Il vero spettacolo è stata la gente. Piva, come mai?

21.05.2023
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BERGAMO – Bonifazio arriva trascinando i piedi, stanco morto. Le sue gambe da velocista sulle strade di Bergamo hanno sofferto le pene dell’inferno, ma ha fatto bene il suo lavoro, proteggendo nella fuga Laurens Huys, cui la Intermarche-Wanty ha chiesto di tenere duro in classifica. Si guarda intorno e lo intercettiamo prima che salga sul pullman, mentre a un paio di metri il suo direttore sportivo Valerio Piva armeggia nell’ammiraglia prima di scenderne e archiviare la tappa.

«Mi sono trovato davanti insieme a Huys – racconta Bonifazio – non abbiamo preso rischi nelle discese e poi nel finale ho attaccato sulla Roncola per mettere in crisi gli altri compagni di fuga, in modo che il mio compagno non tirasse prima della salita e ci arrivasse spendendo meno. Io sto abbastanza bene, la stanchezza inizia a farsi sentire, il risveglio è sempre traumatico. Il freddo ha fatto la sua parte, perché non ti fa realmente capire la tua condizione e recuperare quando ogni giorno ti congeli, è veramente dura. Questo Giro non ha favorito noi sprinter, quindi bisogna cercare di sopravvivere tutti i giorni…».

Anche questa volta gli uomini di classifica si sono fatti pregare e alla fine non si sono presentati alla festa. Quei due secondi fra il gruppetto di Almeida e quello di Pinot sono stati conseguenza di una discesa fatta in modo più spregiudicato, ma nulla di più. E così, approfittando della saggezza di Valerio Piva, proviamo a capire che cosa si pensi là dietro, nella lunga fila delle ammiraglie, mentre davanti le star del Giro lasciano passare i chilometri e le occasioni.

Qualcuno poco fa sull’arrivo ha parlato di un Giro che si deciderà con il colpo di un solo giorno. Perché è troppo duro, ha tappe troppo lunghe e a causa del freddo nessuno si muove…

Un Giro troppo duro? Non lo so, tutti i Giri sono duri – risponde Piva con gli occhi che lampeggiano di scetticismo – e si sapeva prima di venire che fosse una corsa difficile e con tante salite. E’ chiaro che ognuno fa le sue scelte sugli atleti da portare, capaci di gestire queste situazioni. Il freddo c’è stato e anche tanto, ma purtroppo quello non si può gestire. Sono situazioni difficili per tutti, io lo so perché ho vissuto il Gavia (nel 1988 il Giro fu sconvolto da una bufera di neve sul passo valtellinese, ndr). Qui non è stata una sola giornata, ma quasi tutte le tappe finora. Però sono convinto che il Giro sarà spettacolare nell’ultima settimana e anche questo si sapeva…

Piva è convinto che il Giro si deciderà nella terza settimana e non si stupisce per l’attendismo dei big
Piva è convinto che il Giro si deciderà nella terza settimana e non si stupisce per l’attendismo dei big
Anche questo si sapeva?

Certo, perché chi sa gestirsi aspetta la terza settimana. Quindi io mi aspetto che Roglic e Thomas e quelli che sono rimasti a giocarsi la vittoria si sfideranno sulle salite, come era prevedibile. Roglic ha gestito la squadra con il giusto approccio. Se vuoi essere competitivo nelle tappe più dure, devi fare così.

Oggi sulla carta era una tappa di quelle, no?

Lo pensavo anche io, ma visto che domani c’è il riposo hanno rimandato al Bondone di martedì, alle Tre Cime di Lavaredo, a Zoldo e alla cronometro finale. Attenzione perché lì, sul Monte Lussari, si può decidere il Giro. Le forze sono quelle e chi ha speso all’inizio rischia di pagare.

Possiamo dire che l’assenza di Evenepoel ha tolto un po’ di imprevedibilità?

Quando all’inizio li vedevo battersi per pochi secondi, ero un po’ perplesso. Non è facile gestire le tre settimane, soprattutto su questo percorso. Con Remco cambiava qualcosa chiaramente, avrebbe dato del pepe a questo Giro, ma qualche dubbio mi resta.

Gli italiani onorano il Giro. Nella prima fuga ci sono Albanese, Frigo, Ballerini, Velasco, Gavazzi e Pasqualon
Gli italiani onorano il Giro. Nella prima fuga ci sono Albanese, Frigo, Ballerini, Velasco, Gavazzi e Pasqualon
Su cosa?

Sarebbe riuscito ad arrivare in fondo a quel modo? Chiaramente non lo sapremo mai e, se ci fosse riuscito, sarebbe stato un grandissimo. Per ora non ci resta che aspettare le prossime tappe dure. Tanti si sono resi conto che la selezione verrà dal meteo e dai percorsi e aspettano i giorni chiave perché non ci sono tante forze da sciupare. 

E il vostro Giro?

Sapevamo dall’inizio che non abbiamo nessuno per la classifica. Cerchiamo di andare nelle fughe, con corridori che non sono scalatori o velocisti top. Quindi cerchiamo di anticipare per provare a vincere una tappa. Ci siamo andati vicino, ma qui il livello della nostra squadra è quello che si può vedere. Dispiace che non sia venuto Taco Van der Hoorn, che però è stato male. Lui una tappa poteva vincerla, lo ha già fatto.

Poi Piva saluta, deve salire sul pullman per parlare con i suoi ragazzi. Lascia capire che Bonifazio oggi lo ha stupito e quando gli diciamo che nella squadra ci sarebbe stato ancora bene Pozzovivo, preferisce non dire nulla. Fosse stato per lui, il lucano sarebbe stato ancora qui. Ma adesso che anche Domenico è tornato a casa per il Covid, stare a rivangare l’argomento non serve a niente. Valerio sparisce, la tappa di Bergamo è finita. Probabilmente quelle magnifiche schiere di tifosi lungo il percorso avrebbero meritato altro spettacolo. Merito e applauso a tutti gli uomini della fuga.

A tavola con Piva, fra Busatto, il Belgio e i giovani

29.04.2023
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RIEMST (Belgio) – Valerio Piva conosce i corridori e il Nord come pochi altri. Da anni il tecnico della Intermarché-Wanty Gobert vive in Belgio, ci ha pedalato e sempre a quelle latitudini dirige e segue i corridori. Da quest’anno, tra questi c’è anche Francesco Busatto, vincitore della Liegi U23.

Incontrato a casa sua, dove tra le altre cose ha un hotel – l’Hove Malpertuus – che da anni ospita molti team durante la campagna del Nord, Valerio ci parla di questo giovane italiano. Ma di riflesso il discorso si estende anche a ragionamenti più vasti, che riguardano sempre i giovani e alcuni aspetti del ciclismo in Belgio.

Busatto (a destra) aveva dimostrato ottime cose già durante i ritiri invernali con la prima squadra (foto Instagram)
Busatto (a destra) aveva dimostrato ottime cose già durante i ritiri invernali con la prima squadra (foto Instagram)
Valerio, parliamo di Busatto. Questo autunno ancora non lo avevi conosciuto, ora ci sei stato più a contato: cosa ci puoi dire di lui?

Francesco ha iniziato questa stagione debuttando coi grandi e lo ha fatto con me. Avevamo avuto problemi con un corridore che si era ammalato per l’Oman e abbiamo portato lui. Era già in Spagna con la squadra, aveva fatto entrambi i ritiri e abbiamo visto che aveva una buona condizione. Grazie al regolamento, che prevede questo scambio tra il team devo e la WorldTour, lo abbiamo schierato subito.

Ed è andato bene…

Alla prima corsa, il Gran Premio di Muscat, è finito quarto. Fra l’altro era anche una corsa abbastanza selettiva, impegnativa, con il finale su uno strappo. Si è destreggiato anche bene in volata. Era rimasto anche da solo nel primo gruppo. Da lì abbiamo visto che i primi approcci, anche col livello più alto, erano positivi, e l’Oman ne è stata la conferma.

Che corridore è?

Non è uno scalatore. Si difende su percorsi vallonati. Ha uno spunto veloce ed è esplosivo, quindi direi che è un corridore moderno. Oggi è importante essere veloci.

Hai detto che Busatto, non è scalatore eppure vince la Liegi. Chi ti ricorda se dovessi fare un paragone tecnico?

Difficile fare dei paragoni. Busatto ha vinto una corsa rinomata per essere dura: ha fatto la Redoute, ma non è la corsa dei pro’. E’ importante che sia riuscito ad uscire bene da questi strappi e che abbia mantenuto la sua esplosività. Se poi dovessi dire chi mi ricorda, proverei un Bettini. Ma in generale è uno di quei corridori che riescono a “fare la corsa” su tanti tipi di percorso.

Lo sprint vincente di Busatto sul traguardo di Blegny sede di arrivo della Liegi U23 (foto Cyclingmedia Agency)
Lo sprint vincente di Busatto sul traguardo di Blegny sede di arrivo della Liegi U23 (foto Cyclingmedia Agency)
Ti aspettavi questo successo alla Liegi? E’ stata una sorpresa per te?

Per niente sorpreso. Dopo l’Oman, l’ho rivisto qui in Belgio e l’ho portato di nuovo a correre con me, al Limburgo. Tra l’altro lo avevo fatto venire un giorno prima per fargli vedere il percorso. Il giorno della corsa però non è andato molto bene: freddo, acqua e lui non stava un granché. A quel punto è tornato con la squadra under 23. Ha disputato altre corse in Belgio, di nuovo il Brabante con noi, che era una settimana prima della sua Liegi.

Un ottimo banco di prova…

Esatto ed è andato forte, perché essere davanti in una gara come la Feccia del Brabante, quattordicesimo, vuol dire molto. E’ stata la conferma delle sensazioni che avevamo avuto a inizio stagione. E cioè quelle di un corridore che ha qualità. Chiaramente deve crescere, è giovane deve maturare. E infatti io glielo avevo detto dopo il Brabante: «Guarda che la Liegi è l’obiettivo. Se hai una gamba così puoi solo che vincere». Tra l’altro ho scoperto che nessun italiano aveva mai vinto la Liegi under 23.

E ora?

Adesso un po’ di tranquillità, poi l’obiettivo prossimo sarà il Giro d’Italia under 23. Successivamente altre corse, ma adesso non conosco con precisione il suo calendario. L’anno prossimo sarà con noi nella WorldTour.

Piva ha portato Busatto al Limburgo per saggiare strade simili all’Amstel e alla Liegi. Un’esperienza utile per il breve e il lungo periodo
Piva ha portato Busatto al Limburgo per saggiare strade simili all’Amstel e alla Liegi. Un’esperienza utile
Tu, Valerio, quassù sei di casa. I tuoi consigli avranno avuto un certo peso…

Il tracciato del Limburgo è una piccola Amstel Gold Race e spesso usiamo quelle strade per valutare i ragazzi. E anche per fargli conoscere i percorsi. Alla fine possono essere esperienze per il futuro. Ci pensavo giusto qualche giorno fa…

A cosa?

Proprio Francesco mi ha detto: «Sai, Valerio, quest’anno non ho ancora corso in Italia». E questo è già un approccio diverso. Mi diceva: «Sì, vado bene, però io un ventaglio non so cosa sia. Non ho mai corso col vento vero». In Italia è difficile trovarle giornate dove veramente c’è il vento che condiziona la corsa. Prenderci confidenza adesso è importante: capire le posizioni, imparare a conoscere e a riconoscere i percorsi…

Riconoscere i percorsi. Sembra un aspetto banale, ma non lo è…

Esatto. Quando dicono che i corridori belgi sono bravi sui percorsi del Fiandre, di Harelbeke… Vivono qua, come ci vivo io. Non è che ce l’hanno nel Dna o che li sanno interpretare bene per natura. Vanno forte perché conoscono le strade. Io esco e pedalo sul percorso della Liegi, della Freccia e dell’Amstel. Li conosco a occhi chiusi. E così vale per i ragazzi che vanno in bici. 

Per Piva conoscere e riconoscere le strade vuol dire molto. E chi cresce quassù poi è avvantaggiato
Per Piva conoscere e riconoscere le strade vuol dire molto. E chi cresce quassù poi è avvantaggiato
Vanno a memoria. Si ricordano i punti più insidiosi, il vento, le curve, gli strappi, le pendenze…

E così facendo arrivano al professionismo con un bagaglio diverso rispetto agli altri ragazzi. E’ importante quindi crescere qui se si vuole andare forte in certe gare. Ricordo quando mi proposero Ballerini: «Siamo sicuri che farà bene nelle classiche in Belgio», mi dissero. Okay, ma alla fine? Sì, è un ottimo corridore, ma ci vuole del tempo per fare di più. Devi essere abituato a correre qua da giovane. Busatto si è ritrovato in una squadra belga e correrà quassù molto di più di tanti altri. E sicuramente avrà un bagaglio diverso.

E qui ci si allaccia indirettamente al discorso dei giovani italiani… 

Io penso che i giovani italiani ci sono. L’abbiamo visto anche adesso. Bisogna chiaramente lavorarci. Semmai il problema è un altro.

Quale?

Non essendoci delle grandi squadre italiane hanno meno certezze sul futuro. Un ragazzo che corre in Italia inizia a pensare: «Se voglio diventare un professionista devo andare all’estero». E deve dimostrare qualcosa subito. A volte come nel caso di Busatto ci sono i manager, ma tante altre volte non è così. C’è pertanto questo handicap: non c’è uno sbocco diretto in una squadra importante, come poteva essere anni fa la Liquigas della situazione.

Campioni come Van Aert ed Evenepoel (qui in uno spot per una catena di pizzerie) sono spendibili anche per brand extra ciclistici
Campioni come Van Aert ed Evenepoel (qui in uno spot per una catena di pizzerie) sono spendibili anche per brand extra ciclistici
E in tal senso non si vedono grosse aperture, almeno guardandola nel breve periodo…

Tante squadre si trovano in difficoltà. Io faccio parte di una squadra WorldTour piccola, in cui le difficoltà ci sono e i budget non sono grandi. Però abbiamo la fortuna di stare in Belgio in cui ci sono più industrie interessate al “prodotto ciclismo”.

Quassù ti fermi all’autogrill e trovi la pubblicità con Van Aert. Al supermercato c’è la gigantografia di Remco…

Il ciclismo in Belgio è al primo posto come simbolo di sport. Il ciclista è ancora considerato un vero atleta. Uno sportivo che fa sognare i giovani ed è per quello che tanti ragazzi vanno in bici. Il Belgio è un Paese piccolo. Il ciclismo è nelle tradizioni di famiglia e ogni giorno gli passa davanti alla porta di casa una corsa. Già un mese prima del Fiandre, in tv facevano programmi di approfondimento, storia, tecnica… Senza contare che hanno miti come Evenepoel e Van Aert, come noi un tempo avevamo Pantani.

Tornando a Busatto, abbiamo raccontato che c’è questo bel feeling con Paolo Santello, il suo preparazione. Ora che passera nel World Tour, questa collaborazione si dovrà interrompere?

Noi abbiamo una struttura con allenatori, dietisti, massaggiatori… e la mettiamo a disposizione di tutti i nostri atleti. Ma se un ragazzo arriva e mi dice: «Guarda Valerio sono tanti anni che lavoro col mio preparatore e mi trovo bene», perché fermarlo? Chiaramente deve essere un preparatore coordinato con noi, che non dia fastidio. I nostri atleti lavorano con TrainingPeaks e quindi vengono monitorati anche dal nostro trainer di riferimento. 

Busatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del team
Busatto è allenato da Paolo Santello dalla fine del 2021: la collaborazione prosegue con la regia del team
L’importante è che il preparatore sia allineato a filosofie e programmi: è così?

Chiediamo la collaborazione diretta col nostro capo allenatore. Nel caso di Francesco, se vuol lavorare con un italiano perché parla meglio la lingua, ci sta. Ma posso dire che col tempo è successo più spesso il contrario: dai preparatori esterni, sono passati a quelli interni dopo che hanno visto come lavora la squadra. Siamo partiti come una professional piccola che ha comprato la licenza ed è vero, ma poi abbiamo investito molto nella struttura. E non solo nel nome.

E torniamo in parte al discorso del prodotto ciclismo in Belgio e della capacità di vedere il tutto a 360° …

Abbiamo puntato molto sullo staff di allenatori, nutrizionisti… nel progetto. E questa è la miglior pubblicità. Adesso tanti manager ci propongono atleti di livello, anche giovani forti, che prima neanche osavano accostare a noi. Invece hanno visto che chi viene qua riceve l’attenzione che merita, la qualità che serve e in corsa tutti i nostri atleti hanno una chance, perché non lavoriamo solo attorno al grande nome. La squadra pertanto è diventata appetibile. E anche gli atleti si fidano.

Piva: «Girmay è pronto a fare il leader. Il team è per lui»

29.01.2023
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Biniam Girmay ha detto che sarà pronto ad una stagione da protagonista, che sa di non essere più un corridore qualunque e che per questo sarà anche più marcato. Il che non fa una piega. E anche Valerio Piva, suo direttore sportivo alla Intermarché Wanty Gobert, è sulla stessa lunghezza d’onda.

La stagione dell’eritreo è iniziata qualche giorno fa nelle corse majorchine. Ed è iniziata con un buon terzo posto. Segno che “Bini” ha passato un buon inverno e non si è seduto sugli allori.

La squadra crede in Girmay. In ritiro hanno provato dei treni appositamente per lui (foto Instagram Cycling Media)
La squadra crede in Girmay. In ritiro hanno provato dei treni appositamente per lui (foto Instagram Cycling Media)

Biniam leader 

«Certamente – spiega Piva con la sua consueta chiarezza – Girmay sarà più controllato dopo un 2022 in quel modo. Non andrà più alle corse così… per fare esperienza o da semi-sconosciuto, posto che sconosciuto non era. Tra Gand e Giro ha mostrato grandi cose. Alle partenze delle prossime gare non sarà uno dei tanti.

«Anzi, starà a noi squadra supportarlo, togliergli magari le castagne dal fuoco, tirare per ricucire sulla fuga. E questa sarà una responsabilità in più per lui… e per noi».

Il discorso delle responsabilità non è banale. Parliamo comunque di un corridore giovane, che viene da un Paese che non ha poi tutta questa cultura ciclistica. Magari certe dinamiche Biniam neanche le ha viste troppo in tv o gli sono state tramandate. Ma anche in questo caso Piva chiarisce subito.

«Non penso che Biniam abbia difficoltà a prendersi le sue responsabilità. L’ho visto in prima persona lo scorso anno al Giro, dove aveva la leadership della squadra. Non aveva paura degli avversari, neppure quando, sempre al Giro, se la doveva vedere con Van der Poel.

«Girmay sa quel che vuole e quanto gli costerà. Ma sa anche che ha un team ormai costruito intorno a lui. Biniam è il nostro leader, almeno per certe corse».

Ad Asmara Biniam si è allenato al caldo ed è stato con la sua famiglia. Eccolo in una sgambata con la compagna (foto Instagram)
Ad Asmara Biniam si è allenato al caldo ed è stato con la sua famiglia. Eccolo in una sgambata con la compagna (foto Instagram)

Inverno africano

Piva racconta che Girmay ha passato un buon inverno e che è stato molto serio. Ha sfruttato i 2.000 e passa metri di Asmara, la Capitale eritrea in cui vive, e il buon clima di quelle parti.

«E’ mancato nel ritiro di dicembre – prosegue Piva – ma eravamo d’accordo proprio perché sfruttasse al meglio le condizioni di casa sua.

«Poi bisogna anche pensare che lì è con la sua famiglia e una volta che riprende la stagione, non torna a casa per molti mesi. Ma già nel ritiro di gennaio si è presentato in ottime condizioni e lo ha dimostrato col terzo posto ad Alcudìa. Tra l’altro un terzo posto viziato da un errore tecnico: il finale era posizionato con 150 metri di differenza rispetto a quanto indicato dal road book».

Quel che conta però è che Girmay ha dimostrato di stare bene, specie in ottica grandi obiettivi.

«Biniam – prosegue Piva – ha dichiarato di voler fare bene nelle classiche del Nord, ma si è inserito un nuovo obiettivo: il campionato africano. E lui ci tiene. Quindi a metà febbraio tornerà in Africa. Da lì appunto ci saranno le corse italiane e poi quelle del Belgio fino, forse, all’Amstel. Poi toccherà al Tour.

«Anche se Girmay avrebbe gradito molto il Giro d’Italia. Voleva concludere quanto fatto lo scorso anno per capire dove sarebbe potuto arrivare (si ritirò a causa del tappo dello spumante nell’occhio proprio nel giorno del successo a Jesi, ndr) e dare assalto alla maglia ciclamino. Ma certo anche per questioni di marketing, visto che Intermarché è francese, il Tour è molto importante per noi. Ma non escludo che possa tornare in Italia nei prossimi anni».

Sognando la Roubaix

A quanto pare, Girmay è innamorato della Roubaix. Non l’ha mai corsa, ma la vedeva in tv. Parteciparvi è un sogno per lui. Una corsa così richiede esperienza e anche degli ottimi materiali.

«Dal punto di vista dei materiali – dice Piva – sono abbastanza tranquillo: lo scorso anno abbiamo portato al traguardo della Roubaix cinque atleti nei primi venti. E lo stesso Girmay alla prima apparizione sul pavè e sui muri, ad Harelbeke, ha concluso al quinto posto. Quindi il pavè gli piace. Mentalmente e fisicamente sembra essere pronto. Poi faremo anche i classici sopralluoghi prima delle corse.

«Se è un po’ leggerino per la Roubaix? Beh, proprio leggero non è. E se lo scorso anno si è giocato le corse con Van der Poel, magari è adatto anche per la Roubaix».

Giovani corridori e aspettative: come si lavora?

24.01.2023
7 min
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Nel guardare le varie statistiche sui siti di riferimento ci ha colpito la grande differenza che si trova nei giorni di corsa tra i neoprofessionisti: ragazzi giovani che si affacciano al mondo dei grandi. Così abbiamo voluto indagare tra le varie squadre per capire come gestiscono i loro ragazzi. Tra i team selezionati sono rientrati due professional e due WorldTour. 

Felix Gross è uno dei giovani della UAE che sta facendo un percorso graduale di crescita
Felix Gross è uno dei giovani della UAE che sta facendo un percorso graduale di crescita

Per la UAE parla Baldato

La prima persona interrogata su questo delicato tema è Fabio Baldato, diesse della squadra degli Emirati. Tra i ragazzi visti dal veneto spicca il nome di Ayuso, spagnolo classe 2002 che alla prima partecipazione alla Vuelta ha chiuso al terzo posto nella classifica generale. 

«Prima di tutto – inizia Baldato – è tutto molto soggettivo, ci sono giovani che hanno bisogno di un ambientamento più lungo. Altri, invece, vedi che sono già pronti, ma anche in questi casi il lavoro da fare è delicato. Ayuso lo abbiamo “rallentato” cercando di tenere la sua esuberanza a bada. Non è il primo corridore già maturo che mi capita tra le mani, in BMC ho avuto Kung e Dillier che erano già pronti. In questi caso noi diesse dobbiamo essere bravi a valutare, non bisogna mai esagerare, spesso i ragazzi giovani non si pongono limiti. Sono più spavaldi, si vede dall’atteggiamento in corsa. Ti ascoltano fino ad un certo punto, predicare va bene ma poi bisogna mettersi nei loro panni. Sono consapevole del fatto che noi diesse possiamo insegnare qualcosa ma quello che rimane è la “batosta”. Ayuso stesso ad inizio 2022 ne ha prese alcune ed è cresciuto».

«Poi ci sono i corridori normali, uno che abbiamo in UAE è Felix Gross. Lui ha fatto lo stagista nel 2021 con dei buoni dati ma senza cogliere risultati. La scorsa stagione ha avuto più continuità ed ha ottenuto un bel quarto posto in una tappa al Giro di Germania. I corridori così vanno sostenuti, anche mentalmente perché devono capire che la loro crescita deve essere graduale e passa prima da corse minori dove imparano ad essere competitivi».

Lato Intermarché

L’Intermarché Circus Wanty ha un progetto di crescita solido da molti anni, al quale ha affiancato anche la nascita del Development team. Valerio Piva, diesse della squadra belga ci racconta anche che relazione hanno tra di loro le due squadre

«La squadra development ha una struttura a parte – spiega – l’obiettivo è prendere ragazzi giovani e far nascere dei corridori. Lo scambio tra una squadra e l’altra ci sarà, lo stesso Busatto farà qualche gara con noi. Per quanto riguarda il team WorldTour l’obiettivo è diverso, i ragazzi giovani che prendiamo arrivano da team professional o continental. Non crediamo nel “salto di categoria” da junior a professionisti, i ragazzi devono fare uno step intermedio: gli under 23. I ragazzi devono imparare a gestire l’impatto della corsa e le diverse tipologie di allenamento. In un ciclismo che viaggia sempre più rapido è bene ricordare che i margini di errore sono al minimo e si rischia di bruciare l’atleta pretendendo qualcosa che non può fare. I giovani che abbiamo nella squadra WorldTour li inseriamo gradualmente, non li vedrete mai partecipare a corse di primo livello». 

«In questa stagione la squadra ha fatto una rivoluzione – continua Piva – prendendo tanti giovani e perdendo corridori di esperienza come Kristoff. Non è che non credessimo in lui, ma abbiamo preferito un progetto più a lungo termine. Non vinceremo tante corse come lo scorso anno ma è una cosa che abbiamo preventivato, fa parte di quello che è il ricambio generazionale. Gerben Thijssen, è un corridore sul quale nel 2022 abbiamo speso molto in termini di uomini e di occasioni. Ha dimostrato qualcosa di buono e quest’anno è chiamato al salto di qualità, ma è stato tutto graduale. Per il suo bene e quello del team».

La visione delle professional

La Green Project Bardiani è la squadra professional che ha un progetto diverso dalle altre, i giovani vengono presi e diventano subito professionisti. Almeno a livello di contratto, poi però all’interno del team si opera una distinzione, creando praticamente due squadre distinte. Rossato diesse di riferimento per questi ragazzi ci spiega il metodo di lavoro e le sue “criticità”. 

«La prima cosa – racconta dalla Vuelta a San Juan – è cercare di non stressare troppo i ragazzi. Quelli che arrivano dall’ultimo anno di juniores hanno la scuola e per loro deve essere una priorità. L’anno scorso a Pinarello e Pellizzari abbiamo costruito un programma idoneo. A livello di ambientamento per loro è un sogno: avere uno staff dedicato ed essere seguiti in questo modo è una bella cosa. Non dimentichiamo che gli juniores l’anno scorso avevano ancora i rapporti bloccati, una volta con noi abbiamo dovuto insegnargli anche a gestire questa cosa. Si è lavorato anche tanto sull’alimentazione, sul peso e l’allenamento. Dettagli che quando sei professionista fanno la differenza. Dai giovani dell’anno scorso abbiamo ottenuto dei bei risultati. Pellizzari e Pinarello, a fine stagione, hanno corso con i professionisti il Giro di Slovacchia e la Tre Valli. Siamo stati molto contenti della loro risposta».

«Chi arriva da noi che ha già fatto qualche stagione da under 23 fa un programma più intenso. Sempre ponderato alle qualità ed al fatto che sono alla prima esperienza con i professionisti. I corridori che possono correre anche da under fanno calendari misti con diverse esperienze. Marcellusi prima di vincere il Piva ha corso in Turchia e la Milano-Torino, due belle palestre per crescere. Tolio è un altro che ha corso molto tra gli under 23 ed i professionisti, aggiungendo al suo calendario corse importanti come Strade Bianche e Lombardia. Sono corse che un ragazzo giovane può guadagnarsi, sono come un premio che arriva alla fine di un bel percorso di crescita».

Ultima parola alla Eolo

La Eolo Kometa ha nella sua idea di team una visione diversa, con due squadre divise: la professional e la under 23. Stefano Zanatta ha lavorato per tanti anni con i giovani e di cose ne ha viste.

«Le nostre due squadre sono direttamente collegate – apre il discorso Zanatta – vedi da subito i ragazzi giovani e ne segui la crescita. Questo perché una volta che passano in prima squadra hai già un’idea di che corridore ti trovi davanti. Io credo che anche i grandi campioni abbiano bisogno di un anno tra gli under 23. Anche in Liquigas, dove avevamo corridori come Kreuziger e Sagan, abbiamo tenuto la stessa ideologia. Prima almeno un anno di esperienza nella categoria giovanile. I corridori possono anche aver talento ma hanno bisogno di una crescita umana e fisica. Anche i nostri giovani che arrivano dalla squadra under 23 avranno bisogno di adattarsi alle corse. Non vogliamo caricarli di pressioni o aspettative troppo alte».

«Il percorso per i ragazzi che arrivano da noi – continua il diesse della Eolo – è di partire da corse più semplici. Poi si passa a quelle di qualità superiore e si prova a vedere come reagisce un ragazzo nel correre da protagonista. Dalla mia esperienza posso dire che un ragazzo arriva ad avere risultati tra i 24 e i 25 anni. Nibali stesso ha fatto tanta esperienza maturando, successivamente ha ottenuto i risultati che tutti conosciamo. Serve un’attività continua ma equilibrata: una cinquantina di giorni di corsa sono giusti. La cosa migliore è dare ai ragazzi delle pause e farli recuperare, senza creare buchi troppo grandi nel calendario, altrimenti si perde il lavoro fatto. Ora ai giovani è concesso meno sbagliare, non è corretto nei loro confronti perché li si sottopone a pressioni maggiori. Forse devi essere più forte mentalmente per fare il corridore ora».

Con chi firma Pozzovivo? Forse prenderlo è un affare

19.01.2023
4 min
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A chi farebbe comodo Pozzovivo in squadra? La domanda è un osso che mastichiamo da qualche giorno, da quando è parso chiaro che fra i grandi ancora senza contratto, ufficializzato Cavendish all’Astana Qazaqstan Team, Domenico rischia di essere il più difficile da piazzare.

A questo punto, ci sarà anche chi gli suggerirà la pensione, ma la volontà di certi atleti vale più delle sensazioni di chi li osserva, soprattutto se sentono di voler ancora dimostrare qualcosa. Anche perché le prestazioni offerte dal lucano in questi ultimi anni sono state ben più lusinghiere rispetto a quelle di atleti più celebrati.

Al Giro dell’Emilia, Pozzovivo terzo dietro i due più forti in salita: Pogacar e Mas, che ha vinto
Al Giro dell’Emilia, Pozzovivo terzo dietro i due più forti in salita: Pogacar e Mas, che ha vinto

Quali squadre

Squadre WorldTour che abbiano ancora posti liberi ci sono. La Ag2R, la Bahrain Victorious, la stessa Intermarché e la Jumbo Visma, la Soudal Quick Step e la Trek-Segafredo. Volendo essere realisti è chiaro che forse soltanto la Intermarché potrebbe avere un vantaggio dall’ingaggio di Domenico, non avendo l’uomo di classifica per il Giro d’Italia. Ci sarebbe stato un posto anche alla Astana, ma assieme a Cavendish è arrivato Cees Bol e i corridori sono saliti a quota 30.

Subito sotto, la Israel e la Lotto si trovano nella stessa posizione (la squadra belga, vista la rimodulazione dei punti UCI potrebbe tornare sui suoi passi e venire al Giro). Perché non ragionare della Eolo-Kometa che avrebbe qualcuno da affiancare a Fortunato o della Q36,5 del suo mentore Ryder Douglas che lo avrebbe voluto ancora con sé e del suo amico Nibali di cui (con Lello Ferrara) anima il canale su Twitch?

Infine la Green Project Bardiani, la squadra in cui Pozzovivo è passato professionista e che con lui sulle strade del Giro potrebbe avere un’altra carta da giocare, da affiancare al rischioso cercare gloria in qualche fuga. Pare che Reverberi non voglia più corridori troppo maturi, forse deluso dalla recente esperienza con Battaglin e Modolo, ma probabilmente Pozzovivo è una storia diversa.

Pozzovivo, classe 1982, ha concluso per 7 volte il Giro nella top 10. Nel 2012, sopra, ha vinto la tappa di Lago Laceno
Pozzovivo, classe 1982, ha concluso per 7 volte il Giro nella top 10. Nel 2012, sopra, ha vinto la tappa di Lago Laceno

Il bottino dei punti

In questo momento, Domenico probabilmente è fuori in bici, come ogni giorno da trent’anni. Lo scorso anno firmò il contratto con la Intermarché-Wanty-Gobert nel giorno di San Valentino, per questo la speranza di trovare squadra arde forte. Quando si accasò alla NTT che sarebbe poi diventata Qhubeka, firmò a Natale, ancora in ripresa dall’infortunio di agosto, quando fu investito da un’auto. «Mi hai venduto che ero zoppo – disse lo scorso anno al suo manager – perché non dovresti piazzarmi ora che sono sano?».

E il 2022 gli ha dato ragione, con una serie di risultati che renderebbero fiero qualsiasi corridore più giovane di lui. Miglior italiano alla Freccia Vallone, 8° al Giro d’Italia (in cui perse quasi 5 minuti nella caduta del Mortirolo per problemi meccanici), 9° allo Svizzera, 5° all’Agostoni, 3° al Giro dell’Emilia dietro Mas e Pogacar.

Alla fine dell’anno, il suo apporto al bottino della squadra ammontava a 714 punti: sesto nel ranking interno. Kristoff, che ne ha portati a casa 2.124 se ne è andato, come lui Hermans (1.007 punti) e Pasqualon (514).

Un dato è palese: lo scorso anno un corridore con quei punti se lo sarebbero conteso. Ora che il triennio è appena ripartito – benedetto cinismo dello sport professionistico – se ne può fare a meno con più leggerezza.

Crono di Verona del Giro 2022, chiuso in 8ª posizione: risultato che parla di un atleta altamente efficiente
Crono di Verona del Giro 2022, chiuso in 8ª posizione: risultato che parla di un atleta altamente efficiente

Numeri da ragazzino

Domenico ha compiuto 40 anni il 30 novembre e la sensazione, se fosse per lui, è che il viaggio potrebbe proseguire ben oltre quest’anno. Alla ripresa degli allenamenti a novembre, nonostante la stagione sia finita male con la caduta del Lombardia, in un test fatto senza neppure crederci troppo ha letto un valore di 6,3 watt/kg. In una delle interviste dello scorso anno, fu lui ad aprirci il mondo sulla necessità per i corridori più maturi di andare a cercare margini di miglioramento in attenzioni mai avute prima. Chi ci è riuscito è ancora lì che combatte, altri si sono fermati.

Alla Intermarché, che in teoria lo avrebbe voluto confermare, nel frattempo è arrivato Bonifazio, portando in dote i suoi 449 punti, a conferma del fatto che a questo giro i punti non si guardano.

Abbiamo evitato di chiamare Pozzovivo per non fargli sempre le stesse domande, cui non ha risposte da dare, se non ribadire la sua ferrea volontà di andare avanti. Nonostante i dubbi legati all’età e alle cadute e nonostante sia chiaro che le pretese non possano più essere quelle dei tempi migliori, più passa il tempo e più sembra assurdo che uno così non trovi un ingaggio.

Remco se ne va in Spagna. E in Belgio cosa dicono?

11.11.2022
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Remco Evenepoel lascia il Belgio e va a vivere in Spagna. La notizia, come del resto tutto ciò che fa il campione del mondo, è stata ripresa da tutti media belgi, ma al tempo stesso non ha creato indignazione, o chissà quale scalpore, come ci si sarebbe attesi da un Paese dalle forti tradizioni ciclistiche. Nessuna levata di scudi contro il talento di Schepdael. Cosa che invece avvenne per Tom Boonen quando decise di andare a Monaco, ormai una ventina di anni fa.

Remco se ne va nella zona di Alicante sulla Costa Blanca, al fine di allenarsi meglio, di sfruttare il clima migliore. Si farà costruire anche una camera ipossica.

Evenepoel con sua moglie Oumaima di origini marocchine in abiti da cerimonia tipici (foto Instagram – @mirroreffect.co)
Evenepoel con sua moglie Oumaima di origini marocchine in abiti da cerimonia tipici (foto Instagram – @mirroreffect.co)

Fuga sì o no?

«Questo trasferimento – ha detto Evenepoel – renderà tutto più semplice. Nessuno saprà cosa sto facendo e dove sono. Potrò concentrarmi sulla mia quotidianità di sportivo in un periodo in cui gli inviti in Tv sono spesso troppo numerosi». Insomma vuol sfuggire alle pressioni mediatiche e, si dice, anche ai fan troppo pressanti.

Ma è davvero così? E come l’hanno presa i suoi connazionali, sempre molto attaccati al ciclismo?

Di fronte a tanta “normalità” abbiamo coinvolto tre esperti di ciclismo belga. Si tratta del giornalista di Het Nieuwsblad, Guy Van Den Langenbergh, di Alessandro Tegner colonna portante della Quick Step di Remco e di Valerio Piva, diesse della Intermarché Wanty Gobert, che da anni vive in Belgio.

Il numero dei tifosi di Evenepoel sta crescendo. Parecchi erano anche in Australia
Il numero dei tifosi di Evenepoel sta crescendo. Parecchi erano anche in Australia

Il giornalista…

«Nessuno è rimasto sorpreso – ha detto Van Den Langenbergh – di questa sua decisione. Ormai ci sono diversi corridori che hanno fatto la scelta di andare fuori dal Belgio. In più Remco neanche ha scelto un paradiso fiscale come Andorra o il Principato di Monaco. 

«Andare in Spagna è una scelta che lui fa per allenarsi, perché il suo unico obiettivo è vincere e laggiù ha i percorsi e il clima ideale. Tutto rientra in quest’ottica di atleta di grande ambizione».

«E’ vero, Remco è molto popolare, ma non è ancora ai livelli di Boonen. In più è passato del tempo da allora. Non si tratta di lasciare il Belgio per sempre, non credo sentirà la nostalgia. Lui va lì perché, come ho detto, è motivato a fare bene, a vincere.

«E poi è un cosmopolita. Viene dal calcio. Ha giocato anche in Olanda, oltre che nell’Anderlecht, è a cavallo con la parte vallone e quella fiamminga, sua moglie ha origini marocchine… Stare in Spagna per lui non farà troppa differenza».

Tegner, marketing & communication manager della Quick Step, con Boonen, vera star di quegli anni in Belgio e non solo
Tegner, marketing & communication manager della Quick Step, con Boonen, vera star di quegli anni in Belgio e non solo

Il manager

Alessandro Tegner è responsabile del marketing e della comunicazione della Quick Step-Alpha Vinyl. Da anni è nel gruppo di Lefevere e ha vissuto anche “l’emigrazione” di Boonen. Il quale però dopo un po’ di tempo volle tornare a casa.

«Era un altro periodo – spiega Tegner – e le cose venivano vissute diversamente. Si era in piena “Boonen mania”. Non c’era ragazzino fiammingo che non avesse il poster di Tom in cameretta. Era molto famoso. Si veniva dai Museeuw, Van Petegem… ma Tom era più internazionale. Inoltre parlando con lui c’era subito una certa empatia e ci sta che la notizia fosse accolta diversamente. Poi nel tempo le necessità cambiarono: la famiglia, la figlia… e decise di tornare».

«Per Remco è tutto diverso. Anche le squadre oggi danno un altro supporto ai corridori di vertice. Quindici anni fa c’ero solo io, ora ci sono altre strutture. S’impara e si cresce anche sotto questo profilo.

«Evenepoel va in una zona della Spagna in cui non ci sono solo altri corridori, ma tanti belgi in generale. Sono tanti i connazionali che vanno a svernare lì. Un po’ come i tedeschi a Palma di Mallorca».

Tegner parla di un cambio di residenza prettamente per fini sportivi: «Remco è un metodico. Vuole programmare per tempo la sua vita. Ama avere i suoi spazi. E quella per lui è la scelta migliore. Senza contare che ovviamente laggiù si può allenare bene.

«E poi è a meno di due ore di volo dal Belgio. Quando ha bisogno prende e va. Anche qualche giorno fa è stato tre giorni in sede. Ha sbrigato degli impegni ed è ripartito. Immagino possa fare così anche per le sue esigenze familiari. Insomma, non è una fuga».

Remco Evenepoel in allenamento sulle strade spagnole d’inverno. Molto tempo ci è stato anche in primavera (foto Instagram)
Remco Evenepoel in allenamento sulle strade spagnole d’inverno. Molto tempo ci è stato anche in primavera (foto Instagram)

Il diesse

E che non è una fuga ce lo conferma anche Valerio Piva. Il direttore sportivo italiano, ex corridore, da anni vive in Belgio. Lassù ha trovato l’amore e messo su famiglia. Se vogliamo, in questo caso, è un po’ “un Remco al contrario”.

«Non ha fatto tanto scalpore la scelta di Evenepoel di andare in Spagna – ha dichiarato Piva – Sono diversi i corridori che lasciano casa in cerca di destinazioni climatiche migliori. Tanti belgi hanno la residenza in Spagna, ma qualcuno vive anche in Italia o nel Sud della Francia. A mio avviso la sua è una decisione spinta da clima e possibilità migliori per allenarsi».

Piva poi non crede totalmente che Remco scappi via da pressioni mediatiche.

«Non sono così vicino al ragazzo per poter giudicare. Dopo il mondiale ci sono state tante feste, ma non so se ha problemi a tal punto da spingerlo a lasciare Belgio. Di certo è conosciuto e laggiù sarà più tranquillo».

«La popolarità cresce in funzione dei risultati. Lui è giovane e ha già conquistato grandi gare pertanto la sua popolarità sta crescendo enormemente e penso che presto si potrà paragonare a quella di un Boonen. Ma se dovesse continuare a vincere i grandi Giri presto potrebbe essere paragonato anche in termini di popolarità ad un Merckx».

«Malinconia? Non penso potrà essere questo il suo problema. Va lì per lavoro. Si tratta di una scelta momentanea. Io abito in Belgio ma le mie relazioni con l’Italia ci sono sempre. E Remco ha con sé i suoi affetti. Anche io senza quelli non sarei rimasto qui».

Valerio Piva: «Pronti ad accogliere Delle Vedove»

17.09.2022
4 min
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Alessio Delle Vedove (in apertura foto Philippe Seys) passerà nelle fila della Intermarché Wanty Gobert. O meglio sarà nell’orbita di questo team, in quanto approderà nella squadra giovanile della WorldTour belga che nascerà giusto a partire dal 2023.

Ne avevamo parlato qualche tempo fa con il ragazzo stesso. Si tratta di un ennesimo super giovane che approda al professionismo e di un altro italiano che lascia la propria nazione per un’esperienza all’estero. 

Su carta sembra ideale il Belgio per Delle Vedove: è un corridore potente, veloce, di una certa “stazza”. Il corridore della Borgo Molino Rinascita Ormelle va forte anche a crono, ha già saggiato il pavé nella Roubaix juniores con la maglia azzurra. E soprattutto ha talento. Può fare bene.

Lassù troverà un tecnico italiano, Valerio Piva, direttore sportivo che di esperienza ne ha in abbondanza, ma forse anche per lui ritrovarsi con uno juniores è una novità.

Valerio Piva (classe 1958) è alla Intermarché Wanty Gobert dal 2021
Valerio Piva (classe 1958) è alla Intermarché Wanty Gobert dal 2021
Valerio, Delle Vedove sarà con voi, lavorare con un “ragazzino” è una novità anche per te?

In effetti è qualcosa di insolito anche per me. Ma ricordo che Delle Vedove andrà nella nostra squadra giovanile e ogni tanto potrà fare delle gare con la WorldTour. L’obiettivo è di farlo crescere nel modo migliore. Dobbiamo coltivare il suo talento. E’ importante che stia comunque con noi, che stia in Belgio. Alessio deve imparare i nostri metodi di allenamento, i nostri modi di fare.

Come lo avete individuato?

Abbiamo chi è addetto allo scouting, chi segue i giovani e non decide solo in base ai risultati. Io almeno non mi baso su quelli. Il risultato è il finale di un percorso. Io cerco di capire chi è davvero il ragazzo, come corre, che famiglia ha alle spalle, che gare ha fatto… è un insieme di cose. E poi chiaramente ho anche chiesto informazioni a dei tecnici che conosco, che sono esperti del mondo giovanile, che personalmente non ho troppo tempo di seguire essendo sempre in giro con la prima squadra.

Delle Vedove (classe 2004) impegnato a cronometro (foto Instagram)
Delle Vedove (classe 2004) impegnato a cronometro (foto Instagram)
Delle Vedove starà in Belgio con voi?

Sì, ma facciamo una precisazione. Noi della WorldTour abbiamo la sede a Courtrai, più verso il confine con la Francia, non lontano da Lille, mentre la sede della continental è nel magazzino della logistica che si trova più nel centro del Belgio, più o meno a metà strada tra Leuven ed Anversa. Anche perché con le gare di cross lì è molto più comodo. Detto ciò: sì, gli daremo l’opportunità di stare in Belgio, abbiamo un appartamento per i ragazzi. Poi è anche vero che stare in Belgio in certi periodi dell’anno non sia propriamente un regalo!

Ah, sicuro: il clima non è dei migliori…

Però potrà prendere feeling con il clima, con il pavé, con la nostra mentalità… 

Alessio sembra essere un corridore potente, un passista veloce. Ed anche in virtù di queste doti è stato portato in pista, tra l’altro con ottimi risultati. Gli lascerete aperta la porta del parquet?

Chiaramente i programmi li decideremo insieme. Noi siamo più propensi alla strada, ma se dovesse rientrare nei programmi della Federazione e della nazionale, okay. La pista è una scuola. Anche io vengo da lì. Può essere utile per il suo futuro, contribuisce allo sviluppo atletico e tecnico dell’atleta. E’ un bel bagaglio che si porta dietro. Quindi non sono contrario. Però, ripeto, prima facciamo i programmi.

Van Melsen (classe 1985) smetterà di correre fra pochi giorni e salirà in ammiraglia alla guida dei giovani della Intermarché
Van Melsen (classe 1985) smetterà di correre fra pochi giorni e salirà in ammiraglia alla guida dei giovani della Intermarché
Seguirai tu stesso Delle Vedove?

Lo seguirà Kevin Van Melsen, che tra l’altro in questi giorni sta ancora correndo in Italia e terminerà la carriera a fine stagione. Abbiamo scelto appositamente un tecnico giovane, fresco di gare. Uno che conosce e ha praticato fino all’ultimo il ciclismo moderno. Io potrò essere certamente un contatto e un aiuto per lui, specie per la lingua.

Hai già conosciuto il ragazzo?

Non ancora. Adesso io sono in Italia per queste gare di fine anno. Poi tornerò in Belgio e poi ancora riscenderò in Italia per le ultime gare. Magari lo vedrò a ridosso del Lombardia. In ogni caso a fine ottobre ci conosceremo di sicuro, in quanto con la squadra stiamo organizzando un incontro, che sia una cena di gala o un team building, vedremo.

Invece Valerio, qual è il tuo pensiero sui giovanissimi che passano? Al netto che Delle Vedove ufficialmente sarà in una continental…

Io dico che per me si dovrebbe arrivare al WorldTour per gradi. E’ come a scuola: prima le medie, poi le superiori, poi l’università… Le eccezioni ci sono state. Che poi la vera eccezione è stata una: Evenepoel e nonostante tutto anche lui ha avuto le sue belle difficoltà e ha pagato lo scotto di questa crescita veloce. Io preferisco una crescita graduale: juniores, under 23, pro’. Tutti oggi vanno a caccia del talento. C’è chi lo fa per lavoro e li fanno firmare il più presto possibile. Vogliono arrivarci prima degli altri e quando è così diventa un business e non va bene. Prima di fare certi salti i ragazzi devono imparare tante cose. Devono diventare uomini e poi atleti. 

Meintjes, terza top 10 al Tour e ora sotto con la Vuelta

28.07.2022
4 min
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Se n’è parlato poco, molto poco, eppure al Tour de France Louis Meintjes è andato forte. Molto forte. Il sudafricano è arrivato ottavo (è la terza volta dopo il 2016 e 2017). E’ stato autore di un paio di fughe buone grazie alle quali ha recuperato il tempo perso nella prima settimana del Tour tra pianura, pavé, problemi al cambio… E poi ha lottato col coltello fra i denti per restare nella top 10.

Il corridore della Intermarché-Wanty-Gobert è una vecchia conoscenza, anche del ciclismo italiano se vogliamo. Ha corso molto da noi. E’ stato alla Lampre. Sempre da noi ha ottenuto i primi buoni risultati, come la medaglia d’argento ai mondiali di Firenze U23 e uno dei suoi tecnici è Valerio Piva. 

Un problema al cambio ha costretto Meintjes a tagliare a piedi il traguardo alla Planche des Belles Filles
Per un problema al cambio, Meintjes ha tagliato a piedi il traguardo alla Planche des Belles Filles

Frenato dalle attese

L’impronta di Piva in questa squadra si nota sempre di più e se c’è stata questa buona crescita, una fetta del merito è proprio del direttore sportivo lombardo. Per la prima volta infatti, il team belga ha piazzato uno suo corridore nella top 10 della Grande Boucle.

«Beh – commenta Piva – Meintjes non è uno sconosciuto. Fece già ottavo al Tour e si piazzò bene in una Vuelta. Quando arrivò al grande ciclismo si parlava di lui come il paladino del ciclismo africano e questo forse gli ha messo quella pressione addosso per la quale si è un po’ perso».

Il tempo però è passato inesorabile e il “bimbo” si è ritrovato a trent’anni, con una buona carriera, ma senza aver riempito la bacheca di “mille” trofei.

«Noi lo abbiamo ripreso proprio con l’intento di recuperarlo. In Intermarché ha trovato un ambiente che crede in lui e che non gli mette pressione».

A inizio giugno il sudafricano aveva vinto il Giro dell’Appennino
A inizio giugno il sudafricano aveva vinto il Giro dell’Appennino

Un Tour all’attacco

Un po’ come il suo collega Pozzovivo, tra l’altro i due tecnicamente si somigliano moltissimo, Meintjes aveva in testa la classifica sin dal via della Grande Boucle. La tattica, se di tattica si può parlare, era chiaramente quella di correre di rimessa: stare coperti e tenere il più possibile in salita.

«E invece – riprende Piva – mi ha stupito questo suo atteggiamento. Louis è un difensivo, invece è andato spesso all’attacco. E alla fine si è ritrovato a lottare con i grandi nomi. E quando sei lì tiri fuori anche quello che non hai. A mio avviso ha fatto proprio un bel Tour, il più bello della sua carriera».

Piva ha toccato subito un tema centrale: la pressione. Le aspettative che c’erano attorno a Meintjes sono ciò che hanno bloccato questo ragazzo, ciò che non gli hanno consentito di esprimersi al meglio. Il motore, anche se non gigantesco o al pari di quello di Pogacar o Vingegaard (ma chi ce l’ha?), è comunque buono.

Dopo gli ottimi risultati internazionali come il titolo di campione africano in linea, l’ottavo posto al Tour, in Sud Africa lo davano come il prossimo vincitore della corsa francese. Ma come detto non è facile per un ragazzo giovane supportare questo fardello.

«Louis – spiega Piva – è uno di quei corridori che “funziona” se tu lo lasci tranquillo. Allora vedi che alla sua maniera raggiunge gli obiettivi che si è prefissato. Ma per fare questo gli serve l’ambiente giusto».

E a Parigi Meintjes ha detto: «Ancora ottavo, non male!». Ha poi ringraziato molto la sua squadra (foto Twitter)
E a Parigi Meintjes ha detto: «Ancora ottavo, non male!». Ha poi ringraziato molto la sua squadra (foto Twitter)

Vamos a la Vuelta

E la stagione del corridore di Pretoria non finisce qui. Adesso per lui c’è la Vuelta. E probabilmente la correrà sulla falsariga del Tour.

«Ma magari – sorride Piva – pensando in modo un po’ più concreto di portare a casa una tappa. Io non credo che lui voglia mollare la classifica in Spagna. E’ nelle sue corde questo modo di correre. Ma ha dimostrato che sa vincere».

Piva si riferisce al Giro dell’Appennino. Quel giorno il leader della Intermarché Wanty Gobert era Rota, ma poi lui non è riuscito ad essere dov’era e in corso d’opera è subentrato Louis… che ha vinto. «E quel successo gli ha dato parecchia fiducia. Anche per questo credo sia arrivato in Francia estremamente motivato». 

In tal senso la Vuelta potrebbe essere la corsa della “svolta”. Enormi pretendenti stavolta sembrano, il condizionale è d’obbligo, non esserci. Pogacar è dato verso il forfait, Roglic sembra non essere al massimo, Mas è uscito male dal Tour… E visto che Louis è sempre andato bene nella seconda parte di stagione chissà che non possa pensare a qualcosa di più della top 10 nella generale.

L’occhio sta bene e Girmay riparte con un titolo in più in tasca

24.07.2022
4 min
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Ci eravamo lasciati con una vittoria, un tappo in un occhio e un ritiro. Biniam Girmay era riuscito in tutto questo nella decima tappa del Giro d’Italia. Successivamente l’eritreo della Intermarché Wanty Gobert ha fatto parzialmente perdere le sue tracce.

In molti, dopo i successi alla Gand e appunto nella corsa rosa lo aspettavano anche al Tour de France. Ma “Bini” non c’era. La preoccupazione per l’incidente all’occhio non era poca. Noi eravamo lì, dietro al palco, e quella che era parsa solo una botta, in breve si era trasformata in una perdita momentanea della vista. La corsa in ospedale e il danno alla retina.

A Jesi, poco dopo l’incidente con il tappo dello spumante, l’occhio sinistro di Girmay ha iniziato a gonfiarsi in modo preoccupante
A Jesi, poco dopo l’incidente con il tappo dello spumante, l’occhio sinistro di Girmay ha iniziato a gonfiarsi in modo preoccupante

Recupero in Africa

A quel punto Girmay si è fermato. Ha riposato qualche giorno e una volta ripresa la vista è tornato a casa. Adesso però è di nuovo in Belgio. E nel mezzo come è andata?

«Nel mezzo – dice il suo direttore sportivo, Valerio Piva – è tornato ad Asmara in Eritrea. Il problema all’occhio sembra averlo recuperato benone e ha ripreso a correre giusto ieri al Tour de Wallonie. E la sua stagione proseguirà con una serie di brevi corse a tappe e corse di un giorno. Quindi niente Vuelta, per arrivare al meglio al mondiale di Wollongong. Ma puntiamo a fare bene nelle corse canadesi e anche in alcune italiane adatte a lui».

«Il Tour non era mai stato nei suoi programmi. Dopo il Giro sarebbe tornato a casa, magari con altri tempi, ma si sarebbe fermato. Ha fatto due settimane di riposo e due di ripresa lenta e graduale. Lui vive ad Asmara a 2.400 metri di quota, ma può andare anche più in alto».

Campione a crono

E in Eritrea l’aria di casa deve aver fatto bene a Girmay. Si è rimesso in sesto, ha ritrovato fiducia ed ha persino corso. Ha fatto qualche gara minore e ha preso parte alle due prove per i titoli nazionali, quello a crono e quello in linea. Magari il livello non è altissimo, ma come si dice la forma che ti dà la gara non te la dà nessun allenamento.

«Il livello non era alto? Non direi proprio così – riprende Piva – visto che nella gara che assegnava il titolo su strada ha perso. Ai primi posti c’erano Kudus e Tesfatsion e altri buoni corridori ancora, non solo gli europei. Però ha anche vinto! Un po’ inaspettatamente a dire il vero, ma si è portato a casa il titolo a cronometro».

Piva ci dice che da quelle parti le corse non mancano, anche se alla fine si tengono quasi tutte su uno stesso circuito. Anche per Piva tutto sommato si tratta di un buon allenamento buttarsi in quella mischia. «Si fa sempre un po’ di interval training». 

Per Piva, resta ancora l’incognita delle grande salite per l’eritreo
Per Piva, resta ancora l’incognita delle grande salite per l’eritreo

I suoi margini

Sapere che Girmay ha risolto completamente il problema all’occhio e che l’incidente sul podio di Jesi non abbia inciso troppo sui suoi programmi (in pratica non fare il Tour), è una buona notizia. Sarebbe stato un vero peccato che un tappo potesse compromettere la stagione di questo atleta.

Rimane il punto di domanda su cosa avrebbe potuto dargli in più concludere il Giro. Ammesso che arrivare a Verona fosse l’obiettivo.

«Beh – dice Piva – finire il Giro sarebbe stato importante soprattutto in ottica futura, una bella esperienza per valutare la sua forza. Un grande Giro ti porta ad un livello più alto, anche in vista di altre gare come il Tour. Con questo non voglio dire che il prossimo anno non potrà fare il Tour perché non ha finito il Giro.

«Per me Biniam lo avrebbe finito senza problemi. Non ha fatto le grandi montagne, ed è lì che lo avrei voluto vedere. Resta quell’incognita».