EDITORIALE / Un insolito dualismo sotto il cielo d’Italia

28.07.2025
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Alle 19,40, circa 23 minuti dopo la vittoria di Wout Van Aert a Parigi e 15 dopo l’arrivo di Jonathan Milan in maglia verde, il comunicato della Lega Ciclismo è approdato via whatsapp nella disponibilità dei giornalisti.

«Jonathan Milan, orgoglio dell’Italia, vince la maglia a punti al Tour de France. Vincere 2 tappe e conquistare la maglia verde lasciandosi alle spalle campioni come Tadej Pogačar, Biniam Girmay e Jonas Vingegaard – scrive il presidente Pella (qui il testo integrale) – è un risultato straordinario. Come Lega del Ciclismo Professionistico ci faremo promotori e organizzatori di un evento di alto profilo istituzionale alla Camera dei Deputati per premiare Jonathan Milan». 

L’Onorevole Pella, terzo da sinistra, ha fatto sì che la Camera abbia aperto le porte al ciclismo: qui con il Presidente Fontana
L’Onorevole Pella, secondo da sinistra, ha fatto sì che la Camera abbia aperto le porte al ciclismo: qui con il Presidente Fontana

Dopo la Lega, la FCI

Alle 19,56, sedici minuti dopo, tramite l’account Telegram della Federazione sono arrivate invece le parole del presidente Dagnoni.

«Le due vittorie di tappa – scrive (qui il testo integrale) – la conquista della maglia verde da parte da Jonathan Milan, il grande lavoro fatto nelle rispettive squadre da corridori come Simone Consonni, Matteo Trentin ed Edoardo Affini, che è anche salito sul podio nella tappa a cronometro, il secondo posto di Davide Ballerini oggi in una tappa prestigiosa, dura e spettacolare, i piazzamenti di Velasco, Dainese, Albanese, ci regalano un Tour da tempo mai così felice per il ciclismo italiano».

Cordiano Dagnoni è stato rieletto alla guida della FCI: il primo anno post olimpico si sta rivelando impegnativo
Cordiano Dagnoni è stato rieletto alla guida della FCI: il primo anno post olimpico si sta rivelando impegnativo

Italia, un modello da rivedere

Va avanti così ad ogni vittoria, in una competizione interna fra due organi che dovrebbero lavorare in comune accordo, invece non si risparmiano reciproche spallate. Presenziando a premiazioni e podi come a voler delimitare il territorio. Intanto il ciclismo italiano, di cui parlano con prevedibile enfasi, continua la sua marcia (in apertura, un’immagine depositphotos.com). Le squadre professional non hanno il livello minimo necessario per competere e vanno a fare punti nelle corse di classe 2, quelle dei dilettanti. Gli organizzatori si sono visti richiedere di aggiungere la prova femminile, ma il loro budget è rimasto sostanzialmente invariato. Soffrono e a volte chiudono squadre juniores, che negli anni hanno costruito la propria fama prendendo ragazzi forti in ogni angolo d’Italia, trascurando i corridori di casa, perché dotati di meno punti.

Si dà la colpa di tutto alle WorldTour e ai loro devo team, senza rendersi conto che il modello italiano andrebbe adeguato a ciò che accade nel resto del mondo oppure andrebbero individuate nuove regole. Il presidente Dagnoni fa parte del Professional Cycling Council, quali proposte ha portato per regolamentare il passaggio al professionismo degli juniores o quantomeno provarci? 

Le due tappe e la maglia verde di Milan vanno celebrate, ma non bastano per coprire situazioni critiche del ciclismo italiano
Le due tappe e la maglia verde di Milan vanno celebrate, ma non bastano per coprire situazioni critiche del ciclismo italiano

La WorldTour che manca

E’ vero che abbiamo dirigenti quotati e tecnici di grande nome, oltre a personale super qualificato. Ma lavorano tutti in squadre dal budget straniero: basta che chi mette i soldi decida di imporre staff della propria nazionalità e tutto può cambiare. Lidl, sponsor tedesco, ha scalato la squadra, prendendo il sopravvento sull’americana Trek: in quel gruppo, che assieme alla Astana più di altri tutela i corridori italiani, tutto potrebbe cambiare.

Se è vero che il Tour è la vetrina dei corridori più forti, la presenza minima degli italiani deve produrre una riflessione. La WorldTour italiana serve, eccome. Non ci nascondiamo dietro alla presenza italiana nelle squadre mondiali. L’indimenticata Liquigas di Roberto Amadio schierava anche campioni internazionali come Sagan, Szmyd e Bodnar, ma permise a Nibali, Basso, Viviani, Oss, Moser, Cimolai, Caruso, Guarnieri, Bennati, Pellizotti, Sabatini, Vanotti e Capecchi (fra gli altri) di diventare solidi e spiccare il volo verso altre realtà. Quale squadra mondiale di 31 elementi sarebbe disposta a inserire ben 21 italiani?

La Liquigas di Amadio e Dal Lago mise insieme negli anni alcuni fra gli italiani più forti: qui Nibali e Basso
La Liquigas di Amadio e Dal Lago mise insieme negli anni alcuni fra gli italiani più forti: qui Nibali e Basso

I soldi della Lega

La nazionale si accinge a varare la spedizione per i mondiali in Rwanda e partirà con un contingente ridotto di atleti, meccanici e massaggiatori, dati gli alti costi della spedizione. Non saremo gli unici: il viaggio è oneroso. Si vocifera anche di ulteriori tagli che potrebbero riguardare figure di riferimento e della sempre crescente influenza del Segretario Tolu nelle scelte federali.

Visti il momento e la capacità del presidente Pella nell’aver intercettato alcuni milioni di euro nell’ultima Finanziaria per le attività della Lega del Ciclismo Professionistico, perché non immaginare che la stessa integri le spese di viaggio e soggiorno dei professionisti in Rwanda, lasciando che a occuparsi delle altre categorie sia la FCI? Allo stesso modo, dato che nel suo Consiglio sono presenti anche le squadre e gli organizzatori che stanno vivendo momenti particolarmente duri, si è già pensato di intervenire in loro favore?

La parità dei premi fra uomini e donne è un grande risultato, ma ancora migliore sarebbe approvare il professionismo per le ragazze. Il calcio lo ha fatto due anni fa, concedendo alle sue atlete la prospettiva di una pensione e di tutele che non tutte le squadre sono ora obbligate a garantire.

E così se il duello fra Pogacar e Vingegaard ha fatto il bene del ciclismo, non si può dire lo stesso di quello fra Lega e Federazione. Può essere di stimolo reciproco come Tadej ha detto di sé e di Jonas? E’ auspicabile. Se invece sarà così fino alle prossime elezioni, ci attende davvero un lungo quadriennio.

Alla fine del viaggio, il bicchiere mezzo pieno di Vingegaard

28.07.2025
4 min
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Di nuovo secondo sul podio di Parigi, Jonas Vingegaard ha trascorso chilometri e chilometri alle spalle di Pogacar e parecchio tempo a dichiarare improbabili strategie. Dato che nessuno alla Visma-Lease a Bike ha mai descritto il dettaglio del piano, la supposizione più coerente con quanto si è visto è che il programma mirasse a stancare Pogacar. Lo hanno tenuto sotto pressione dal primo giorno, esposto a tensioni e attacchi. E anche se alla fine lo sloveno ha portato a casa il quarto Tour, non c’è dubbio che sia arrivato in fondo con le energie agli sgoccioli, come egli stesso ha ammesso ieri dopo la vittoria.

Vingegaard ci ha provato. Non tanto quanto sarebbe servito, ma se alla fine Van Aert è riuscito a staccare Pogacar a Parigi, è stato perché Tadej è arrivato all’ultima tappa obiettivamente stanco. Se non fosse accaduto che anche il danese è arrivato in fondo senza gambe, il piano avrebbe dato i frutti sperati. La sua Grande Boucle non è stata semplice, iniziata fra le polemiche per le dichiarazioni di sua moglie e il consiglio di Bjarne Riis che lo vedrebbe meglio ormai in un’altra squadra.

«In alcune tappe – dice il danese, in apertura con la famiglia al via dell’ultima tappa – ho raggiunto delle prestazioni di altissimo livello. In altre tappe, ho avuto la mia prestazione più bassa da diversi anni. Quindi questo Tour conferma che sono stato il miglior Jonas di sempre, ma anche che posso avere giornate negative».

Gli attacchi più decisi di Vingegaard sono venuti sul Mont Ventoux, in uno dei giorno meno brillanti di Pogacar
Gli attacchi più decisi di Vingegaard sono venuti sul Mont Ventoux, in uno dei giorno meno brillanti di Pogacar

Le pedivelle corte

Cercando una maniera per venire a capo dello strapotere di Pogacar, quest’anno Vingegaard ha sostituito le sue pedivelle da 172 mm con altre da 160 mm per le tappe su strada e 150 mm per le cronometro.

«In questo Tour, Jonas era quello con le pedivelle più corte – ha detto a L’Equipe Mathieu Heijboer, direttore delle prestazioni di Visma-Lease a Bike – ma ci sono stati altri corridori con le stesse misure. Sapevamo già che le pedivelle più corte sono probabilmente più efficienti, ma la maggior parte dei corridori non era aperta al cambiamento. Poi alcuni hanno deciso di provare e questo ha creato l’opportunità anche ad altri».

Aver visto Pogacar, passato dalle 172,5 alle 165, ha fatto sì che Vingegaard abbia accettato di sottoporsi a dei test fuori stagione e poi apportare un cambiamento radicale. Il danese è uno dei corridori con la più elevata cadenza di pedalata e inizialmente le pedivelle più corte rendevano la sua cadenza ancora più alta. Per questo ha optato per le 160 mm su strada, lasciando le più… audaci 150 per la crono, in cui ha fatto meglio di Evenepoel. Con la pratica, ha dunque iniziato a usare un dente in meno e quindi un rapporto più lungo. Grazie a questo, Vingegaard si è dimostrato più forte che in passato sulle salite più impegnative. Si è avvicinato (lo scorso anno perse per 6’17”, quest’anno il passivo è stato di 4’24”), ma non è bastato.

A La Plagne, i tre del podio sono arrivati insieme e Vingegaard ha battuto Pogacar nello sprint ristretto
A La Plagne, i tre del podio sono arrivati insieme e Vingegaard ha battuto Pogacar nello sprint ristretto

Obiettivo Vuelta

Così, mentre Pogacar ha fatto dubitare della sua partecipazione alla Vuelta (la UAE Emirates annuncerà la formazione nei prossimi giorni), Vingegaard guarda al futuro senza entrare troppo nei dettagli, ma confermando che il Tour, così com’è, sta diventando un’ossessione.

«Ho sempre detto – spiega – che mi piacerebbe partecipare al Giro un giorno. Non dico che sarà già l’anno prossimo, ma dobbiamo discuterne con la squadra. Faremo i nostri piani quest’inverno e vedremo. Innanzitutto ora avrò una settimana più o meno rilassata prima di ricominciare ad allenarmi. Si tratterà principalmente di aspettare di sentirmi di nuovo fresco. Poi avremo solo due settimane e mezzo di allenamento, il che non… lascia molto tempo. Però l’ho fatto due anni fa ed è andata abbastanza bene (nel 2023, Jonas chiuse la Vuelta al 2° posto dietro al compagno di squadra Sepp Kuss, ndr). Spero di riuscire a farlo ancora».

Il quarto Tour di Pogacar: non il più bello, ma certo il più faticoso

27.07.2025
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Ha capito di poter vincere il Tour dopo la vittoria al Mur de Bretagne, poi ha chiuso il discorso sui Pirenei. Tolto il primo conquistato nell’ultima cronoscalata, i tre Tour successivi di Tadej Pogacar si sono risolti nella seconda settimana. Difficile dire se sia per uno schema o per caso, ma di certo anche questa volta sui Pirenei ha imposto l’inchino a tutti i rivali, presentandosi al gran finale forse con le gambe più stanche del solito.

Nell’ultima tappa di Parigi, dopo non essere parso brillantissimo nelle ultime tappe di montagna prive di grandi attacchi, il campione del mondo in maglia gialla ha riscoperto il gusto sbarazzino della sfida. Ha fatto il diavolo a quattro sulla salita di Montmartre e solo alla fine si è arreso alle grande voglia di Wout Van Aert. Ci fosse stato anche Van der Poel, avremmo avuto la sensazione di essere tornati per pochi minuti sui viottoli del Giro delle Fiandre. Il divertimento a un certo livello è una componente decisiva.

«Mi sono ritrovato davanti – racconta – anche se forse non avevo davvero l’energia per vincere. Sono stato davvero felice che abbiano neutralizzato i tempi della classifica generale, così ho potuto correre più rilassato. Serviva solo avere buone gambe per essere davanti e mi sono ritrovato testa a testa con Wout Van Aert. Lui è stato incredibilmente forte, ha vinto con tutto il merito, ma alla fine è stata una tappa davvero bella».

Piegato da Van Aert a Montmartre, Pogacar sfila sui Campi Elisi che lo applaudono
Piegato da Van Aert a Montmartre, Pogacar sfila sui Campi Elisi che lo applaudono

La spinta di Vingegaard

Pogacar vince il Tour contro la Visma Lease a Bike e l’ombra di un piano che non si è mai visto del tutto. Eppure, rileggendo le tappe e guardando negli occhi lo sfinito sloveno, il piano di tenerlo sempre sotto pressione ha parzialmente colto nel segno. Il Tadej sfinito di fine Tour ha pagato certamente l’aggressività della squadra olandese. E anche se Vingegaard non è mai riuscito a staccarlo né a metterlo in difficoltà, di certo la sua presenza nella scia non ha mai permesso alla maglia gialla di abbassare la guardia.

«Sono senza parole per aver vinto il quarto Tour de France – commenta Pogacar – è una sensazione particolarmente fantastica. Penso che la vittoria sia da dividere con la squadra. Abbiamo avuto per tutto il tempo un’atmosfera fantastica, un grande spirito. Ho avuto modo di parlare con Vingegaard stamattina nel tratto neutralizzato prima del via. Ci siano detti quanto sia cambiato il ciclismo rispetto a cinque anni fa, quando ci siamo affrontati per la prima volta. Abbiamo alzato l’uno il livello dell’altro. Ci siamo spinti al limite e abbiamo cercato di batterci a vicenda. Lottare contro Jonas è stata nuovamente un’esperienza dura, ma gli devo rispetto e grandi congratulazioni per il suo impegno».

Pogacar rivendica la vittoria come una grande impresa della sua UAE Emirates
Pogacar rivendica la vittoria come una grande impresa della sua UAE Emirates

Semplicemente stanco

Il terzo posto di Lipowitz, il quarto di Onley, poi Gall, Johannessen e Vauquelin segnalano un’ondata di nuovi talenti in arrivo. Si è sottratto alla lotta Remco Evenepoel, ritirato prima di mettere le ruote sul Tourmalet. Tutti, chi prima e chi dopo, sfilano accanto alla maglia gialla attorno cui si è formato il capannello dei suoi più fedeli, fra cui l’immancabile Urska.

«Ho ancora degli obiettivi da qui alla fine della stagione – dice Tadej senza aprire né chiudere la porta sulla Vuelta – ma non mancano molte gare. Ho bisogno di recuperare perché è stato uno dei Tour più difficili da correre, per tutti nel gruppo. Dalla prima all’ultima tappa, abbiamo corso al massimo, ogni giorno. Non ci sono state giornate facili e abbiamo messo a dura prova il nostro corpo. La tappa di La Plagne è stata molto difficile. Ero esausto e la gente non mi ha visto felice come al solito. Ma mi sembra normale non avere un gran sorriso ed essere felice ogni giorno. A volte non si è al meglio, si potrebbe attraversare un periodo difficile.

«Sono stanco. Se non lo fossi dopo 21 giorni di gara, ci sarebbe qualcosa che non va. Immagino che tutti siano esausti, anche voi giornalisti, dopo tre settimane di corsa in zone miste, in sala stampa, come tutti coloro che partecipano al Tour. Quindi, penso che anche i corridori abbiano il diritto di essere stanchi. Ma mentalmente sono ancora in ottima forma (sorride, ndr)».

Il bacio di Urska dopo la vittoria nel quarto Tour
Il bacio di Urska dopo la vittoria nel quarto Tour

Il sogno della Roubaix

E’ sempre difficile chiedere a un atleta il bilancio di una corsa appena conclusa. Se appare frastornato Jonathan Milan con la conquista della maglia verde, figurarsi Pogacar che è passato in un tritacarne di sollecitazioni al massimo livello prima di poter dire che sia davvero finita. Eppure capisci anche che essere costretto a inseguire sempre e soltanto il Tour non lo trovi così divertente.

«La prima settimana – dice – non è stata divertente. Le tappe sono state frenetiche e brutali anche per gli uomini di classifica. Dovevi essere super concentrato e motivato. Ci sono stati tantissimi attacchi, soprattutto da parte della Visma: è stata una settimana davvero difficile. Anche senza le montagne, ci sono state sempre delle insidie. Ora però è il momento di festeggiare. Per me significa avere una settimana di pace con un meteo migliore di qui. Voglio godermi semplicemente qualche giorno di tranquillità a casa. Poi correrò il Criterium di Komenda a casa mia il 9 agosto e poi penserò alla prossima stagione.

«Soprattutto la Parigi-Roubaix, che voglio vincere. Quest’anno, alla mia prima partecipazione, ho trovato questa corsa pazzesca, voglio tornarci. E penso che tornerò al Tour anche il prossimo anno. Mi piacerebbe saltarlo per una stagione, per provare altre corse, ma so che sarà difficile. Ho dimostrato a me stesso di poter raggiungere grandi risultati. Ora cerco di concentrarmi su altre cose della mia vita, continuando a godermi il ciclismo. E se dovessi battere qualche record storico, come quello dei cinque Tour, sarebbe fantastico, ma non è questo il mio obiettivo».

La tattica della Visma

Lo chiamano per la premiazione, sui Campi Elisi si allungano le ombre e i dintorni. Era il 27 luglio anche quando nel 2014 su quel gradino salì un commosso Vincenzo Nibali. E mentre il ricordo ci riempie di orgoglio sia pure a distanza di così tanto tempo, riflettiamo che al netto dei commenti entusiastici davanti alla bellezza di gesti atletici così sublimi, non è stato il Tour più bello cui abbiamo assistito. Difficile dire se per il suo livello stellare o per quello inferiore dei rivali.

La sensazione a partire dal secondo riposo è che Pogacar abbia dovuto fare i conti con un qualche acciacco che gli ha impedito di rendere come avrebbe voluto. Ugualmente ha vinto il quarto Tour attaccando a fondo a Hautacam e poi nel giorno di Peyragudes. La tattica Visma lo ha stancato, ma Vingegaard non è bastato. Chissà chi dei due avrà ancora margini da scoprire per un futuro lontano che in qualche modo già bussa.

Parigi. Il circuito “olimpico” e la firma di Wout

27.07.2025
6 min
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Da Parigi a Parigi. Dalle Olimpiadi dell’anno scorso al Tour de France di quest’anno, le emozioni e lo spettacolo sono rimasti gli stessi. Sempre un belga ha vinto: stavolta si chiama Wout Van Aert, ma che bello è stato vedere il suo rivale numero uno, Tadej Pogacar, in maglia gialla.

Dopo una settimana sotto le aspettative in termini di attesa dei duelli in montagna, la corsa francese si è riaccesa. Si è ravvivato Pogacar e la magia è tornata, anche perché si è ravvivato pure Van Aert. Pensate cosa sarebbe stato se ci fosse stato anche Mathieu Van der Poel.

Luca Mozzato sul circuito di Montmartre a Parigi 2024
Luca Mozzato sul circuito di Montmartre a Parigi 2024

L’occhio di Mozzato

La novità del circuito di Montmartre era importante e ha fatto parlare già mesi prima. Noi stessi avevamo ipotizzato e analizzato questo tracciato, ma oggi siamo andati oltre: l’analisi l’abbiamo fatta con Luca Mozzato, atleta dell’Arkea-B&B Hotels, che non era al Tour ma sul lettino del massaggio al Tour de Wallonie, dove tra l’altro oggi ha ottenuto un incoraggiante quinto posto.

L’anello olimpico misurava 18,4 chilometri. La salita di Montmartre da ripetere due volte, arrivava dopo circa 240 chilometri. L’anello stavolta invece misurava 16,7 chilometri, arrivava dopo appena una settantina di chilometri, ma anche dopo tre settimane. Differenze non da poco.

Differenze che sottolinea parecchio Mozzato. Luca ha corso le Olimpiadi di Parigi 2024 e, tra quello che ha sentito sotto le ruote e quello che ha visto oggi in televisione, ci aiuta a capirne di più.

Piove e il fondo è insidioso: guardate Pogacar (in giallo ovviamente) come si tiene sempre distante da chi lo precede
Piove e il fondo è insidioso: guardate Pogacar (in giallo ovviamente) come si tiene sempre distante da chi lo precede
Luca, cosa ti è sembrato di questo finale parigino?

L’obiettivo del Tour è stato centrato. Prima, nella tappa finale, c’era suspense solo negli ultimi 15 chilometri che portavano alla volata. Adesso c’è stata un’ora abbondante di battaglia.

Ma secondo te la pioggia lo ha un po’ limitato questo spettacolo?

Non direi dal punto di vista tecnico, magari è cambiato qualcosa dal punto di vista del pubblico. Forse c’era qualcuno meno a bordo strada o non ci è rimasto così a lungo. Anche se poi sulla salita il colpo d’occhio era eccezionale.

Che circuito è questo, Luca? Tu ci hai corso alle Olimpiadi, in un altro contesto, con altre temperature e un gruppo ristretto. Ti è sembrato molto diverso?

La parte che era veramente uguale alla fine era quella di Montmartre: l’attacco, la salita e la discesa. Perché poi, per il resto, era completamente diverso. Poi un conto è farlo in una corsa di un giorno e un conto è farlo al termine di una gara di tre settimane, con le energie al lumicino. E per come è andata la tappa è stato come ritrovarsi a correre una classica. Perché di fatto è stata quasi una classica. E non è facile per le gambe degli atleti. Anche tatticamente è difficile fare un paragone tra quella gara e quella di oggi.

L’apporccio allo strappo era complicato e tecnico. ma nel complesso secondo Luca l’anello proponeva qualche curva in meno
L’apporccio allo strappo era complicato e tecnico. ma nel complesso secondo Luca l’anello proponeva qualche curva in meno
Una cosa che abbiamo notato è che Pogacar stava sempre un po’ più lontano rispetto a chi lo precedeva…

Li ho visti affrontare le curve con tanta attenzione, soprattutto in frenata. Bisogna essere molto delicati, sentire proprio la frenata e la ruota, perché era scivolosissimo, specie con tutto quel pavé. E’ vero, Pogacar si teneva più lontano rispetto agli altri, ma il motivo è semplice: lui aveva molto da perdere. Comunque, okay la neutralizzazione del tempo, ma la bici la devi portare all’arrivo. Quindi okay rischiare, ma non oltre il limite. Gli altri erano lì per la vittoria di tappa e si giocavano il tutto per tutto. Poi bisogna considerare un’altra cosa.

Quale?

Che in una grande metropoli come Parigi, tra smog, polvere, foglie, le strade sono sempre un po’ più scivolose. E con questo bagnato e lo sconnesso degli Champs Elysées tutto diventa più insidioso. Per me Tadej ha fatto bene a non prendere rischi eccessivi.

Il momento decisivo. Terza tornata. Pogacar affonda il colpo, Van Aert sulla destra spinge ancora più forte
Rispetto a Parigi 2024, tu mi hai detto che il circuito era un po’ diverso: in cosa?

Alle Olimpiadi la parte in asfalto aveva molte più curve, e una sezione era veramente tecnica prima di prendere la salita. Qui invece, dopo l’Arco di Trionfo, era più lineare. Ma ripeto: sono due corse del tutto differenti.

Come li hai visti guidare?

Con attenzione. Vista la situazione, non mi è sembrato di vedere qualcuno che abbia preso più rischi del dovuto. Le uniche due discese veramente fatte a rotta di collo sono state quella di Matej Mohoric e quella finale di Van Aert. Lì bisognava davvero rischiare: Mohoric per rientrare, Van Aert per allungare. Con i sampietrini bisogna essere sensibili. Mai essere bruschi sui freni: il rischio di bloccare la ruota è un attimo.

Bravissimo Davide Ballerini, secondo davanti a Mohoric. E sullo sfondo Pogacar festeggia il suo 4° Tour
Bravissimo Davide Ballerini, secondo davanti a Mohoric. E sullo sfondo Pogacar festeggia il suo 4° Tour
Pogacar ci ha rimesso di più con la pioggia? Senza contare che Van Aert è anche più pesante di lui, e ai fini della trazione non era poco…

Un po’ sì, ma alla fine mi è sembrato vederlo aver speso un po’ di più nel corso di questa giornata. Proprio per non prendere rischi ha preso più aria degli altri e del necessario. E’ rimasto da solo presto al primo giro. Ha fatto lui la selezione e alla fine forse era un filo meno brillante: ma il gioco valeva la candela. Almeno queste sono mie sensazioni. Magari lui ci direbbe il contrario!

Era più duro questo o quello delle Olimpiadi?

Bisognerebbe farlo! Vedendo l’ultimo giro, questo è sembrato davvero tanto impegnativo. In fuga si staccavano pur essendo stati all’attacco per un’ora. I ritmi erano folli. Ma le due gare, ripeto, erano diverse e, come si dice, le corse le fanno i corridori. Io alle Olimpiadi ho sofferto, ma entrambi i percorsi erano selettivi. E il fatto che sia arrivato un atleta in solitaria vuol dire molto.

Van Aert a fine tappa ha parlato di fiducia da parte della squadra e in sé stesso. Visma che anche oggi lo ha supportato alla grande
Van Aert a fine tappa ha parlato di fiducia da parte della squadra e in sé stesso. Visma che anche oggi lo ha supportato alla grande

La firma (e la fiducia) di Wout

Il Tour de France si archivia quindi con la vittoria – bella e meritata, lasciatecelo dire – di un grandissimo campione. Alla fine, se ci si pensa, Wout Van Aert si è portato a casa i due arrivi simbolo di Giro e Tour: Siena e Parigi. Le lacrime della moglie al traguardo, il suo essersi “nascosto” sulle Alpi (almeno rispetto ai suoi standard), la dicono lunga su quanto e come avesse preparato questo assalto.

«E’ stata una giornata unica – ha detto Van Aert – E’ davvero speciale poter vincere di nuovo sugli Champs Élysées, per la prima volta con la salita di Montmartre nel finale di tappa.
Le condizioni a Parigi erano difficili. La pioggia rendeva la corsa rischiosa, ma la mia squadra ha continuato a credere in me».

«Ci abbiamo provato più volte durante questo Tour, anche ieri, ma non sempre sono stato bene. La parte più difficile in questi giorni è stata mantenere la fiducia in me stesso. Per fortuna le persone che avevo intorno continuavano a crederci. Anche oggi i ragazzi non hanno perso fiducia nelle mie capacità. Siamo riusciti a controllare la tappa. Sull’ultima salita ho dato il massimo: era il nostro piano anche prima della partenza, e ha funzionato».

Pogacar e Milan: motori diversi, ma la benzina è la stessa

27.07.2025
8 min
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NANTUA (FRANCIA) – Il Tour de France si accinge a vivere l’ultima tappa dopo tre settimane faticose e veloci. Abbiamo avuto la sensazione di una Boucle estenuante, impressione avvalorata quando si guardano i corridori nel fondo degli occhi. Sono stanchi, anzi stanchissimi. Ci siamo chiesti in che modo abbiano vissuto questa immensa sfida due corridori agli antipodi per fisicità e attitudini: Tadej Pogacar (il più forte di tutti) e Jonathan Milan (il più veloce). Entrambi sono andati così bene da essere stati sino all’ultimo in lizza per la maglia verde.

Tadej Pogacar ha 26 anni, corre al UAE Team Emirates, è alto 1,76 e pesa 66 chili. Jonathan Milan ha 24 anni, corre alla Lidl-Trek, è alto 1,96 e pesa 87 chili. Non potrebbero esistere due corridori più diversi e allora, parlando con i loro nutrizionisti, abbiamo cercato di capire quanto sia stato diverso anche il loro approccio nutrizionale con la corsa. Scoprendo che, al netto dei centimetri e dei chili, le differenze non sono poi così abissali. E questo è strano.

Gorka Prieto, spagnolo classe 1990, è il nutrizionista del UAE Team Emirates
Gorka Prieto, spagnolo classe 1990, è il nutrizionista del UAE Team Emirates

Quanto consuma Pogacar

Gorka Prieto è il nutrizionista del UAE Emirates e dice che da uno come Pogacar si impara tantissimo. E sei nei primi tempi della loro collaborazione, lo sloveno non seguiva alla lettera le sue dritte, ora è molto attento.

«Il consumo calorico – dice – ovviamente dipende dalla tappa e dal ruolo del corridore. Nella tappa di Hautacam, Tadej ha vinto, ma forse Nils Politt ha consumato anche più carboidrati di lui. Ha tirato a lungo e magari ha avuto un calo maggiore, dato che ha faticato più degli altri. Non è detto però che il corridore più forte sia quello che consuma di meno: anche Tadej ha bisogno di tanti carboidrati. In quella tappa è andato con 120-130 grammi ogni ora. A colazione ne avevamo messa una quota superiore e così anche nel recupero. Si guardano subito i file, si aggiusta la cena e si guarda la strategia alimentare per il giorno successivo. Non si devono guardare solo i carboidrati, in realtà, anche se si parla sempre di quelli. Bisogna anche avere un piano giusto con le calorie, con le proteine e tutto il resto». 

Marco Sassi, classe 1997, è da un anno nutrizionista della Lidl-Trek (@hardyccphotos)
Marco Sassi, classe 1997, è da un anno nutrizionista della Lidl-Trek (@hardyccphotos)

Quanto consuma Milan

Marco Sassi è il nutrizionista della Lidl-Trek. Per esprimere la sua enorme potenza, Milan deve arrivare ai finali avendo ancora delle riserve e senza aver speso tutto per portare in giro il suo peso.

«E’ sempre complicato gestire un Grande Giro – spiega Marco Sassi, nutrizionista della Lidl-Trek – perché non c’è tempo di fare grandi ricarichi di carboidrati. Ogni tappa comporta un consumo variabile di glicogeno muscolare, quindi bisogna sempre tenere i carboidrati alti. Vista la corporatura di Jonathan, che gli impone dei dispendi molto elevati, diventa fondamentale sia la nutrizione in bici sia riuscire a raggiungere il target calorico nel resto della giornata. Un altro aspetto fondamentale è la regolarità gastrointestinale, perché lo stomaco e l’intestino nell’arco delle tre settimane di gara sono messi sotto forte pressione. Per questo è necessaria una attenta gestione delle fibre. Si danno alimenti che possano favorire il recupero, ma anche la salute gastrointestinale».

Non solo i carboidrati nelle borracce: il serbatoio di Milan prevede anche l’uso di gel
Non solo i carboidrati nelle borracce: il serbatoio di Milan prevede anche l’uso di gel

Il metabolismo di Pogacar

«Si fanno tanti test – prosegue Gorka – per capire il metabolismo di ogni atleta, in base ai quali possiamo capire quanto consumerà in corsa. Pesiamo Pogacar il mattino prima della tappa e dopo l’arrivo per valutare la disidratazione. Sappiamo quanto peso perde e da cosa è composto. Si fa il rapporto fra carboidrati e liquidi, si guarda il resto che può aver perso e si lavora per colmare la differenza. Il recupero inizia dopo l’arrivo. Prima il Magic Cherry all’amarena, Poi mangia il recovery e per cena abbiamo pasti diversi preparati dai nostri chef. E’ tutto pesato, non c’è neanche un grammo in più. Ognuno ha il suo, il ciclismo di vertice è adesso così. La verifica successiva ovviamente non si fa dopo cena, ma la mattina dopo, prima di ripartire. Quindi va bene se al risveglio Tadej ha una quantità di liquido ancora da assumere: lo farà a colazione e il recupero sarà completo».

Il metabolismo di Milan

«Per il suo metabolismo – dice Marco Sassi – Jonathan tende ad asciugarsi tanto, ma dato che i carboidrati per ora hanno un limite, accumula un deficit calorico importante al termine di ogni tappa. Non è sempre facile raggiungere il bilancio energetico ed è l’aspetto più delicato. Bisogna evitare che dopo due settimane, il corridore arrivi con il collo tirato, quindi bisogna sempre monitorare la situazione. Per fortuna riusciamo a calcolare con precisione il dispendio energetico in base alla lettura del powermeter. In questo modo possiamo fare una stima abbastanza corretta del dispendio calorico. E poi, al termine della tappa, possiamo valutare e confrontare la stima che avevamo previsto in base a quello effettivo. Così, se necessario, possiamo rivalutare i passi successivi. Tra i fattori di cui tenere conto nel suo caso, c’è anche quello mentale, perché le pressioni incidono. Poi per fortuna è arrivata la vittoria di tappa che ha dato un senso a tanto spendere».

Lo scatto verso Hautacam: difficilmente vedrete Pogacar mangiare sulla salita finale
Lo scatto verso Hautacam: difficilmente vedrete Pogacar mangiare sulla salita finale

Pogacar, borracce e granite

«Le borracce alla partenza sono sempre due – spiega Gorka – ci sono i carboidrati, ma anche gli elettroliti che Enervit fa per noi. Nelle giornate calde, si guardano il meteo, la temperatura, il vento e l’umidità e poi si decide dove mettere le borracce. Se è molto caldo, a volte diamo semplicemente acqua perché possano buttarsela addosso, per abbassare la temperatura del corpo. Quando fa caldo, è importante anche un occhio alla termoregolazione. Ma se si tratta di bere, allora solo l’acqua non basta. La composizione della borraccia si decide ogni giorno in base al tipo di percorso. Se c’è una tappa piatta, bastano 30 grammi di carboidrati nella prima borraccia ed elettroliti nell’altra. Se la tappa è più impegnativa, ricorriamo anche alle granite, che sono come dei ghiaccioli con i carboidrati dentro. Capita che Tadej si ritrovi in salita senza borraccia. Se vede che ha mangiato tutto e la borraccia pesa mezzo chilo, magari sceglie di essere più leggero. Perché sa che in cima gli daranno una borraccia e anche un gel».

Milan, ricecake e borracce

«Ormai si usano praticamente soltanto alimenti tecnici – conferma Sassi – che siano liquidi o anche solidi. Enervit ci offre una gamma piuttosto vasta che ci permette di incontrare il gusto di tutti, senza annoiare troppo il corridore. Magari si usano le classiche ricecakes, però principalmente nel pre corsa, come ultimo snack. Quando si va al via, Milan ha due borracce e sta a lui scegliere se avere 30 o 60 grammi di carboidrati. Lungo il percorso diamo sempre la scelta tra acqua e una borraccia che contenga almeno 30 grammi di carboidrati. E’ una questione variabile, anche in base alla temperatura e alla sudorazione. Se la tappa è particolarmente calda, si berrà di più, quindi si prendono più borracce di acqua o comunque meno concentrate al livello dei carboidrati. Anche perché nella conta dei carboidrati vanno considerati anche i gel».

L’acqua semplice, in corsa e dopo, serve a Pogacar per la termoregolazione: nelle borracce ci sono sempre carbo ed elettroliti
L’acqua semplice, in corsa e dopo, serve a Pogacar per la termoregolazione: nelle borracce ci sono sempre carbo ed elettroliti

Arrivo in salita: in finale non si mangia

«Quando ci sono più salite – dice Gorka Prieto – abbiamo sempre due persone dello staff all’inizio e due alla fine. Abbiamo diversi prodotti energetici, che contrassegniamo con una sola X oppure con due X. Cambia la quantità di carboidrati per ogni borraccia, quindi nelle tappe impegnative mettiamo le borracce con più carboidrati. Tadej ha un target ben chiaro di quello che deve mangiare per ogni ora. Può essere che faccia poco più o poco meno, ma difficilmente sbaglia. Sa che deve mangiare prima che cominci la salita, in modo che quando poi attaccherà o dovrà rispondere agli attacchi, avrà già dentro quello che serve. Non si vede mai un corridore che scatta e poi prende un gel. Per cui anche se l’ultima salita dura 40 minuti e lui deve attaccare, la quantità rimane la stessa di 120-130 grammi per ora».

La volata inizia due giorni prima

«Se c’è una volata – spiega invece Sassi – si ragiona partendo da un paio di giorni prima. Il pasto all’immediata vigilia della gara deve essere molto digeribile, perché lasci per tempo lo stomaco e non dia problemi di appesantimento, visto che spesso c’è stato da fare il traguardo volante molto vicino alla partenza. Durante la gara si cerca di mantenere i livelli più possibile alti, senza rischiare di incorrere in problemi gastrointestinali. Semmai per avere un boost ulteriore, può capitare di dare un gel con la caffeina, oppure del bicarbonato o altri tamponi nel pre gara. Più si va verso il finale, si prediligono cibi liquidi. Le barrette, pur molto digeribili, si riservano alla prima parte di gara. Nei finali, anche se è frequente vederli assumere un gel negli ultimi 20 minuti di gara, quel che prevale è la suggestione di aver preso degli altri carboidrati. Può esserci un vantaggio psicologico: sappiamo infatti che oltre all’effetto sui livelli di glucosio, avere dei carboidrati nella bocca fa sì che gli appositi recettori mandino un segnale al cervello che recepisce l’energia in arrivo, anche se poi non è ancora totalmente in circolo».

La vittoria di Milan a Laval: lo sprint richiede energia disponibile anche dopo 4 ore di corsa
La vittoria di Milan a Laval: lo sprint richiede energia disponibile anche dopo 4 ore di corsa

I carbo uguali per tutti

La chiusura la affidiamo a Marco Sassi, per amore di bandiera e per tirare le somme di un confronto che più improponibile non potrebbe essere e ha invece evidenziato che puoi essere uno scalatore o un vero gigante, eppure la quota carboidrati è identica.

«Jonathan è una bomba – sorride – ha un motore enorme. Avendo inoltre una massa da atleta, non al minimo come gli scalatori ma comunque da ciclista, consuma veramente tanto e in alcune tappe arriviamo tranquillamente a superare le 7.000 calorie. Diventa una bella sfida riuscire a coprire tutte queste calorie ed è il motivo per cui non si può pensare di fare tutto in una sola giornata, ma bisogna partire prima. Dovrebbe mangiare più carboidrati in corsa, dato che ne consuma come Pogacar ed è grande il doppio? Non ci sono troppe evidenze che la quota di carboidrati dipenda dal peso. Sappiamo che a livello intestinale si può raggiungere una certa quantità. Il bello sta nel portare questo limite ancora oltre, ma non c’è proporzionalità diretta. Probabilmente è vero che una corporatura maggiore riesce ad assorbire un po’ di più, ma la parte maggiore la fanno la genetica e quanto il soggetto si sia allenato per questo tipo di assunzione».

Groves sorprende tutti. Velasco tradito da quella caduta

26.07.2025
6 min
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In quanti aspettavano questa tappa. Per tanti atleti l’ultima occasione per provarci, per altri addirittura un esame di riparazione. C’è chi in questo Tour de France non era neanche mai riuscito ad andare in fuga, pur avendo, come si dice, “carta bianca”. E così verso Pontarlier si è visto di tutto, persino un velocista, Kaden Groves, vincere in solitaria. E un grande Simone Velasco finire quarto.

L’olandese firma il tris per la sua Alpecin-Deceuninck, che quando quasi non si vede riesce comunque a metterci la firma, anche senza Mathieu Van der Poel e Jasper Philipsen. Una mezza “fagianata” quella di Groves, ma tattica e gambe hanno funzionato alla grande. I due inseguitori che parlottano e lui che s’invola.

Con una fuga solitaria di 16 km Kaden Groves conquista Pontarlier e diventa il 114° a vincere almeno una tappa in tutti e tre i GT
Con una fuga solitaria di 16 km Kaden Groves conquista Pontarlier e diventa il 114° a vincere almeno una tappa in tutti e tre i GT

Groves bravo, Velasco sfortunato

In questo bailamme di scatti e controscatti e di una lotta tremenda per entrare nella fuga, tra gli attaccanti c’era anche, come detto, Simone Velasco. L’altra mattina lui e il compagno di squadra Davide Ballerini ci avevano detto che avrebbero puntato tutto su questa tappa. Ma un conto è dirlo, un conto è farlo. Soprattutto al Tour.

«Ero ben motivato a far bene in questa tappa – ha detto Velasco – come vi avevo detto era già da un po’ di giorni che la puntavo. Ormai le occasioni al Tour non erano più tante, sono partito motivato come sempre, ma non basta la motivazione: servono anche le gambe. E oggi per fortuna c’erano. C’è un po’ di amaro in bocca perché poteva essere una buona opportunità, ma niente da dire… Siamo qua, abbiamo dimostrato di essere presenti ed è già qualcosa di molto importante».

Velasco parla di amaro in bocca: chiaramente il riferimento è alla caduta di Ivan Romeo a circa 20 chilometri dall’arrivo. Una curva verso destra, la strada bagnata, lo spagnolo va giù. Velasco è in seconda ruota e ha meno tempo di reazione degli altri… Ciononostante riesce a salvarsi, ma va lungo. E mette il piede a terra.

«Sì – riprende l’elbano della XDS-Astana – la caduta ha un po’ rotto le scatole. Guardando il bicchiere mezzo pieno, nella sfortuna sono stato fortunato a non finire in terra anche io. Non so se sia stata bravura, fortuna o qualche vecchia dote dalla mountain bike che mi ha permesso di restare in piedi, ma resta il fatto che proprio dopo quel momento hanno attaccato. A quel punto la storia per giocarsi la tappa si è fatta complicata. Qualcuno ha anticipato, qualcun altro è rientrato. Io ho provato a fare il mio meglio».

Velasco firma autografi ai bambini. Oggi era quantomai determinato ad andare in fuga
Velasco firma autografi ai bambini. Oggi era quantomai determinato ad andare in fuga

Un istante decisivo

Dal racconto di Velasco si capisce come davvero l’istante della caduta di Romeo sia stato l’ago della bilancia della Nantua-Pontarlier. Sono attimi, i corridori sono tutti al limite, basta un nulla per fare la differenza.

«Oltretutto – prosegue – ho avuto anche la sfortuna che a me non mi ha neanche spinto nessuno per ripartire. Avevo anche il rapporto lungo, venendo dalla discesa e quindi ho dovuto fare tutto da solo. E questo ha aumentato il distacco dai tre davanti. Ho ricevuto due cambi da un ragazzo della Total Energies (Jegat, ndr), ma lui ormai era “morto” perché, essendo in lotta per la classifica generale, aveva tirato tanto prima… E anche per tutti noi le energie erano quelle che erano. Niente da fare, è andata così».

«Poi – riprende Simone dopo una breve pausa – va detto che non è stata una gara che abbia brillato per tattica. Anche il Tour sembra si corra da juniores, con attacchi da tutte le parti e tattiche non sempre chiare. Ho visto uomini di classifica cadere e i loro compagni davanti attaccare».

E in effetti qualche tattica azzardata o insolita si è vista. E poi una cosa, che ci faceva notare anche Marco Marcato, diesse della UAE Emirates, parlando al mattino prima della tappa: chi attacca per primo vince.

«Anche questo è vero – conferma Velasco – e come è stato già detto durante il Tour (tra questi anche Campenaerts, ndr), le moto giocano un ruolo importante in queste occasioni. Magari dalla tv non ce se ne rende conto, ma anche oggi c’erano tante moto che facevano quasi da scudo a chi attaccava, e questo aiuta. Ma nessuna polemica: fa parte del gioco. Vorrà dire che proverò ad attaccare anche io un po’ prima la prossima volta».

Con un ottimo sprint Simone si prende la quarta piazza. Una dimostrazione ulteriore che la gamba c’era eccome
Con un ottimo sprint Simone si prende la quarta piazza. Una dimostrazione ulteriore che la gamba c’era eccome

Un Tour positivo

Velasco però il suo l’ha fatto in questa Grande Boucle. Due top ten, quattro fughe (compresa quella sul Ventoux), e buone prestazioni anche nelle prime frazioni, dove si è fatto vedere. A Boulogne sur Mer era persino nel drappello che si è giocato la vittoria.

«Direi che è stato un Tour positivo – dice Velasco – e sinceramente potevo fare ancora qualcosa di più. E’ mancato l’acuto per vincere una tappa, però è chiaro che tutti vogliono vincere una tappa al Tour: non è facile. L’importante è che ci abbiamo provato e abbiamo fatto il possibile. Forse potevamo fare qualcosa meglio nelle settimane centrali, per qualche fuga che ci è scappata, ma oggi abbiamo dimostrato comunque che quando ci siamo, siamo della partita».

Il riferimento al “qualcosa di più” è sostanzialmente alla tappa di Carcassonne, quando una caduta nelle fasi di avvio ha compromesso i piani della XDS-Astana.

«Esatto, Carcassonne – spiega Simone – sinceramente era una tappa a cui avevo veramente puntato, ma sono rimasto nella caduta e da lì in poi il gruppo si è rotto. Non sono mai più riuscito ad entrare davanti. Anche lì credo che siano un po’ dinamiche strane, perché tanti corridori di classifica cadono, rimangono coinvolti e i loro compagni davanti attaccano a tutta per andare in fuga. Credo che siamo arrivati veramente a un ciclismo esasperato. In questi casi sono della vecchia scuola, per il fair play».

Anche se oggi non ha preso punti, Jonathan Milan ha ipotecato la maglia verde. Eccolo all’arrivo scortato dai compagni
Anche se oggi non ha preso punti, Jonathan Milan ha ipotecato la maglia verde. Eccolo all’arrivo scortato dai compagni

Jonathan e Simone a Parigi

Quella di Pontarlier è anche la frazione che ha sancito un altro verdetto: la maglia verde per Jonathan Milan. Il gigante della Lidl-Trek taglia il traguardo senza festeggiare troppo. Sappiamo che è un po’ scaramantico e che aspetterà la linea bianca dei Campi Elisi per urlare… magari per la terza vittoria.

A lui, come a Tadej Pogacar e a tutti gli altri 159 corridori rimasti in corsa, non restano che 132 chilometri. Non era proprio Pogacar che contava i chilometri che restavano a Parigi? Solo che Jonny ha un impegno in più: la barba verde… Siamo curiosi di vedere come si concerà e siamo curiosi anche di vedere come andrà la sfida sul circuito con Montmartre.

Una sfida che potrebbe vedere ancora protagonista Simone Velasco. «Se domani ci provo o porto la bici all’arrivo? Visto che la gamba è buona, vediamo di essere presenti anche domani. E’ chiaro che oggi è stata una giornata veramente dura, quindi recuperare le forze non sarà facile. Però a Parigi ci sarà da fare l’ultima faticata… quindi cerchiamo di farci trovare pronti».

Le mani di Gigio e le gambe di Milan: la verde è più vicina

25.07.2025
6 min
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LA PLAGNE (Francia) – Con i 20 punti conquistati nella volata al chilometro 12,1 e scalati quelli per il terzo posto di Pogacar, il vantaggio di Milan su Tadej nella lotta per la maglia verde è ora di 80 punti. Ad assistere al traguardo volante di Villard sur Doron c’erano anche Luigi Marchioro ed Eugenio Alafaci, i due massaggiatori della Lidl-Trek incaricati dell’arrivo. “Gigio” peraltro è anche il massaggiatore del friulano, per cui quando ci raggiunge ai 500 metri dall’arrivo, il suo sorriso è di quelli ottimisti (in apertura, i due sono insieme subito dopo la vittoria di Laval). Il vantaggio è grande, non ancora matematico, ma quasi. Nel frattempo in cima al monte ha iniziato a piovere e provvidenziale si rivela l’ombrello tenuto da Alafaci. La corsa è annunciata a 65 chilometri dal traguardo, c’è il tempo per farsi raccontare il “suo” Milan.

Nella carriera precedente, “Gigio” è stato il massaggiatore di Sonny Colbrelli. Quando poi nel 2021 alla Bahrain Victorious arrivò il velocista friulano, che a quel tempo era più un pistard che un grande stradista, gli fu affidato l’incarico di massaggiarlo.

«La prima volta che me lo sono trovato sul lettino – sorride – ho pensato: mamma mia che gambe, c’è tanto da lavorare! Aveva 21 anni ed eravamo in Belgio. E gli ho detto una cosa: “Quando scendi dal lettino, fatti una foto intera delle gambe e ogni anno continua a farla e vedrai lo sviluppo”. Fino all’anno scorso lo ha fatto di sicuro, perché me lo raccontava. Johnny è buono, è una persona speciale, con cui è nato un rapporto di grande fiducia».

L’incontro con Gigio (e con lui Alafaci), a pochi metri dal traguardo di La Plagne
L’incontro con Gigio (e con lui Alafaci), a pochi metri dal traguardo di La Plagne
A parte le foto, hai visto cambiare le sue gambe?

Anno dopo anno, è sempre meglio. Dall’anno scorso, da quando è entrato qua in Lidl-Trek, c’è stato un cambiamento ulteriore dovuto alla preparazione, all’età e anche alla testa. Vive per il secondo anno in una squadra che punta su di lui e gli dà gli uomini per fare lo sprint: crescere è davvero inevitabile.

L’altro giorno gli abbiamo chiesto se gli sia sembrato più duro il Mont Ventoux oppure le Tre Cime di Lavaredo del 2023, quando arrivò in cima in maglia ciclamino dopo aver avuto la febbre. Che cosa sono per lui queste salite?

Un handicap tremendo. Mi ricordo anche l’anno scorso quando al Giro fecero per due volte il passaggio del Monte Grappa, potevano fare anche la terza… Quando tratti un velocista puro dopo una tappa con tanta salita, le gambe sono belle toste, dure, incatramate. Però è un gusto massaggiarlo, perché ti fa lavorare bene. In più, come tutti gli altri ragazzi della nostra squadra – che siano italiani, francesi o belgi – quando finisci di fargli il massaggio, anche Milan ti mette la mano sulla spalla e ti dice grazie. E quella è una soddisfazione.

Com’è fatto il massaggio di Jonathan Milan?

Un massaggio bello, profondo, intenso, perché a lui piace così. La durata varia fra un’ora e un’ora e un quarto. Lui si rilassa, il bello è quello. Soprattutto quando si gira con la pancia in giù. Mi dice: “Guarda che adesso sto pensando”. E di solito significa che sta per addormentarsi (sorride, ndr).

La salita per un atleta imponente come Milan (1,96 per 87 kg) è un supplizio: le gambe dopo le tappe più dure richiedono grande lavoro
La salita per un atleta imponente come Milan (1,96 per 87 kg) è un supplizio: le gambe dopo le tappe più dure richiedono grande lavoro
Un massaggio tutto manuale oppure anche con qualche macchinario?

No, manuale. Poche volte con la Tecar, diciamo che all’80-90 per cento è sempre manuale. Dopo aver massaggiato Johnny per un’ora, anche io mi faccio i muscoli (ride, ndr).

Si massaggia tutto il corpo in modo omogeneo oppure ci sono delle differenze?

Dipende dalla tappa. Dopo una crono, sono uno che lavora sia sulle gambe sia sulla schiena. E dipende anche dalla tappa che è stata fatta il giorno prima della crono. Perché magari lavori già sulla schiena per dare un po’ più di elasticità. E la stessa cosa si fa dopo la crono, perché la posizione non è delle più comode e bisogna rimettere in sesto la schiena.

Il primo Tour è stato una prova anche dal punto di vista muscolare? L’hai sentito diverso rispetto ad altre corse?

Sì, assolutamente, il primo Tour è tutto diverso. Fisicamente, ma anche psicologicamente. Jonathan era venuto qua con l’ambizione di vincere la prima tappa, che avrebbe significato avere la maglia gialla. Non è andata bene, ma non per colpa sua, quanto per quel ventaglio. L’obiettivo è rimasto quello di vincere più tappe possibili e prendere la maglia verde. Diciamo che siamo vicini all’averlo centrato, con due vittorie e due secondi posti, che sarebbero potuti essere anche delle vittorie.

In questa foto fornita dallo stesso Gigio, un momendo di massaggio e relax con Jonathan Milan
Il massaggiatore è ancora oggi il vero confidente del corridore o sono abitudini superate?

Secondo me, se il corridore ha fiducia nel suo massaggiatore, si confida su tutto. Sapete benissimo che ho seguito Colbrelli e ho notato la stessa cosa che ora accade con Johnny. Non è che gli chieda qualcosa, è lui che spontaneamente inizia a parlare. Forse c’entra l’età, visto che potrei essere suo padre.

Un altro dei punti fermi di una volta recita che il massaggiatore riesca a capire dalle gambe se il corridore ha il grande risultato in arrivo.

Io penso sempre che il massaggiatore sia una figura importante per il corridore. Senti il muscolo, però senti anche come ti parla, la differenza tra un giorno e l’altro. Quando è arrivato secondo era furibondo, ma il giorno prima di vincere ancora, l’ha detto: “Domani non c’è Merlier che tenga, io domani vinco!”. Johnny è un po’ un testone, ma quando le dichiara, sbaglia poche volte.

Ti ha proposto Johnny di seguirlo alla Lidl-Trek?

Sì, è andata così. Eravamo nuovamente in Belgio e mi ha chiesto se volessi seguirlo. Io ero in scadenza di contratto con la Bahrain. Mi avrebbero tenuto, ma quando Johnny me l’ha chiesto ho avuto pochi dubbi: se ti trovi bene, non c’è motivo di interrompere la collaborazione. In più c’era anche un discorso legato alla sua famiglia, che per lui è fondamentale. E a casa sua avevano notato tutti che quando ci sono io, lui è sereno e tranquillo. E da lì è nato tutto, anche per fare un’esperienza nuova in una grande squadra.

Stamattina la Lidl-Trek ha preso in mano la corsa e lanciato Milan verso la vittoria del traguardo volante di Villard sur Doron, al km 12,1
Stamattina la Lidl-Trek ha preso in mano la corsa e lanciato Milan verso la vittoria del traguardo volante di Villard sur Doron, al km 12,1
Com’è quando ti arriva addosso al traguardo?

Che vinca, che perda o che arrivi a 45 minuti, la pacca sulla spalla si dà sempre, assolutamente. Perché io penso sempre che lui faccia più fatica di quello che vince, come tutti. Arriva e dice: “Quanta fatica anche oggi, quanta fatica anche oggi!”. E io gli rispondo: “Tieni duro, che fra poco è finita. Tieni duro, che fra poco è finita”. Cosa vuoi fare? L’abbraccio è sempre affettuoso e serve per dargli un po’ di carica, di fiducia, di sostegno. Vale per qualsiasi corridore, ieri sono andato a fare i complimenti anche a Simone Consonni, perché ho visto la sua fatica.

Secondo te Milan sta soffrendo più per la maglia verde o fu più dura con la prima ciclamino, soprattutto dopo che era stato male?

Bella domanda! Secondo me, sta soffrendo più per la maglia verde. E’ un simbolo che vuole portare a casa a tutti i costi. Per questo penso che oggi all’arrivo sarà contento.

Santini celebra la storia del Tour e i 50 anni sugli Champs-Elysées

25.07.2025
4 min
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Il Tour de France per la cinquantesima volta nella sua storia arriverà su l’iconico traguardo degli Champs-Elysées a Parigi. Proprio in occasione di questo importante anniversario A.S.O. la società organizzatrice della Grande Boucle, ha deciso di cambiare il percorso dell’ultima tappa, inserendo la salita di Montmartre. Uno strappo da ripetere per un totale di tre volte e che potrebbe cambiare lo svolgimento della tappa. Però una cosa è certa, gli Champs-Elysées attenderanno il vincitore della tappa più ambita del Tour de France

Santini, che con il Tour collabora dal 2021, ha voluto celebrare i cinquant’anni di storia una collezione dedicata e una maglia: Arc de Triomphe e Dash

Design e tecnica

Quello del maglificio bergamasco è un tributo ai luoghi simbolo del ciclismo e della Grande Boucle di quest’anno. Le due collezioni si affiancano a quelle dedicate alla Grande Départ di Lille e alla Grande Départ del Tour de France Femmes Avec Zwift in Bretagna. 

Il centro della scena lo prendono le maglie Arc de Triomphe e Dash, le quali sono state realizzate con le migliori tecnologie di Santini, al fine di dare al ciclista il massimo della performance e del comfort, accompagnato da uno stile unico

Entrambe le maglie hanno alla base il tessuto Polartec Power Stretch, che dona grande comodità anche con una vestibilità slim. Le maniche a taglio vivo offrono la massima traspirabilità e aderenza alla pelle, una caratteristica importante per chi cerca la miglior performance aerodinamica. Sul fondo vita è posizionato un elastico che aiuta a mantenere le maglie nella posizione corretta anche nei momenti di massimo sforzo. Santini ha scelto di fornire le maglie Arc de Triomphe e Dash con tre tasche posteriori dal taglio classico, alle quali se ne aggiunge una quarta dotata di zip. 

La storia del Tour, e di Parigi

La maglia Arc de Triomphe vuole celebrare la maestosità dell’omonimo monumento, protagonista della tappa finale del Tour de France e compagno delle fotografie che celebrano il podio della Grande Boucle. Santini ha deciso di realizzare questo capo in due versioni cromatiche: blu e bianca. Alla maglia poi si affiancano anche gli altri capi della collezione realizzati sempre con la stessa texture. 

A completare il look arrivano i pantaloncini, realizzati in microfibra di alta qualità e che donano una sensazione morbida e leggera sulla pelle. Il tessuto elasticizzato garantisce una compressione mirata, mentre le cuciture ridotte al minimo evitano sfregamenti e irritazioni. Per il fondello è stato scelto il GITevo, il quale permette di avere un’ammortizzazione eccellente e un comfort prolungato. 

Un altro modo per celebrare un pezzo di storia del Tour de France arriva grazie alla maglia Dash. Ispirata alla Grande Boucle del 1975, anno in cui Bernard Thévenet spezzò il dominio del “cannibale” Eddy Merckx. Una maglia che vuole celebrare l’energia e l’audacia del passato, unendola a un’estetica inconfondibile. 

Santini

Roglic e Lipowitz: analisi, tattiche e speranze Red Bull

24.07.2025
5 min
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COURCHEVEL (Francia) – Nel bene e nel male, sono stati i protagonisti della giornata: parliamo dei ragazzi della Red Bull-Bora. Nel bene perché ci hanno provato, nel male perché probabilmente i piani non sono andati come si aspettavano. La carne al fuoco per la squadra tedesca non mancava: il podio, la maglia bianca, la tappa (in apertura foto ASO / Billy Ceusters).

E infatti oggi sul Glandon sono stati tra i primi ad accendere la miccia con Primoz Roglic, peccato che la loro tattica si sia scontrata con il “famigerato piano” della Visma-Lease a Bike, quel piano che vanno millantando fin dalla vigilia del Tour de France

Ma torniamo a noi e alla Red Bull. Proviamo dunque a fare un’analisi della giornata tattica in tre passaggi: la squadra, l’azione di Florian Lipowitz e quella di Roglic.

Dai chilometri finali della Madeleine fino quasi al termine della sua discesa, Florian Lipowitz è rimasto a lungo da solo
Dai chilometri finali della Madeleine fino quasi al termine della sua discesa, Florian Lipowitz è rimasto a lungo da solo

La squadra e la corsa

Come detto, la carne al fuoco non era poca e per fortuna, oseremmo dire. In fin dei conti, lo squadrone di Ralph Denk fin qui ha raccolto davvero poco: un secondo posto ieri con Jordi Meeus. Vero ci sono ancora in ballo un possibile podio e una possibile maglia bianca. Ma è relativamente poco per una corazzata simile.

E così ecco che in fuga ci va Primoz Roglic. Per la tappa e per portarsi avanti. In questo modo avrebbe chiamato allo scoperto, come poi è successo, anche Oscar Onley e gli altri immediati inseguitori nella classifica generale. In modo da far restare coperto Lipowitz.

E tutto sommato il piano architettato dal direttore sportivo Enrico Gasparotto stava andando benone. A rompergli le uova nel paniere, come detto, ci ha pensato la Visma sul Col de la Madeleine. Lì l’accelerazione di Jorgenson e Vingegaard ha distrutto il vantaggio di Roglic e messo in difficoltà Lipowitz. Il quale poi, costretto al recupero, ha speso l’ira di Dio in vista della scalata finale.

Recupero che, una volta fermatosi Jorgenson, si è trasformato in contrattacco per Lipowitz. Insomma, la squadra sin lì si era mossa bene.

Il tedesco ora conserva podio e maglia bianca per soli 22″ su Onley
Il tedesco ora conserva podio e maglia bianca per soli 22″ su Onley

La tenacia di Lipowitz

Sulla Madeleine, la risposta agli affondi di Vingegaard è costata cara a Lipowitz. Per oltre 45 minuti, la maglia bianca ha lottato in solitudine per cercare di rientrare. Quando c’è riuscito, è partito al contrattacco.

Questa azione non è stata facile da comprendere e poteva sembrava quantomeno azzardata. Ma poi, analizzando i tempi di scalata, forse si è rivelata la mossa giusta per salvare capra e cavoli, vale a dire podio e maglia bianca. Di fatto, Florian si è avvantaggiato e ha fatto tutto, ma proprio tutto, il Col de la Loze di passo, come fosse una cronoscalata.

Lipowitz ha sempre perso terreno, dal primo all’ultimo metro della Loze. Giusto quindi mettere nel sacco quei 2’20” all’imbocco dell’ultimo colle. Tanto più che Oscar Onley, a dire il vero anche un po’ a sorpresa, ha tirato fuori dal cilindro una prestazione mostruosa. Non dimentichiamo che sulla Madeleine si era staccato. Era finito nel gruppo con Vauquelin e Johannessen e quando Lipowitz è scattato l’inglese ancora era dietro. Ora l’atleta della Pic Nic-PostNL è a soli 22” da podio e maglia bianca.

«Perché ho attaccato? Ho cercato di spingermi oltre – ha detto Lipowitz a una radio tedesca – ma negli ultimi dieci chilometri ho capito che l’energia era finita. Da lì in poi è stata una vera tortura. In particolare gli ultimi due chilometri: sono stati un inferno. Sinceramente non credevo che Onley e Johannessen sarebbero rinvenuti sul nostro gruppo visto quanto erano dietro. Sono stati molto forti, quindi mi tolgo il cappello davanti a loro. Anche Roglic è andato forte. Dovremo fare un piano per domani».

Roglic (con a ruota Onley) potrebbe essere l’ago della bilancia di questa doppia sfida. Siamo curiosi di vedere come andrà domani
Roglic (con a ruota Onley) potrebbe essere l’ago della bilancia di questa doppia sfida. Siamo curiosi di vedere come andrà domani

L’esperienza di Roglic

Di certo l’avvicinamento di Roglic a questo Tour de France non è stato dei migliori. Si è ritirato dal Giro d’Italia con più botte che tappe fatte… e aveva già due settimane di corsa nelle gambe. Poi i vari malanni quando era in altura a Tignes. Eppure eccolo lì: è quinto nella generale. E’ andato benissimo nelle due cronometro e oggi, a un certo punto, è stato anche sul podio virtuale della Grande Boucle.

Nella discesa dalla Madeleine, nonostante fosse stato in fuga, per qualche breve tratto si è anche messo a disposizione di Lipowitz. E’ successo in un paio di occasioni, quando Felix Gall aveva provato a scappare.

Forse neanche lui si aspettava un Onley così forte nel finale. Roglic ha pagato dazio negli ultimi tre chilometri del Col de la Loze, incassando quasi 50” da Onley. Però… C’è un però che rende il bicchiere mezzo pieno per Roglic e per la Red Bull-BORA. Stamattina al via da Vif, per lo sloveno il podio distava 2’39”, stasera 1’48”.

E sì che i due ragazzini che ha davanti, uno dei quali è il suo compagno Lipowitz, potrebbero pagare le fatiche di oggi sommate a quelle di domani, con altri 4.500 e passa metri di dislivello. Roglic è uno che esce alla distanza.

Insomma, la sfida per il podio e per la maglia bianca è apertissima e super intricata. Immaginiamo che questa notte il direttore sportivo Enrico Gasparotto avrà più di qualche pensiero per difendere podio e maglia bianca. O per attaccare…