EDITORIALE / Quando anche i giganti hanno paura

10.03.2025
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Dovunque vada, Pogacar vince. Le eccezioni rafforzano la regola. A partire da gennaio 2024, lo sloveno ha… fallito appena due volte. Alla Milano-Sanremo, chiusa al terzo posto. Poi nel Grand Prix Cycliste de Quebec, in cui è arrivato settimo. Tolta la Tre Valli Varesine annullata per avverse condizioni meteo e problemi di sicurezza, le altre le ha vinte tutte. Parliamo di Strade Bianche, Catalunya, Liegi, Giro, Tour, Montreal, mondiale, Giro dell’Emilia, Lombardia, UAE Tour e ancora la Strade Bianche. Si può capire che gli altri ne abbiano paura.

Non si vuole dire che il ciclismo nell’era Pogacar risulti monotono, ma di certo – rischiando le ire dei suoi tantissimi tifosi – sarebbe auspicabile assistere a un minimo contraddittorio, che renderebbe le sue vittorie più emozionanti e lo spettacolo meno prevedibile.

Chiappucci contro Indurain, una sfida impari che però ha dato spesso il sale a Tour e Giro
Chiappucci contro Indurain, una sfida impari che però ha dato spesso il sale a Tour e Giro

I dominatori del passato

L’esperienza personale e diretta di un così grande dominatore, sia pure meno vorace, risale agli anni di Indurain. Era un altro ciclismo, lo spagnolo lasciava le classiche ai corridori più adatti e vinceva in serie il Giro e il Tour. Imbattibile, inattaccabile, educato e spietato. Qualcuno ci provava in Francia, qualcuno in Italia. Bugno, Chiappucci e per un po’ anche Chioccioli andavano all’assalto, ma alla fine neanche ci provavano più, vittime della paura e stanchi d’essere piegati.

Tolta la grande impresa di Chiappucci al Sestriere nel 1992, le corse seguivano lo stesso schema di attacchi spesso spuntati sull’ultima salita. E Indurain intanto dominava e probabilmente ringraziava, fino all’arrivo di Pantani che, sconfiggendolo e piegandolo, conquistò i cuori degli sportivi che dopo un po’ si erano anche stancati di quel dominio.

L’attacco di Pidcock ha acceso la Strade Bianche e messo pressione su Pogacar, vivacizzando il finale
L’attacco di Pidcock ha acceso la Strade Bianche e messo pressione su Pogacar, vivacizzando il finale

Il coraggio di Pidcock

Alla Strade Bianche è successo qualcosa di inatteso: qualcuno ha riposto la paura e ha attaccato Pogacar. Lo ha fatto Pidcock, pur sapendo probabilmente di essere sconfitto nel momento stesso in cui ci ha provato. Eppure la sua presenza e le ammissioni successive di Pogacar hanno dimostrato che in determinate circostanze il solo modo per tenere aperta mezza porta sul risultato a sorpresa sia mettere pressione al campione.

Lo ha detto Tadej, appunto, nella conferenza stampa dopo la vittoria. Avere a ruota uno che è stato campione del mondo e olimpico di mountain bike e campione del mondo di ciclocross lo ha spinto probabilmente a osare di più in discesa, fino all’errore e la caduta. Dinamiche che fanno parte del gioco, come la sua reazione da campione assoluto che si è rialzato e ha rimesso a posto i tasselli del mosaico. Lo stesso Mauro Gianetti, il grande capo del UAE Team Emirates, si è accorto delle novità e si è complimentato con il britannico del Q36.5 Pro Cycling Team.

Van der Poel ha debuttato a Le Samyn, attaccando e poi vincendo. Poteva correre a Strade Bianche? Probabilmente sì
Van der Poel ha debuttato a Le Samyn, attaccando e poi vincendo. Poteva correre a Strade Bianche? Probabilmente sì

La paura di Van der Poel

Non si tratta di fare tifo contro, ma a favore del ciclismo. Affinché la Sanremo si trasformi nella più bella corrida, la Liegi proponga il confronto di alto livello con Evenepoel e magari il Tour mostri un Vingegaard finalmente a posto.

I mancati incroci per motivi di salute sono inevitabili. I mancati incroci per opportunità o paura di rimetterci la faccia sono la piaga di questa fase. Se alle spalle di Pogacar oltre a Pidcock ci fosse stato un altro campione del mondo di ciclocross, dopo la caduta forse lo sloveno non sarebbe rientrato. E Pidock e Van der Poel, collaborando, si sarebbero giocati la corsa. VdP ha avuto paura di fare una figuraccia? E’ possibile, molto possibile. La sua squadra ha preferito risparmiarsela e risparmiargliela? E’ altrettanto possibile. Chissà che fastidio avrà già addosso l’olandese al pensiero che Pogacar possa davvero sfidarlo anche alla Roubaix dopo averne subito la lezione nell’ultimo Fiandre corso insieme.

Lo abbiamo detto in apertura: dovunque vada, Pogacar vince. Gli altri, evitandolo, gli rendono semplicemente la vita meno complicata. Gli organizzatori, disegnando corse sempre più dure remano contro la possibilità di uno spettacolo aperto. Aspettiamo dunque la Sanremo, il primo scontro senza grandi assenti, sul percorso meno scontato di tutti.

Pidcock non ha sbagliato nulla. E’ stata “solo” questione di motore

08.03.2025
5 min
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SIENA – Quando chiediamo a Tom Pidcock se si aspettasse questa sfida con Tadej Pogacar, lui replica con un secco: «E con chi altro?». Ma forse la domanda andava girata. Forse sarebbe stato meglio chiedergli se si aspettasse di tenere così a lungo le ruote del campione del mondo. Era chiaro che lo sloveno ci sarebbe stato.

In ogni caso, quello che abbiamo potuto vedere a Siena nel dopo gara è un Pidcock realista. Di certo non contento per il secondo posto, perché uno come lui è nato per vincere o per correre con l’idea di vincere. Ma neanche così dispiaciuto.

«Sono contento di essere stato l’unico che è riuscito a seguire Tadej, ma nel finale è stato troppo forte per me». Alla fine, quello che doveva fare lo ha fatto. È andato via con il numero uno e solo un suo affondo potente ai 18 chilometri dall’arrivo lo ha messo fuori gioco. Questione di motore. C’è poco da fare.

Pogacar e Pidcock una volta rimasti soli, ma anche prima con Swift, non hanno affondato il colpo. «Ritmo comodo», ha detto Tom
Pogacar e Pidcock una volta rimasti soli, ma anche prima con Swift, non hanno affondato il colpo. «Ritmo comodo», ha detto Tom

Vado o non vado?

«La corsa è andata come mi aspettavo – spiega Pidcock – siamo andati abbastanza veloci per tutta la gara, quindi sono contento che tutto sia andato bene».

E poi si arriva al momento clou: la caduta che avrebbe potuto cambiare tutto. È vero che dopo lo ha atteso, ma è anche vero (e dalle immagini TV si è visto benissimo) che dopo la scivolata di Pogacar e il dritto di Swift, lui si volta e decide di proseguire. Il che è legittimo, non lo biasimiamo, sia chiaro. La gara è gara. Specie contro un atleta pressoché imbattibile come Pogacar, si sfrutta ogni possibilità.

«Per un po’ – dice Pidcock – ho pensato di andare. Ho guardato dietro e né Tadej né Swift c’erano. Però poi ho pensato anche che c’erano ancora 50 chilometri da fare e che ero da solo, con solo mezzo minuto di vantaggio. A quel punto sono tornato sui miei passi e ho aspettato. Ed è stata la cosa giusta. Quando è rientrato, ho visto le sue ferite e si capiva l’impatto che aveva subito».

Qualcuno gli chiede se questo Pogacar sia un superuomo e, se lo aprissero, cosa si aspetterebbe di trovare. Lui glissa e dice: «Mi aspetto di trovare qualcosa di normale, un corpo, delle ossa…».

L’inglese ha preferito usare la Scott Addict, più adatta agli scalatori, che la più rigida Foil, la bici aero, scelta invece da altri compagni
L’inglese ha preferito usare la Scott Addict, più adatta agli scalatori, che la più rigida Foil, la bici aero, scelta invece da altri compagni

Pidcock coraggioso

Una cosa è certa: oggi Pidcock ha dimostrato grande coraggio. Attributi che gli avevano chiesto di mostrare il giorno prima. Alla fine, in questi due giorni senesi, l’inglese ci è parso molto concreto, passateci il termine. Pochi fronzoli, pochi sorrisi, ma neanche musi lunghi. Si è presentato in mixed zone e ha risposto a non si sa quante interviste, forse anche più di Pogacar. In fin dei conti, la notizia, l’outsider che avrebbe tenuto in piedi la tensione della competizione, era lui. E lo stesso atteggiamento lo aveva dopo il traguardo.

Ancora Tom: «Non si trattava di avere gli attributi, si trattava semplicemente di seguire il piano. E il piano non era attaccare a Monte Sante Marie, ma solo seguire Tadej quando avrebbe attaccato. Sapevo che sarebbe partito di lì a poco. Si vedeva che stava aspettando il momento giusto, e così ho pensato di andare io». Insomma, la dinamite era pronta, lui ha solo acceso la miccia.

Pidcock, come la netta maggioranza degli atleti in gara, ha utilizzato gomme da 30 millimetri (i tubeless Vittoria), ruote a profilo medio-alto e, contrariamente a molti altri, non aveva un manubrio strettissimo, specie se rapportato alla propria altezza e quindi alla larghezza delle sue spalle. E questo, sullo sterrato, è un bel vantaggio: allarga la base d’appoggio.

«Siamo a posto, Tom sta bene, ci farà divertire», ci aveva detto Gabriele Missaglia prima di salire in ammiraglia e schierarsi per l’allineamento.

Il saluto, un po’ sconsolato, di Tom sul traguardo dice tutto. Ha incassato 1’24” da Pogacar, però ha guadagnato terreno su Wellens
Il saluto, un po’ sconsolato, di Tom sul traguardo dice tutto. Ha incassato 1’24” da Pogacar, però ha guadagnato terreno su Wellens

I pensieri della sera

Cosa passa nella mente di un atleta che deve sfidare il più forte corridore, forse, di tutti i tempi? Come va a dormire? È un onore o un onere? Paura o adrenalina?

«Pensavo che alla fine questo duello sarebbe stato una gioia. Questo è ciò che speravo. Sapevo di essere in buona forma, penso che sia la migliore condizione che abbia mai avuto ed è stato bello essere in lotta così a lungo con lui. Ho fatto una delle mie migliori performance. Mi sentivo molto bene oggi. Quando hai ancora 70 chilometri da fare e attacchi, è perché stai bene. Sapevo che sarebbe stata una lunga gara, ma ero “comodo” con quel passo che abbiamo tenuto in due. Sono sincero, spesso quando siamo rimasti da soli davanti ero in Z2».

Riassumendo, il coraggio c’è stato, la parte tattica anche, le gambe? Assolutamente sì, lui stesso ha parlato di miglior condizione di sempre. E quindi? come detto all’inizio questione di motore: stop. Quindi c’è da allargare le braccia, incassare e continuare a lavorare. Cosa che tutto sommato ha detto anche Tom: «Ho fatto dei passi avanti quest’anno e posso dire di stare andando nella direzione giusta. La nuova squadra, il nuovo allenatore, il nuovo nutrizionista, tutte queste novità sono arrivate solo a dicembre, sono passati solo tre mesi». Vale la pena continuare a sperare insomma…

Strade Bianche, ancora Pogacar. Ma stavolta col brivido…

08.03.2025
6 min
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SIENA – «Credo che se lo chiedete a qualsiasi corridore – dice Pogacar con un sorriso che sa di esperienza – vi dirà che almeno una volta ha avuto una caduta come la mia. Per me non è stata la prima, forse la terza. Ma a prescindere da questo, sarebbe stato un peccato se avessi buttato via tutto il lavoro della squadra…».

Il campione del mondo ha qualche cerotto. Quelli sui polpacci si vedono, gli altri si intuiscono sotto il giubbino iridato. Con 40,705 chilometri all’ora, è stata la Strade Bianche più veloce di sempre, più di quella del 2023 vinta da Pidcock. Questa era più lunga e il vincitore è anche finito in un prato, rischiando di rompersi l’osso del collo. E’ un giorno che Pogacar ricorderà a lungo: forse non quello della vittoria più bella, ma di certo di quella più sofferta.

Sin dal mattino si scherzava su quale sarebbe stato il punto del suo attacco: se su Monte Sante Marie oppure nel settore precedente di Serravalle. E quando Pidcock ha rotto gli indugi sul primo, Tadej si è affrettato ad andargli dietro. Non è parso sorpreso, forse davvero non aveva in animo di vincere con un’impresa delle sue. Però ha raccolto la sfida e si è allontanato con il britannico che al Q36.5 Pro Cycling Team ha ritrovato la spavalderia dei bei tempi.

Un momento di panico

La caduta ha fatto scorrere un brivido lungo la schiena di tutti. Pogacar deve essersi accorto di essere arrivato lungo in quella curva, ha pinzato l’anteriore e la ruota si è girata, facendolo andare giù a peso morto. Il colpo è arrivato anche al casco, gli occhiali si sono girati e Tadej è scivolato a grande velocità verso la banchina. Ha schivato un segnale stradale e si è fermato nel prato. Per molto meno altri non sono più qui tra noi, per molto meno lui stesso alla Liegi del 2023 si ruppe uno scafoide. Invece si è rialzato, ha fatto un rapidissimo check ed è ripartito.

«Sto bene, grazie – dice con un sorriso – grazie per averlo chiesto. Quando sono caduto nella mia mente c’è stato un momento di panico. Però mi sono rialzato, ho visto che potevo riprendere la bici, ho visto che il mio orologio era a posto e anche il computerino. Ho avuto un sacco di pensieri, ma la prima cosa è stata ripartire. Ho provato a tornare davanti perché per questa gara avevamo lavorato tanto».

Pidcock allunga e Pogacar rilancia: il britannico capisce subito che sarà dura
Pidcock allunga e Pogacar rilancia: il britannico capisce subito che sarà dura

Ha chiesto scusa

Pidcock davanti non si è fermato, non ci ha pensato neanche. Ha provato a tenere duro, poi forse aggiornato dall’ammiraglia, ha capito che l’altro stava andando a velocità doppia e che i chilometri fino al traguardo fossero ancora troppi. Perciò, voltandosi e vedendolo arrivare, ha pensato bene di tirare il fiato e recuperare preparandosi per lo scontro finale.

«Quando sono tornato su Pidcock – racconta Pogacar e un po’ ci colpisce – gli ho chiesto scusa. E’ stato un mio stupido errore e poteva finire molto male per tutti davanti, per lui e anche per Swift. Tom mi ha guardato ha detto che stava bene e mi ha chiesto se stessi bene anche io e così abbiamo continuato. So di essere stato fortunato, magari questo d’ora in poi diventerà il mio soprannome: “Lucky guy!”.

«Non so quanto mi abbia aspettato, di certo l’ho visto voltarsi sulla cima della salita quando gli sono arrivato vicino. Forse ha pensato che fosse ancora troppo lunga per andare da solo e avrà pensato che sarebbe stato meglio andare via insieme. Non ne abbiamo parlato, ma so che lui ha rispetto per me e io ne ho per lui. Oggi è stata davvero una classica e anche in questi frangenti così estremi, abbiamo mostrato una grande correttezza».

La pressione di Pidcock

Quella che non gli manca mai è l’ironia. Dopo l’arrivo si è fermato. Ha abbracciato gli uomini della sua squadra con quell’entusiasmo ogni volta così schietto da strapparci il sorriso. Poi ha aspettato Pidcock e alla fine anche Wellens, al culmine di una giornata da incorniciare. Ha risposto alle domande delle televisioni. Si è fatto medicare prima di salire sul podio. Poi si è prestato all’ultimo incontro con i media, prima di tornare al bus e di lì in albergo. Eppure quella caduta resta nelle domande e anche Tadej ci torna sopra.

«Probabilmente aver avuto Pidcock alle spalle – dice – potrebbe avermi spinto a commettere quell’errore. Non è facile andare in discesa sapendo che hai dietro un campione del mondo di mountain bike, campione olimpico di mountain bike e campione del mondo di ciclocross (ride, ndr). Mi ha messo sotto pressione, perché ho dovuto dimostrargli di essere bravo anche io e credo di averlo fatto. Ma non andrò mai con lui in mountain bike. Avevo pensato di attaccare al primo passaggio su Colle Pinzuto, ma la caduta mi ha impedito di farlo.

«Ho sperato che l’inseguimento non mi costasse troppe forze. Fortunatamente non mi sono rotto nulla, alla fine niente di serio. Sapevo che avrei dovuto provare in quel settore, perché le Tolfe sarebbe stato più adatto a Tom, dato che è più corto. Per cui ho fatto uno scatto ed è stato sufficiente».

Due italiani nei primi 20

La sua esultanza in cima allo strappo finale di Santa Caterina è stata quella del goleador. La gente lo ha abbracciato e sospinto, riconoscendo in quelle ferite e quelle lacerazioni un valore aggiunto che finora non aveva mai visto.

Nessuna vittoria è facile, quella che viene avendo in bocca il gusto del proprio sangue vale indubbiamente di più. La terza Strade Bianche di Tadej Pogacar va in archivio con Formolo e Vendrame nei primi venti. La sua prossima tappa sarà la Milano-Sanremo. E chissà che già da stasera nello squadrone non si torni a parlare della Roubaix.

Ballan: «Hirschi e Pidcock i principali outsider di Pogacar a Siena»

05.03.2025
4 min
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La Strade Bianche ha già il suo favorito numero uno ed è… il numero uno. Tadej Pogacar arriva a Siena con l’intenzione di prendersi la terza vittoria nella corsa toscana, un trionfo che lo proietterebbe a pari merito con Fabian Cancellara e che lo porterebbe diretto all’intitolazione di un settore sterrato in suo onore. Un’eventualità curiosa, considerando che come pure lo svizzero lo sloveno continuerebbe a correre e potrebbe ritrovarsi a transitare su un tratto che porta il suo nome.

Ma il focus di questo articolo non è Pogacar, bensì chi potrebbe dargli filo da torcere. Chi potrebbe emergere in questa edizione della Strade Bianche. Un tema che abbiamo approfondito con Alessandro Ballan. L’ex campione del mondo ha studiato con attenzione la starting list e ci ha fornito i suoi outsider più credibili per la classica del Nord più a Sud d’Europa.

Alessandro Ballan fu secondo nel 2008 a Siena alle spalle di Cancellara
Alessandro Ballan fu secondo nel 2008 a Siena alle spalle di Cancellara
Alessandro, chi possono essere dunque i principali rivali di Pogacar?

A guardare bene la start list, devo dire che poi non sono tantissimi, anzi… Tuttavia ho individuato due nomi in particolare: Tom Pidcock e Marc Hirschi (nella foto di apertura, ndr). Due che possono andare bene su questo percorso, che sono adatti alle classiche…

Perché Pidcock?

Pidcock perché ha vinto la Strade Bianche nel 2023 e già due gare quest’anno. Inoltre sappiamo che ha le qualità tecniche per affrontare i settori sterrati al meglio. Ha una grande facilità di guida. E poi sta bene. Le due vittorie, la nuova squadra… Di certo è uno dei grandi rivali. Se si presentasse l’andamento tattico dell’anno scorso, con Pogacar che scatta nella discesa di Monte Sante Marie, potrebbe rivelarsi pericoloso e seguire Tadej. Poi è chiaro tutto dipende da Pogacar.

E Hirschi?

Hirschi invece perché ha esperienza e può essere un cliente scomodo nei finali più tirati e duri. Anche lui è un atleta adatto a queste corse. L’anno scorso (quando era ancora in UAE Emirates, ndr) ha fatto vedere grandi cose, ha ottenuto numerose vittorie, alcune anche importanti. Quindi avrebbe le qualità per stare davanti. Però gli manca Alaphilippe, il quale dovendo fare la Parigi-Nizza non può essere alla Strade Bianche. Due così avrebbero consentito di correre in modo diverso.

Abilissimo nella guida e con ottime gambe: per Ballan, Pidcock è forse l’antagonista numero uno di Pogacar
Abilissimo nella guida e con ottime gambe: per Ballan, Pidcock è forse l’antagonista numero uno di Pogacar
Altri nomi? Noi abbiamo pensato a Kwiatkowski: anche lui l’ha già vinta e anche lui è tornato al successo quest’anno…

Certo anche lui, ma penso più all’insieme della EF Education-EasyPost. Loro hanno un roster molto interessante con Healy, Carapaz, Valgren e altri bei nomi. E un’altra buona squadra mi sembra la XDS-Astana, soprattutto perché ha Bettiol e Ulissi. Se parliamo di italiani loro due sono senza dubbio i nostri atleti più quotati.

Senza Pogacar, che corsa vedremmo?

Sarebbe una corsa completamente aperta, con più scenari e anche più combattuta. Così invece gli altri lasceranno che sia lui a fare la gara. Pogacar, quando partecipa, toglie ogni spazio agli altri, vince tutto quello che può vincere. Bisogna capire se sia una sua strategia o suna scelta di squadra, ma il risultato non cambia: se sta bene, domina. E’ un piccolo Merckx.

Quale potrebbe essere la tattica per batterlo? Come si può fare la classica imboscata?

Bisognerebbe anticipare di molto. Se si attende il finale, non ci sono molte possibilità. La chiave potrebbe essere un attacco di squadra, ma un attacco con dentro uomini interessanti e possibilmente con dentro uno o due uomini forti della UAE Emirates. Forse, ma solo forse, potrebbero attendere, lasciare fare. Perché tra le altre cose Pogacar ha anche la squadra più forte. Io ero sul posto l’anno scorso. Nel settore prima di Monte Sante Marie, dove lui ha attaccato, rimasi colpito dal fatto che tutti fossero affaticati mentre gli UAE spingevano forte, senza problemi e Pogacar ancora meglio dei suoi compagni.

Non solo Healy, la EF può contare anche su Rui Costa, Valgren e Carapaz
Non solo Healy, la EF può contare anche su Rui Costa, Valgren e Carapaz
Insomma è dura trovare outsider davvero tosti…

Eh sì. La realtà è che Pogacar c’è e vuole vincere. Alla fine, tutto dipende dalla sua condizione. Ormai, quando lui è al via, l’esito è quasi scontato, a meno che non si parli di un grande Giro dove ci sono altri corridori come Vingegaard a fargli da rivali.

Abbiamo fatto alcuni nomi, a partire da Pidcock e Hirschi, pensiamo anche a un corridore come Pelayo Sanchez, per dire, ma chi potrebbe essere la sorpresa totale della corsa?

Difficile dirlo, ci sono alcuni nomi interessanti, anche qualche giovane che ancora non abbiamo ben inquadrato. La Strade Bianche è una corsa che spesso regala sorprese.

A tu per tu con l’iridato Hatherly. Che su strada ci sa fare, eccome…

23.02.2025
6 min
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Nel 2024 le sfide fra Pidcock e Hatherly nella mountain bike sono state per certi versi il leit motiv della stagione, contraddistinguendo anche la gara olimpica con il britannico primo e il sudafricano terzo. Dopo, però, Hatherly ha completato la sua stagione portando a casa sia la Coppa del Mondo che il titolo mondiale di cross country. Nel frattempo maturava la sua decisione di mettersi alla prova nel ciclismo su strada, accettando la proposta della Jayco AlUla.

Ha fatto quindi un certo effetto rivederlo, a inizio stagione, protagonista all’AlUla Tour sfidarsi proprio con Pidcock, riproporre quel confronto serrato ma con bici diverse. E se la vittoria del britannico poteva anche essere messa in preventivo conoscendo la sua esplosività e la sua fame di vittorie su strada, la prestazione del sudafricano ha sorpreso, con due podi, 6° posto finale e, pochi giorni dopo, la conquista del titolo nazionale a cronometro.

Il podio della Mtb a Parigi con Hatherly terzo insieme all’oro di Pidcock e a Koretzky (FRA)
Hatherly sul podio a Parigi 2024, terzo nella gara vinta ancora da Pidcock, come 3 anni prima

Un esordio inaspettato

Intercettato in Spagna, alla Vuelta a Andalucia (sfortunata e chiusasi in anticipo), Hatherly si è sottoposto di buon grado alla sua prima intervista da “stradista”, partendo dalle sue aspettative dopo un cambio così profondo.

«Mi sono preparato molto bene per questa scelta. Ho riposato meno degli altri anni a fine stagione, proprio perché con la squadra avevamo stabilito di essere subito in gara. E io volevo iniziare col piede giusto, mettermi subito alla prova. E’ andata davvero bene per me, ma sapevo che la potenza c’era. Si trattava più di posizionamento e apprendimento di nuove tecniche, ma se tutto andava liscio, sapevo che un risultato era possibile».

Che cosa ti ha convinto a passare alla strada?

Penso di aver appena raggiunto un punto della mia carriera in cui volevo imparare di nuovo, uscire dalla mia zona di comfort. Era l’occasione perfetta per mettermi alla prova. E penso che questo mi renderà un atleta migliore nel progetto a lungo termine che mi aspetta e che è focalizzato sulla conquista della medaglia d’oro alle Olimpiadi.

Il sudafricano all’AlUla Tour, dove ha colto due podi finendo 6° in classifica. Davanti, ancora Pidcock…
Il sudafricano all’AlUla Tour, dove ha colto due podi finendo 6° in classifica
Avevi già corso gare negli ultimi due anni, ma era un Hatherly diverso da quello di oggi?

Sì, di sicuro. Penso di essermi sviluppato come atleta negli ultimi due anni, solo ora sto raggiungendo l’apice della mia carriera. Penso di avere ancora molto da migliorare, ma il mio motore sta diventando sempre più potente e la strada è fondamentale in questo. Sai, in passato non mi sono concentrato molto sulle corse su strada. E’ stato più un esercizio di allenamento, ma ora ci ho preso gusto, al di là del contratto. Mostrerò ancora di più col passare del tempo.

In mountain bike sei il campione del mondo, su strada che corridore pensi di poter diventare, da classiche o da corse a tappe?

Non so dare una risposta, non saprei indicare una categoria che mi calzi a pennello, ma se dovessi indovinare ora dalle poche gare che ho fatto, mi piace molto la salita e le corse a tappe in particolare. Penso che quel tipo di gara e quel tipo di lavoro di squadra mi si addicano. Ma nonostante tutto, non vedo l’ora di partecipare ad alcune delle gare di un giorno in calendario, come le classiche delle Ardenne. Saranno un bel test per vedere come me la cavo nelle gare di un giorno.

Alan ha trovato grande aiuto fra i compagni di squadra, che hanno subito visto le sue qualità
Alan ha trovato grande aiuto fra i compagni di squadra, che hanno subito visto le sue qualità
Essere un biker ti dà qualcosa di più?

Sì, penso che la maneggevolezza della bici sia davvero elevata. L’esperienza accumulata in mountain bike mi dà un po’ di sicurezza per essere molto preciso e rilassato durante le manovre e penso che forse il più grande vantaggio sia essere davvero esplosivo e in grado di mantenere alta potenza per un lungo periodo di tempo, perché ovviamente nella mountain bike non ci sono tante tattiche di squadra, è uno sport più individuale, quindi penso che quel background mi aiuterà davvero ad andare avanti, in quanto sono in grado di sostenere gli sforzi a lungo ed essere abbastanza esplosivo per farcela.

Sei stato il più grande sfidante di Pidcock lo scorso anno, ora te lo sei ritrovato davanti su strada all’AlUla Tour. Nella vostra sfida hai trovato qualcosa di diverso?

Non poteva essere la stessa cosa, per me la strada è ancora molto nuova. Penso di dover ancora pagare dazio su strada a uno come lui, imparare le basi. Lì la differenza si è vista. Ma penso che il tempo giochi dalla mia parte, presto saremo anche lì ad armi pari. Già nelle prossime gare voglio essere più vicino.

Le sue vittorie stanno riportando attenzione sul ciclismo nel suo Paese
Le sue vittorie stanno riportando attenzione sul ciclismo nel suo Paese
Qual è la situazione del ciclismo sudafricano?

Non ci sono più così tanti corridori nel World Tour. Io, Ryan Gibbons e poi ci sono alcuni ragazzi nelle squadre professsional. Abbiamo molte gare locali, ma quelle di alto livello non sono più così tante in Sud Africa. Penso che siano solo i campionati nazionali a cui si danno punti e il resto è tutto non UCI. Quindi è abbastanza dura trovare spazio, affermarsi, colmare il divario tra le gare sudafricane e quelle internazionali. Quindi sono davvero fortunato ad aver potuto gareggiare a livello internazionale in mountain bike a un livello così alto che la transizione non è stata troppo difficile.

Molti dicono che la mountain bike internazionale è in crisi, pochi soldi e poca attenzione dei media. Tu che cosa ne pensi?

Non sono d’accordo. Penso che si stia sviluppando abbastanza velocemente. Sta diventando molto elitaria, con un approccio più di tipo F1. Ovviamente ci sono stati anche alcuni cambiamenti di regole, ora devi essere tra i primi 100 classificati UCI o nella squadra MTB UCI Elite per gareggiare in Coppa del Mondo. Con meno partecipanti, per la TV potrebbe essere una gara più ricca di azione.

Hatherly in trionfo ai mondiali di mtb 2024. Ora vuole ripetersi in Kansas, ma dopo la stagione su strada
Hatherly in trionfo ai mondiali di mtb 2024. Ora vuole ripetersi in Kansas, ma dopo la stagione su strada
Che cosa ti proponi quest’anno e continuerai a dividerti con la mountain bike?

Sì, il mio obiettivo principale per quest’anno è essere già a un buon livello nelle gare su strada. Voglio davvero ottenere buoni risultati prima di tornare alla mountain bike, che mi accompagnerà da maggio in poi per gareggiare in Coppa del Mondo e concentrarmi per la conferma del mio titolo mondiale di mountain bike in Kansas a fine estate. Su strada vorrei centrare una Top 10 in una gara importante, poi i sogni non hanno confini… Penso che forse con un po’ più di esperienza sarò in grado di farcela, ma non si sa mai. Imparo abbastanza in fretta. Quindi non vedo l’ora di affrontare questa sfida.

Dopo la tua prima esperienza, hai pensato che forse era il caso di cambiare prima verso il ciclismo su strada?

Non mi pongo il problema. E’ stato molto difficile ottenere un’opportunità. La maggior parte delle squadre mi vedevano già troppo vecchio, mettici anche il fatto che non avessi alcuna esperienza internazionale, semplicemente non erano disposte a correre il rischio. Le mie vittorie mi hanno aperto le porte, ora voglio ripagare tanta fiducia.

Due super biker in gruppo: Hatherly e Pidcock. Palla a Celestino

08.02.2025
6 min
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In questo ciclismo stellare e fatto di super campioni, ci sono storie tecniche che fanno esaltare gli appassionati. Recentemente all’AlUla Tour si sono scontrati due grandissimi della mtb. Ma come, direte voi, due biker in una gara su strada? Oltre a Tom Pidcock, che tra l’altro ha vinto l’intera gara, c’era Alan Hatherly, sudafricano passato nelle fila della Jayco-AlUla.

Con Mirko Celestino, cittì della nazionale di mtb e grande ex sia delle ruote grasse che della strada, abbiamo fatto un paragone tra i due. Un confronto che ci ha consentito di conoscere meglio Hatherly. Alla fine, nel discorso è stato chiamato in causa, seppur marginalmente, anche Mathieu Van der Poel, ma il confronto con Celestino ha messo in evidenza ancora una volta la bellezza del ciclismo quando si ha a che fare con dei veri campioni del pedale. Questa commistione tra strada e mtb resta, e forse diventa sempre più, affascinante.

Mirko, un altro grande biker che passa su strada. Che tipo di atleta è Hatherly e che stradista può diventare?

Alan Hatherly è sempre stato un atleta di alto livello, ma quest’anno ha fatto il vero salto di qualità. Quando raggiungi certi risultati significa che hai maturato una crescita sia fisica che mentale che ti rende pronto per qualsiasi sfida. Io condivido questa sua scelta di provare la strada. Alla fine, sappiamo che per molti biker il sogno è la strada, quindi se c’è la possibilità è giusto provarci.

Chiaro…

Abbiamo visto alcuni tentativi falliti o non super, come quello di Nino Schurter o più recentemente di Victor Koretzky, tornati entrambi alla mtb. Ma ogni atleta ha una storia a sé. La mtb e la strada sono due mondi diversi. Personalmente, se dovessi tornare indietro, rifarei la stessa scelta: prima la strada, poi la mtb. Ma sono stato felice di aver cambiato disciplina a 33 anni, perché ho potuto capire le differenze tra i due mondi.

Secondo Pinotti, Hatherly potrebbe essere adatto anche alle cronometro (ha vinto il titolo nazionale). Ha le doti per emergere in questa specialità?

Un biker ha un’esplosività naturale che può tornare utile nelle cronometro, nei prologhi e nelle tappe in cui si parte subito forte. La mtb non lascia spazio a calcoli: devi partire a tutta e arrivare più forte possibile. Questo può essere un vantaggio su strada. Insomma, non è così strano che un biker vada bene a crono. Gli atleti della mtb sono abituati a pedalare da soli, a sostenere un impegno costante. Non so dire con certezza come potrebbe cavarsela su una crono lunga, ma in un prologo o in una crono breve potrebbe dire la sua.

Confrontando Pidcock e Hatherly, che differenze tecniche e fisiche ci sono tra i due?

Sono entrambi molto capaci tecnicamente, ma Pidcock ha impressionato di più, perché pur facendo poche gare di mtb riesce a fare la differenza anche sul tecnico. Sotto questo aspetto lo vedo più forte persino di Van der Poel e di molti biker puri.

E Hatherly invece?

Alan non è mai stato un biker da acrobazie estreme, non è mai stato il più spettacolare, ma ha altre doti. Quest’anno ha dimostrato di avere un’accelerazione sugli strappi e una progressione notevole. Per questo lo vedrei bene anche su strada, perché ha caratteristiche simili a Pidcock.

Tra i due, chi è più scalatore?

Pidcock senza dubbio è più adatto alle montagne. Hatherly ha più esplosività e forza. Posto che comunque sono relativamente simili, anche se il sudafricano è un po’ più alto (8 centimetri, ndr).

Se dovessi paragonare Hatherly a un corridore su strada, a chi lo accosteresti?

Fatte le dovute proporzioni, cosa che va premessa, direi che ha caratteristiche che lo avvicinano a Van der Poel. Ha esplosività e forza, mentre Pidcock è scattante ma anche è più scalatore.

E mentalmente, come li sembrano? Come li hai visti quando erano sul campo di gara?

Come diciamo in gergo, Pidcock ha più “carogna”, più cattiveria agonistica: lo abbiamo visto anche alle Olimpiadi di Parigi e come è entrato su Koretzky nell’ultimo giro. Hatherly non ha paura di nessuno, è maturo e sicuro di sé, ma in generale mi sembra più tranquillo.

Vista questa sua “bonta”, l’adattamento al gruppo potrebbe essere un problema per lui?

Credo di sì, ma non solo per il suo carattere. Il problema principale per un biker che passa su strada è proprio la gestione dello stare in gruppo. Non è questione di incapacità, ma di abitudine e di starci alle alte velocità. In mtb non hai il problema di stare nel gruppo a 50 all’ora. Io, quando sono passato alla mtb, faticavo nelle parti tecniche, ma in discesa su sterrati larghi e quindi più veloci staccavo tutti. Hatherly dovrà imparare a limare, a stare in gruppo, a sfruttare il vento e a risparmiare energie. Il vento poi… non è cosa scontata, sono quei trucchetti che s’imparano da ragazzi.

In tal senso Pidcock è avvantaggiato perché ha sempre fatto tutte e tre le specialità: ci mettiamo anche il cross…

Sicuro, e in fatti si vede che non ha problemi tecnico-tattici in nessuna disciplina e in nessuna situazione. Hatherly passerà da gare di un’ora e un quarto a gare di cinque ore. Pensiamo a Van der Poel, all’inizio, si spegneva nelle corse lunghe, perché non aveva ancora trovato il giusto ritmo e la corretta alimentazione. Questo sarà il vero banco di prova per Hatherly.

A proposito di Van der Poel, allarghiamo il confronto per un attimo anche a lui: l’olandese è potenza pura, l’inglese ha una tecnica sopraffina e una buona potenza. Il sudafricano dove si colloca?

Hatherly ha un gran motore, ma al momento si colloca un gradino sotto gli altri due. Se dovessi esprimere un giudizio per il futuro, potrebbe diventare un gregario di lusso, un braccio destro di un capitano importante. Non lo vedo ancora un fuoriclasse su strada, perché per arrivare a certi livelli ci vogliono anni di adattamento. Però è un ottimo atleta, sia chiaro…

Cos’è cambiato nelle scelte di Pidcock? Proviamo a capire

03.02.2025
6 min
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Prime corse, primi dislivelli degni di nota e Pidcock timbra subito il cartellino. Materiali e bici differenti, ma qualcosa è cambiato anche nel fitting del corridore britannico.

Scott Addict RC e Foil a disposizione (le due vittorie la ha ottenute con la nuova Addict), trasmissione Sram Red e ruote Zipp, tubeless Vittoria. Grazie al contributo del suo meccanico Edgar Coso Ferrer vediamo però cosa (e se) è cambiato rispetto al bikefitting usato fino all’anno passato.

I materiali a disposizione di Pidcock

Appena entrato nell’orbita del Q36.5 Pro Cycling Team, a Pidcock è stata fornita la nuova versione della Scott Addict RC, in una livrea particolare: non la medesima in dotazione alla squadra. Durante i primi ritiri sono arrivate le bici ufficiali e alla Addict si è aggiunta anche la Foil: la prima da usare per le corse con i dislivelli importanti, la Foil per le tappe pianeggianti e vallonate.

Durante i test invernali il corridore britannico ha usato per la maggiore il plateau 54-41 e la scala pignoni 10-33 posteriore, combinazione utilizzata anche all’ALUla Tour. La trasmissione è Sram Red, il power meter Quarq, pedali Shimano e sella Prologo Scratch M5 PAS (forse non ufficiali, ma evidenti, entrambi usati in precedenza sulla Pinarello). Le ruote Zipp 454 NSW, con tubeless Vittoria Corsa Pro da 28 millimetri di sezione. Spicca inoltre il reggisella con il massimo arretramento disponibile e le pedivelle da 165 (in precedenza usava le 170).

Edgar Coso Ferrer, meccanico della squadra svizzera in cui da quest’anno milita Pidcock (foto Team Q36.5)
Edgar Coso Ferrer, meccanico della squadra svizzera in cui da quest’anno milita Pidcock (foto Team Q36.5)
Quando avete messo in misura le bici di Pidcock?

Dal primo di dicembre in avanti abbiamo iniziato sulle bici di Pidcock, immediatamente dopo il suo arrivo ufficiale. Come è facile pensare abbiamo aspettato i telai da Scott. Dal primo ritiro siamo andati a tutta per preparare le bici ufficiali, da allenamento e gara.

Rispetto a quella da lui usata al Team Ineos, avete fatto delle variazioni?

Le misure sono rimaste identiche, solo qualche piccolo aggiustamento legato alle geometrie della bici, differente tra Scott e Pinarello, ma le misure sono quelle anche per richiesta del corridore.

Un arretramento della sella che sembra fuori tempo!

Lui pedala in questo modo, comunque ben centrato sulla bici e sul piantone, ma con una sella molto scaricata verso il retro. Potrebbe usare una bici di una misura maggiore, invece preferisce una taglia più piccola, arretrare la sella e usare un attacco manubrio lungo.

La taglia delle sue bici e quanto pesano?

Taglia XXS per Addict e Foil, potrebbe usare anche una XS, ma preferisce la XXS. La Addict è a norma UCI, 6,8 chilogrammi nella versione pronto gara, con il numero ed il trasponder applicati. La sua Foil è 7,09: entrambe a parità di allestimento con le ruote Zipp 454 NSW.

La lunghezza delle pedivelle che usa Pidcock?

165 millimetri, una delle primissime richieste, forse la prima che ci ha fatto quando abbiamo preparato tutti i componenti per le sue bici.

Ha fatto delle richieste in termini di bike fitting e per il montaggio delle bici?

Non ha avanzato richieste particolari, anche se è lampante il suo essere attento e curioso. Parla poco e sa quello che vuole, ascolta sempre, ma alla fine è lui che decide. Si percepisce che è convinto delle sue scelte, ed è molto professionale. Inoltre chiede molte informazioni sulle bici e sulla tecnica in genere.

Una Addict RC in mezzo alle Foil RC dei compagni
Una Addict RC in mezzo alle Foil RC dei compagni
C’è una delle due bici che considera primaria?

Per lui è la Addict la bici numero uno, la scelta principale. In diverse occasioni ha fatto apprezzamenti sulla reattività, facilità di guida e prontezza della bici, nervosa e scattante come lo è lui.

Con il “senatore” Brambilla: 16ª stagione e Pidcock da scortare

30.01.2025
5 min
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Non tutti i corridori possono vantare oltre tre lustri di professionismo, Gianluca Brambilla invece fa parte proprio di quella ristretta elite. L’atleta della Q36.5 Pro Cycling Team è pronto ad affrontare la sua sedicesima stagione da professionista. E lo fa con la consapevolezza di chi ha visto e vissuto tanto nel mondo del ciclismo. Ma non ha visto ancora tutto. E questo è un grande stimolo ed è quello che gli propone il suo 2025.

Brambilla si trova ad affrontare un’annata che potrebbe essere l’ultima (chissà?), ma che sicuramente sarà vissuta con l’entusiasmo e la dedizione che lo hanno sempre contraddistinto. L’arrivo di Tom Pidcock nella sua squadra rappresenta una sfida e uno stimolo in più.

Gianluca Brambilla (classe 1997) è alla sua sedicesima stagione da pro’
Gianluca Brambilla (classe 1997) è alla sua sedicesima stagione da pro’
Gianluca, innanzitutto come stai? Come affronti questa ennesima stagione?

Tutto bene, per il momento l’inverno è andato senza intoppi, senza acciacchi o malattie. Vediamo, magari arriveranno adesso! Scherzi a parte, mi sento pronto e motivato.

C’è ancora emozione alla prima corsa della stagione?

Più che emozione ormai è voglia di testarsi, di vedere se il lavoro svolto durante l’inverno paga. È importante capire a che punto è la condizione per poi adattare gli allenamenti e i programmi di gara ed eventualmente correggere il tiro.

Hai cambiato qualcosa nella preparazione rispetto agli anni scorsi?

Sì, ogni anno ci sono degli aggiustamenti. Bisogna stare al passo con i tempi. Nell’ultimo training camp abbiamo lavorato con maggiore intensità rispetto al passato. Meno ore in sella, ma più qualità negli allenamenti.

Il vicentino, a destra, è un riferimento per i compagni
Il vicentino, a destra, è un riferimento per i compagni
E come sono cambiati i tuoi allenamenti in termini di volume e intensità?

I chilometri sono più o meno gli stessi, ma ora si lavora diversamente. Si fanno meno uscite lunghe di 7 ore “a spasso” e si inseriscono più esercizi specifici. Magari si arriva a 6 ore, non di più. Il dispendio energetico è aumentato, anche se le ore di sella sono leggermente diminuite.

La tua squadra ha subito cambiamenti importanti. Come vivi il tuo ruolo di veterano? Insomma, tu ci sei da un bel po’…

Dal primo anno che c’è stata la squadra. Sono sempre stato un punto di riferimento per i compagni, anche al primo anno ero uno degli esperti e questo ruolo è confermato anche ora. Il team ha acquisito grandi corridori come Pidcock, che hanno portato un bel salto di qualità.

Hai toccato il punto. Che impressione ti ha fatto Pidcock?

Mi ha colpito la sua professionalità. E’ un vero campione che ha vinto Olimpiadi e mondiali, cura ogni minimo dettaglio. E’ attentissimo. Segue alla lettera ogni indicazione, che si tratti di allenamento o alimentazione, ed è molto preciso nel rispettare le tabelle. Durante il camp per esempio avevamo delle strategie alimentari per ogni allenamento: un giorno 90 grammi di carbo, un giorno 120… E dovevamo assumerli ogni tot tempo. Notavo che al minuto spaccato lui infilava la mano nella tasca e apriva un gel. Insomma massima professionalità. Si vede che sa il fatto suo.

Intanto ieri all’AlUla Tour, in Arabia, Pidcock ha vinto la sua prima corsa con la Q36.5
Intanto ieri all’AlUla Tour, in Arabia, Pidcock ha vinto la sua prima corsa con la Q36.5
Avete programmi simili?

Parecchio, anche se lui ha iniziato in Arabia Saudita (dove ieri ha anche vinto) mentre io sono partito da Mallorca. Poi però dovremmo incontrarci in gare come Ruta del Sol, Strade Bianche, Tirreno.

Siete fisicamente simili. Visto che correrete spesso insieme sarai tu a passargli la bici in caso di necessità?

Direi che è cosi, abbiamo misure molto simili, quasi al millimetro.

Quanto ti stimola avere un leader come Pidcock?

Molto. Avere qualcuno da supportare in corsa è uno stimolo importante. L’anno scorso mi sono trovato spesso da solo, quest’anno spero di essere sempre lì per aiutare chi può vincere.

Pidcock ti ha chiesto consigli sulla squadra o sul modo di correre?

Più che altro abbiamo parlato, poi spesso lui eseguiva le sue tabelle. Ci siamo allenati spesso insieme, ma lui sa già perfettamente cosa fare. Io posso, e spero, dargli consigli durante la gara, ma come detto ha le idee molto chiare.

Brambilla manca da un grande Giro dal 2021, la Vuelta. La voglia di tornare alle “tre settimane” non gli manca
Brambilla manca da un grande Giro dal 2021, la Vuelta. La voglia di tornare alle “tre settimane” non gli manca
Capitolo Giro d’Italia: siete tra i papabili. E tu ci sarai?

Sì, la squadra vuole esserci e anch’io penso di poter essere della partita. Aspettiamo le wildcard, ma c’è voglia di farlo. Tanta voglia sarebbe una grande cosa per tutti.

Che idea ti sei fatto delle prime corse stagionali?

Che gli equilibri sono sempre gli stessi, ma alcune squadre si sono rafforzate molto. La UAE Emirates è ancora dominante, ma ci sono altri team, come Red Bull-Bora, che hanno iniziato forte. E altre come la XDS-Astana che si sono rafforzate. Champoussin e Scaroni li ho visti bene. E poi c’è Hirschi che alla Tudor ha già dimostrato di essere un killer, come lo chiamo io: quando ha il numero sulla schiena, è difficile batterlo.

Nizzolo: l’inverno e la doppia operazione alla gamba

28.01.2025
4 min
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Il primo anno alla Q36.5 Pro Cycling Giacomo Nizzolo se lo sarebbe aspettato diverso. I giorni di corsa, in totale, sono stati solamente trentatré. Dopo l’avvio di difficile era arrivata anche la prima vittoria al Sibiu Tour e i mali sembravano essere alle spalle. In Spagna, prima alla Vuelta Castilla y Leon e poi a Burgos, il colpo di pedale era tornato a buoni livelli. Il finale di stagione era lì per essere… masticato, con ambizione e forze nuove.

«Poi gli ultimi due mesi di corse – racconta Nizzolo mentre si trova in macchina – non sono andati come mi sarei aspettato. Arrivavo da una serie di corse a tappe, fatte per migliorare la condizione in vista di settembre e ottobre. Durante una delle prime gare di un giorno che avevo in programma, il Grand Prix d’Isbergues, sono caduto. Il risultato è che mi è uscita un’ernia inguinale esposta. Mi sono ritrovato così, il 15 settembre, con la stagione finita e un’operazione da fare. Anzi due».

La volata vittoriosa a Sibiu, primo successo in maglia Q36.5 Pro Cycling per Nizzolo
La volata vittoriosa a Sibiu, primo successo in maglia Q36.5 Pro Cycling per Nizzolo

Ripartire

Gli interventi ai quali si è sottoposto il velocista della Q36.5 Pro Cycling sono diventati così due. Nizzolo ha deciso di racchiudere, nelle settimane di stop, anche l’operazione per sistemare gli effetti di una vecchia caduta.

«Dopo aver sistemato l’ernia inguinale – dice Nizzolo – ho anticipato di un mese abbondante la rimozione di placche e viti che mi erano state inserite per riparare la frattura del piatto tibiale. Un infortunio che risale quasi a un anno fa. Avrei dovuto fare questa seconda operazione a dicembre ma ho preferito anticipare per non perdere ulteriore tempo una volta risalito in bici». 

La condizione di Nizzolo era in crescita, alla Vuelta a Burgos un buon secondo posto nella tappa inaugurale
La condizione di Nizzolo era in crescita, alla Vuelta a Burgos un buon secondo posto nella tappa inaugurale
Che inverno è stato fino ad ora?

Non facile, mentre io ero fermo gli altri andavano avanti ed ero consapevole che poi mi sarei trovato a dover chiudere il gap. Sapevo di dover ottimizzare ogni allenamento per tornare a un livello che potesse essere giusto per competere. 

A quale punto senti di essere arrivato?

Credo di essere all’80 per cento. Penso anche che la condizione migliore sia frutto non del singolo inverno, ma degli anni di lavoro. Dato che mi sono fermato, ho perso questa continuità e il mio processo di crescita si è fermato. 

L’ultima gara del 2024 per il milanese è stata il Gran Prix d’Isbergues, nel quale una caduta lo ha messo KO
L’ultima gara del 2024 per il milanese è stata il Gran Prix d’Isbergues, nel quale una caduta lo ha messo KO
Manca il passo finale per arrivare al 100 per cento.

Sarà quello più difficile, ma insieme alla squadra abbiamo deciso che è importante correre, pur consapevoli che dovrò crescere. 

Mentalmente quanto pesa questo 20 per cento che manca?

Da questo punto di vista c’è consapevolezza. Chiaramente non ho rimpianti, però è come quando a scuola tornavi dalle vacanze e sapevi di non aver fatto i compiti. La speranza era che la professoressa non ti chiedesse proprio quel che non sapevi. 

Dopo la doppia operazione Nizzolo si è rimesso al lavoro (foto Instagram)
Dopo la doppia operazione Nizzolo si è rimesso al lavoro (foto Instagram)
Come si tramuta questa consapevolezza in gara?

La speranza è di salvarmi con l’esperienza, cercando di giostrare un po’ le mie qualità. Ma so che ci sarà da far fatica. 

Dove riprendi a correre?

Tra poco, dalle gare di Mallorca. Poi andrò al Tour of Oman, Almeria e Belgio. Da lì si apre la primavera con la Tirreno-Adriatico e la Sanremo, ma vedremo anche come risponderò una volta tornato in gara. 

Il morale per il velocista della Q36.5 è comunque alto, ma sa che dovrà lavorare molto
Il morale per il velocista della Q36.5 è comunque alto, ma sa che dovrà lavorare molto
La Q36.5 ha visto arrivare dei buoni corridori in vista del 2025, Tom Pidcock su tutti.

L’evoluzione è tangibile e porta tanta motivazione, anche se il team è arrivato da poco nel ciclismo si vede che vuole migliorare e crescere. 

Si parla anche dell’invito a qualche Grande Giro, ne ha parlato lo stesso Pidcock, da questo punto di vista si sente aria di cambiamento?

Sì tra noi ci confrontiamo, ma non sono i corridori che possono dire queste cose. Credo solamente che la nostra mentalità non debba cambiare, noi come Q36.5 dobbiamo aver voglia di crescere e migliorare come fatto fino ad adesso.