Oggi il tampone e domani si parte. Gianluca Brambilla ha la valigia pronta, la Vuelta sarà il sedicesimo grande Giro della carriera da professionista iniziata nel 2010. E come al solito il lombardo che ormai va considerato veneto a tutti gli effetti andrà in corsa con due obiettivi: vincere una tappa e aiutare il capitano della Trek-Segafredo, che in questo caso sarà Giulio Ciccone. A casa è caldo come in ogni angolo d’Italia, ma la prospettiva spagnola è ben più calda. Si parte da Burgos, poi si andrà nel torrido sud spagnolo, per il quale alcuni corridori hanno impostato una preparazione mirata.
«Credo molto in Giulio – dice – e sono curioso perché per lui sarà la prima volta vera da capitano. Lo conosco bene e mi piace perché è bianco o nero. Se sta bene, non si tira indietro. Se sta male, non cerca scuse. Gli ho detto di non farsi mai cambiare e di non diventare come quelli che hanno sempre il pretesto pronto. Sono in camera con lui da un bel pezzo, l’ho visto crescere…».
Al Tour des Alpes Maritimes e du Var di febbraio, per Brambilla tappa e magliaAl Tour des Alpes Maritimes e du Var di febbraio, per Brambilla tappa e maglia
Consigli giusti
Si fa una risata. Ciccone aveva 16 anni quando lui passò professionista, ma a vederli accanto non è che la differenza sia così evidente.
«Anche io mi vedo giovane allo specchio – scherza – nonostante i sei anni di differenza. Mi danno 22 anni, a lui ne danno di più. Perciò lo vivo come un mio coetaneo e non gli do i consigli del vecchio, ma quelli che mi vengono dall’esperienza. Perciò non gli consiglio di mettersi la maglia di lana, ma dopo gli arrivi quando piove, magari glielo dico di coprirsi. Lui è esuberante, anche se certe cose le sa anche da sé. Anzi, forse ne sa anche più di me».
Ha diviso la camera al Giro con Ciccone e così sarà alla Vuelta. La valigia è già chiusaHa diviso la camera al Giro con Ciccone e così sarà alla Vuelta. La valigia è già chiusa
Quali uomini lo scorteranno?
Abbiamo Elissonde che ha tanta esperienza, ha fatto Tour e Olimpiadi e dovrebbe avere una bella gamba. Ci sarà il giovane Lopez, che sta andando forte e alla Vuelta imparerà lezioni importanti. C’è Antonio Nibali, che ha esperienza e ci sarà Quinn Simmos, un ragazzo interessante cui cercherò di dare i miei consigli, perché vuole strafare. Nella corsa di una settimana ti salvi, in una di tre non ti salvi. E poi avremo Reijnen e Kirsch, che sono forti in pianura. Abbiamo una bella squadra uniforme.
Ti aspettavi che Antonio lasciasse il fratello Vincenzo?
Si sapeva che avrebbero potuto dividersi e ne sono contento. Essere il fratello di uno così è difficile, mentre dall’anno prossimo Antonio dovrà iniziare a costruirsi in autonomia. Intendiamoci, noi che lo viviamo sappiamo che ha la sua personalità, mentre da fuori si poteva pensare che fosse semplicemente il fratello di Nibali. Potrà ritagliarsi un bello spazio.
Al Giro 2021 sullo Zoncolan, la salita su cui si mise in evidenza da neopro’, prima di fare valigia verso il WorldTourSullo Zoncolan, in cui si mise in evidenza da neopro’, poi fece valigia verso il WorldTour
Come arrivi alla Vuelta?
Ho cercato di arrivarci preparato, che serve sia per provare a vincere, sia per aiutare Giulio. Poi si vedrà se avrò la possibilità di giocarmi la mia carta o da un certo punto in poi si resterà tutti attorno al capitano.
Che cosa gli è mancato finora per essere leader?
Tempo e fortuna. Tempo perché quando nel 2019 ha vinto la classifica dei Gpm non era in classifica, ma si è difeso bene per tutto il tempo. Quest’anno invece gli è mancata la fortuna, di quella caduta avrebbe fatto volentieri a meno. E poi forse è anche un fatto di fiducia. Ora sa che la squadra lo porta come capitano unico e la differenza si vedrà.
Gli manca anche un po’ di lucidità?
Al Giro ha commesso qualche errore tattico, ma ha imparato da tutti e da tutti i consigli che ha ricevuto. E’ super esuberante e il carattere non si può cambiare, allora va gestito.
Ha aiutato Ciccone (4° all’arrivo) nella tappa di Cortina, piazzandosi poi 20°Ha aiutato Ciccone (4° all’arrivo) nella tappa di Cortina, piazzandosi poi 20°
Con quali direttori sportivi andrete in Spagna?
Con Popovych che è super navigato e con Gregory Rast, che mi piace molto per il modo che ha di guidarci alla radio. Parla sempre chiaro, dice le cose giuste e ti fa restare lucido anche nei finali, quando sei già a tutta. C’era lui in ammiraglia a inizio stagione quando ho vinto tappa e maglia al Tour des Alpes Maritimes in Francia e c’era anche a San Sebastian.
Hai già segnato di rosso una tappa?
Ho dato una rapida occhiata al percorso, ma nei prossimi tre giorni prima della partenza, lo prenderò dalla valigia e farò le crocette accanto alle tappe più adatte. E poi tutto dipenderà dalle condizioni della classifica e dalla condizione. Senza le gambe, ne hai da far crocette…
Chiamato all'ultimo secondo, Matteo Fabbro si è aggregato con i suoi compagni alla spedizione per la Vuelta. I lavori nelle gambe ci sono, speriamo ci sia anche un po' di spazio personale
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Il Giappone è lontano e tutto sommato si sta bene anche qui. La medaglia di bronzo ha chiuso il cerchio e confermato la tenacia di Elisa Longo Borghini, che da ieri sera è in montagna per riprendere il cammino. Oggi le Olimpiadi avranno i titoli di coda, per qualche settimana ancora vedremo scorrere immagini e interviste delle imprese azzurre, compresa la sua, ma la sensazione parlandole è che a un certo punto, tornata a casa, la piemontese avesse soprattutto voglia di normalità.
«Rispetto alle precedenti – racconta – Tokyo è stata un’esperienza diversa per il contesto. Per il fatto che non fossimo nel villaggio, ma in un hotel riservato a noi, inizialmente la sensazione era più quella di un mondiale. Poi siamo arrivate alla partenza e finalmente abbiano capito di essere alle Olimpiadi. Non potendo fare niente di diverso rispetto alla vita di hotel, abbiamo vissuto una situazione alienante. Non vedevo l’ora di correre per uscire da quei birilli che delimitavano il viale dell’hotel. Un giorno i meccanici sono andati a correre un po’ e dopo 500 metri la polizia è andata a riprenderli. La sola volta che abbiamo passato quel limite è stato per andare sulla strada a veder passare la gara degli uomini».
Passando sul traguardo, in quel sorriso sfinito, il termine di un cammino impegnativo ma bellissimoPassando sul traguardo, in quel sorriso sfinito, il termine di un cammino impegnativo ma bellissimo
Così, mentre gli occhi si abituano nuovamente agli scenari alpini, il viaggio nei giorni diventa un percorso attraverso le sensazioni di una ragazza, che è anche una grande atleta, cui tutti chiedono sempre il cielo forse senza chiedersi quale prezzo possa avere il cielo in certi giorni.
Ci sono grandi differenze fra Tokyo e il bronzo di Rio?
Sono state due avventure completamente diverse. Nel 2016 ero uscita benissimo dal Giro d’Italia e avevo davanti un percorso che mi si addiceva alla perfezione. In Giappone già sapere che la corsa avrebbe potuto avere diverse soluzioni, faceva pensare che il risultato fosse meno scontato. Sicuramente, rispetto ad allora, luglio è stato un mese impegnativo. Il Giro non è andato troppo bene, ma una volta che sono arrivata lì mi sono detta che dovevo dare un senso ai sacrifici e a tutto quello che avevo patito. La mia testa dura ha fatto la sua parte.
Testa dura e luglio impegnativo: difficile rispettare le attese?
Non è semplice passare tutto l’anno a sentirsi chiedere delle Olimpiadi. A volte i giornalisti non si rendono conto, ma te la fanno pesare. Io cerco sempre di guardare a quello che faccio e a non lasciarmi condizionare troppo da quello che viene scritto, ma resta il fatto che se un corridore non va, sente tutto amplificato. Certi giorni ti colpisce anche il commento negativo a bordo strada. Passi un po’ staccata davanti a una casa e senti dire: «Ma quella è la Longo Borghini?». Ci resti male. Abbiamo una maglia, ma siamo persone.
Questo cartello va aggiornato: adesso le medaglie olimpiche sono due
Bello tornare a casa e trovare certe dimostrazioni di affetto
Questo cartello va aggiornato: adesso le medaglie olimpiche sono due
Bello tornare a casa e trovare certe dimostrazioni di affetto
La prossima volta che te la facciamo pesare, sei autorizzata a mandarci a quel paese. Ma torniamo laggiù, il caldo era così opprimente?
Più che il caldo, che ho sentito, in Giappone era pesante l’umidità. La sera prima della gara ha piovuto, per cui c’era qualche grado in meno. Ma l’aria era irrespirabile, a Tokyo soprattutto. Siamo arrivate una settimana prima e io patisco il jet lag, per cui sono stata per tre giorni a non dormire bene. Slongo lo aveva previsto e ha voluto che facessi uscite doppie per regolarizzare la situazione. Infatti tre giorni prima della gara ho cominciato a dormire bene. Sono davvero arrivata giusta giusta.
Come è stata la vigilia, che clima si era creato in squadra?
Giorni tranquilli al netto della strana situazione generale. Sapevamo che la corsa poteva andare in tanti modi diversi, compresa la possibilità di un arrivo in volata. C’era Marta Bastianelli per questo, con il dubbio di come stesse davvero.
Invece alla fine ti sei ritrovata con l’Italia sulle spalle.
La corsa doveva essere più aperta. Nel finale ho parlato con Marta Cavalli. In gruppo non c’erano più grandi gambe. Quando il caldo ha livellato i valori, è stata la testa a fare la differenza.
Sul podio al centro del circuito, Anna Kiesenhofer davanti a Van Vleuten e Longo Borghini
Selfie dopo il podio con Marta Bastianelli e Soraya Paladin
Sul podio al centro del circuito, Anna Kiesenhofer davanti a Van Vleuten e Longo Borghini
Selfie dopo il podio con Marta Bastianelli e Soraya Paladin
Possibile che non vi foste accorte che c’era ancora Kiesenhofer in fuga?
Lo sapevamo. Personalmente mi ero messa a contare le ragazze che riprendevamo e poi c’era un tecnico tedesco a bordo strada (in realtà non so se fosse sempre quello con il dono dell’ubiquità o fossero più d’uno) che continuava a dare i tempi del ritardo. Io capisco il tedesco perché l’ho studiato a scuola, quindi era chiaro che ci fosse ancora qualcuno davanti. E penso che se lo avessero saputo le olandesi e avessero adottato una tattica più normale, avremmo potuto riprenderla.
Non avete mai parlato tra voi della situazione?
A un certo punto la Van Vleuten è venuta a chiedermi di tirare, ma le ho risposto che non era quello il mio ruolo, visto che poi mi avrebbe battuto in volata.
Quindi alla fine è stato un bronzo da brindisi o un bronzo da mangiarsi le mani?
Un bronzo da brindisi, sono stata sollevata. E’ stato difficile arrivarci e quel giorno ho portato con me sulla strada le persone più care. Volevo far vedere che quello che abbiamo fatto e superato insieme non era stato invano.
Sul Lago Maggiore, recuperando energie fisiche e mentali dopo il faticoso viaggio in GiapponeSul Lago Maggiore, recuperando energie fisiche e mentali dopo il faticoso viaggio in Giappone
Paolo Slongo ha scritto su Twitter parole bellissime. Che effetto ti fa?
Paolo è uno che non parla tanto, è particolare. Non si sbilancia mai nei discorsi e tantomeno nei pessaggi. A volte, se vinco, gli mando una foto e lui mi risponde: “Brava”. Per cui leggere quelle parole mi ha davvero fatto tanto piacere. Per un po’ abbiamo dovuto interrompere la nostra collaborazione perché la squadra lo impegnava a 360 gradi e non aveva tempo di seguirmi. Ora siamo tornati insieme e sono stata contenta di condividere con lui il Giro d’Italia.
Come si fa a ripartire dopo un viaggio così impegnativo, soprattutto sul piano emotivo?
Di andare in bici per fortuna ho sempre piacere, anche quando cala la tensione. Per cui da un lato hai voglia di rilassarti, ma dopo due giorni senti che qualcosa ti manca. Tokyo mi ha dato consapevolezza e voglia di finire bene la stagione e poi siamo ciclisti, non possiamo mollare. Ritrovare le motivazioni in fondo è facile, se hai attorno le persone giuste. Per cui sono stata a casa, ho passato del tempo con i miei nipoti e adesso vado in altura a preparare la seconda parte della stagione. Si dice tanto della Van Vleuten che non fa che allenarsi, ma alla fine secondo me ci sono ragazze che fanno di più, ma non lo mettono nei social.
Il Giro del lago Maggiore, 180 chilometri passeggiando con il gusto di andare in bicicletta. Bello il Giappone, ma casa propria…Il Giro del lago Maggiore, 180 chilometri passeggiando con il gusto di andare in bicicletta…
A lei si rimprovera che pensi solo ad allenarsi e non abbia una vita sociale.
In realtà nessuno che faccia questo lavoro ne ha una. Non più di tanto, almeno. Il lavoro diventa la tua vita e la scandisce. E Annemiek semplicemente per tante dinamiche è la più forte.
Allora ricominciamo con la pressione: ci vediamo agli europei?
L’occhio che fiammeggia, il sorriso cui ci ha abituato da inizio stagione. Per questa volta ce la caviamo così, ma una riflessione merita farla. La lasciamo ai suoi chilometri e ai suoi pensieri. Bentornata a casa. Il Giappone è lontano, ma si sta bene anche qui. Anzi, probabilmente qui si sta molto meglio.
Scartezzini ha resettato i pensieri e ripreso a lavorare per i mondiali. Villa gli ha detto di farsi trovare pronto, ma ci sarà posto davvero nel quartetto?
Letizia Paternoster passerà alla BikeExchange-Jayco. Un team australiano per lei che è metà australiana. Gli stimoli per realizzare i sogni non mancano
Abbiamo intercettato Silvia Persico nei primi giorni di vacanza e le abbiamo chiesto una rilettura del 2025. I momenti chiave e la vittoria in extremis
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Il 18 giugno scorso, in quella fornace esagerata con cui Faenza accolse il campionato italiano a cronometro, Jacopo Mosca sbagliò la terza di tre curve e spiccò il volo. In quelle ultime frazioni in cui il suo corpo era ancora sano, senza paura per il semplice fatto di non averne avuto il tempo, il piemontese fece in tempo a processare ogni informazione che i suoi occhi e i suoi sensi furono capaci di raccogliere. Tanto che quando oggi ti racconta la scena, si fa fatica a non avere la pelle d’oca.
A Sega di Ala con Brambilla, scortando Nibali: «L’incidente al polso – dice Jacopo – ha cambiato ogni cosa»A Sega di Ala con Brambilla, scortando Nibali: «L’incidente al polso – dice Jacopo – ha cambiato ogni cosa»
Ricordi chiarissimi
«Io mi ricordo tutto – Jacopo racconta – ero all’inizio della discesa. Ero andato per due volte con Tiberi a vedere quel passaggio e ci eravamo detti che non c’erano curve pericolose. Sinistra, destra, sinistra. In discesa sono uno che va, ma quel giorno neanche ho rischiato tantissimo. La prima l’ho fatta e ho preso velocità. La seconda l’ho fatta e mi sono ritrovato a 73 all’ora. Mancava la terza, ma ho perso il controllo della bici. La ruota dietro ha scodato. C’erano una siepe e un albero. Sulla siepe mi sono grattato. Contro l’albero ho rotto la clavicola. E cadendo sulla strada ho fatto il resto. La prima cosa è stato vedere se le gambe si muovevano. Fatto quello, ho lasciato che Slongo e mio padre che erano in ammiraglia mi aiutassero a spostarmi perché ero in mezzo al percorso. In quel momento ho capito di avere qualcosa ai polmoni, perché respiravo come Darth Wader di Guerre Stellari. Ed ero pieno di sangue per il taglio sull’orecchio. Però ero ancora vivo».
La terapia per riprendere l’efficienza fisica va avanti quotidianamente
Fare questi esercizi con la mascherina aggiunge… pathos al lavoro
La terapia per riprendere l’efficienza fisica va avanti quotidianamente
Fare questi esercizi con la mascherina aggiunge… pathos al lavoro
Casa Mosca
Benvenuti a casa Mosca, primi giorni di agosto, gli ultimi delle Olimpiadi. Jacopo ha già ripreso ad andare in bicicletta, ma da qui a dire che sia pronto per riattaccare il numero il passo è chiaramente molto lungo. Una caduta così è tanto se la racconti avendo ogni pezzetto al suo posto. E se pure lui ha vissuto tutto e riesce a raccontarlo con grande lucidità, chi gli era accanto ha trascorso un avvio di estate a dir poco preoccupante.
«Le tac – prosegue Jacopo – sembravano un bollettino di guerra. La questione più delicata era il pneumotorace. Per la clavicola sono stato operato. Costole e schiena sarebbero andate a posto col tempo. Non è stato bello avere il drenaggio ai polmoni, ma in quei primi giorni ho capito che la questione era risolvibile. Brutta, ma risolvibile. Tanto che il giorno dopo, quando è venuto il dottor Magni, per prima cosa gli ho chiesto quando sarei potuto uscire».
Mosca e Moscon, sorrisi dal Giro d’Italia: il buon umore non guasta maiMosca e Moscon, sorrisi dal Giro d’Italia: il buon umore non guasta mai
Adesso come stai?
Sto recuperando abbastanza, ma sarà lunga. Sono in grado di andare in bici, ci sono risalito 15 giorni fa, 32 dopo la caduta. Per ricominciare, la squadra mi ha mandato la bici che normalmente si usa alla Roubaix, che è un po’ più morbida. Sulla mia non riuscivo quasi a starci. E’ tanto rigida e con la posizione in avanti, che non arrivavo alle leve dei freni. Però ho ricominciato a uscire, anche se tornavo a casa con più battiti che watt. E ora ho ripreso la bici di sempre…
Dopo quella crono saresti andato in vacanza?
Era l’ultima gara della prima parte di stagione. Avrei staccato e me ne sarei stato tranquillo. Per fortuna è successo dopo il Giro, che era la parte più importante della mia stagione. Ripartirei domani se fossi in grado, a livello di voglia non vedo l’ora. Ma con la squadra ci siamo detti di usare il cervello e di stare tranquillo. Che se anche non rientro in corsa quest’anno, mi aspettano per il prossimo. Non sono più nella fase precaria della mia carriera in cui dovevo preoccuparmi per il contratto, quella l’ho superata. Se fossimo ancora a quegli anni, adesso avrei addosso uno stress…
Hai parlato del Giro.
Personalmente sono soddisfatto, perché ho confermato quanto di buono avevo fatto vedere l’anno prima nello strano Giro corso a ottobre. Ovviamente come squadra sarebbe potuto andare molto meglio. Nei primi giorni ho fatto un gran lavoro. E secondo me ho fatto anche qualche bella impresa.
Ha ripreso la bici 32 giorni dopo l’incidente: qui Jacopo con papà Walter che c’era il giorno della cadutaHa ripreso la bici 32 giorni dopo l’incidente: qui Jacopo con papà Walter
Ad esempio?
Ne ho riso con Affini nei giorni successivi. Ci siamo ritrovati in fuga il giorno dello Zoncolan. Io per aiutare Mollema che poi à arrivato quinto, lui per Bennett che è arrivato settimo. E ci siamo detti che per noi è stato un grande risultato. La squadra era soddisfatta, perché ho fatto il mio lavoro come dovevo.
Cosa manca per dire che sei a posto?
Ci sono state due complicazioni. La prima un versamento pleurico al polmone sinistro. La seconda che la ferita dell’operazione non si è ancora chiusa per un’infezione. Hanno trovato un batterio che ho curato con l’antibiotico e ora sto aspettando e facendo terapie aspettando che si chiuda del tutto. Sono al 90 per cento di mobilità della spalla, poi dovremo mettere a posto la schiena. Faccio tanto lavoro di recupero funzionale.
Si dice sempre che il giorno dopo è il peggiore…
A parte le fratture e il resto, il vero dramma erano le notti. In ospedale i primi giorni dormivo a dire tanto due ore, sommando i pezzettini di sonno che riuscivo a fare. Ricaricavo il telefono tre volte al giorno, ero sempre attaccato a leggere e far passare il tempo. A casa non riuscivo a stare disteso a letto, finché mia madre ha avuto l’idea geniale e mi ha proposto di dormire sul divano. E fra cuscini e posizioni varie, sono passato 3-4 ore per notte.
Il 2021 era iniziato alla grande: qui la vittoria di Teuns a Sanremo, il contributo di Jacopo non è mancatoVittoria di Teuns a Sanremo, il contributo di Jacopo non è mancato
Ne hai approfittato per seguire il ciclismo in tivù?
Con le dirette integrali, non mi sono perso un solo chilometro di corsa. La corsa di Tokyo l’ho vista dalla partenza, quella delle donne idem, ma partiva più tardi.
Come sarà in Trek senza più Nibali?
Devo dire che in questi ultimi tempi non ho seguito molto le vicende del mercato. Però perdere uno come “Vince” un po’ ti cambia, poi vedi quello che ha fatto Ciccone al Giro e ti dici che l’uomo da classifica lo abbiamo. Ma in questo anno e mezzo da Nibali ho imparato tanto.
Che cosa?
L’ho osservato in ogni cosa. La sua guida in discesa, ad esempio. Quando scendi alla sua ruota capisci perché sia uno dei più grandial mondo. Fa linee perfette e mai al limite. Non lo vedi preoccupato, è sempre in controllo. Dispiace che sia caduto prima del Giro.
Il Giro d’Italia è stato il momento clou della prima parte di stagione di Jacopo Mosca, in appoggio a Nibali e CicconeIl Giro d’Italia è stato il momento clou della prima parte di stagione
Un brutto colpo, hai ragione.
Siamo stati in stanza insieme sul Teide e poi al Giro. Quando punta a un obiettivo sta nel suo mondo, concentratissimo. Ma visto come andava in altura e i tanti sacrifici che abbiamo fatto, quando ho sentito che era caduto e si era rotto il polso, mi è dispiaciuto prima per l’uomo e poi per l’atleta. Non sono i cinque giorni di bici che perdi, ma un incidente così alla vigilia del Giro ti condiziona. Passi da essere super motivato a perdere la fiducia.
Tanta voglia di ripartire quest’anno, pensi che ci riuscirai?
Mi piacerebbe fare qualche corsa a fine stagione, ma bisogna ragionare. Se sarò all’altezza, ci sarò di certo. Ma anche parlando col dottor Magni si diceva di capire bene ogni cosa. Se per fare tre corse a ottobre, devo pregiudicarmi la possibilità di fare un buon inverno, allora tanto vale avere pazienza sino alla fine.
La mobilità della spalla è ormai arrivata al 90 per centoLa mobilità della spalla è ormai arrivata al 90 per cento
Una nuova vita
Il sorriso è discreto come al solito. Benvenuti a casa dell’uomo che ha dovuto sudarsi il suo posto nel mondo, ma che alla Trek-Segafredo ha cambiato vita e prospettive. La sua calma davanti a un incidente così brutto si deve anche a questo. Quando intorno hai solo punti di riferimento solidi, capisci che poteva andarti anche molto peggio e che nel brutto sei stato fortunato. Ci sarà da chiedere scusa ai propri cari per lo spavento e le settimane d’inferno. E ci sarà soprattutto da lavorare sulle curve a sinistra. Quelle, amico Jacopo, ancora danno qualche problema…
Paolo Slongo apre la sua agenda e fa con bici.PRO il punto tecnico su Nibali. Meno ritiri per trovare più motivazioni. Tanta voglia di correre e di vincere
Filippo Baroncini lo avevamo lasciato al Giro d’Italia U23, prima, e al campionato italiano contro il tempo poi. Il corridore della Colpack-Ballan era stato uno degli scudieri di Juan Ayuso nella corsa rosa, ma al tempo stesso era stato autore della vittoria nella cronometro, mostrandosi uno di quei calibri pesanti. Il tutto lo ha poi confermato qualche settimana dopo al campionato italiano di specialità, conquistando il tricolore.
Finita? Neanche per sogno. Perché il suo palmares ha continuato ad “appesantirsi” con la vittoria all’Etoile d’Or, ottenuta da campione navigato. Filippo era lanciato a 55 all’ora da solo verso l’arrivo. Il gruppo dietro di pochi secondi e lui che trovava persino il tempo di fare un gesto col pugno per festeggiare l’imminente vittoria. Grinta assoluta.
E un corridore così non poteva passare inosservato ai grandi team. E puntuale ecco che la Trek-Segafredo di Luca Guercilena lo ha chiamato a rapporto.
Filippo Baroncini (classe 2000) conquista il tricolore contro il tempo. Eccolo con lo staff della ColpackFilippo Baroncini (classe 2000) conquista il tricolore contro il tempo. Eccolo con lo staff della Colpack
Filippo, raccontaci come è andata la trattativa con la Trek…
Ci ha lavorato il mio procuratore, Luca Mazzanti. Ci siamo presentati all’italiano dei pro’ che non era troppo lontano da casa mia, Massa Lombarda. Guercilena mi ha detto che avevo fatto un bel risultato nella crono dell’italiano e nella Pessano-Roncola. E poi ho visto che lui lavora molto bene con i giovani. Gli lascia il giusto spazio e non li fa tirare e basta che neanche finiscono le gare. E questo dà morale. Per me, almeno, è molto importante.
Antonio Tiberi viene dalla Colpack ed è andato alla Trek, lo hai contattato? Gli hai chiesto qualche consiglio?
Più che altro ho provato a contattarlo, ma non ci sono riuscito. Così ho fatto da me. Comunque io e lui non siamo stati insieme alla Colpack. Io arrivavo dalla Beltrami e lui andava alla Trek appunto.
Baroncini esulta per la vittoria della Pessano-RoncolaBaroncini esulta per la vittoria della Pessano-Roncola
All’Etoile d’Or, una gara 2.2 in Francia, hai vinto la seconda tappa. Come è andata?
E’ stata una vittoria che mi ha dato tanto morale, ottenuta per di più con la maglia della nazionale. Non conoscevo Amadori, anche se è delle mie zone. Mi è servita per prendere consapevolezza dei miei mezzi, per prendere le misure con certi tipi di gare. Poi quel giorno c’era tanto vento, le strade erano strette… insomma era una corsa nervosa e sono contento. Ho corso, abbiamo corso, bene.
Come mai la Trek? Avevi avuto anche altre richieste?
Avevo avuto già delle richieste un anno fa, ma non mi sentivo pronto per il passaggio ed ho preferito aspettare.
Ed erano di squadre World Tour?
No, professional. Anche per quello ho voluto attendere. Approdare in una WorldTour è sempre stato il mio obiettivo.
Filippo (a destra) a Livigno con i compagni della Colpack, Gomez e VerreFilippo (a destra) a Livigno con i compagni della Colpack, Gomez e Verre
All’Etoile d’Or hai vinto con un colpo da finisseur: che corridore pensi di essere?
Beh, col tempo è chiaro! Però ho dimostrato di andare forte su tutti i terreni (Baroncini è molto veloce, ndr) e non vorrei snaturami cercando chissà quale specializzazione.
Farai anche il Tour de l’Avenir ci ha detto Amadori…
Adesso sono in altura, a Livigno, proprio per preparare l’Avenir. Sono qui con Gomez e Verre. Inoltre fra l’europeo e il mondiale farò qualche gara da stagista con la Trek.
Il più grande nemico per un ciclista d’estate? Il caldo. Quando si pedala sotto il sole è fondamentale avere un abbigliamento in grado di traspirare e di disperdere il calore al meglio. Santini, l’azienda di Lallio, ha progettato dei pantaloncini all’avanguardia, che ci consentono di pedalare anche nelle più afose giornate estive, i Tono Freccia.
Questo nuovo capo di abbigliamento sarà indossato dai corridori della Trek-Segafredo alla Vuelta Espana, ma hanno già fatto il loro debutto al Tour de France. E’ stato il belga Jasper Stuyven ad indossarli per primo nelle giornate più calde della Grande Boucle.
Questa è la versione in nero dei nuovi Tono Freccia
Ancora i nuovi Tono Freccia in nero, da altra angolazione
Questa è la versione in nero dei nuovi Tono Freccia
Ancora i nuovi Tono Freccia in nero, da altra angolazione
Materiale all’avanguardia
Una salopette extra traspirante, con rete sensitive sulla parte delle cosce per disperdere al meglio il calore, realizzata con tessuti Sensitive® Fabrics di Eurojersey SPA, azienda della provincia di Varese, composto dal 72 per cento di poliamide e dal restante 28 per cento da elastane.
Prodotto etichettato Oeko-text, un test di laboratorio che tiene conto delle sostanze, regolamentate o meno, che possono essere dannose per la salute umana. In molti casi i valori limite per lo standard 100 vanno oltre i requisiti internazionali.
Le bretelle cucite con materiale Polartec, sono leggere e morbide, così la schiena, altro punto critico per il ciclista, resta asciutta.
L’idea di utilizzare questi materiali è nata anche dall’aumento degli allenamenti indoor, dove l’accumulo di calore e la maggior sudorazione richiedono materiale di maggior efficienza.
Questa è invece la versione in verde militare
Infine, ecco i Tono Freccia in color titanio
Questa è invece la versione in verde militare
Infine, ecco i Tono Freccia in color titanio
Fondello in schiuma
Il Fondello NAT è uno dei più apprezzati ed è stato completamente rinnovato per garantire prestazioni sempre migliori.
E’ realizzato attraverso l’assemblaggio di diversi strati di schiuma a densità differenziata, più spesso nella parte di appoggio. Racchiude un’anima in Next, un gel dalle proprietà rinfrescanti, con un effetto prolungato fino a 7 ore, che offre un’incredibile protezione dagli shock. Tutti i materiali con cui è realizzato sono perforati per la massima traspirabilità anche durante le giornate più calde.
Il prodotto è disponibile in 4 colorazioni: Nero, Blu, Grigio e Verde militare
La Pater sta tornando. Letizia Paternoster gira in pista, lavora in palestra, poi vola dalla Trek per il debutto. La forma cresce. I guai sono alle spalle
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Poco prima di partire per il Giappone, con la mente che vaga nei particolari per sincerarsi di aver davvero preso tutto, Elisa Longo Borghini si è tuffata nella nuova avventura olimpica, con quel profumo di incertezza che paradossalmente potrebbe darle il coraggio giusto nella gara di domenica.
«Non sono ancora calata perfettamente nel mood olimpico – dice – ma già dal mio arrivo in ritiro, dal banale ricevimento del carico di abbigliamento azzurro, ho iniziato nella mia testa il conto alla rovescia. Negli ultimi giorni ho pensato più a riposarmi dopo le fatiche del Giro Donne. Ho scelto di concentrarmi sul recupero fisico e mentale, in attesa di calarmi completamente nella nuova avventura e di sentire le vibrazioni dei giochi olimpici».
Barriera olandese
La spedizione delle azzurre è animata sicuramente da grande entusiasmo, anche se avere davanti la sagoma arancione e apparentemente insormontabile delle olandesi è da una parte un freno psicologico, mentre dall’altra costringerà le nostre a un pizzico di incoscienza necessario per sorprenderle.
«Il Giro Donne – dice Elisa – è servito anche per inquadrare alcune delle concorrenti con cui dovrò misurarmi. Van der Breggen, Vollering e Moolman sono andate fortissimo. Idem Marianne Vos. Credo che anche la squadra Usa abbia un insieme di corridori forti e in condizione. In ultimo, ma non certo per importanza, menziono la mia compagna in Trek-Segafredo Lizzie Deignan. Oltre all’indiscutibile talento, al Giro Donne l’ho vista pedalare forte, con una condizione in crescendo. Credo possa essere una protagonista».
La piemontese disputerà anche la prova a cronometro, di cui è campionessa italianaLa piemontese disputerà anche la prova a cronometro, di cui è campionessa italiana
Il coraggio di osare
Piatto ricco, non resta che accettare la sfida e viverla con la nuova leggerezza di spirito che da quest’anno accompagna fruttuosamente la piemontese. A ben vedere, il Giro d’Italia Donne è stato l’unico passaggio vagamente a vuoto, ma tutto sommato è stato meglio che il calo di concentrazione sia avvenuto in quei giorni, piuttosto che doverlo fronteggiare in Giappone.
«Personalmente – dice – arrivo all’appuntamento olimpico dopo una stagione molto intensa. Le soddisfazioni non sono mancate e questo, moralmente, mi trasmette tranquillità. Ho interpretato il Giro Donne con un la mente sgombra. L’aggressività con cui ho corso potrebbe essere il modo giusto per interpretare anche la prova di Tokyo. Serviranno condizione, coraggio e voglia di osare su un percorso che ben si presta».
Questa foto dal suo profilo Instagram lancia la rivalità olimpica con Lizzie Deignan dopo il GiroQuesta foto dal suo profilo Instagram lancia la rivalità olimpica con Lizzie Deignan dopo il Giro
Bronzo nel cassetto
L’ultimo accenno è per la medaglia di Rio 2016, anche se sarebbe sbagliato pensare che sarà automatico e facile riprodurne le dinamiche.
«Ho ancora vivida nella mia mente – ricorda – l’esperienza di Rio del 2016. Un evento unico, memorabile. Mi ero preparata per un’esperienza che poi, nella realtà, è stata molto diversa. In senso buono, ovviamente. E’ difficile spiegare le sensazioni che si provano. Ti senti parte integrante di un evento unico al mondo. La mia avventura si concluse poi con un bronzo bellissimo. Ma ora bisogna concentrarsi sul presente.
Il 2021 l’ha scoperta con una rinnovata serenità e leggerezza d’animoIl 2021 l’ha scoperta con una rinnovata serenità e leggerezza d’animo
«L’approccio alla gara è decisivo perché il rischio di essere sopraffatti dall’emozione e dalla tensione è alto. Bisogna avvicinarsi alla competizione senza la memoria di quello che è stato. E’ giusto avere confidenza in se stessi, avere consapevolezza che è stato fatto un percorso di preparazione. Ma basare le proprie aspettative sull’esperienza passata sarebbe un errore».
Mavi Garcia ha vissuto un agosto di riposo e grandi risultati. Prima il contratto con la Liv Racing Xstra per i prossimi due anni e poi il trionfo a Plouay
Giulio Ciccone a febbraio ha subito un intervento per correggere una deviazione al setto nasale, problema che lo ha sempre accompagnato, ma che il corridore abruzzese ha deciso di sistemare solamente all’inizio di questa stagione. Parliamo di tutto quello che è stato il percorso di Giulio con Emilio Magni, medico della Trek-Segafredo, il quale ha seguito l’atleta anche durante il periodo di positività al Covid19.
Da stamattina, Ciccone è in Sardegna alla Settimana Italiana, preparandosi per TokyoDa stamattina, Ciccone è in Sardegna alla Settimana Italiana, preparandosi per Tokyo
Può spiegarci meglio il problema di Ciccone?
Certamente, l’atleta soffriva di una deviazione del setto nasale, un problema osseo. Tutti abbiamo il setto nasale deviato – specifica il dottor Magni – non esiste la perfezione. Solitamente non è un problema, in alcuni casi però lo può diventare e quindi bisogna ricorrere a degli interventi.
Perché lo può diventare?
Alla deviazione del setto nasale si collega l’ipertrofia dei turbinati, una patologia diversa che ha origini multiple (batterica, allergica, dovuta all’inquinamento) solitamente le due patologie si accompagnano l’una con l’altra.
E’ una patologia grave che può influenzare la prestazione dell’atleta?
Nello specifico la problematica non è così grave dal punto di vista sportivo, poiché in corsa il corridore respira a bocca aperta e quindi riesce a soddisfare la richiesta di ossigeno del corpo. Le difficoltà sono prevalentemente nella vita di tutti i giorni, diventa difficile dormire o anche un semplice raffreddore può risultare molto più fastidioso.
Il cerotto sul naso in corsa resta uno dei rimedi più utilizzatiIl cerotto sul naso in corsa resta uno dei rimedi più utilizzati
Quindi non c’era così tanta urgenza nel sistemare questo piccolo difetto?
No, è bene poi ricordare che per un ciclista questo tipo di interventi sono complicati: non da un punto di vista medico, ma del tempo clinico di cui necessitano.
Ci sono altri modi di affrontare la situazione?
Intervenire chirurgicamente è l’ultima cosa da fare, prima ci sono delle cure alternative. La più valida è quella termale, dove con dei bagni caldi si cerca di tenere sempre pulite le cavità nasali. Nel caso poi si decida di intervenire chirurgicamente, bisogna considerare almeno 2-3 giorni di ospedalizzazione più la convalescenza. Non si può fare sempre, si ha una finestra di una ventina di giorni all’anno per eseguire questa operazione.
Giulio nell’agosto del 2020 ha avuto il Covid, con la sua patologia è stato più impattante?
Va specificato che il Covid fatto da Ciccone era già abbastanza invasivo di suo, non è stato blando. E’ rimasto positivo per 7-8 giorni, se poi a questo si aggiunge la convalescenza direi che è rimasto fermo quasi 3 settimane. Certamente la malattia è stata accentuata dal problema che aveva il corridore, così in un successivo momento si è deciso di cogliere l’occasione e si è fatta questa operazione.
Dopo l’intervento al naso, Ciccone ha migliorato anche il recupero: il Giro lo ha mostratoDopo l’intervento al naso, Ciccone ha migliorato anche il recupero: il Giro lo ha mostrato
I problemi legati al sonno possono influenzare negativamente il riposo ed il recupero in una corsa a tappe?
Assolutamente, un sonno tranquillo e senza interruzioni è fondamentale per il recupero delle energie. Banalmente il difetto di Giulio non gli permetteva di dormire sereno in tutte le posizioni.
Quindi questa operazione ha influenzato in minima parte le sue prestazioni?
Ora, come si è visto al Giro, riesce a riposare meglio e qualche miglioramento sulle prestazioni lo ha avuto. Non tutto è merito di questa operazione ovviamente, ma si può dire che in parte ha influito.
Tanto tuonò che non piovve. La tappa numero 15 del Tour de France, la prima pirenaica, doveva promettere chissà cosa e invece si è risolta con un pugno di mosche. Almeno per quel che riguarda la classifica generale. Perché poi di spunti interessanti ce ne sono stati. E quello più importante riguarda il colpo tanto atteso di Vincenzo Nibali.
Ci si aspettava un segno dallo Squalo ed è arrivato. Non super, a dire il vero, come si sperava, però c’è stato. E questo è importante. Sulla salita più alta della Grande Boucle è stato anche autore di un tentativo.
Nibali in fuga verso AndorraNibali in fuga verso Andorra
Il colpo dello Squalo
Solita partenza a tutta e nasce una mega fuga di 30 e passa corridori. Dentro stavolta c’è Nibali. Il corridore della Trek-Segafredo ci aveva provato anche il giorno prima, ma non ci era riuscito. Ma per il team di Guercilena poco male: visto quel che aveva fatto Mollema.
Ma oggi era importante dare un colpo. Glielo chiedeva l’Italia, glielo chiedeva Cassani e, ne siamo certi, se lo chiedeva lui stesso. Con lui ci sono due compagni: Elissonde e Bernard, segno che credono in lui. Tira poco Vincenzo, pedala bene e si nota una certa agilità. Ci prova anche, come detto, sull’Envalira. Poi nel finale quando aprono il gas, Kuss e Valverde hanno qualcosa in più. Però lui risponde, ci prova e solo alla fine alza bandiera bianca.
«Oggi la tappa è stata difficile, tutta – ha detto Nibali dopo il controllo antidoping – Oltre 4.000 metri di dislivello, specie dopo la tappa di ieri in cui ci avevo provato. Nella parte finale della gara, ad oltre 2.000 metri abbiamo pensato di fare un po’ di ritmo, ma c’era vento. Quando abbiamo preso l’ultima salita ognuno ha giocato tutte le sue carte e si è rotto tutto il gruppetto. Ma tutto sommato è stata una giornata importante nella quale abbiamo “messo” tanta fatica nelle gambe».
Due fughe (quella di oggi e quella di Le Creusot) e diversi tentativi per lo Squalo come quello in foto verso CarcassonneDue fughe (anche quella di Le Crusot) e diversi tentativi per lo Squalo
Ultimo Tour?
Quindi? Queste due settimane di Tour a cosa sono servite? Ci prendiamo la voglia di lottare, la condizione sicuramente migliore di quanto non fosse a Brest (e in crescita verso Tokyo) e mettiamoci anche un po’ di fiducia in più. Cosa che non guasta mai, anche se ti chiami Nibali e hai un palmares grosso così. La speranza è che questa fiducia lo Squalo l’abbia trovata. Ma questo lo può sapere solo lui. «La tappa di oggi è servita per testare anche un po’ la condizione – ha detto Nibali – che sinceramente è così, così…». Ma Vincenzo lo conosciamo da anni e spesso ha “rigirato la frittata” risorgendo dal nulla. E gli basta un barlume di luce perché riesca ad esaltarsi.
Il suo Tour de France finisce oggi. Potenzialmente potrebbe essere stata la sua ultima tappa in assoluto alla Grande Boucle. Non sappiamo cosa farà il prossimo anno. Vincenzo aveva dichiarato durante lo scorso giorno di riposo che si sarebbe fermato ad Andorra, al termine della seconda settimana. Testa e gambe sono, giustamente, tutte rivolte a Tokyo.
Vincenzo Nibali a Rio de Janeiro 2016, notare la magrezza generale soprattutto su braccia e spalleVincenzo Nibali a Rio de Janeiro 2016, notare la magrezza generale soprattutto su braccia e spalle
Da Rio a Tokyo
Molti hanno fatto il paragone con le Olimpiadi di Rio 2016. Si è detto che anche in quel Tour Nibali non aveva brillato e poi in Brasile, al netto della caduta, andò fortissimo. Però è un paragone sbagliato a nostro avviso. Innanzi tutto sono passati quattro anni e, volenti o nolenti, per chi va per i 37 anni non sono pochi. Poi Nibali in quel Tour sfiorò la vittoria due volte e veniva dalla conquista del Giro. I presupposti erano ben diversi.
Giusto fermarsi. Tokyo non è Rio. Il fuso orario è maggiore, c’è una pandemia in corso e la preparazione è diversa. Semmai “errore” c’è stato (o dovesse esserci), questo è da far risalire alla caduta prima del Giro. Ma non è imputabile a Nibali. In un ciclismo di perfezionismo, in cui tutto è al limite, quella era una fase cruciale per il Giro e per la stagione. Ed è stato un colpo, ma a senso inverso.
Perché? Perché Nibali stava facendo un certo tipo di lavori, molto mirati all’esplosività, e questo gli avrebbe consentito di correre un altro Giro. A catena poi sarebbe seguito un altro recupero e magari anche con altre sensazioni. Conoscendolo sappiamo che non mollerà fino alla fine. E quando toccherà a lui (il 24 luglio, ndr) a Tokyo quello sarà il giorno in cui andrà più forte in tutto l’anno. Su questo potremmo quasi metterci la mano sul fuoco.
Valverde si complimenta con Kuss per la sua vittoria. bello il testa a testa distanza tra i due dopo il GpmValverde si complimenta con Kuss per la sua vittoria. bello il testa a testa distanza tra i due dopo il Gpm
Ma Valverde…
Prima di chiudere non si può non parlare di Valverde. Anche il murciano, 41 anni, sarà a Tokyo. Anche lui era nella fuga. Solo che le sue menate in salita hanno fatto male. Solo Sepp Kuss lo ha tenuto e poi lo ha anche staccato. Ma caspita che Alejandro!
Quello di Valverde non è stato un colpo: è stato un vero e proprio “presente”. Soprattutto se si pensa alla sua abilità nelle corse di un giorno, al suo sangue freddo e al suo spunto veloce. Quest’anno solo quel fenomeno che è Pogacar lo ha battuto a Liegi. E se pensiamo che Alaphilippe non ci sarà e che Tadej ha corso per la classifica e potrebbe essere stanco, per lo spagnolo il podio olimpico è ben più che una chimera.
Eravamo a Stoccarda, nell’ormai lontano 2007. La nazionale italiana era tutta stretta attorno a Bettini che si accingeva a vincere il secondo mondiale, preceduto dall’iride di Marta Bastianelli. Fra gli under 23, guidati da Sandro Callari, c’era poca fiducia, vista la fresca apertura ai professionisti. I nostri erano stati da poco al Tour de l’Avenir, vinto da un olandese che non aveva fatto che scattare. «Si chiama Mollema – disse un mattino nel piazzale dell’hotel il dottor Daniele, medico degli azzurri – è davvero spettacolare. Piazzava certi scatti, come non se ne vedevano da tempo».
California 2009, tappa durissima di Santa Rosa: 1° Mancebo, 2° Van de Walle, 3° Nibali, 4° Brajkovic, 5° Armstrong. Bauke (23 anni) è 13°California 2009 a Santa Rosa: 1° Mancebo, 2° Van de Walle, 3° Nibali, 4° Brajkovic, 5° Armstrong. Bauke è 13°
Uomo in fuga
Quel mondiale lo vinse Velits, già professionista. I nostri finirono nelle retrovie. Il dottor Daniele di lì a qualche anno sarebbe diventato ed è tuttora uno dei medici della Trek-Segafredo. E quel corridore dall’attacco spettacolare se lo è ritrovato in squadra. I suoi scatti non gli sono più serviti per vincere grandi corse a tappe, ma non si può dire che la carriera di Mollema sia stata banale. Ha vinto le sue corse e raramente lo ha fatto in volata.
Fra le più grandi vale la pena ricordare la Clasica San Sebastian del 2016, con 17” su Gallopin. Il Lombardia del 2019 con 16” su Valverde. Le due tappe del Tour, quella di ieri e quella del 2017, a capo di lunghe fughe. E con una punta di nazionalismo, l’ultimo Trofeo Laigueglia, vinto con 39 secondi su Bernal.
A San Sebastian nel 2016 arriva con 17″ su GallopinA San Sebastian nel 2016 arriva con 17″ su Gallopin
Lucidità infallibile
Con i suoi 34 anni, il ragazzone di Groningen ieri ha dimostrato forza fisica, ma soprattutto una lucidità spaventosa nel prendere vantaggio sfruttando le caratteristiche delle strade.
«La maggior parte delle mie vittorie – ha raccontato dopo la vittoria – sono fughe solitarie, si tratta solo trovare il momento giusto per attaccare. Quando ho sentito che non c’era nessuno alla mia ruota, ho pensato che fosse il momento e ho preso subito un bel vantaggio. Penso che non molti si aspettassero un attacco lì, ma una volta che prendo tre o quattro secondi, è piuttosto difficile venirmi a prendere. Ho la capacità di andare molto forte in quelle prime fasi e ho sfruttato molto bene le curve per sparire alla loro vista. In quei casi, bisogna essere pronti a reagire per colmare il divario. Sapevo che se non lo avessero fatto subito si sarebbero guardati e io avrei avuto strada libera».
Al Tour del 2017 va in fuga solitaria per 30 chilometri verso le Puy en Velay in una cornice spettacolare
Al traguardo quel giorno dopo una ventina di secondi arrivò Diego Ulissi
Al Tour del 2017 in fuga solitaria verso le Puy en Velay in una cornice spettacolare
Al traguardo quel giorno dopo una ventina di secondi arrivò Diego Ulissi
Traguardo sulla salita
Strada libera è un bel modo di dire che una volta da solo si è trovato davanti 41 chilometri di caldo e fatica fino Quillan, con un traguardo parziale e decisivo in cima al Col de Saint Louis, ultima asperità di giornata: 4,6 chilometri al 6,8 per cento di pendenza media.
«E’ stata una giornata super dura – ha confermato – ci sono voluti 90 chilometri prima che la fuga partisse. Come squadra non ce ne siamo persa nessuna. C’era un bel gruppo davanti, ma non c’era collaborazione. Io mi sentivo bene. E ho pensato: “Partiamo da lontano”. Ho fatto 41 chilometri in solitaria, è stata dura, ma avevo la sicurezza di pedalare da solo e sentivo che con quell’andatura sarei potuto andare avanti per molto tempo. Sapevo di avere ottime possibilità di farcela, quindi sono andato a tutto gas e non ho perso troppo. Con più di 50 secondi in cima all’ultima salita e 20 chilometri ancora da fare, ero abbastanza sicuro di vincere la tappa. E’ stato spettacolare».
Solo al traguardo nell’ultimo Trofeo Laigueglia, con 39″ su un Bernal già pimpante
All’attacco verso il traguardo ligure. Dieci giorni prima aveva già vinto in Francia
Solo al traguardo nell’ultimo Trofeo Laigueglia, con 39″ su un Bernal già pimpante
All’attacco verso il traguardo ligure. Dieci giorni prima aveva già vinto in Francia
La prima non si scorda
La vittoria di Quillan è la seconda di Mollema al Tour, in una carriera che come dicevamo in apertura sembrava da predestinato e lo ha visto invece ricavarsi un ruolo da luogotenente di lusso, a disposizione anche di Nibali, con la licenza di ritagliarsi lo spazio per le sue fughe. A uno così nelle squadre si vuole un gran bene e non è per caso che il suo sia stato uno dei primi contratti ad essere rinnovati.
«La mia prima vittoria al Tour fu nel 2017 – ha raccontato – ma è davvero difficile confrontarle. Si arrivava a Le Puy en Velay e la tappa era abbastanza simile, anche se l’ultima salita era più lontana dal traguardo. Fu la mia prima vittoria di tappa al Tour, arrivai dopo 30 chilometri da solo con 19 secondi su un gruppetto con Ulissi, Gallopin e Roglic. Essendo la prima, forse è stata la più speciale, ma questa è stata decisamente super bella. Soprattutto perché la fuga è stata ancora più lunga. Non sono un corridore che vince cinque o dieci gare ogni anno quindi ogni vittoria è speciale per me. E se parliamo del Tour de France, lo è ancora di più».
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