Nasce la MB Academy: con Bartoli dai giovanissimi agli juniores

11.06.2025
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Dopo essere stato corridore e campione, Michele Bartoli ha intrapreso con identico successo la carriera del preparatore. I suoi corridori ottengono grandi risultati, ma già da qualche tempo il toscano si è accorto che le cose stanno cambiando e non necessariamente in meglio. Il rapporto con gli atleti è filtrato da procedure che rendono tutto complicato e così alla fine, complice il suo amore per il ciclismo, Michele ha deciso di ricominciare da capo. Intendiamoci, il lavoro di preparatore rimane, ma parallelamente dal 2026 nascerà una academy col suo nome: MB Academy. Michele Bartoli Academy. Partiranno dai giovanissimi e li porteranno fino agli juniores, la prima categoria internazionale, e si valuterà poi se salire un altro scalino.

«Avevamo fatto una specie di prova con il ciclocross – spiega – ed era carino, vedevi i bimbi soddisfatti. Abbiamo chiuso perché facendo solo cross, era un problema prendere ragazzini che volessero fare anche strada e insieme le altre squadre facevano fatica a mandarci i loro atleti. Ma voglio provare ancora. Un lavoro ce l’ho ed è quello del preparatore, però bisogna fare anche qualcosa che ti dia soddisfazione, un po’ di trasporto. Mi piace quello che faccio, quando vince un mio corridore è come se vincessi io. Però l’academy è tutta un’altra cosa, è difficile spiegarlo. Come si dice in Toscana: mi garba. E allora se vediamo se riusciamo a far vivere qualche bella esperienza a dei piccoli ciclisti, dato che abbiamo un budget interessante che ci copre già per i primi anni…».

Michele Bartoli
Michele Bartoli, classe 1970, è stato pro’ dal 1993 al 2004, vincendo classiche Monumento e Coppe del mondo
Michele Bartoli
Michele Bartoli, classe 1970, è stato pro’ dal 1993 al 2004, vincendo classiche Monumento e Coppe del mondo
Qual è l’obiettivo?

Mi piace insegnare e lavorare bene. Non fare le cose esasperate, chiaramente. Partire con i giovanissimi e arrivare fino agli juniores nel giro di due o tre anni e poi magari riflettere se sia o meno il caso di andare oltre. Abbiamo coinvolto le aziende giuste per fare eventualmente qualcosa di più grande dopo. Per noi è una partenza, ma anche per queste aziende è lo stesso.

Da cosa nasce quest’idea?

Dalla voglia di fare le cose come si dovrebbero. Dobbiamo insegnare alle famiglie il modo giusto per far diventare i loro figli degli atleti. Ai professionisti insegniamo a vincere, ma è chiaro che ogni età ha il suo insegnamento e da giovanissimi si deve puntare all’aspetto ludico. Quando sei esordiente, inserisci qualcosa di specifico. Quando sei allievo aggiungi altro e ancora di più negli juniores, che è la prima categoria internazionale. I genitori che fanno un passo del genere devono avere fiducia in noi. Perché noi cerchiamo di dargli la garanzia che se il ragazzino per un qualsiasi motivo non va bene, l’anno dopo è comunque con noi e lo portiamo alla categoria successiva. Se non trova la squadra, ce l’abbiamo noi la squadra.

Pensi ci sia già la paura di rimanere a piedi nelle categorie giovanili?

Mio fratello frequenta l’ambiente e mi dice che ci sono tanti ragazzini nei giovanissimi e negli esordienti che hanno paura di non trovare squadra l’anno successivo. E’ quello che noi vorremmo evitare, in modo da lavorare nel modo giusto. Poi ovviamente c’è il ragazzino più interessante e quello meno, però comunque lavori sempre con lo stesso sistema.

La Michele Bartoli Academy del cross è stata per un anno il progetto pilota della realtà che debutterà dal 2026
La Michele Bartoli Academy del cross è stata per un anno il progetto pilota della realtà che debutterà dal 2026
Perché non partire subito con una squadra di juniores?

Una delle aziende che ci sostiene me lo ha chiesto: perché non facciamo subito una categoria internazionale? A loro interesserebbe, lo hanno detto chiaramente, ma vogliamo portare negli juniores i ragazzini che abbiamo cresciuto. Un po’ come nelle giovanili di una squadra di calcio. Lì fanno la prima scrematura a sei anni, noi magari stiamo più alti, però l’idea è di prendere i bambini per farli crescere e inserirli ogni volta nella categoria successiva. Ovviamente non potremo avere 30 ragazzi per fascia di età, ci daremo un numero limite per poterli seguire bene. E non vogliamo necessariamente andare a prendere il più forte, altrimenti si torna alla filosofia di fare le cose esasperate che vorremmo evitare. Non è per nulla difficile far vincere i ragazzini…

Come si fa?

Li alleni tre volte tanto e vedi come vanno, ma poi? Non vogliamo fare dei salti senza che ci siano dietro una filosofia e anche un’etica. Voglio portare agli allievi quelli che abbiamo avuto nei settori giovanili. Potrà capitare l’eccezione di una famiglia che ha già un figlio che corre e vuole sposare la nostra causa. Potremmo anche prenderlo, ma vogliamo anche dare linearità al progetto. Partire dai giovanissimi e insieme gli esordienti, poi gli allievi e da ultimo gli juniores.

Che cosa metterete a disposizione di questi ragazzi?

Più assistenza possibile, anche in termini di sicurezza. Ora siamo anche in contatto con il Comune di Vicopisano che ci sta aiutando in un modo incredibile. Hanno individuato delle strade già un po’ predisposte, dove c’è poco traffico, che chiuderanno per 3-4 volte a settimana, per un’ora e mezza ogni volta, in modo da far allenare i giovanissimi. Siamo già stati a vedere e ci hanno chiesto di mandargli le foto delle eventuali buche perché manderanno ad asfaltare. E’ un aiuto importante, che garantisce alle famiglie la possibilità di allenarsi in un circuito chiuso e ben asfaltato, tutto è una bella cosa.

Mauro Bartoli, a sinistra è il fratello di Michele. Al centro suo figlio Danilo, corridore in erba e di buona sostanza
Mauro Bartoli, a sinistra è il fratello di Michele. Al centro suo figlio Danilo, corridore in erba e di buona sostanza
Parli al plurale, chi c’è dietro la tua academy?

Mia moglie, mio fratello e un amico che era mio tifoso e ha avuto esperienza in Federazione. Per ora siamo quattro persone, però abbiamo già individuato due direttori sportivi stimati dall’ambiente e abbiamo già preso il personale che accompagnerà i bambini. Ogni volta che sono con noi devono avere la miglior assistenza possibile. I due direttori sportivi sono un ragazzo di 18 anni e vi dico che non è facile trovarne uno così giovane e con tanta passione da venire la domenica alle gare anziché andare con gli amici. E poi un altro che ha meno di 40 anni. Correva in bici anche lui e ora corre suo figlio, ma è già più grande. Il progetto è piaciuto a entrambi e hanno accettato, anche perché sarà per entrambi l’occasione per crescere.

Con quali bici correrete?

Trovare chi faccia le bici da bambino è stata la cosa più complicata. I mezzi li abbiamo comprati, ma le bici? Ho sentito con Pinarello. Ho cercato anche da Decathlon, ma alla fine abbiamo scelto di lavorare con Vicini, in Romagna. Ho recuperato il numero, abbiamo parlato e mi hanno detto di sì.

Quale sarà il tuo ruolo?

Ci saranno dei momenti in cui parleremo, altri in cui pedaleremo insieme. Darò anche qualche consiglio per gli allenamenti e all’inizio faremo tante gimkane per abituarli alla guida. A quell’età non c’è solo l’allenamento vero e proprio, che è limitato fra 3 e 10 chilometri. Vogliamo insegnargli ad andare bene in bici, ad avere padronanza del mezzo. Sfrutteranno quelle strade chiuse, facendo tutto in sicurezza. Se poi su quello stesso percorso vorranno venire a girare anche altre squadre, nessun divieto: non ci sono le sbarre. Il ciclismo è di tutti!

Oltre il ciclismo: Baldini, Pellegrino e lo sforzo estremo

11.06.2025
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“Sapersi fare male”, solo chi ha praticato certi sport, e a un determinato livello, può capire questa frase che sembra ad effetto, ma in realtà è molto concreta. Qualcosa di molto simile lo abbiamo vissuto tante volte nel ciclismo. E una di queste è avvenuta durante il Giro d’Italia quando, insieme a Davide Ballerini commentammo lo sforzo estremo sull’arrivo micidiale di Vicenza. Parliamo di uno sforzo violento dunque.

Lì andò in scena il duello tra Mads Pedersen e Wout Van Aert, a cui partecipò finché ne ha avuto la forza anche Isaac  Del Toro. Emersero ovvie differenze fisiche tra i due “pesi massimi” e il più leggero messicano, uomo da classifica.

Ma emersero anche differenze nella gestione dello sforzo. In quel minuto finale, Van Aert e Pedersen riuscirono a dare di più rispetto al messicano. E’ una peculiarità degli uomini da classica: sapersi svuotare fino in fondo.

Lo sforzo massimo di Pedersen e Van Aert durante lo sprint (lungo) di Vicenza
Lo sforzo massimo di Pedersen e Van Aert durante lo sprint (lungo) di Vicenza

Quello sforzo massimale

Noi abbiamo esteso questo argomento anche oltre il ciclismo, restando però sempre negli sport di endurance. Abbiamo quindi posto la questione del “sapersi fare male”, dello sforzo estremo, a due giganti del nostro sport: lo sciatore di fondo Federico Pellegrino e l’ex corridore Stefano Baldini (in apertura foto Fidal).

Per chi non li conoscesse (ma dubitiamo!), Federico “Chicco” Pellegrino è il fondista italiano con più vittorie in Coppa del mondo, vanta medaglie iridate e olimpiche. E’ uno specialista delle sprint ma sempre più spesso si esprime bene anche nel long distance.
Stefano Baldini, lo ricorderete tutti in quella fantastica notte di Atene quando vinse l’oro nella Maratona. Ma la sua bacheca è ancora più ricca: campione europeo in maratona per due volte e primatista italiano.

Entrambi ci hanno fatto (e Pellegrino ci fa ancora) tremare con i loro grandi finali, quando lo sforzo è massimo e la tensione è a mille.

Stefano Baldini e qull’indimenticabile trionfo nella maratona olimpica di Atene (foto Ansa)
Stefano Baldini e qull’indimenticabile trionfo nella maratona olimpica di Atene (foto Ansa)

L’esperienza di Baldini

«Come si fa a farsi male? Questa domanda ha tante possibili origini. C’è una bella differenza fra la corsa e il ciclismo – spiega Baldini – nel ciclismo lo sforzo è generalmente molto più costante e se vai un minuto a tutta, è perché sei in una situazione di disperazione e devi chiudere su qualcuno, o magari nel finale di una crono o ancora all’arrivo. Ma tutto è misurabile, grazie al mezzo, la bici. Nella corsa, invece, c’è solo il singolo atleta. E tutto è più lasciato alla situazione, se vogliamo.

«Nella corsa lunga come la maratona – continua l’emiliano – devi ascoltare moltissimo il tuo corpo, le sensazioni. Devi gestire lo sforzo con una strategia: se puoi tenere quel ritmo in base alla distanza dal traguardo. Se ho sbagliato questa gestione? Ho sbagliato fino all’ultima gara della mia carriera. In allenamento calibravo tutto ed ero bravo, ma in gara gli altri ti cambiano. Lì devi sempre misurare te stesso… ma in mezzo a un gruppo.

«Il miglior agonista è quello con una visione a 360° della gara. E’ quello che interpreta sé stesso e legge il linguaggio del corpo degli altri, dando tutto in base alla distanza dall’arrivo e alle possibili strategie. Non è facile. In maratona accumuli acido lattico, ma non hai quei picchi che si hanno nei 400 metri o negli 800, le distanze di massima velocità aerobica. E’ un accumulo diverso che ti porta al degrado della prestazione».

«La volta che ho dato più di quel che avevo? Mi è capitato spesso. Ricordo il mondiale di Helsinki: ci arrivavo da campione olimpico, volevo essere il numero uno… ma era così. Ero da podio, da bronzo. Non l’ho accettato. Sono andato oltre, non ho finito la gara e me ne sono assunto la responsabilità. Come si dice oggi: ho fatto all‑in. O tutto, o niente».

«Al contrario, ho gestito perfettamente lo sforzo quando ho stabilito il mio secondo primato italiano, alla Maratona di Londra 2006. Non ero il miglior Stefano di sempre, ma sono riuscito a dare tutto nel modo giusto, specie nel finale».

Federico Pellegrino in pieno sforzo durante uno dei suoi sprint (foto Starpool)
Federico Pellegrino in pieno sforzo durante uno dei suoi sprint (foto Starpool)

Parola a Pellegrino

E dalle scarpe da corsa passiamo agli sci stretti. Abbiamo incontrato Federico “Chicco” Pellegrino, nella sua Valle d’Aosta, all’arrivo a Champoluc, durante il Giro.

«Come ci si fa male? Mi dico di andare a tutta, oltre e ancora oltre. Dico alla mia testa: “Ancora un po’, ancora un po’…”, finché non arriva il traguardo. Subito dopo le energie sono finite e quel che è arrivato è arrivato. Se ho vinto, meglio, altrimenti resta la soddisfazione di aver dato tutto. Nel momento dello sprint l’unico pensiero è arrivare al traguardo. Mi sento come un cavallo coi paraocchi: menare a testa bassa e via…».

Pellegrino è specialista delle sprint (sessioni da 2’30” fino a 4’), ma negli anni si è migliorato anche nelle distance:

«La differenza tra le due volate? Nelle sprint, prima del rush finale la posizione conta, non devi essere oltre la terza piazza altrimenti non risali. Nelle distance, invece, oltre alla posizione conta risparmiare energie. In questa seconda tipologia di gara più lunga, a volte sottovaluto gli avversari immaginandoli ancora come sprinter. Come agli ultimi mondiali, del resto, dove ho perso una medaglia per pochi centimetri».

Nel ciclismo ci sono più supporti per acquisire dati sullo sforzo, nello sci di fondo e nella corsa tutto è più affidato all’atleta che deve autocalibrarsi (foto Velon)
Nel ciclismo ci sono più supporti per acquisire dati sullo sforzo, nello sci di fondo e nella corsa tutto è più affidato all’atleta che deve autocalibrarsi (foto Velon)

L’analisi dei dati

Lo sforzo violento di Pedersen apre anche il discorso della misurazione dei dati. Come diceva Baldini, grazie alla bici si hanno numeri, nella corsa no. A Vicenza Pedersen stava sui 1. 000 watt per un minuto, qualcosa di mostruoso. Ma anche qualcosa che si è potuto misurare.

Ma fondisti e runner come fanno queste valutazioni? Come ottengono numeri? Il cardiofrequenzimetro non basta più neanche per loro immaginiamo. Nella corsa si sta sperimentando una tecnologia che misura la forza attraverso l’impatto del piede sul terreno, ma siamo davvero agli albori. Entrambi gli sport, come il ciclismo del resto, però usano il GPS.

«Il bello, per gli scienziati un po’ meno, dello sci di fondo – conclude Pellegrino – è che resta molto misterioso. Non è tutto quantificabile come nel ciclismo. Stiamo lavorando sulla distribuzione dello sforzo e dell’energia sfruttando il GPS, che negli sprint dà dati interessanti su accelerazioni e tecnica. Quest’ultima è fondamentale, non esiste (o non è così determinante, ndr) nel ciclismo o nella corsa e può variare la resa. Inoltre, la tipologia della neve è fondamentale: ogni neve risponde in modo diverso. Quindi nello sci di fondo non è solo questione di VO2max, ma anche capacità di adattamento alla neve. Fosse solo per quello, noi fondisti potevamo fare i ciclisti… come Nordha­gen

Cavalli, scende dal Teide per salire di condizione allo Svizzera

11.06.2025
5 min
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Dal Tropico del Cancro ad una stazione sciistica nel cuore dell’Europa. Dal Teide a Gstaad senza soste intermedie. Dopo più di tre settimane di altura sul vulcano di Tenerife, Marta Cavalli fa rotta sul Tour de Suisse Women, che parte domani e terminerà domenica 15 giugno.

In ritiro la cremonese della Picnic PostNL ha macinato chilometri assieme alle compagne Francesca Barale e Pfeiffer Georgi, impostando l’imminente parte centrale della stagione che sarà poi l’ingresso della seconda. Dalle sensazioni alla giornata tipo, Cavalli ci ha raccontato come arriva al prossimo foglio-firma.

Marta come hai affrontato queste settimane di altura?

E’ sempre particolare allenarsi sul Teide. I primi giorni vanno vissuti con calma, cercando di adattarsi. Si parte sempre con uscite a battiti bassi per non stressare il proprio fisico. Abbiamo dormito oltre i 2.200 metri di quota, ma ogni settimana facevamo lavori specifici di intensità ad altitudini diverse e crescenti. Al Teide è tutto accentuato, è quindi necessario dare riscontri costanti e quotidiani.

In che modo?

Al termine di ogni giornata abbiamo fatto un report. Ci siamo sempre consultati con i coach, gli allenatori, il nutrizionista e altre figure. E’ tutto sotto controllo, di stress mentale non ne abbiamo avuto sotto quel punto di vista.

L’ultima corsa di Cavalli è stata la Liegi. Per lei finora 11 giorni di gara
L’ultima corsa di Cavalli è stata la Liegi. Per lei finora 11 giorni di gara
Qual era la giornata tipo?

Sveglia e colazione naturalmente, poi si partiva in bici verso le 10. Gli allenamenti sono andati in base alla tabella che avevamo. Abbiamo alternato blocchi anche da 5 ore, con poche soste o pause caffè, ad uscite da circa 3 ore inserendo esercizi in palestra nel pomeriggio. I massaggi li facevamo solo nelle giornate di riposo, mentre negli altri giorni avevamo un programma di stretching da svolgere in autonomia, con qualche attrezzo.

Col cibo invece come eravate organizzate?

Avevamo il nostro chef che ci preparava tutto in modo personalizzato, specie il pranzo di fine allenamento. In base al lavoro che avevamo fatto in bici, era lui che ci preparava il giusto mix tra carboidrati, proteine e grassi per recuperare. Stessa cosa per la cena in vista del giorno successivo. Durante le attività del pomeriggio era previsto anche una sorta di merenda, anche quella collegata all’allenamento.

Hai lavorato su qualcosa in particolare nelle uscite in bici?

L’intenzione è stata quella di recuperare la grossa mole di lavoro che abbiamo sviluppato. E contemporaneamente velocizzare il lavoro stesso. Di base si partiva con un ritmo medio all’inizio per poi alzarlo, parallelamente alla potenza sui tratti in salita a fine allenamento per simulare un finale di gara. Su questi adattamenti le sensazioni sono sempre crescenti o andate migliorando.

C’è stato il rischio di “monotonia” in questo ritiro?

Fare altura sul Teide significa fare quasi sempre gli stessi itinerari. Si può scendere da due versanti, nord o sud, che poi a loro volta hanno una ulteriore diramazione. Noi tre ragazze partivamo sempre assieme ai tre ragazzi del team maschile (Onley, Barguil e Van den Broek, ndr) poi ci dividevamo per seguire i nostri programmi. Tuttavia con loro abbiamo allenato anche la discesa. Ci siamo trovati in una di queste strade larghe facendo 22 chilometri di discesa a più di 65 chilometri orari di media dandoci i cambi anche a 125 pedalate al minuto. E’ stato importante curare anche questo aspetto perché impari sempre qualcosa di nuovo nel guidare la bici.

Come rientra Marta Cavalli dal Teide?

Non era la prima volta che ci andavo, ma l’anno scorso era un contesto diverso, dove stavo recuperando dall’infortunio. Personalmente ho fatto fatica all’inizio, come sempre, ma negli ultimi giorni avvertivo una gamba diversa. Le prime uscite da 3 ore mi sembravano infinite, invece gli ultimi allenamenti li terminavo bene e con buone sensazioni. L’esperienza mi ha insegnato che è meglio finire i ritiri con un po’ di margine.

Marta tornerà al foglio-firma al Tour de Suisse, poi punterà su campionato italiano in linea e Giro d’Italia Women
Marta tornerà al foglio-firma al Tour de Suisse, poi punterà su campionato italiano in linea e Giro d’Italia Women
Ti aspetti qualcosa in particolare dalle prossime gare?

Domani corro il Tour de Suisse e vediamo che riscontri avrò, senza essermi fissata alcun obiettivo. Successivamente starò a casa prima di concentrarmi sul campionato italiano in linea e sul Giro d’Italia Women. Andrò a provare la crono di Bergamo perché mi piace e perché sarà importante farla bene. Ho puntato tanto su questo ritiro. Solitamente nella seconda parte di stagione vado meglio, spero di raccogliere presto i frutti.

Integrazione a casa e in gara, la ricetta di Elisa Balsamo

10.06.2025
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Integrare, lo dice la parola, significa ripianare il bilancio di quello che si è consumato. Nel caso di chi fa sport, spesso il riferimento è al bilancio energetico e ai liquidi. Anche il ciclocomputer più elementare offre una lettura piuttosto precisa delle calorie consumate: va da sé ovviamente che al livello professionistico questo aspetto sia analizzato e codificato perché si è capito che tutto passa di qui. Più che dall’allenamento e dai progressi tecnologici: alla base del rendimento dell’atleta c’è la benzina che riesce a mettere nel serbatoio e la sua capacità di sfruttarla.

Quando il dispendio energetico è molto elevato o non ci sono occasioni per sedersi a tavola, entrano in ballo gli integratori realizzati dalle aziende specializzate, che permettono di ripristinare con porzioni minime di prodotto grandi quantità di nutrienti: siano essi carboidrati, proteine, aminoacidi, sali.

Elisa Balsamo, classe 1998, corre con la Lidl-Trek dal 2022. Il suo contratto arriva al 2026
Elisa Balsamo, classe 1998, corre con la Lidl-Trek dal 2022. Il suo contratto arriva al 2026

A casa oppure in gara

Elisa Balsamo all’alimentazione è sempre stata molto attenta, al punto di aver iniziato sin dai vent’anni una collaborazione con Erica Lombardi e aver dedicato al tema più di un passaggio nel suo blog. E’ stato interessante perciò farsi raccontare dall’atleta della Lidl-Trek, che per contratto utilizza prodotti Enervit, in che modo gestisca questo aspetto della sua vita e della sua professione.

In un’intervista a inizio stagione, la nutrizionista Stephanie Scheirlynck ha spiegato lo schema suggerito agli atleti. Ha parlato del recovery drink al rientro, che contiene 40 grammi di carboidrati e 20 grammi di proteine. Poi del recovery box, in cui viene inserito un pasto personalizzato sulle esigenze nutrizionali di ciascun corridore. E’ interessante però rendersi conto di come l’esperienza e la sensibilità dell’atleta piemontese le permettano di gestire questo aspetto in autonomia.

«Divido il discorso in due parti – spiega Balsamo – quando sono a casa in preparazione come adesso, oppure quando sono alle gare. Nel primo caso cerco di basarmi soprattutto sull’alimentazione più classica, anche se quando rientro dagli allenamenti il passaggio obbligato è assumere amminoacidi. Credo molto nel valore dell’alimentazione».

Se a casa cerchi di integrare con un’alimentazione più classica, quando è necessario invece usare i prodotti più tecnici?

Sicuramente in gara. Mi trovo molto bene con la linea Carbo 2:1. I gel addirittura adesso arrivano a contenere 40 grammi di carboidrati e quello secondo me fa molta differenza. Soprattutto in primavera, quando il clima è un po’ più rigido e si fa più fatica a mangiare, magari sulle strade del Belgio. Sapere che con un solo gel riesci a buttare giù 40 grammi di carboidrati è sicuramente un gran vantaggio. Sapere esattamente le quantità che devo assumere e quelle che effettivamente ho a disposizione è fondamentale per il controllo della dieta.

Restando in ambito integrazione, in che modo gestisci il dopo gara o gli allenamenti più impegnativi?

Come dicevo, sono abituata a prendere gli amminoacidi (i BCAA di Enervit che contengono per ciascuna dose 2,4 g di Leucina, 0,6 g di Iso Leucina, 0,6 g di Valina, ndr) e poi in gara mi trovo bene anche con il Magic Cherry Juice, che ormai bevo sempre dopo gli arrivi. La squadra sta lavorando molto, soprattutto in ottica corse a tappe, a dei pasti pronti e personalizzati, che fanno davvero la differenza.

Si è ormai capito che dopo lo sforzo si deve puntare al reintegro delle proteine, ma anche dei carboidrati. In che modo questi vostri pasti ne tengono conto?

Il recupero dopo gara è una fase decisiva. Troviamo sempre una parte di carboidrati, che è molto spesso garantita da riso o pasta perché è anche la cosa più semplice da preparare. Però mettono dentro anche delle proteine, ad esempio le uova. Io però non le mangio perché non mi piacciono, quindi le sostituisco con del pollo piuttosto che con parmigiano o altri alimenti ricchi di proteine. E poi ci sono sempre anche delle verdure, in modo da offrire un recupero completo di tutto.

Carboidrati e proteine

Ancora Stephanie Scheirlynck entra nello specifico della composizione dei pasti post attività, sottolineando come le abitudini e le valutazioni siano in continua evoluzione. E come ogni valutazione del nutrizionista del team debba tener conto delle preferenze dei corridori. Alla Lidl-Trek non mancano ad esempio atleti vegetariani o vegani.

«La ricerca più recente – dice – conferma l’importanza dei carboidrati per il recupero, ma questo non significa che le proteine siano da escludere. Anzi, entrambi sono cruciali. Non tralasciamo le proteine nel recovery drink, perché spesso passa un lungo lasso di tempo tra l’ultimo pasto completo, come la colazione pre-gara o pre-allenamento, e il primo pasto vero e proprio, che include proteine».

E proprio il pasto vero e proprio, che viene dopo l’integrazione immediata post arrivo, è il tema di cui torniamo a parlare con Elisa Balsamo.

Lucinda Brand e Shirin Van Anrooij sul camion che contiene tutti gli integratori Enervit della Lidl-Trek
Lucinda Brand e Shirin Van Anrooij sul camion che contiene tutti gli integratori Enervit della Lidl-Trek
Quindi lo chef lavora in collaborazione con il nutrizionista e tutto è sotto controllo?

Abbiamo uno chef praticamente in tutte le gare WorldTour e ormai ci conoscono bene. Sanno chi di noi ha delle allergie o delle intolleranze oppure chi non mangia qualche alimento. Quindi fanno molta attenzione da questo punto di vista e la loro bravura sta nel mettere insieme un buon pasto anche a livello di gusto, utilizzando esattamente gli ingredienti e le quantità indicati dal nutrizionista.

Andiamo indietro ai ritiri invernali, che forse sono le fasi dell’anno in cui ci sono le maggiori oscillazioni di peso. In che modo si gestisce quella fase?

L’obiettivo è arrivare al giusto peso curando molto all’alimentazione. Per esperienza personale, il fine stagione è la fase in cui puoi permetterti di non seguire tanto la dieta. Magari per 1-2 settimane, quando si va in vacanza, si mangia quello che si vuole, ovviamente cercando di fare un minimo di attenzione. Penso sia importante anche per l’aspetto mentale che quando uno è in vacanza si possa togliere anche qualche soddisfazione culinaria. Quindi alla fine gli aumenti di peso durante l’inverno sono dovuti anche a questo. Lo si vede anche in chi non fa vita da atleta.

Che cosa?

D’estate si è molto più invogliati a mangiare insalate, cose fresche e più leggere. Mentre d’inverno, anche seguendo la dieta, ci sono piatti più… cucinati. Per cui con il caldo è fisiologico iniziare a perdere peso.

Clara Copponi all’Antwerp Port Epic Ladies con il suo Magic Cherry Juice tutto da bere
Clara Copponi all’Antwerp Port Epic Ladies con il suo Magic Cherry Juice tutto da bere
Si riesce a valutare se dal punto di vista dell’integrazione c’è tanta differenza fra donne e uomini?

No, io penso che sia piuttosto simile. Forse cambiano le quantità, perché tendenzialmente il peso di un uomo, fosse solo per la statura, è maggiore. Quindi è normale che le quantità siano differenti, però ad esempio anche sull’assunzione dei grammi di carboidrati per ora in gara, secondo me siamo molto vicini.

Nelle donne c’è un maggior problema di ritenzione idrica, come la gestisci?

Diciamo che quello è un po’ complicato. Ovviamente ci sono degli alimenti che possono aiutare particolarmente in tutti i casi di gonfiore o ritenzione idrica, però non è sempre facile. Il suggerimento che mi è stato dato e che cerco di seguire è quello di bere tanto, anche tisane cui aggiungo zenzero o altri prodotti che hanno questa funzione. Non sempre si riesce, perché il fisico è sottoposto a molti stress e non sempre reagisce nello stesso modo. Ma l’idratazione è importantissima.

Bracalente torna al successo e sogna l’azzurro

10.06.2025
4 min
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Periodicamente, Diego Bracalente torna agli onori della cronaca e questo è un titolo di merito per il corridore marchigiano, considerato uno dei più validi prospetti italiani per quel che concerne l’arte della salita (un po’ bistrattata, in verità). Vincitore della Coppa della Pace (terza vittoria per la MBH Bank Colpack Ballan dopo Nespoli al Recioto e Masciarelli al Liberazione), il fermano ha ritrovato il sorriso dopo un inizio difficile e nel successivo Giro della Campania è stato comunque protagonista.

Risultati che hanno raddrizzato un inizio stagione difficile: «Le ultime due settimane mi hanno fatto dimenticare tutto quel che c’è stato prima, se ci fossimo sentiti a metà maggio il mio umore sarebbe stato ben diverso. D’altronde per me è sempre un po’ così, io soffro molto il freddo, la temperatura è una componente essenziale per le mie prestazioni. La Coppa della Pace poi era un mio obiettivo da inizio anno, averlo centrato ha rimesso un po’ le cose a posto».

L’assolo decisivo di Bracalente a Sant’Ermete, con 27″ su Fietzke (GER) e 36″ su Biehl (DEN)
L’assolo decisivo di Bracalente a Sant’Ermete, con 27″ su Fietzke (GER) e 36″ su Biehl (DEN)
Qualche risultato però era arrivato, ad esempio il podio al Trofeo Matteotti…

Sì, ma molto meno di quanto sperassi, di quanto mi fossi impegnato. Le prime settimane di stagione non sono mai state positive, a maggio e giugno ho raccolto sempre di più ma quest’anno, complice anche l’allungamento del periodo un po’ più rigido, non riuscivo proprio a carburare. L’aria calda mi aiuta…

Sembra strano sentirlo dire per uno scalatore, che anche nei mesi invernali può trovare temperature rigide salendo di quota…

Diciamo che in quei casi emerge la mia resilienza. Mi è già capitato di trovare un clima freddo man mano che salivo e ho cercato di tener duro. Non faccio la differenza, quella che solitamente provo a dimostrare con un clima caldo, cerco di resistere e rimanere comunque attaccato ai primi evitando di soffrire di una giornata storta.

La ripresa del fermano si è vista anche al Giro di Campania, con un 4° posto di tappa e il 5° nella generale
La ripresa del fermano si è vista anche al Giro di Campania, con un 4° posto di tappa e il 5° nella generale
Che clima hai trovato a Sant’Ermete?

Ideale per me, per una gara davvero internazionale con tanti corridori di alto livello e formazioni protagoniste in tutt’Europa. Io questa volta non ho commesso l’errore che avevo fatto a Castelfidardo, quand’ero andato via a 55 chilometri dal traguardo e mi avevano ripreso ai -5 quand’ormai non ne avevo più. Stavolta con la squadra avevamo deciso di aspettare, cercando di non farci trascinare nella bagarre dalla Red Bull che avevano il danese Biehl davvero scatenato. Io sono andato a prendere lui e Cattani al terzultimo giro: Biehl e Fietzke hanno provato a mettermi in mezzo ma ai -10 ho provato la fuga solitaria, tenendo i due lontani.

Prestazioni del genere ti sono valse la convocazione per il Giro Next Gen?

Purtroppo no, un po’ mi dispiace ma era già nei programmi che sarebbero andati altri e lo sapevo da tempo. Sarebbe stato un  bel test, considerando anche che ci sono due arrivi davvero duri, ma vorrà dire che potrò prepararmi con un po’ più di calma e puntare alle prove internazionali subito dopo. Nel mio programma ci sono il campionato italiano e poi il Giro della Val d’Aosta che forse potrebbe essere davvero il momento clou della mia stagione, anche se io ho già fatto un pensierino a una gara particolare.

Al Giro d’Abruzzo ha provato ad andare in fuga, ma il clima non lo ha favorito
Al Giro d’Abruzzo ha provato ad andare in fuga, ma il clima non lo ha favorito
Quale?

Il mio pallino è il GP Comunità di Capodarco, ci penso già dallo scorso anno. Si corre a 15 chilometri da casa mia, ci saranno davvero tutti a vedermi e voglio onorarlo al meglio, far vedere chi è davvero Diego Bracalente…

Gli obiettivi non mancano di certo, ma considerando le caratteristiche della stagione te ne poniamo altri due: europei e mondiali, entrambi con percorsi durissimi…

La maglia azzurra è un sogno e so che se chiamato in causa potrei garantire il massimo impegno. In Ruanda andranno in pochi, magari qualche chance in più c’è per gli europei. Tocca a me farmi vedere e chissà che questo periodo di riposo non possa essere un toccasana per farmi salire ancora di condizione.

A Castelfidardo aveva provato l’azione decisiva, ma troppo lontano dal traguardo (foto Instagram)
A Castelfidardo aveva provato l’azione decisiva, ma troppo lontano dal traguardo (foto Instagram)
Qualche grande team comincia a bussare alla tua porta?

Lo spero, so che il mio procuratore Carera se ne sta occupando ma qualsiasi scelta per me va bene, alla MBH mi trovo bene, se saliranno di categoria andrebbe benissimo per me. Io preferisco non pensarci, concentrarmi giorno per giorno su quel che devo fare e sul portare a casa più risultati possibile. La seconda parte dell’anno mi ha sempre dato buoni riscontri, ma quest’anno voglio anche di più…

Magli, uno step in più fra conferme e nuove ambizioni

10.06.2025
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Sembra passato un secolo dal Giro d’Italia, ma i protagonisti girano ancora nei nostri occhi e nei nostri ricordi. Okay gli uomini di classifica e Pedersen, ma ci sono stati alcuni italiani che si son dati da fare e in qualche modo distinti. Uno di loro è Filippo Magli.

Il corridore della VF Group-Bardiani il Giro forse se lo è lasciato alle spalle più di noi, visto che ha già ripreso a correre. Era in Belgio per la Brussels Classic – dove è caduto e da buon toscano ha sentenziato: «Qualche gratta che fa mestiere» – e la Antwerp Port Epic.

Filippo Magli (classe 1999) ha concluso il suo secondo Giro d’Italia
Filippo Magli (classe 1999) ha concluso il suo secondo Giro d’Italia

La solidità dell’esperienza

E’ un Magli sereno e riflessivo quello che incontriamo a pochi giorni dal Giro. Ha già la testa avanti, ma è ben consapevole di cosa ha appena vissuto.
«E’ stato un Giro duro – racconta – siamo andati veramente forte rispetto a quello che avevo fatto nel 2023. Sembra passato tanto tempo, ma in realtà sono solo due anni. Il ciclismo però va avanti ad una velocità incredibile. Il meteo ci ha aiutato, perché non abbiamo quasi mai preso acqua e arrivare a Roma è sempre un’emozione. Bellissimo».

Lo si è visto spesso davanti, con coraggio. Niente fughe da vetrina, solo attacchi con l’idea del risultato.
Si dice che le squadre italiane non vanno che il WorldTour vola, ma partiamo da quello che abbiamo in Italia.

«Secondo me – spiega Magli – a volte ci piangiamo un po’ addosso. Noi, per le nostre possibilità, ci siamo difesi. Come squadra siamo una realtà piccola, però abbiamo fatto 8 top 10, sempre con l’obiettivo di arrivare, non solo per farci vedere. E’ mancata la vittoria, ma in un Giro in cui metà delle tappe le ha vinte Pedersen, è difficile per tutti».

Ecco Magli nella fuga di Cesano Maderno con Van Aert
Ecco Magli nella fuga di Cesano Maderno con Van Aert

Quante gare…

Filippo racconta il giorno più duro, quello che si è portato dietro anche a livello emotivo e di come quando si parla di esperienza ci sia anche un riscontro concreto.
«Sicuramente il giorno dopo Cesano Maderno, quando ho fatto quarto – racconta Magli – è stato tosto. La tappa da Biella a Champoluc mi ha fatto soffrire. Sin dalle prime salite sentivo già che non stavo bene, ma in quel caso l’esperienza del Giro 2023 mi ha aiutato. Se tieni duro, quei momenti passano».

E da qui scatta anche un ricordo (misto paragone) con la corsa del debutto, quella del 2023.
«Quel Giro è stato una bella batosta – ricorda – io e Marcellusi siamo stati sempre insieme, anche in camera. Era il nostro primo grande Giro e ci siamo detti: “Se abbiamo superato questo, non ci fa più paura niente”. E infatti quest’anno ci siamo divertiti».

Intanto già dopo la serata di Roma Magli guardava avanti. Come molti suoi compagni, forti anche della condizione accumulata durante la corsa rosa, pensava alle prossime gare. Del Belgio vi abbiamo accennato ma il calendario non si ferma lì.
«Poi andremo a Gippingen. Le corse in Nord Europa mi piacciono, anche quando il meteo è un po’ avverso. E’ un altro ciclismo, molto intenso, ma mi stimola. Voglio sfruttare la forma che arriva da tre settimane di fatica vera».

Il toscano è veloce e tiene sulle salite brevi
Il toscano è veloce e tiene sulle salite brevi

Quel che resta del Giro

Ma si guarda anche al futuro più remoto e non solo prossimo. Questo Giro d’Italia ha significato molto. Dalla corsa rosa Magli esce con più di qualche certezza in tasca.
«Mi sento un corridore migliore – afferma Filippo – e più completo. Non ho un picco eccezionale in nulla, ma vado bene quando le condizioni si fanno dure, in Belgio, in Francia, quando il tempo cambia. O le corse si fanno caotiche. E’ lì che mi trovo a mio agio».

E a proposito di caos si è visto a Cesano Maderno, quando è stato il primo degli italiani.
«Quel giorno non si poteva fare molto quando è partito Denz – spiega allargando le braccia – abbiamo un po’ dormito a dire il vero. Quando Denz parte è difficile tenerlo. Ha fatto un gran numero. Appena ha preso il largo ci siamo guardati e sapevamo che si correva per il secondo posto. Forse ho impostato male la volata, potevo fare meglio. Però anche il quarto posto mi soddisfa, sono sincero».

La consapevolezza di aver fatto bene alimenta la voglia di crescere ancora: «Adesso cominciano ad essere un po’ di anni che corro – conclude – prima si parlava di che corridore potessi diventare, oggi mi chiedo cosa voglio essere davvero. La risposta è chiara: uno che non si tira mai indietro, che prova a giocarsela».

Alzini, brutta caduta in pista. Il 2025 non si vuole raddrizzare

10.06.2025
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Una gara in pista in Germania, corsa a punti. Una ruota che scoppia nel gruppo davanti a lei che stava rientrando da un altro giro guadagnato e in un momento Martina Alzini si è ritrovata per terra con un male cane alla spalla (in apertura indossa il tutore che la immobilizza). Come lei è caduta Anita Baima, con segni profondi ma nulla di rotto. Le foto su Instagram meritano un approfondimento, quest’anno non va nulla come dovrebbe. La milanese è a casa sua sulla sponda bresciana del Garda, cercando di convivere con le limitazioni dell’infortunio. Oltre a una costola rotta e varie abrasioni, la frattura della scapola è il boccone più duro da masticare e mandare giù.

«Ho dovuto fare quel post – sorride la campionessa del mondo 2022 di inseguimento a squadre – più che altro perché tanti mi chiedevano perché non fossi a correre. Alcuni sapevano della caduta, ma non cosa fosse successo in realtà. Insomma, era una gara con la nazionale. Eravamo io, la Guazzini e le due giovani Anita Baima e la Sara Fiorin. Per il nostro calendario era un periodo senza impegni su strada e veniva bene anche per fare un po’ di punti».

Subito dopo la caduta in Germania, con abrasioni e botte, Alzini ha vinto la prova in cui è caduta
E cosa è successo?

Stava andando bene, ci stavamo divertendo. Il giorno prima la “Guazza” era arrivata prima nell’omnium, mentre il secondo giorno io ho vinto la gara in cui sono caduta. Mancavano pochi giri alla fine e io ne avevo presi tre, quindi la classifica non poteva cambiare. Tra l’altro hanno pure fatto le premiazioni con un braccio al collo. Vi giuro, io una cosa così non l’avevo mai vista in vita mia. Sono arrivata a 28 anni…

Dove eravate a correre?

A Singen in Germania, una gara di classe 1. Stavo rientrando dal giro acquisito, quindi mi trovavo in quel solito momento di confusione. Da quello che ho capito, a una ragazza malesiana, che era in mezzo al gruppo, è esplosa la ruota davanti, coinvolgendo nella caduta anche Anita Baima che si è ferita il volto. L’ho sentita anche ieri, ha una ferita profonda anche al ginocchio, però niente di rotto. Insomma, mi sono trovata nel mezzo e non ho potuto farci niente. Così abbiamo scelto di rientrare in Italia. Le prime visite in ospedale non segnalavano nulla di rotto, ma inizialmente ho fatto solo le radiografie. Però il giorno dopo ho fatto una risonanza, perché avevo troppo male alla spalla.

Non erano i soliti postumi della botta, insomma?

In 28 anni non mi ero mai rotta nulla e ho capito che era un dolore mai provato prima, che non era un fatto solo di botte. All’inizio hanno parlato di una micro frattura. Però l’ortopedico ha visto bene tutto e ha parlato di una frattura più seria. Ho pubblicato la foto della lastra per far capire che comunque non è una cosa lieve e che starò un bel po’ fuori. Per assurdo, se mi fossi operata subito, avrei fatto prima.

L’ultima volta avevamo incontrato Martina Alzini alla Roubaix: qui con Chiara Consonni
L’ultima volta avevamo incontrato Martina Alzini alla Roubaix: qui con Chiara Consonni
La squadra come l’ha presa?

Personalmente all’inizio ho pensato proprio a quello. Dovevo partire per andare a correre, temevo potessero fare storie, invece continuo a ripetere che questa squadra per me sta diventando sempre di più una famiglia. Mi piace il ruolo che ho e ho fatto una riunione con tutti i tecnici. Ho preferito parlare chiaro. Gli ho detto di non pensare che la pista faccia male alla strada, ma Magnus (Backstedt, ndr), che tra l’altro è uno dei migliori direttori sportivi con cui abbia mai lavorato, mi ha risposto: «Marti, gli infortuni succedono anche in allenamento. Potevi uscire dalla doccia, inciampare nel gradino e spaccarti una caviglia». Ha commentato così. Ha parlato dei rischi del mestiere e ha aggiunto che ha due figlie che corrono in bicicletta e sa di cosa stavamo parlando. Mi stanno lasciando tranquilla, ma questo non toglie che sia stata una stagione sfortunata.

Per quanto tempo dovrai restare ferma?

Avrò il tutore per i prossimi 15 giorni e mi hanno detto che è già un po’ al limite, perché una persona normale lo terrebbe per un mese. Vedremo poi il decorso con le varie terapie, per capire che cosa posso fare. Però la spalla non la posso muovere, devo aspettare che l’osso si saldi. Pensavo che il 2024 fosse stato l’anno più ostico (ride amaramente, ndr), invece si può sempre peggiorare.

Il programma non prevedeva il Giro e neppure il Tour, giusto?

La squadra non fa il Giro. Avevo appena concluso la Vuelta e non avevo in programma il Tour. Però comunque di gare adesso ce ne sono veramente tante. Avrei fatto il Baloise, la nuova gara WorldTour di Copenaghen e le altre in Belgio. Poi ci sarebbero stati i tricolori che penso non farò. Sono solita lavorare per obiettivi e ad oggi purtroppo sul calendario non posso e non saprei quale obiettivo indicare, se non quello di guarire.

Dalla risonanza è emerso che il colpo alla spalla è in realtà una frattura della scapola destra
Come passano le giornate?

Ho deciso di rimanere qua a Brescia perché la mia vita è qua. Vivo da sola, ma sono molto fortunata perché ci sono tante persone che mi stanno vicino e hanno capito la situazione. Insomma, anche da questi momenti vedi chi ti vuole bene e chi no. Il gatto mi sta attaccato come una cozza e per ora la sto prendendo con filosofia. Se per stendere i vestiti o farmi da mangiare normalmente impiego 10 minuti, con un braccio solo serve mezz’ora. Mia mamma sta facendo sacrifici al lavoro per starmi accanto il più possibile, quindi non mi sento di dire che la sto vivendo male: forse perché sono vecchietta? Sono vecchietta (sorride con una punta di ironia, ndr), quindi ne ho viste di ogni e non ne sto facendo un dramma…

Il Giro Next Gen a Prato Nevoso: Garzelli racconta la salita

10.06.2025
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Una volta svelato il percorso del Giro Next Gen è stato chiaro a tutti che la tappa decisiva sarà quella con arrivo a Prato Nevoso. La settima frazione del Giro d’Italia degli under 23 apparecchia la tavola per un finale da vivere metro dopo metro. 4.000 metri di dislivello in 160 chilometri senza mai trovare un metro di pianura. Se è vero che la categoria under 23 sta diventando l’antipasto al professionismo, ecco un bel boccone da masticare per i ragazzi delle 35 squadre che prenderanno il via domenica 15 giugno da Rho. 

Il profilo della settima tappa del Giro Next Gen: 163 chilometri e 4.000 metri di dislivello
Il profilo della settima tappa del Giro Next Gen: 163 chilometri e 4.000 metri di dislivello

Con voglia e rabbia

Sulla salita di Prato Nevoso il Giro è passato tre volte (una anche il Tour): una di quelle che rimane negli occhi degli appassionati e nel cuore di chi l’ha vissuta ha visto come protagonista Stefano Garzelli. Nella corsa del 2000, esattamente venticinque anni fa, lo scalatore varesino trovò la sua prima vittoria al Giro d’Italia. Mentre qualche giorno dopo tolse la maglia rosa dalle spalle di Francesco Casagrande e la portò fino a Milano. 

«Era una salita adattissima alle mie caratteristiche – ricorda Stefano Garzelli che in questi giorni è impegnato con le dirette del Delfinato con la RAI – ovvero quelle di uno scalatore con un buon spunto veloce. La strada sale costantemente tra il 7 e l’8 per cento con qualche punta al 9. In generale è una salita dove a ruota si sta bene. Di quel giorno ricordo la voglia che avevo di vincere, chiusi su tanti attacchi negli ultimi tre chilometri mi sono mosso tantissimo. Nella volata finale, in cui arrivò un gruppetto di una decina di corridori, vinsi per distacco».

La scalata di Prato Nevoso ha delle pendenze regolari tra il 7 e l’8 per cento ed è lunga 13 chilometri
La scalata di Prato Nevoso ha delle pendenze regolari tra il 7 e l’8 per cento ed è lunga 13 chilometri
Il fatto che sia arrivato un gruppo ristretto ci fa pensare che sia una salita in cui si fa fatica a fare selezione…

Sono convinto che se dovessero farci arrivare il Giro nei prossimi anni arriverebbero a giocarsi la corsa quindici corridori. Le bici sono sempre più veloci e l’aerodinamica conta tanto anche in salite del genere. Questo mi fa pensare che anche al Giro Next Gen sarà difficile vedere trionfare un atleta da solo. 

Nei chilometri precedenti saliranno tanto prima di arrivare alla salita finale.

Questo può cambiare le carte in tavola. Se all’inizio della tappa si mette tanta fatica nelle gambe allora poi la scalata finale cambia volto. Penso il gruppo arriverà a prenderla con una velocità costante e per fare selezione si deve partire forte fin da subito.

A Prato Nevoso nel 2018 Simon Yates perse 30 secondi da Froome, la maglia rosa il giorno dopo andò incontro alla crisi sul Colle delle Finestre
A Prato Nevoso nel 2018 Yates perse 30 secondi da Froome, la maglia rosa il giorno dopo andò in crisi sul Colle delle Finestre
Sarà difficile gestire la salita visto che le squadre avranno solo cinque corridori e saremo alla fine del Giro Next Gen?

Pensare di coprire tutti e 13 i chilometri di salita con due o tre atleti intorno al capitano è difficile. Si dovranno capire le mosse dei team e quello che potrà succedere. Se si dovesse arrivare ad avere solo gli uomini di classifica davanti si apre uno scenario da uno contro uno. In questo caso potremmo vedere tanti attacchi, ma attenzione che in una salita del genere solo uno può essere quello decisivo. 

Cioé?

Che è difficile prendere tanto margine in una salita del genere con pendenze abbordabili. I distacchi potrebbero aggirarsi intorno ai venti secondi. E’ importante trovare il momento giusto e questo può arrivare o da molto lontano, anche se è difficile, o quando si è negli ultimi due chilometri. Però con tutto quel dislivello prima qualcuno potrebbe andare in crisi.

Prato Nevoso è stato anche arrivo di tappa nel Giro d’Italia Internazionale Femminile 2021 vinse Van Der Breggen in maglia iridata
Prato Nevoso è stato anche arrivo di tappa nel Giro d’Italia Internazionale Femminile 2021 vinse Van Der Breggen in maglia iridata
E cosa cambierebbe?

Se ti pianti, non vai più su. Pensateci, su quali salite si fa maggiore differenza quando un corridore va in crisi? Quelle con pendenze dove si riesce a fare velocità. Prato Nevoso è una scalata da fare a 22 o 23 chilometri orari, ma se uno va in crisi si sale a 14 all’ora. Cambia tutto. I divari si possono fare davvero ampi. 

Come correresti?

A ruota del primo gruppo, respirando e risparmiando qualcosa. Poi una volta che si decide di attaccare bisogna farlo fino in fondo, senza pensare al giorno dopo. Nel finale di una corsa a tappe tra andare al 90 per cento o andare al 100 per cento non cambia nulla. Anche perché in una salita come quella di Prato Nevoso la differenza la si può fare solo con uno scatto secco, convinto. 

Un viaggio nell’anima con Garofoli al suo primo Giro d’Italia

09.06.2025
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I giorni dopo il Giro d’Italia sono dedicati al riposo e a ritrovare le forze per la seconda parte di stagione. La Corsa Rosa chiude un capitolo e ne riapre un altro, arriva l’estate e la stagione dei Grandi Giri prende il via. Gianmarco Garofoli non fa eccezione, il marchigiano della Soudal-QuickStep dopo aver corso il suo primo Giro d’Italia in carriera si trova a casa. Appena sceso dalla bici si è sottoposto a un piccolo intervento chirurgico agli occhi. Nulla di preoccupante, un’operazione di routine che attendeva il momento giusto per essere fatta.

«Male fa male – racconta – è pur sempre un intervento all’occhio, ma dopo un paio di giorni la situazione è migliorata. Ho anche ripreso ad andare in bici, senza stress ma con l’obiettivo di recuperare al meglio per i prossimi impegni. A fine giugno sarò ai campionati italiani, non sarà un percorso adatto alle mie caratteristiche, ma credo sia un bel modo per tornare ad attaccare il numero sulla schiena».

Dopo il ritiro di Landa nella prima tappa, per Garofoli e la Soudal-QuickStep si è aperto un Giro diverso corso all’attacco
Dopo il ritiro di Landa nella prima tappa, per Garofoli e la Soudal-QuickStep si è aperto un Giro diverso corso all’attacco

Finalmente il Giro

Negli anni abbiamo imparato a conoscere Gianmarco Garofoli come un giovane arrembante e con le idee chiare. Il sogno era quello di diventare un corridore da Grandi Giri e l’obiettivo rimane quello. Nel corso delle ultime stagioni ci sono stati diversi momenti in cui le cose sono andate in maniera diversa da quanto ci si sarebbe aspettato e augurato. La forza del corridore e dell’uomo, perché intanto Garofoli è cresciuto e diventato tale, non cambia.

«E’ stato un bel viaggio – continua – ripensare a tutte le tappe e ai tanti momenti vissuti direi che è stato anche lungo, ma viverlo da dentro ha fatto sì che tutto passasse velocemente. Però una volta che mi sono fermato e ci penso, mi accorgo di aver vissuto tante emozioni, positive e negative. Per un bambino nato con il sogno di correre il Giro, è stato bello viverlo e soprattutto è stato bello correrlo. Non sono stato tra i protagonisti assoluti ma mi sono fatto vedere e ho ottenuto buoni risultati. Una delle cose più belle è aver sentito il mio nome sulle strade anche da gente che non avevi mai visto prima».

Nella tappa di Asiago con un settimo posto, Garofoli ha capito di avere le gambe giuste per provare a fare qualcosa
Nella tappa di Asiago con un settimo posto, Garofoli ha capito di avere le gambe giuste per provare a fare qualcosa
Eravate partiti con Landa capitano, ma alla prima tappa avete perso il vostro riferimento…

Sì, è stato strano all’inizio perché eravamo venuti con un obiettivo ma è sfumato presto. Ci siamo trovati a dover cambiare tutti i piani e da lì sono nate nuove opportunità sia per me che per i miei compagni. Abbiamo cercato una vittoria di tappa che purtroppo non è arrivata. Però io posso ritenermi soddisfatto perché dopo diverse cadute e qualche costola rotta sono riuscito a stare nelle fughe e ho sempre dato spettacolo.

Il ricordo che ti porti a casa da questo Giro?

Credo la tappa di Asiago, ho capito di poter avere concrete chance per vincere una tappa. Quel settimo posto mi ha dato ottime sensazioni, essere lì davanti, poi all’arrivo ero dispiaciuto perché quando vedi la vittoria così vicina ci credi. Ma non ho rimpianti, sono convinto di aver dato tutto.

Il marchigiano ha proseguito il suo Giro nonostante le tre costole rotte nella caduta di Napoli (foto Soudal-QuickStep)
Il marchigiano ha proseguito il suo Giro nonostante le tre costole rotte nella caduta di Napoli (foto Soudal-QuickStep)s
Anche perché correvi con tre costole rotte…

Dopo tutto quello che ho passato non avrei mai mollato per tre costole rotte. Forse il momento in cui ho pensato di fare un passo indietro è stato dopo la seconda caduta nella tappa con arrivo a San Valentino. La botta alla schiena si è fatta sentire, tanto che la sera sono andato in una clinica a farmi visitare, per fortuna non avevo nulla di rotto. Mi sono detto: «Continuo solo se posso fare qualcosa di buono».

Ed è arrivato il quarto posto a Sestriere…

Diciamo che ho dato un po’ un senso alla mia sofferenza. E’ stata un po’ una liberazione, soffrivo tanto e non riuscivo a pedalare bene perché mi faceva male alla schiena. La gamba destra era un po’ bloccata. La mattina stessa non avrei mai detto di poter arrivare così vicino alla vittoria ma è stata una bella sensazione.

A Sestriere il miglior piazzamento in questo Giro: quarto, alle spalle di Harper, Verre e Simon Yates
A Sestriere il miglior piazzamento in questo Giro: quarto, alle spalle di Harper, Verre e Simon Yates
Che effetto fa aver scoperto queste tue qualità durante il Giro e soprattutto aver avuto una risposta dopo tanti anni complicati?

Dentro di me ci ho sempre creduto, bisogna sempre crederci. Per me non è stato difficile correggere il Giro d’Italia con tre coste rotte e andare forte, è stato molto più difficile continuare a crederci negli anni in cui tutto era più difficile.

In una corsa difficile hai risollevato il morale della squadra?

Tutti credevamo tanto anche Paul Magnier, era al suo primo Giro ma le qualità non si discutono. Quando a Gorizia non è arrivato il risultato sperato il morale era a terra, fortunatamente nella tappa successiva ho conquistato quel settimo posto che ha risollevato un po’ gli animi. Ci siamo convinti che avremmo potuto fare ancora qualcosa di buono.

Garofoli si è detto soddisfatto anche di quanto fatto nella cronometro di Pisa, un bel segnale per il futuro
Garofoli si è detto soddisfatto anche di quanto fatto nella cronometro di Pisa, un bel segnale per il futuro
Hai colpito tutti in maniera positiva, tanto che proprio durante il Giro è arrivato il rinnovo fino al 2027…

E’ molto importante perché crede in me e mi trovo bene. Mi piace lo spirito vincente, si sente molto ed è quello che mi è mancato negli ultimi anni: andare alle corse e partire per vincere. Qui ho ritrovato la fiducia in me stesso ed è bello, spero di migliorare ancora e di ripagarli della fiducia.

Allora in bocca al lupo.

Crepi! E speriamo di sentirci presto, vorrà dire che sono andato forte!