Mondiale e Lombardia: la doppietta di Pogacar e i ricordi di Bettini

21.10.2024
5 min
Salva

Tadej Pogacar ha concluso una stagione da primo della classe e lo ha fatto vincendo il suo quarto Giro di Lombardia. Allo sloveno è riuscita una doppietta che nel ciclismo mancava dal 2006, ovvero quella di mondiale e Giro di Lombardia. L’ultimo a riuscirci fu Paolo Bettini in maglia QuickStep, anche se quella del corridore di Cecina fu una doppietta particolare.

«Quando Pogacar ha detto di voler saltare la Vuelta per preparare il finale di stagione – dice Bettini – sapevo che il mio record avrebbe avuto vita breve. La stagione che ha fatto è davanti agli occhi di tutti, in più arrivava al mondiale e al Lombardia super carico. Però nello sport è così, le statistiche sono fatte per essere aggiornate».

Pogacar e Bettini hanno vinto entrambi il Lombardia in maglia iridata, ma con umori completamente differenti
Pogacar e Bettini hanno vinto entrambi il Lombardia in maglia iridata, ma con umori completamente differenti

Gestione opposta

Il parallelismo tra la doppietta mondiale e Lombardia di Bettini e quella di Pogacar si accostano a malapena. Bettini arrivò all’appuntamento iridato pronto e riuscì a vincerlo, ma poi la scomparsa del fratello Sauro pochi giorni dopo lo gettò in un oblio. La vittoria del Lombardia fu diversa da quella che è la gestione normale di una gara

«Pogacar e io – spiega il toscano due volte iridato – abbiamo avuto una gestione completamente opposta dei due momenti. Lui è un fenomeno che corre e vince, in più se non deve fare conti con infortuni o altro diventa imbattibile. Ricordiamoci che dopo la caduta della Liegi è andato al Tour ed è arrivato secondo. Quest’anno ha avuto una stagione perfetta, al contrario dei suoi avversari, ed ha vinto tutto quello che c’era sul piatto.

«Io al mondiale di Salisburgo – continua – arrivavo in condizione, ma su un percorso che non era esattamente l’ideale. Ero uno dei favoriti ma non il grande favorito, come invece era Pogacar a Zurigo. Sono riuscito a vincere allo sprint, ma otto giorni dopo, la scomparsa di mio fratello ha come cancellato tutto. Compagni e diesse mi hanno rimesso in bici e a quel Lombardia andai con l’intento di farlo durare il meno possibile. Nel mio immaginario sarei dovuto passare sul Ghisallo staccato, regalare la maglia iridata alla chiesetta e poi tornare a casa. Invece è andata come tutti ricordiamo (in apertura Bettini in lacrime dedica la vittoria al fratello scomparso pochi giorni prima».

Un anno prima

Parlando con Bettini emerge che il parallelismo viene meglio se si guarda all’anno precedente, il 2005. Il toscano non vinse la prova iridata di Madrid, ma poi vinse il Gran Premio di Zurigo, fece secondo al G.P. Beghelli e si portò a casa il primo Giro di Lombardia della sua carriera.

«Se guardiamo alla gestione dei grandi appuntamenti – spiega Bettini – e a come si vivono certi momenti di condizione, direi che il 2005 è l’anno giusto da prendere in considerazione. Al mondiale di Madrid arrivavo carico e in forma incredibile, fu uno dei giorni in cui andai più forte nell’arco della mia carriera. La delusione fu grande, ma la consapevolezza di essere forte mi spinse a presentarmi a Zurigo più agguerrito che mai. Vinto lì, arrivai al Lombardia certo delle mie forze, tanto da dichiarare che se non lo avessi vinto in quell’occasione non lo avrei fatto più. 

«Come Pogacar avevo preparato al meglio il finale di stagione – prosegue – ma non vinsi il mondiale. In certi casi però, la sconfitta e la vittoria si accomunano nella testa degli atleti. Vincere ti dà una scarica di adrenalina talmente grande che rischi di scaricarti. Al contrario la delusione della sconfitta può farti perdere motivazione. I grandi corridori, invece, riconoscono il momento di condizione e lo sfruttano fino in fondo. Anzi, si divertono nel farlo. Per questo dico che nel 2005 il paragone tra Pogacar e me ha più senso».

Pogacar ha sfruttato fino in fondo l’ottima condizione, i grandi corridori cercano di cogliere sempre l’occasione
Pogacar ha sfruttato fino in fondo l’ottima condizione, i grandi corridori cercano di cogliere sempre l’occasione

Picchi di forma

Quando un grande corridore sta bene, la sua mente è portata a ricercare il massimo della concentrazione, quello che c’è all’esterno quasi non esiste. 

«Tra Pogacar e me – conclude continuando il discorso Bettini – il paragone rimane sui picchi di forma e la consapevolezza di essere forte. Io andai alla Vuelta per preparare gli ultimi mesi dell’anno, lui invece dopo il Tour è rimasto a casa. Ma la sostanza non cambia. Entrambi ci siamo presentati a fine settembre con una gamba super. La vittoria di Zurigo ha spinto Pogacar a continuare e raccogliere ancora risultati, al contrario la sconfitta di Madrid mi fece tirare fuori ancora più grinta. C’è una cosa da dire, al di là di sconfitte e vittorie: quando un grande corridore sa di essere in forma non esistono feste o altre distrazioni. Quando mi rendevo conto di andare forte, abbassavo la testa e mi godevo il momento. Penso che anche per Pogacar sia così. E’ un po’ lo spartiacque psicologico tra il corridore e il campione».

Quattro imprese e un… funerale. Tadej raccontato da dentro

19.10.2024
7 min
Salva

Ricordate il film Quattro Matrimoni e un Funerale? Beh, sull’onda dell’ironia proviamo a fare qualcosa di simile con Tadej Pogacar e le sue imprese di questo 2024. Il fuoriclasse della UAE Emirates ci ha fatto divertire, palpitare e stupire dal primo all’ultimo chilometro della sua stagione.

Ma quante fughe ha fatto? E’ anche difficile contarle. Senza dubbio abbiamo ancora ben impressa quella neanche lontanamente immaginabile del campionato del mondo, ma come detto ce ne sono tante altre. Ne abbiamo scelte quattro appunto, come i matrimoni del film, più una andata male, come il funerale. Sempre del film. E ce le siamo fatte raccontare da chi queste fughe le ha viste o intraviste da dentro.

Strade Bianche: Pogacar è scattato da pochi secondi. Formolo e gli altri lo vedono scappare. E’ il primo capolavoro dello sloveno
Strade Bianche: Pogacar è scattato da pochi secondi. Formolo e gli altri lo vedono scappare. E’ il primo capolavoro dello sloveno

L’assolo di Siena

Partiamo dalla classica senese. Quest’anno la Strade Bianche era per Pogacar la corsa di apertura. Qualcuno nutriva qualche dubbio circa il ritmo gara dello sloveno, altri invece si chiedevano solo quando sarebbe partito. Alla fine avevano ragione questi ultimi.

«Io so solo che anche questa volta eravamo nel tratto sterrato di Monte Sante Marie – racconta con la sua innata simpatia, Davide Formolo – dove già era scattato due anni fa. Un tratto duro e soprattutto un tratto che già di per sé è lontano dal traguardo, ma quest’anno lo era ancora di più.

«C’era tanto fango e dopo poche centinaia di metri di questo segmento io e gli altri avevamo tutti gli occhiali sporchi. Non si vedeva nulla. Ero in quarta, quinta ruota: in testa un corridore della UAE Emirates, poi Tadej, un altro corridore che non ricordo ed io. Pensavo: “Se va così, va bene. Resto qui fino in cima… tanto non scatterà mica adesso, a più di 80 chilometri dall’arrivo”. Dopo 20 secondi alzo la testa, sposto gli occhiali e Tadej era già lontano».

Una follia? Formolo ammette che forse lo è stata, ma anche che da Tadej ci si può aspettare di tutto. Ha detto anche che a quel punto dietro hanno giocato per il secondo posto e che il distacco monster accumulato dallo sloveno, lasciava il tempo che trovava. I due sono amici, ex compagni di squadra e vicini di casa.

«Quando l’ho visto sul pianerottolo? Gli ho detto: “Che matto che sei!”. Ma con Tadej si può fare, lui è così: scherza, è un ragazzo semplice».

Tappa numero 15 del Giro. Staccato anche Nicola Conci, ora Pogacar punta Quintana. Poi il Mottolino sarà suo
Tappa numero 15 del Giro. Staccato anche Nicola Conci, ora Pogacar punta Quintana. Poi il Mottolino sarà suo

Verso Livigno

Passano due mesi abbondanti e il Giro d’Italia entra nel vivo. Al termine della seconda settimana ecco il tappone di Livigno, con l’arrivo sul Mottolino. Davanti c’è una fuga importante, tra cui Quintana, l’ultimo ad arrendersi, Nicola Conci, Attila Valter, Romain Bardet…

«Quel giorno – racconta Conci – non ha poi sorpreso il suo attacco. Si sapeva che avrebbe cercato la vittoria di tappa, ma mi ha stupito per come andava. Noi abbiamo preso il Foscagno con quasi 3′ di vantaggio. A circa 4-5 chilometri dalla vetta, il mio diesse mi dice per radio che dietro era scattato Pogacar e che stava rinvenendo forte. Immaginavo sarebbe passato un po’ di tempo, invece dopo 2′ era già lì. Che sarebbe arrivato presto okay, ma subito no! Andava come una moto e con la moto delle riprese!

«Sono rimasto impressionato dalla sua velocità. Ricordo che Valter ha cercato di stare alla sua ruota – prosegue il trentino – lo avrà tenuto per 30”, poi si è staccato anche da me. Io non ci ho provato. Quando è passato mi sono spostato dall’altra parte. Che senso avrebbe avuto tenerlo per dieci secondi e poi pagare dazio? Alla fine così facendo sono arrivato ai piedi del Mottolino con Bardet. E quello del Giro non era forse il Pogacar del Tour o del mondiale».

Tour de France, in picchiata verso Valloire lungo la discesa del Galibier. Brividi anche in ammiraglia per Hauptman
Tour de France, in picchiata verso Valloire lungo la discesa del Galibier. Brividi anche in ammiraglia per Hauptman

Giù dal Galibier

La prima vittoria di tappa al Tour de France di quest’anno è stata forse la più adrenalinica in assoluto. Lo scatto sul finire del Galibier, quelle poche decine di metri di vantaggio su Vingegaard allo scollinamento, la picchiata dal gigante alpino con le curve sospese sul baratro e quella voglia di rivalsa sulle lunghe salite nei confronti del danese. Era una fuga, anzi un attacco, stracarico di significati.

«Dalla macchina – racconta il direttore sportivo, Andrej Hauptman – è stata una bella sofferenza! Sicuro quel giorno ci sono state adrenalina e tensione. Sapevamo che gli altri leader, a partire da Vingegaard, erano forti. Ma volevamo scattare proprio a ridosso della salita, con un attacco violento perché Tadej è più esplosivo di Jonas e poi poteva sfruttare le sue doti in discesa, dove di solito lui sbaglia poco. Tutto è andato esattamente così. Ma, come detto, è stata una sofferenza.

«Noi con l’ammiraglia eravamo lontani da lui e non abbiamo potuto fare molto, questo ha contribuito ad aumentare la tensione. Sì, vedevamo le immagini dalla tv, ma il segnale specie in montagna arriva almeno un paio di minuti dopo. Quindi gli avremmo detto cose già passate. Lui non ci ha mai parlato. Noi lo abbiamo fatto pochissimo e solo nei tratti meno tecnici, dandogli qualche indicazione sui distacchi e qualche altra info importante. Ero teso. E non lo ero perché lui è sloveno come me. Anche l’altro giorno al Croazia con McNulty ero molto preso. Già dal Galibier con l’ammiraglia non so a quanto siamo scesi, ma di certo abbiamo superato i 100 all’ora. E infatti l’arrivo è stata una liberazione».

Giro di Lombardia. Con la maglia iridata Tadej parte, dietro (dove c’è anche Fortunato) non possono far altro che guardarsi
Giro di Lombardia. Con la maglia iridata Tadej parte, dietro (dove c’è anche Fortunato) non possono far altro che guardarsi

Lombardia, l’ultimo ballo

L’ultimo ballo del 2024 è stato quello del Giro di Lombardia. Certo avremmo potuto inserire anche le fughe del Grappa al Giro e del mondiale, ma di quelle indirettamente già ci avevano parlato Pellizzari e Bagioli. Così restiamo sulla Classica delle foglie Morte. E ci restiamo con Lorenzo Fortunato, terzo italiano al traguardo di Como.

«Ero nel gruppo di Pogacar quando lui è scattato – racconta Lorenzo – ero indietro, ero a tutta e anche di più… ma ero lì. Cosa dire. Il ritmo era insostenibile. E’ successo spesso quest’anno che si restasse nel suo gruppetto. Che eravamo tutti al gancio e poi lui partiva. In questi frangenti ha almeno un 30 per cento in più. C’è poco da fare».

Più o meno le parole che ci ha detto Ciccone a fine gara: tutto un altro ritmo. Tadej cuoce gli avversari con una grande squadra portandoli in asfissia e a quel punto lui, più fresco, scatta.

Tour de France, Le Lorian: Inaspettatamente Jonas Vingegaard batte Pogacar allo sprint
Tour de France, Le Lorian: Inaspettatamente Jonas Vingegaard batte Pogacar allo sprint

Infine il… funerale

Infine veniamo alla fuga storta. Come tutte le cose perfette, ci deve essere l’imperfezione, in questo caso il… funerale! Tour de France: undicesima tappa da Evaux-les-Bains a Le Lioran: 211 chilometri sulle erte del Massiccio Centrale. 

Solito copione. La UAE Emirates detta un ritmo infernale e a una trentina di chilometri dall’arrivo Pogacar scatta. Un po’ come sul Galibier apre un piccolo varco e lo amplia in discesa. Solo che stavolta in fondo non c’è il traguardo, ma una salita e poi un’altra ancora. Strada facendo qualcosa nelle gambe dello sloveno s’inceppa.

Il cronometro inverte la rotta. Vingegaard fiuta l’occasione. Stacca Remco, riprende Tadej e addirittura lo batte in volata.  Quel giorno vicino a Vingegaard c’era Jan Tratnik, l’uomo che poi è stato decisivo in favore di Tadej al mondiale.

«Non è facile ricordare bene quel giorno tra il tempo che è passato e la fatica fatta – dice Tratnik – ovviamente ci aspettavamo l’attacco di Pogacar. Eravamo preparati a questo. C’era una sola cosa da fare per Jonas: andare dietro a Tadej. Ma sulla parte ripida, dove è scattato, lui non poteva seguirlo. Quindi Vingegaard si è messo del suo passo. Nessuno però immaginava che Tadej avesse le gambe stanche e così Jonas è riuscito a riprenderlo e a batterlo. Io non ho saputo nulla dello sprint fino all’arrivo. Non avevo contatti dalla radio. Però ricordo che dopo questa vittoria credevamo di poter battere Pogacar, che il Tour potesse cambiare. Solo che lui è stato semplicemente più forte nell’ultima settimana».

Pogacar, il Lombardia e il peso della borraccia

16.10.2024
5 min
Salva

Durante la diretta del Lombardia la scena di Pogacar che parla col massaggiatore sulla Colma di Sormano è stata mostrata a tutte le velocità possibili. Si è cercato di capire se lo sloveno avesse bisogno di qualcosa e non della borraccia. Ma soprattutto si è ammirata la sua scioltezza nel parlare, quasi stesse passeggiando. E proprio per questo e perché quel massaggiatore è una nostra vecchia conoscenza, ci è venuto in mente di chiamarlo.

Paco Lluna ha 55 anni e vive a Valencia. Fra le curiosità di questo 2024 accanto a Pogacar, c’è che anche lui a distanza di 26 anni è riuscito nella doppietta Giro-Tour, dato che nel 1998 lavorava nella Mercatone Uno. E siccome di ciclismo ne sa tanto, siamo partiti da quell’episodio e poi siamo andati avanti.

Che cosa vi siete detti in quel momento?

Io ero in quel punto perché abbiamo un piano delle borracce fatto da Gorka, il nutrizionista. Immaginando che Tadej sarebbe partito da lontano e sarebbe passato in fuga, invece di avere solo la borraccia dell’acqua, aveva anche quella di Isocarbo, in modo da poterlo accontentare qualunque cosa volesse. Però io ero a sei chilometri dalla vetta. Quando lui mi vede, io gli chiedo: «Acqua o Iso?». E lui mi risponde: «C’è qualcuno in cima?». E quando gli ho risposto di sì, mi ha detto: «Allora la prendo dopo».

Lucidissimo, insomma…

Quando hai le gambe, fai ugualmente fatica, però sei lucido. Adesso guardano i dati e li analizzano, ma perché devi portare 200 grammi in più con una borraccia sulla bici? Meglio prenderla in cima, quando la salita è finita.

Avevi scelto tu il punto in cui posizionarti?

No, i punti li prepara il direttore sportivo, in base alle strade e alla possibilità di tagliare per andare in altri posti. Si è pensato che in quel punto avrebbero avuto bisogno di acqua per rinfrescarsi. Ma siccome lui stava bene, ha preferito lasciare a me la borraccia. Ha valutato che non gli servisse altro per fare quei 6 chilometri, come al Giro dell’Emilia.

Nei giri da solo sul San Luca, Pogacar non ha mai portato borraccia in salita: beveva in discesa e pianura
Nei giri da solo sul San Luca, Pogacar non ha mai portato borraccia in salita: beveva in discesa e pianura
Cosa ha fatto all’Emilia?

Io ero su, non all’arrivo, ma nello strappo subito dopo dove in tutti i giri ha preso la borraccia. In salita non ce l’aveva mai. Beveva in discesa e nel pezzo di pianura e buttava la borraccia prima di ricominciare a salire. Tadej ha fatto tutte le salite del San Luca senza la borraccia, neanche vuota. Si fanno mille storie su watt e numeri, senza pensare che a volte si porta troppo peso per niente.

Questi sono dettagli che cura con Gorka?

Gorka gli dà le direttive. Ma Tadej sa se deve mangiare oppure no. Se gli manca il gel oppure no. Quando diamo le borracce, attacchiamo anche il gel che è previsto dal nutrizionista. Ci sono tanti tipi di gel, non diamo sempre lo stesso. Ma al Lombardia ha pensato che conosceva quei 6 chilometri di salita, perché li aveva fatti qualche giorno prima in allenamento. Quindi poteva arrivare in cima senza niente e prendere sopra quello di cui avesse avuto bisogno.

Il bello è che ha parlato come stiamo parlando adesso noi due…

Forse abbiamo alzato un po’ la voce per il rumore intorno, io di certo ho urlato per farmi capire. Perché c’è rumore delle moto, dell’elicottero, delle macchine. E meno male che era un posto senza tantissima gente, perché se c’è anche la gente, ciao…

Ti è capitato altre volte di trovarlo così lucido in altre corse?

Da neoprofessionista, la prima volta che ha fatto la Vuelta e aveva 19 anni. Nell’ultima tappa che vinse, fece un numero del genere. Mi ricordo che in quei momenti voleva la Coca Cola in corsa e allora quando potevo gli davo la lattina aperta. Lui la prendeva, ne beveva subito un po’ e poi buttava la lattina. Adesso rispetto ad allora è arrivato a un’altra maturità e a un altro livello come atleta. Lì era ancora un bambino e anche quando ha vinto il primo Tour era ancora un bambino. La gente dice che non è normale, ma guardate quello che faceva quando era ancora così piccolo.

Sul San Luca, passando davanti alla curva di Pantani: i due condividono un carisma simile
Sul San Luca, passando davanti alla curva di Pantani: i due condividono un carisma simile
Tu che hai conosciuto anche l’altro, cosa vedi in comune?

Come atleta magari niente, ma la gente sta diventando pazza di lui come era pazza di Marco. Lo dicevo a Johnny Carera, il suo manager: «Delle volte mi sembra di aver già vissuto tutto questo, sai?». La gente non va a vedere il ciclismo, ma va a vedere Tadej. In quei tempi la gente non andava a vedere il ciclismo, ma andava a vedere Marco. Ho una foto del Giro dell’Emilia che ho tenuto per me. C’è Tadej con dietro i cartelli per Marco. Quella foto lì mi emoziona, come quando ho mandato a Tadej una foto della Tirreno in cui sul Carpegna passava davanti alla statua di Marco. Ma come corridore no. Pogacar è più completo, ma come Marco è benvoluto da tutti.

Spiega meglio per favore.

Lo vedi che si allena a Monaco con tanti corridori diversi, non solo con compagni di squadra, ma anche con altri che se ne sono andati. L’altro giorno Tim Wellens ha pubblicato nel nostro gruppo whatsapp un video in cui Evenepoel gli faceva i complimenti per il mondiale. Anche Marco era benvoluto nel gruppo. Se parli con i corridori di quell’epoca, anche quelli della Mapei gli volevano bene, nonostante tutto quello che noi avevamo contro loro e loro avevano contro noi. Anche Tafi oggi parla benissimo di lui. Hanno un carisma simile, che anche gli avversari riconoscono. In questo forse un po’ si somigliano davvero…

Mezgec e la Slovenia, un popolo a ruota dei giganti

16.10.2024
6 min
Salva

TORINO – «In ogni angolo della Slovenia si parla soltanto di ciclismo». Sorride sornione Luka Mezgec, prima di sottoporsi alle visite oramai di rito di fine stagione della Jayco-Alula all’Istituto delle Riabilitazioni Riba. Il Lombardia ha consacrato la stagione magica di Tadej Pogacar, faro di una Nazione che si è presa tutti e 3 i Grandi Giri (e non solo!) grazie al poker calato alla Vuelta da Primoz Roglic. 

Così abbiamo chiesto a chi era a Zurigo per contribuire al trionfo iridato di svelarci come si vive da dentro questa epoca d’oro delle due ruote per un Paese abituato a celebrare i campioni della neve o del basket. Una panoramica del travolgente momento sloveno, prima che l’uomo di fiducia delle volate per Dylan Groenewegen si rituffi sulle sue prospettive verso la decima stagione con la formazione australiana di cui oramai è una bandiera. Non è sfuggito, fra l’altro, che la sua vittoria nella tappa di Trieste al Giro del 2014 sia stata una fortissima ispirazione per il piccolo Pogacar, che lo ha più volte raccontato.

Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino, all’indomani del Lombardia
Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino
Il 2024 ha segnato lo strapotere sloveno nei Grandi Giri e l’anno perfetto di Tadej Pogacar: quali sono le tue impressioni?

E’ difficile fare meglio di così. Fa specie pensare che la Slovenia conti appena 2 milioni di abitanti e 3 squadre continental. In più, a parte poche eccezioni, la maggior parte delle formazioni nel nostro Paese fanno fatica economicamente dal punto di vista degli sponsor. E’ davvero un miracolo quello che sta accadendo. Ora abbiamo 7 corridori nel WorldTour e alle spalle di questi ci sono giovani talenti che stanno emergendo, dagli juniores in su. Ogni anno in Slovenia diciamo che sarà dura ripetere quanto fatto, ma questa stagione è stata qualcosa di pazzesco. Pensando anche alla vittoria di Roglic alla Vuelta, sono certo che molte persone non si rendano conto del periodo che stiamo vivendo. Siamo in un’epoca d’oro e dobbiamo solo goderci questo show, sperando che sia d’ispirazione per i ragazzini che stanno cominciando a pedalare.

Ci racconti il trionfo mondiale?

E’ stato un momento incredibile. Per la prima volta da quando la corro, eravamo al via della prova in linea per vincerla e non “soltanto” per un piazzamento sul podio. A Zurigo per noi contava soltanto l’oro e chiunque sarebbe stato deluso se ci fossimo fermati all’argento. C’erano grandissime aspettative, eppure la squadra era molto rilassata.

Ci spieghi com’è stata possibile quest’atmosfera al netto delle pressioni?

Siamo tutti abituati a vivere in un ambiente molto stressante, per cui non c’erano grosse differenze. Tutti sapevano cosa dovevano fare e l’hanno fatto alla grandissima. Tadej ha leggermente modificato il piano, attaccando prima del previsto, ma a parte quello è andato tutto secondo i piani. Tratnik è stato perfetto. Sapeva esattamente cosa fare quando ha capito che Pogacar era partito alle sue spalle.

Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Che cosa hai detto a Tadej dopo l’apoteosi iridata?

La domanda che gli ho fatto è stata: «Ma perché hai attaccato a più di 100 chilometri dal traguardo? A che pensavi?». E lui, senza fronzoli, mi ha risposto: «Stavano attaccando in tanti, mi sono guardato attorno e ho visto che tutti stavano soffrendo, mentre io non mi sentivo così male e così ci ho provato». Insomma, la tipica mossa imprevedibile alla Tadej. Ma quando sei così tanto più forte degli altri come lo è lui in questo momento, il ciclismo diventa un giochino divertente.

E del suo assolo al Lombardia, cosa dici?

Quest’anno Tadej ha davvero alzato l’asticella. Sappiamo che ha cambiato allenatore e i risultati si sono visti. Nella prima parte della stagione si è focalizzato sui giri di tre settimane, mettendo nel mirino Giro d’Italia e Tour de France. Una volta vinto quest’ultimo, il suo unico pensiero era diventare campione del mondo. Così è riuscito ad avere un secondo picco di forma sul finale, rinunciando anche ai Giochi di Parigi. E’ imbattibile al momento e anche al Lombardia si è visto che non ha dovuto nemmeno attaccare a tutto gas per fare la differenza. 

Sei alla Jayco-Alula da quasi un decennio, ci dai un bilancio di quest’anno?

Penso che il 2024 sia stato sopra la media se si parla di successi come squadra. Abbiamo centrato quasi tutti gli obiettivi che ci eravamo posti a inizio stagione, grazie a una ottima Vuelta con due vittorie di tappa, senza dimenticare il successo al Tour di Dylan (Groenewegen, ndr). Forse ci saremmo aspettati qualcosa di più per quanto riguarda la classifica generale nei Grandi Giri, ma abbiamo visto com’è andato quest’anno con tanti acciacchi e malattie. Ad esempio Simon (Yates, ndr) non si è sentito bene un giorno e la posizione in graduatoria al Tour è peggiorata. Nel complesso, possiamo essere contenti. Il team sta ringiovanendo e questo è molto positivo per il futuro e per noi corridori più esperti si tratta di trasferire le nostre conoscenze e la nostra esperienza ai giovani.

Come vedi De Pretto?

E’ davvero un ottimo corridore. Davide è arrivato in squadra come talento promettente, in virtù di alcuni buoni risultati a livello giovanile. Ha subito mostrato che può dire la sua anche nel WorldTour. Sarà interessante seguire la sua crescita nei prossimi due anni e assistere ai suoi successi.

La vera rivoluzione però avviene con la fine dell’era Yates e l’arrivo di Ben O’Connor: che ne pensi?

Ben si prepara a indossare scarpe molto più grandi delle sue, ma ha già dimostrato di poterlo fare al meglio. Ha fatto una grandissima stagione con i secondi posti nella classifica generale della Vuelta e poi ancora ai Mondiali di Zurigo. Se lavorerà ancora sulle corse di un giorno, può far risultato anche nelle Monumento come ad esempio la Liegi-Bastogne-Liegi. Sarà bello lavorare con un nuovo capitano per la generale dopo tanti anni al servizio dei fratelli Yates. Poi, un australiano in una formazione australiana…

Che cosa ti aspetti dal 2025?

Il mio obiettivo personale è di assistere Dylan nel miglior modo possibile, come ho fatto in passato. So che invecchio, ma penso di avere ancora un paio d’anni al top. Conto di essere lì per aiutarlo a vincere il più possibile. Come squadra abbiamo grandi piani con Ben O’Connor per la classifica generale del Tour o di quel che metterà nel mirino. Poi, vincere una tappa nei tre Grandi Giri: quest’anno ci è mancato solo il Giro d’Italia.

Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Anche perché al Tour ci hai messo lo zampino tu…

Dylan era in forma smagliante ed è stato bellissimo guidarlo al successo. In quello sprint non tutto è stato perfetto, ma non ci siamo fatti prendere dal panico quando ci siamo persi l’un l’altro prima di un punto cruciale come i -2 dall’arrivo. Elmar (Reinders, ndr) è stato fantastico e, con tutta calma, ci ha riportato avanti. Io ho creato un po’ di spazio all’ultima rotonda e Dylan ha preso la ruota giusta. Quando lavori 6 mesi per un momento così, quello che senti è qualcosa di speciale. Provo la stessa sensazione di quando vinco in prima persona.

Lechler “colora” il futuro della Polti Kometa

15.10.2024
4 min
Salva

COMO – Il giorno dopo aver ammirato Tadej Pogacar conquistare il suo quarto Lombardia, la città di Como ha ospitato un appuntamento davvero importante, sempre legato al ciclismo. I protagonisti nell’occasione sono stati l’azienda comasca Lechler e il Team Polti Kometa (in apertura foto Maurizio Borserini). 

Per quanti ancora non conoscono Lechner, stiamo parlando di una realtà leader nella produzione e vendita di pitture, vernici e smalti, che ha il suo quartier generale nel capoluogo lariano. Restando in Italia, Lechler ha in Seregno e Foligno altre due sedi produttive. In Europa invece le filiali sono quattro: Manchester, Grenoble, Barcellona e Kassel. Al di fuori del continente europeo l’azienda opera nel sito produttivo e filiale di Paraì e nelle filiali di Rio Negrinho, Tocantins e Paulínia, tutte localizzate in Brasile.

Davide Piganzoli ha corso Il Lombardia con una colorazione speciale per la sua Aurum Magma (foto Maurizio Borserini)
Davide Piganzoli ha corso Il Lombardia con una colorazione speciale per la sua Aurum Magma (foto Maurizio Borserini)

Appuntamento al Lechler Village

L’azienda comasca ha voluto invitare la stampa specializzata e parte della sua clientela italiana presso il Lechler Village, situato all’interno del suo quartier generale. Un vero e proprio punto di incontro pensato per favorire la condivisione di spazi di lavoro, ma anche di idee fra i dipendenti e non solo fra loro, essendo aperto anche a contaminazioni esterne. 

A fare gli onori di casa Luciano Valli, direttore generale di Lechler. Accanto a lui Francesca Polti, presidente e amministratrice delegata di Polti Spa (anche in questo caso parliamo di un’azienda comasca, ndr), che ha avuto un ruolo di primo piano nella nascita della collaborazione fra Lechler e il Team Polti Kometa. A rappresentare il team c’era Ivan Basso e con lui Giovanni Lonardi e Davide Piganzoli. Proprio il valtellinese ha avuto l’onore di correre Il Lombardia in sella ad una Aurum Magma speciale. La bicicletta utilizzata da Piganzoli aveva infatti una colorazione particolare, chiamata “Laque of Como”. Nella sua livrea richiamava volutamente i colori e le atmosfere che assume il Lago di Como in questa fase della stagione.

La colorazione speciale è stata chiamata “Laque of Como” (foto Maurizio Borserini)
La colorazione speciale è stata chiamata “Laque of Como” (foto Maurizio Borserini)

Insieme per i prossimi due anni

Tema dell’incontro presso il Lechler Village è stata l’ufficializzazione dell’accordo che vedrà Lechler “colorare” anche per i prossimi due anni le biciclette del Team Polti Kometa.

Il rapporto fra Lechler e la Polti Kometa ha avuto inizio nel mese di dicembre del 2023 con un primo appuntamento importante al Giro d’Italia di quest’anno. In quell’occasione le Aurum in dotazione al team si erano presentate al via della Corsa Rosa con una quadrupla colorazione speciale, realizzata proprio da Lechler sulla base di un “Progetto Colore” in cui gli aspetti tecnologici, tipici di una bicicletta, vengono esaltati da una verniciatura in grado di creare forti emozioni. 

Il Lombardia di sabato scorso, con la Aurum Magma “Laque of Como” di Piganzoli, è stato il suggello ad un accordo che vedrà, come anticipato, Lechler accanto al Team Polti Kometa per i prossimi due anni. Oltre che sulle maglie dei corridori, il marchio Lechler sarà presente sulle bici Aurum del team, una novità assoluta nel mondo del ciclismo professionistico. L’azienda comasca ha inoltre deciso di incrementare anche a livello economico il proprio supporto al team.

La presentazione avvenuta al Lechler Village della sede di Como (foto Maurizio Borserini)
La presentazione avvenuta al Lechler Village della sede di Como (foto Maurizio Borserini)

Valori condivisi 

Dall’incontro al Lechler Village è emerso come ad unire Lechler, Polti e il team di Basso e Contador, sia la condivisione di valori comuni. A confermarlo è lo stesso Luciano Valli, direttore generale di Lechler: 

«La sponsorizzazione della Polti Kometa per il 2024 – ha dichiarato Valli – è nata da un’unità di intenti con Polti e lo staff del team, in particolare Ivan Basso, imperniata sugli ideali che caratterizzano il nostro modo di fare impresa, quali passione, innovazione, etica e sostenibilità. Ora, dopo un anno di lavoro e sperimentazione a stretto contatto, possiamo dire di aver preso la strada giusta. Abbiamo portato l’idea del Progetto Colore in una società sportiva professionistica contagiando clienti e stakeholder grazie a esperienze uniche. Il tutto nell’ambito del mondo bike, indissolubilmente votato alla sostenibilità. Crediamo nella crescita di questa partnership e di conseguenza abbiamo deciso di aumentare l’investimento già dalla prossima stagione».

All’incontro di domenica non era presente Fran Contador, general manager del Team Polti Kometa e amministratore delegato di Aurum, che ha fatto sapere il suo pensiero attraverso un comunicato stampa inviato ai media.

«Questo rinnovo biennale – ha detto – è motivo di gioia per me e per l’intero gruppo sportivo che rappresento. Quando è stato siglato la prima volta, il Progetto Colore era pensato su una prospettiva di lungo termine. Vederlo ora prolungato e potenziato conferma la sua fondatezza nel raggiungimento degli obiettivi di entrambe le parti. La valenza stimolante a 360 gradi di questa collaborazione, che ci permette di guardare insieme al futuro, risulta evidente nella sua duplice espressione. Se da un lato c’è la narrativa che scaturisce dalle speciali colorazioni in gara, dall’altro c’è la condivisione del prezioso know-how di Lechler sia con la squadra che con Aurum».

Con l’accordo raggiunto con Lechler, e forte del supporto di Polti, si rafforza l’anima comasca del team che ora guarda al 2025 con rinnovato entusiasmo.

Lechler

Evenepoel, la grande fatica di imparare a perdere

14.10.2024
4 min
Salva

Forse non è mai stato facile, anche se poteva sembrarlo. Di certo da quando Pogacar ha alzato il numero dei giri, essere Remco Evenepoel è diventato un lavoro molto più difficile. La sua estate è stata spettacolare e pesante. Dopo il terzo posto del Tour, che va considerato un grandissimo risultato, il belga ha tirato dritto verso le Olimpiadi e le ha vinte entrambe: a crono e su strada. Solo a quel punto ha staccato la spina, ma nei 30 giorni passati fra la gara in linea di Parigi e l’inizio del Tour of Britain, Remco ha recuperato davvero poco. Al punto che andare nel Regno Unito è diventato il modo per sfuggire al tritacarne mediatico cui è stato sottoposto in patria.

Ugualmente ha vinto il mondiale crono, mentre su strada si è dovuto inchinare all’impresa di Pogacar. Il quale, conquistata la maglia gialla a Nizza, si è allenato sin da subito, ma di fatto ha avuto 43 giorni per recuperare e ricaricare le batterie. Se metti un Pogacar moderatamente fresco contro un Evenepoel moderatamente finito, il lavoro di essere Remco diventa un’impresa a perdere. Il suo gesticolare all’indirizzo degli altri nell’inseguimento allo sloveno al Lombardia era il segno di un comprensibile nervosismo con cui dovrà imparare a convivere. Non è facile perdere ogni volta, quando si è abituati a vincere.

Alla partenza da Bergamo, Evenepoel sapeva di essere stanco, ma ha provato a dare tutto
Alla partenza da Bergamo, Evenepoel sapeva di essere stanco, ma ha provato a dare tutto

La batterie scariche

Dopo il Lombardia, Evenepoel ha pianto. Sul traguardo si è chinato sul manubrio, ha tolto gli occhiali e si è asciugato gli occhi. Non deve essere stato facile per lui ripassare sul ponticello del suo orribile salto nel vuoto e insieme tenere testa alla furia di Pogacar.

«Tutti sanno come era andata qui a Como quattro anni fa – ha detto – e quest’anno la corsa è ripassata per la prima volta nello stesso punto, sia pure in direzione opposta. Da allora, non è più stato facile venire da queste parti. La mia prestazione è stata in linea con il Tour de France. In quel caso, Tadej mi ha preceduto di 9 minuti, ma ne avevo 10 su quelli dietro di me. Qui è successa la stessa cosa. Lui ha vinto con 3 minuti di vantaggio, ma fra me e quelli dietro c’era ugualmente un bel margine. Il secondo posto lo considero una vittoria personale. Nell’ultima settimana ho sentito che le batterie si stavano scaricando, ma sono rimasto calmo. Ho corso il Giro dell’Emilia e la Coppa Bernocchi come allenamento. E oggi questo ha dato i suoi frutti, con il secondo posto nell’unica Monumento che ho corso quest’anno. Ho quasi realizzato tutti i miei sogni, con il podio al Tour e due medaglie d’oro ai Giochi Olimpici. Quindi posso essere orgoglioso, penso di meritarmi un 9 in pagella».

Evenepoel non ha seguito lo scatto di Pogacar, ma ha gestito l’inseguimento come al Tour
Evenepoel non ha seguito lo scatto di Pogacar, ma ha gestito l’inseguimento come al Tour

Il dominio nei numeri

Singolarmente rispetto alle abitudini, ieri sia Pogacar sia Evenepoel hanno pubblicato su Strava i file dei reciproci Lombardia. Risulta che Pogacar ha trascorso 5 ore 58’ in sella, coprendo i 247,7 chilometri (dislivello di 4.470 metri) a 41,4 di media. Ha consumato 5.013 calorie e ha pedalato a 93 rpm medie.

Il suo attacco sulla Colma di Sormano (13,05 chilometri al 6,6 per cento di media) gli ha permesso di conquistare il KOM in 30’18” alla media di 25,9 di media. Evenepoel ha impiegato 31’23” a 25 di media.

Pogacar ha fatto la differenza nei tratti ripidi. Nel segmento “Tratto duro” della salita (2,38 chilometri all’8,2 pe cento), Tadej ha impiegato 5’53” (media di 24,3 km/h), contro 6’27” (a 22,1 di media) di Evenepoel.

L’unico segmento in cui il belga non ha perso è stato la discesa: 9,6 chilometri percorsi quasi nello stesso tempo: 9’37” per Pogacar, 9’38” per Evenepoel. Ha invece continuato ad accumulare passivo nel tratto conclusivo di pianura. Pogacar ha pedalato nel tratto “Albavilla da Buccinigo” a 38,8 chilometri orari. Evenepoel, che magari a quel punto era già rassegnato, pedalava a 35,8 di media.

Nel confronto a distanza fra Pogacar ed Evenepoel, lo sloveno ha sempre guadagnato, tranne in discesa
Nel confronto a distanza fra Pogacar ed Evenepoel, lo sloveno ha sempre guadagnato, tranne in discesa

Incidente e calendario

La domanda che tutti si pongono è se ci sia in giro qualcuno in grado di contrastare Pogacar. E casomai se sia più prossimo a riuscirci Vingegaard che si sta ricostruendo oppure il più giovane Evenepoel, che ha solo 24 anni: due meno dello sloveno.

«Devo restare paziente – ha detto Evenepoel – perché posso ancora ridurre il gap su Tadej e avvicinarmi a lui. La mia prestazione del Lombardia è resa promettente dal vantaggio che alla fine ho avuto su Ciccone (1’15”, ndr). Questo è ciò che mi dà fiducia per il futuro, sapendo che devo continuare a lavorare in montagna, perdere peso per raggiungere questi obiettivi. Ho ancora margini di miglioramento, qualche percentuali da guadagnare. Quest’anno è stato particolare, perché l’infortunio ai Pasi Baschi mi ha impedito di fare una pausa prima del Tour. Ma nonostante ciò sono sempre riuscito a fare il massimo di quello che volevo».

Il giorno dopo con Bostjan, il meccanico di sempre

13.10.2024
6 min
Salva

CAVENAGO – Bostjan Kavcnik è il meccanico di Pogacar. E se l’idea di partenza era farsi raccontare le idee del campione del mondo in tema di meccanica, immaginate la sorpresa quando lo sloveno ci dice di esserne il meccanico sin da quando Tadej aveva 11 anni. Lo incontriamo sul camion officina del UAE Team Emirates, una bici sul cavalletto e le altre Colnago già a posto poggiate lungo la parete.

«Ho fatto la sua prima bici – racconta Bostjan – sin da quando era piccolo. Eravamo insieme nella Radenska Liubljana, il primo nome è un’acqua minerale molto famosa in Slovenia. Sono stato l’unico meccanico per gli allievi, juniores e under 23. Ho iniziato a lavorare a fine 2004, vent’anni fra poco. La prima bici di Tadej era una Billato in alluminio, marca italiana. Era montata con uno Shimano 600. Aveva i pedali a sgancio, ma ruote normali in alluminio. Era già forte, ma era uno dei più piccoli. Stava sempre zitto. In una delle prime corse da allievo, si faceva un giro di un chilometro e mezzo. Lui attaccò e in pratica riprese il gruppo, guadagnò il giro come in pista. Finché alla radio annunciarono che c’era un ragazzino dietro che si stava staccando. E a quel punto il suo tecnico rispose che in realtà lui stava per doppiarli tutti…».

Bici nuova al Giro, al Tour e anche per vincere il mondiale: eccolo alla presentazione della Colnago V4RS Tadej Pogacar
Bici nuova al Giro, al Tour e anche per vincere il mondiale: eccolo alla presentazione della Colnago V4RS Tadej Pogacar
Che rapporto c’è fra Tadej e il suo meccanico?

Speciale. Qualcuno arriva e ti dice cosa devi fare. Lui invece ha delle proposte, ma chiede il mio parere e poi insieme troviamo la soluzione. Non è un corridore che ti stressa sempre, ma vuole che la bici funzioni bene. E’ molto attento alle misure, sente le differenze. Normalmente alle gare è una delle prime cose che controllo. Tadej ne ha sempre quattro e dopo aver verificato le misure, si fanno le altre cose.

Durante quest’anno ha cambiato spesso bici: ogni volta c’è da rifare il fitting?

No, perché ho una scheda con le sue misure. Il vero fitting lo facciamo a dicembre nel primo ritiro. Uso il metro, non solo la macchina che abbiamo per prendere le misure. Con il metro sei più veloce. E una volta che l’altezza di sella e l’arretramento sono a posto, siamo tutti tranquilli. Per adesso è sempre andata bene, anche se ogni volta cambiamo anche la sella. Quella nuova permette di riguadagnare quel milimetro in meno che con l’uso di solito si perde. Piuttosto c’è da fare attenziona all’abbigliamento. Al mondiale ha usato il body Alé, qui usa Pissei. E ci sono differenze di altezza nei fondelli di cui bisogna tenere conto.

Il piccolo adesivo di Hulk sul manubrio questa volta ha il costume iridato: per Bostjan, Pogacar è molto legato al personaggio
Il piccolo adesivo di Hulk sul manubrio questa volta ha il costume iridato: per Bostjan, Pogacar è molto legato al personaggio
Ogni volta che gli monti una bici nuova, Tadej scende per provarla?

Questa è una buona domanda. Quando al Giro ha corso con la Colnago rosa, l’ha presa per la prima volta per andare al foglio firma. Ero nervoso, perché in corsa ci sarebbe stata una discesa e lui l’avrebbe fatta senza aver provato la bici. In quei casi ho sempre paura. Sono io che provo la bici e provo ad andare a tutta, ma non è lo stesso che può fare lui. Però per mia fortuna (Bostjan ride, ndr), mi è andata sempre bene.

Vuole che la sua bici sia leggera?

Sì, chiede sempre quanto pesa la bici e cosa si possa fare per renderla più leggera. Guarda cosa c’è in giro e cosa si può comprare oppure usare. A volte mi manda una foto o un link e mi chiede che cosa ne pensi. E’ molto concentrato sulla bicicletta. Anche il fatto di ridurre la lunghezza delle pedivelle è partito da lui. Ha concluso che se fosse riuscito a fare la stessa velocità con più pedalate, allora avrebbe risparmiato più energie. Ha provato e si è trovato bene, per cui l’anno scorso dopo il Tour ha detto di voler cambiare qualcosa per fare la differenza rispetto all’anno prima. Ovviamente lo abbiamo assecondato e, riducendo le pedivelle, abbiamo alzato la sella degli stessi millimetri: due, in questo caso.

Dopo la prima Billato, Pogacar ha corso da U23 con bici Gusto. Bostjan Kavcnik era da tempo il suo meccanico
Dopo la prima Billato, Pogacar ha corso da U23 con bici Gusto. Bostjan Kavcnik era da tempo il suo meccanico
Qui alla Uae ti ha portato lui?

A 43 anni pensavo di essere vecchio per queste cose. A casa ho una moglie e due bambini, non è facile essere così tanto fuori. Però lui ha chiesto ad Hauptman che ci fossi anche io e Andrej mi ha invitato a provare e sono qui da tre anni. Normalmente faccio 180 giorni all’anno via da casa, il primo anno qualcuno di più.

Tadej sceglie da solo i rapporti per correre?

Ne abbiamo parlato a lungo. Shimano ha il 40-54 e lui invece ha chiesto di avere il 38-55. Shimano non lo avrebbe fatto, allora ci siamo guardati intorno e abbiamo trovato Carbon-Ti e loro sono stati bravissimi. Ha corso tutto l’anno in questo modo, ha cambiato solo per Montreal, mondiale ed Emilia, dove ha corso con il 40-54, mentre al Lombardia ha voluto nuovamente il 38-55. Dietro usa sempre 11-34. Carbon-Ti fa per noi anche i dischi dei freni e lui ha scelto le pastiglie AbsoluteBlack, con cui dice che si sente meglio.

Usa sempre le stesse ruote?

Sì, sempre queste, le Enve SES 4.5, anche in salita: esiste una versione normale e una leggera. Per lui è importante che la ruota sia veloce, non solo leggera. A inizio anno abbiamo parlato a lungo anche delle pressioni. In squadra c’è un addetto ai materiali, David Herrero, che stila l’elenco delle pressioni in base al peso dei corridori e alle condizioni della strada, asfalto o condizioni meteo. Arriva sempre quando ci sono le crono, dove indica anche il casco più adatto, le ruote e le gomme. E’ il responsabile dei materiali.

Tadej fa sempre quello che dice lui?

Di solito è abbastanza fedele alle sue indicazioni, anche se qualcosa a volte cambia. Ad esempio interviene sulla pressione delle gomme, per come si sente più sicuro. In generale, il gonfiaggio varia a seconda che usi la ruota normale o quella leggera. Quelle leggere sono un po’ più strette e si gonfiano di più.

Bostjan conferma che Pogacar usa abitualmente ruote Enve SES 4.5, anche in versione più leggera
Bostjan conferma che Pogacar usa abitualmente ruote Enve SES 4.5, anche in versione più leggera
Mettete voi le tacchette sotto le scarpe o ci pensa il biomeccanico?

No, no, lo facciamo noi. Questa settimana gli ho fatto un paio io e un altro un collega. Abbiamo una dima in cui si può fare la singola scarpa e poi si valuta se va bene. E’ lui che dice se la vuole un po’ più a destra o sinistra, un po’ fuori o dentro. Tadej usa le tacchette gialle, che danno più libertà. Con quelle fisse che usava inizialmente ha avuto qualche problemino alle ginocchia e per evitarlo, preferisce avere il piede più ibero di muoversi.

Quando è a casa Pogacar sa fare il meccanico oppure chiede supporto?

No, normalmente se ha qualche problema va in un negozio oppure arriva qualcuno dalla squadra. A volte mi chiama e mi chiede come si possa risolvere un problema, qualcosa prova a farla da solo. Di base non vuole disturbare, Tadej è un ragazzo molto educato.

Un podio che vale, adesso Ciccone finalmente sorride

12.10.2024
6 min
Salva

COMO – Uno dei momenti da ricordare di questo Lombardia, seconda Monumento 2024 con un italiano sul podio dopo il Fiandre di Mozzato, è quello in cui Dario Cataldo taglia l’ultimo traguardo della carriera e si accorge che sul podio c’è il suo amico Ciccone. La storia è antica. Giulio è una sorta di fratello minore, cresciuto ciclisticamente alla scuola di suo padre. E quando la Lidl-Trek ha avuto bisogno di una guida per il suo leader, ha puntato sul corregionale più esperto, facendone un road captain. Dario ci teneva a chiudere al Lombardia e pur con il groppo in gola, è passato con un sorriso prima di riprendere la via del pullman.

«E’ stato bello – ammette Ciccone – è stato emozionante. Lui ci teneva a finirla qui ed è stato un bel momento, quando lui è arrivato ed io ero sul podio. Direi che è stato bello per tutti e due».

La mattinata del resto era partita all’insegna del saluto per l’abruzzese, con i compagni che si sono presentati al foglio firma mascherati con la sua faccia. Il Lombardia deve essere stato un lungo viaggio nella memoria, fino alle strade di Como in cui vinse la tappa al Giro d’Italia del 2014. dieci anni fa. Quando Cataldo è arrivato al pullman e ha tolto gli occhiali, aveva gli occhi rossi. Ha firmato autografi. Ha posato per foto. Quindi ha abbracciato i compagni di squadra e lo staff. Ha stretto forte Luca Guercilena. E poi come gli altri è salito sopra aspettando l’eroe di giornata.

Con gambe e testa

Ciccone arriva dopo mezz’ora che lo aspettiamo. Sembra frastornato, come chiunque abbia dovuto attraversare una baraonda di tifosi e ammiraglie incastrate fra loro. Quando incontra lo sguardo di Josu Larrazabal, il capo dei preparatori, il basco lo guarda e gli chiede perché sia così accigliato. Allora Giulio sorride, anche lui dispensa qualche abbraccio e poi sale sul pullman. Li sentiamo gridare e far festa. Qualcuno fa saltare il tappo di birre gelate, che sembrano un miraggio per chi aspetta in strada. Poi lo vediamo passare e gli lanciamo una voce: “Cicco”, hai due minuti? Lui guarda in basso. Sorride. Dice di sì. Ma sedendosi sui gradini del pullman, ci invita a salirne uno. Sotto c’è ancora una ressa da giorno di mercato, se scendesse non riusciremmo neppure a dirci ciao.

Gli raccontiamo che la televisione ha mostrato tante immagini di Pogacar ed Evenepoel, ma ben poco del suo rientro sui primi. Lo abbiamo visto scattare, come se fosse rinvenuto da un luogo imprecisato alle spalle del gruppetto inseguitore. Lui sorride, ha recuperato lo spirito e racconta.

«Per fortuna che almeno lo scatto l’hanno inquadrato – ride – per una volta che faccio uno scatto! Come è andata? Sul Sormano c’è stata la selezione, quella vera. Poi Sivakov è andato via da solo e io sono rimasto nel gruppetto. Ho visto anche che stava rientrando Mollema con altri corridori e a quel punto abbiamo iniziato la valle. Era lunga e farla da solo oppure in due avrebbe significato morire. Abbiamo trovato una buona collaborazione, anche se io sentivo che oggi in salita andavo bene. Ai compagni l’ho detto dopo le prime salite nella zona di Bergamo: stavo bene».

Difesa sulla Colma di Sormano e poi una sparata sul San Fermo: il Lombardia di Ciccone si è giocato anche con la testa
Difesa sulla Colma di Sormano e poi una sparata sul San Fermo: il Lombardia di Ciccone si è giocato anche con la testa

«Quindi – prosegue Ciccone – mi sono messo ad aspettare il San Fermo. Mollema l’ha presa forte da sotto e si è fatto seguire da Storer. Io poi ho dato l’accelerata e quando ho visto che erano vicini, ho preso morale. Mi sono avvicinato a quelli davanti, però non ho chiuso subito. Sapevo che se lo avessi fatto, magari scattavano ancora e mi ristaccavano arrivando da dietro. Per questo li ho lasciati un attimo lì. Ho gestito bene. E quando poi ho deciso di rientrare, mi sono detto che dovevo tirare dritto. E così ho fatto e francamente è andata anche meglio di quanto mi aspettassi».

La delusione di Zurigo

C’è orgoglio e si capisce quanto sia difficile essere un corridore di vertice, nel dover spingere fino ai limiti dell’apnea e riuscire contemporaneamente ad essere lucidi. Sapeva di giocarsi il finale di stagione. Sapeva che le ciambelle fino a quel punto non erano riuscite col buco. Aveva lavorato tanto e sodo con Bartoli in Toscana, eppure era tornato a casa dal mondiale con un pessimo gusto in bocca.

«Il mondiale per me è stato una grande delusione – sospira Ciccone – perché comunque avevo lavorato bene. Sapevo che la condizione c’era, ma sicuramente il percorso non era adatto a me. E’ stato una delusione perché è sempre brutto quando si lavora tanto e non si raccoglie nulla. Specialmente con la maglia nazionale, con cui attiri le attenzioni belle e le attenzioni brutte. Per questo oggi ci tenevo a fare bene. Ed è stato importante perché ci voleva di chiudere l’anno così. Il 2024 è stato difficile e chiuderlo nel migliore dei modi mi dà la serenità per staccare, girare pagina e iniziare nel modo migliore».

Il Lombardia è stato il primo podio di Ciccone in una Monumento e un bel modo di riscattare la stagione
Il Lombardia è stato il primo podio di Ciccone in una Monumento e un bel modo di riscattare la stagione

Il ritmo infernale

E’ salito sul podio con Pogacar ed Evenepoel: una fotografia che dà ancora più valore alla prestazione di oggi, anche se al momento il loro livello è irraggiungibile e occorre farsene una ragione, senza per questo sembrare rinunciatari.

«A volte bisogna accettare la realtà – dice – e la realtà è quella che stiamo vivendo in un’epoca di campioni. Non si tratta di accontentarsi, però di essere realisti e fare il massimo per ottenere quello che si può. E quando c’è Pogacar, si capisce presto se è in giornata super. Il ritmo a un certo punto diventa insostenibile e l’unico che riesce ad andare è lui. E oggi è stata una giornata veramente dura, perché siamo partiti fortissimo. Abbiamo fatto le prime salite a un ritmo già bello tosto e intanto la gara non si era messa proprio benissimo con quei corridori importanti nella fuga. Per riprenderli, il ritmo a un certo punto è diventato altissimo, perché credo che tanti fossero preoccupati. Io sono rimasto lì.

Un podio decisamente interessante per Ciccone, con un bicampione olimpico e iridato della crono e il campione del mondo strada
Un podio decisamente interessante per Ciccone, con un bicampione olimpico e iridato della crono e il campione del mondo strada

«Ho lavorato tanto, sono rimasto concentrato. L’ultimo mese è stato un po’ strano, però io sapevo di aver lavorato bene. E adesso stacco la spina sereno. Questa giornata significa tanto, per la sfortuna che ho avuto e per la squadra che mi è rimasta sempre vicina».

Il tempo di una foto e ci accorgiamo che alle spalle è arrivato Paolo Barbieri, un altro uomo della Lidl-Trek che chiude in questi giorni la sua carriera da press officer. Ci sono tante storie che si intrecciano in questa serata con vista sul lago gonfio d’acqua. Storie di uomini, chilometri e vite. Non resta che scrivere tutto, sperando di ricordare davvero tutto.

Pogacar fa poker ed entra nella storia del Lombardia

12.10.2024
6 min
Salva

COMO – Sono quattro Giri di Lombardia per Tadej Pogacar, tutti conquistati in un unico filotto, come fatto da Fausto Coppi tra il 1946 e il 1949. Mentre era dal 2006 che il campione del mondo non vinceva la Classica delle foglie morte, l’ultimo a riuscirci sempre sul traguardo di Como è stato Paolo Bettini. L’ultimo a rifilare un distacco così grande al secondo classificato, oltre tre minuti, fu Eddy Merckx. Il corridore sloveno che rifiuta l’accostamento con il passato ci costringe però a guardare all’albo d’oro alla ricerca di un’altra impresa simile. L’ennesima di una stagione che gli ha regalato 21 vittorie, di cui 17 arrivando da solo sotto lo striscione dell’arrivo. Tutte tranne una se escludiamo le due cronometro. L’unica volta che ha battuto un diretto rivale in uno sprint era marzo a Barcellona, nell’ultima tappa della Vuelta a Catalunya. C’è stata poi la volata ristretta a Prati di Tivo al Giro d’Italia.

Lo aveva detto ieri pomeriggio, nella conferenza stampa della vigilia, di come si senta più sicuro nell’arrivare da solo al traguardo. E come spesso fatto in questa stagione fantastica ha messo in scena il copione che aveva in mente e noi, spettatori inermi, abbiamo assistito allo spettacolo unico del suo talento. 

Lo sloveno della UAE Emirates ha eguagliato il record di Coppi: è il quarto Lombardia
Lo sloveno della UAE Emirates ha eguagliato il record di Coppi: è il quarto Lombardia

Da Siena a Como

La bici al cielo sulle sponde del lago di Como, a riallacciare il filo con la sua prima vittoria stagionale, quella in Piazza del Campo a Siena. Pogacar arriva in conferenza stampa con una giacca che riporta i colori dell’iride più grande di almeno due taglie. Con Il Lombardia lo sloveno ha concluso la sua stagione, ora ha voglia di andare in vacanza. Lo si capisce dagli occhi scavati dalla fatica dei 58 giorni di corsa disputati e dei quasi 10.000 chilometri messi sotto le ruote. Risponde in fretta alle domande e saluta tutti con la promessa di rivederci nel 2025 con nuovi obiettivi e traguardi da raggiungere.  

«Ho voluto concludere la stagione così come l’avevo iniziata – dice in conferenza stampa con una risata – con la bicicletta al cielo. Spero in una bella foto».

A Siena la prima esultanza con la bici sopra la testa del 2024
A Siena la prima esultanza con la bici sopra la testa del 2024
Quanto è stato importante per te oggi il lavoro di Hirschi, il quale è rimasto molto tempo a tirare il gruppo?

Tutta la squadra è importante, ogni compagno svolge un ruolo fondamentale durante la corsa e sono contento di avere questi campioni che lavorano per me. Anche Pavel (Sivakov, ndr) ha fatto un lavoro eccellente sulla Colma di Sormano. Poi è stato bravo a rimanere lì ed arrivare tra i primi sei al traguardo. Ma tutti si impegnano per un unico obiettivo: vincere. 

Una volta che hai avuto un buon vantaggio e sapevi che avresti vinto, cosa ti è passato per la testa?

Mi sono goduto molto gli ultimi momenti, la parte finale della gara: i tifosi sono stati fantastici. Sono molto felice di finire la stagione in questo modo e di andare finalmente in vacanza con una vittoria. Quindi semplicemente direi che è stato molto bello percorrere gli ultimi chilometri dell’anno in questo modo.

A 42,5 chilometri dal traguardo l’allungo e l’ennesima cavalcata solitaria
A 42,5 chilometri dal traguardo l’allungo e l’ennesima cavalcata solitaria
Con la vittoria nel quarto Lombardia, chiudi una stagione di successo, se dovessi scegliere un momento quale sarebbe?

Ogni successo ha la sua storia e le sue emozioni. Ma quest’anno, in cima a tutte, c’è il campionato del mondo. Penso sia difficile batterlo. 

In questo momento sei superiore a tutti gli altri, cosa pensi faccia la differenza?

Non so come rispondere, ma perché non lo so. Non vedo nella testa cosa pensano gli avversari e non vedo i loro numeri, forse è tutta una combinazione di fattori: forza, determinazione e un momento positivo per me. Ma di sicuro la motivazione, soprattutto dopo una stagione così lunga, per molti corridori è importante.

Sulle strade si vede l’affetto dei tifosi verso questo campione che unisce tutti
Sulle strade si vede l’affetto dei tifosi verso questo campione che unisce tutti
Qual è stato il momento più difficile della stagione?

Non ci sono stati particolari momenti complicati in bicicletta. Grazie alla squadra abbiamo pianificato un buon programma di gare. Non sono mai stato troppo stanco. Anche dopo il Tour de France quando ho saltato le Olimpiadi, è stato una buona decisione perché ho potuto recuperare e preparare il finale di stagione. 

Alcuni dicono che sei il killer del ciclismo moderno. 

Non vedo nessuno dire questo oggi sulla strada. Ho visto tanti tifosi. Per me è stata una bella gara oggi, 255 chilometri con tutte le persone sulla strada pronte a sostenermi e che hanno fatto il tifo per me e per tutti i corridori. Il che è sempre molto bello. Su Internet si possono sempre trovare persone che cercano di portare della negatività, ma non mi sembra che questo accada sulla strada. Quindi è questo che conta.

Evenpeol ha scavato a fondo nelle energie rimaste conquistando un prezioso secondo posto
Evenpeol ha scavato a fondo nelle energie rimaste conquistando un prezioso secondo posto
Ti rendi già conto di quello che hai fatto in questa stagione o ci metterai del tempo. 

Non lo so. Devo capire cosa ho fatto? Io l’ho fatto e basta. Per me l’importante è vivere il momento. Ora voglio andare in vacanza e riposarmi dopo questa bella stagione per affrontare la prossima, i prossimi obiettivi, le prossime sfide.

Sei rimasto un po’ sorpreso dall’alto livello di Evenepoel oggi, dopo che ha passato una settimana difficile?

No, mi aspettavo che fosse pronto. Sapeva che avrebbe dovuto fare un po’ di fatica perché era l’ultima gara dell’anno. Ed è stato davvero impegnativo per la mente ma ha dato il massimo per poi andare in vacanza perché ha avuto una stagione lunga e difficile, credo. Sì, forse nelle gare più piccole ha fatto più fatica a spingere fino in fondo ma oggi era una Monumento. Una gara bellissima che gli si addice. Ma sì, poteva spingere un po’ di più, credo.

Un sorso per brindare al quarto Lombardia e alla fine di questa grande stagione
Un sorso per brindare al quarto Lombardia e alla fine di questa grande stagione
Dici che non vedi l’ora di andare in vacanza, ma non sei dispiaciuto che sia finita? 

C’è anche la vita fuori dalla bici, quindi non vedo l’ora di fare anche quello.

Nemmeno il tempo di finire i saluti che il campione del mondo è già fuori dalla stanza che scende le scale verso Piazza Giuseppe Verdi. La stagione è terminata. E se anche fosse vero che non ha avuto momenti particolarmente difficili in bici Pogacar ha comunque messo nel mirino e conquistato due Grandi Giri, due Classiche Monumento e un mondiale. Le vacanze sono largamente meritate, non resta che aspettare il 2025 insieme per scoprire quali saranno i nuovi obiettivi di cui ha parlato.