprattutto quelli difficili. Voglio tornare per condividere con loro questo momento».

La sua (unica) vittoria precedente era venuta alla Vuelta de la Juventud del 2022. Da pro’, è al battesimo
La sua (unica) vittoria precedente era venuta alla Vuelta de la Juventud del 2022. Da pro’, è al battesimo

Fra i lupi d’Abruzzo

Ha vinto una tappa al Giro d’Abruzzo, sappiamo bene che il ciclismo dei giganti solca altre strade e scala altre montagne. Eppure in questo tempo da lupi, Callejas coltiva il suo sogno di diventare grande e per qualche ora si sentirà grande per davvero. Forse l’eredità di Gianni Savio sta proprio in questa capacità di pescarli, condividere il loro sogno e convincerli che è possibile raggiungerlo.

Bellini ne ha raccolto l’eredità, dopo vent’anni al suo fianco. Hanno sempre diviso gli ambiti e per questo sono andati avanti. C’è da scommettere che anche Marco avrà brindato per questa vittoria, tracciando il cammino per far crescere la squadra, fra l’estro del suo sponsor e il solco di quell’eredità così speciale.

Brabante, rientra anche la Longo, 12 giorni dopo la caduta

18.04.2025
5 min
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«Sto bene. Certamente meglio del 6 aprile». Elisa Longo Borghini parla dal lettino dei massaggi. Domani (oggi, ndr) tornerà in gruppo alla Freccia del Brabante. Non ne poteva più di aspettare, vista la fantastica condizione con cui è arrivata al Nord. E alla fine, seguito alla lettera il protocollo per la commozione cerebrale, ha convinto la squadra a tornare in gara. Sono passati 12 giorni dalla caduta. Un altro ritorno importante, al pari di Remco Evenepoel, sia pure con una storia diversa.

Il 6 aprile, in corsa per vincere il Fiandre, dopo soli 35 chilometri, la campionessa italiana è caduta. Vederla immobile per terra è durato un secolo: una di quelle scene da scacciare presto dagli occhi. Poi si è rialzata. Si è scossa la polvere di dosso ed è salita in bici. C’era con lei Silvia Persico e probabilmente anche lei non vede l’ora di dimenticare. Perché dopo un breve tratto di strada, Elisa si è fermata ed è salita in ammiraglia.

«In realtà ricordo poco o niente – sussurra – cose che sono tornate a galla durante la settimana successiva. Ricordo di aver frenato, la ruota davanti è scivolata sul ghiaino del ciglio della strada, sono caduta e ho battuto la testa sul cordolo. Ricordo che mi hanno passato la bici di scorta. So che c’era con me Silvia, poi più nulla».

La Dwars door Vlaandern ha detto che in salita era lei la più forte: da qui la frustrazione di aver… saltato il Fiandre
La Dwars door Vlaandern ha detto che in salita era lei la più forte: da qui la frustrazione di aver… saltato il Fiandre

Due giorni in Belgio

L’ospedale di Gand. Gli esami neurologici e la diagnosi di concussion hanno fatto scattare il protocollo UCI sotto la supervisione di Nele Beeckmans, responsabile medico del UAE Team Adq. Da lì tutto si è svolto secondo uno schema che la piemontese ha potuto solo accettare e applicare, sperando di lasciarsi presto tutto alle spalle.

«E’ difficile da spiegare – ragiona – all’inizio ero piuttosto confusa, non ricordo molto. L’indomani ero abbastanza abbattuta, perché sentivo che fisicamente stavo bene. Sono rimasta per due giorni in Belgio: uno in ospedale e uno in una camera di hotel presa dalla squadra, in cui finalmente ho potuto riposare e ho iniziato a riprendermi. Non mi preoccupavo più di tanto, ma quando sono arrivata a casa, ho iniziato a pensare e non erano pensieri troppo positivi».

La ripresa degli allenamenti di Longo Borghini a casa è stata graduale: prima sui rulli e poi su strada (immagine Instagram)
La ripresa degli allenamenti di Longo Borghini a casa è stata graduale: prima sui rulli e poi su strada (immagine Instagram)

Il mercoledi sui rulli

Aveva vinto la Dwars door Vlaanderen, staccandole tutte di ruota. Visto l’esito del Fiandre, in cui nessuna è riuscita a fare la differenza sul Qwaremont, consentendo a una incredula Kopecky di vincerlo in volata, la frustrazione è cresciuta. Nello scambio di messaggi di quei giorni si coglieva la fatica di restare ferma, mentre il suo mondo andava avanti. Non avrebbe dovuto fare la Roubaix, ma l’esito del Fiandre ha avuto per giorni il senso della beffa.

«Ho seguito il protocollo, d’intesa con la dottoressa della squadra – racconta Elisa, nuovamente allegra – finché il mercoledì ho ricominciato con 45 minuti di rulli. Giovedì ho fatto un’ora e un’ora. Venerdì ho fatto tre ore su strada e ho dovuto fornire dei feedback sui cambi di luce e la risposta alla velocità. Sabato ho fatto tre ore e mezza e ho incontrato anche Sobrero. Nella ripresa non ho avuto problemi, ma è stata graduale. Se picchi la testa, serve attenzione. E’ un problema più subdolo, non te ne accorgi. Gli esami rilevano eventuali sanguinamenti, ma non dicono come reagisce il cervello, per cui non avrebbe senso ripartire con la fretta di tornare. Per fortuna quando la condizione è buona, con due giorni di pausa non perdi molto».

Il ritorno in gara alla Freccia del Brabante è stato concordato con il preparatore Slongo e il medico del UAE Team Adq
Il ritorno in gara alla Freccia del Brabante è stato concordato con il preparatore Slongo e il medico del UAE Team Adq

Test al Brabante

E’ stato suo marito a capire che fosse prossimo il momento del rientro. Al momento della caduta, Jacopo Mosca era in ritiro a Sierra Nevada e mentre risaliva verso il monte ha iniziato a ricevere un quantitativo sospetto di messaggi, diventando il tramite fra il mondo esterno e l’ospedale di Gand.

«Quando ho iniziato nuovamente a lamentarmi di tutto – sorride adesso Longo Borghini – Jacopo ha capito che fossi ormai pronta per tornare. Se scivoli a 50 all’ora e ti gratti tutta, fa male, ma puoi anche ripartire e andare avanti conciata come sei. Con la testa invece non si scherza. Coi giorni però, uscendo su strada, mi sono accorta di stare bene e ho cominciato a spingere. Così ho parlato con Slongo (il suo allenatore, ndr) e Slongo ha parlato con la squadra, facendo l’ipotesi di rientrare alla Freccia del Brabante. La dottoressa ha dato il suo okay, perciò eccomi qua. Non ho grandi attese, se non capire come sto. Non per il risultato e nemmeno per la squadra, sarò focalizzata soltanto su me stessa, per fare il punto in vista delle Ardenne e del seguito della stagione. L’unico modo per saperlo è provarci. Per cui per altri aggiornamenti, bisognerà aspettare che finisca la corsa».

Lo scorso anno, la Freccia del Brabante fu un’altra perla di Longo Borghini dopo la vittoria del Fiandre
Lo scorso anno, la Freccia del Brabante fu un’altra perla di Longo Borghini dopo la vittoria del Fiandre

La Freccia del Brabante Women partirà stamattina alle 11,25 dalla piazza del mercato di Lennik e si concluderà attorno alle 14,35 e 125,7 chilometri a Overijse. Lo scorso anno vinse proprio lei, dieci giorni dopo aver vinto il Fiandre, staccando di 41 secondi Demi Vollering. Ci sono tutti i parametri per poter dare la miglior valutazione di se stessa. Ovviamente Elisa morde il freno, non è fatta per essere malata. Nulla esclude che possa nuovamente giocarsela, però mai come questa volta la prudenza è d’obbligo.

Fermi tutti, adesso tocca a Remco. Il ritorno di Evenepoel…

18.04.2025
5 min
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Ed eccolo l’ultimo grande di questo 2025 che mancava all’appello: Remco Evenepoel. Oggi tornerà finalmente in gara alla Freccia del Brabante, la corsa che più di tutte lo rappresenta. Un po’ fiamminga, un po’ vallone. Una gara che parla a tutto il Belgio e che tocca i luoghi del cuore del campione della Soudal-Quick Step.

«Domani passo ad un chilometro da casa mia e ad un chilometro dalla casa dei miei nonni», ha detto ieri, facendo subito capire quanto questo rientro non sia solo una questione sportiva, ma anche emotiva. Dopo sei mesi lontano dalle corse, il Remco che si presenta al via non è quello esplosivo che conosciamo, ma un atleta che ha vissuto un lungo travaglio fisico ed emotivo. E che sembra uscirne più maturo.

A dicembre, lo ricordiamo, una caduta in allenamento ha messo tutto in bilico: la preparazione per il Tour, i sogni, la stagione delle classiche e forse anche il futuro del Remco corridore. Ed è lì che il ragazzo di Schepdaal ha dovuto scavare dentro di sé per ritrovare motivazione, forza e obiettivi. Adesso riparte dalla gara di casa. E il modo in cui ne parla dice molto su dove voglia di nuovo arrivare.

Remco è tornato ad allenarsi per bene solo a metà febbraio (foto Instagram)
Remco è tornato ad allenarsi per bene solo a metà febbraio (foto Instagram)
Com’è stato affrontare questi mesi lontano dalle corse?

E’ stato il periodo più difficile della mia carriera. Non tanto fisicamente, ma mentalmente. Dopo l’incidente ho passato sei settimane completamente fermo, senza nemmeno poter pedalare sui rulli. Vedevo gli altri correre e allenarsi e io invece dovevo imparare di nuovo a muovere una spalla. Ho avuto paura. Paura di non tornare, paura di dover rivedere i miei obiettivi. Quando sei costretto a stare fermo, ti senti impotente. All’inizio è come se il mondo andasse avanti senza di te.

E’ vero che hai pensato anche di smettere?

Sì, per qualche giorno è stato così. Non perché non volessi più correre, ma perché non sapevo se avrei potuto farlo ancora ad alto livello. Il danno alla spalla era serio: legamenti compromessi, lesione nervosa. Ho iniziato a chiedermi: vale davvero la pena continuare? Poi è scattato qualcosa. Il supporto di mia moglie, della mia famiglia, della squadra. Ho capito che non era finita. Che avevo ancora molto da dare.

Come va con la spalla?

Meglio, anche se non è ancora al 100 per cento. La lesione al nervo ha lasciato qualche strascico. C’è un muscolo che non risponde come prima, ma per fortuna non è uno di quelli fondamentali per pedalare. Uso un tape speciale che aiuta a stabilizzarla, soprattutto quando sono in fuorisella o nelle fasi più concitate. Abbiamo fatto tanti test e finora ha funzionato. Domani sarà un banco di prova vero.

E’ vero, come si dice, che la fede ti ha aiutato in questo percorso?

Moltissimo. E’ una parte della mia vita che ho riscoperto da poco, insieme a Oumi (la moglie, ndr). Non l’avevo mai raccontato pubblicamente, ma la spiritualità oggi ha un ruolo importante per me. Mi aiuta a restare centrato, a non farmi travolgere dalla pressione. Pregare mi ha dato forza nei momenti in cui tutto sembrava buio. E mi aiuta anche ora, a vivere ogni giorno con più autenticità.

La sua ultima gara risale al 12 ottobre scorso, il Giro di Lombardia. Da domani sarà alla Freccia del Brabante
La sua ultima gara risale al 12 ottobre scorso, il Giro di Lombardia. Da domani sarà alla Freccia del Brabante
A che punto sei della preparazione?

Direi che sono a circa il 75-80 per cento. Dopo il via libera dei medici ho ripreso gradualmente: prima i rulli, poi qualche uscita tranquilla, infine il ritiro in Spagna a Sierra Nevada con la squadra. Lì qualcosa è cambiato. Ho potuto lavorare meglio su fondo e intensità. Non ho fatto test ufficiali, ma le sensazioni sono buone. Sento che la gamba c’è, anche se manca ancora qualcosa per essere al livello dei migliori. Questa settimana servirà per capire dove sono davvero.

Cosa ti aspetti dalla Freccia del Brabante?

Innanzitutto emozione. Questa gara passa vicino a casa mia, è quella che vedevo da ragazzino a bordo strada. Quando correrò domani, ogni curva mi ricorderà qualcosa. Spero che le gambe girino, ma non parto con l’ossessione del risultato. Voglio sentire il ritmo gara, vedere come reagisce il corpo. Se starò bene, potrei anche provare qualcosa, ma l’obiettivo vero è la Liegi.

Quali sono i prossimi passi?

Dopo la Freccia farò l’Amstel Gold Race e poi la Liegi-Bastogne-Liegi. E’ una corsa che sento mia, che ho già vinto e dove mi piacerebbe tornare protagonista. Tutto dipenderà da come reagirà il fisico nei prossimi giorni. Poi valuteremo con il team se fare Romandia, ma questo è già in ottica Tour.

Hai seguito le classiche in TV? Cosa pensi delle prestazioni di Pogacar e Van der Poel?

Certo che le ho seguite! Pogacar alla Roubaix è stato impressionante. Mi ha colpito soprattutto il modo in cui ha gestito la corsa. Non sembrava uno alla prima partecipazione, sembrava uno che l’ha fatta per dieci anni. E Van der Poel… che dire? Non ha sbagliato nulla. La sua primavera è da manuale. Quando vedi certi numeri, certi attacchi, capisci che il ciclismo oggi è a un livello incredibile. Per me è anche uno stimolo. Sapere che là davanti ci sono questi mostri mi motiva a lavorare più duro.

Evenepoel ha ringraziato la squadra, gli amici e sua moglie Oumaima Rayane (in foto) per il supporto psicologico che gli hanno dato in questo periodo
Evenepoel ha ringraziato la squadra, gli amici e sua moglie Oumaima Rayane (in foto) per il supporto psicologico che gli hanno dato in questo periodo
C’è un po’ di invidia nel vederli così dominanti?

No, non invidia. Ammirazione. Sono contento quando vedo altri corridori fare cose straordinarie. E mi chiedo: cosa posso imparare da loro? Pogacar è un esempio di completezza, Van der Poel di aggressività. Io cerco di costruirmi il mio stile, ma studiare i grandi fa sempre bene. Se poi un giorno riuscirò a batterli, sarà ancora più bello.

Hai avuto paura che questo stop rovinasse la stagione?

Sì, soprattutto nei primi giorni. Quando salta la preparazione invernale, ti senti perso. Ma ora penso che le cose succedano per un motivo. Magari avevo bisogno di fermarmi, di ricalibrare le energie. Ora mi sento più lucido, più motivato. Se riuscirò a salvare bene la primavera e arrivare al Tour in forma, potrei anche considerarlo un anno di crescita.

E i tifosi? Ti sono mancati?

Tantissimo. In questi mesi ho ricevuto migliaia di messaggi. Persone che mi dicevano di non mollare, di tornare presto. Alcuni bambini mi mandavano disegni con scritto “Forza Remco”. Quando sei a casa, infortunato, questi gesti ti commuovono. Ti ricordano perché fai questo sport. Spero domani di sentire tutto il calore del Belgio. Sarebbe il miglior segnale per dire: sono tornato.