Nonostante successi sempre più prestigiosi su strada, Tom Pidcock continua a lanciare messaggi d’amore alla mountain bike. A volte diretti, come quando dice: «Io sono e resterò un biker». A volte indiretti, quando dice: «Non cambierei i successi su strada con la vittoria delle Olimpiadi in mtb». Ma da cosa si percepisce che è un biker? Proviamo a capirlo con Marco Aurelio Fontana, super ex della mtb.
Il “Fonzie” nazionale ha visto Pidcock in azione sia su strada che in mtb (e anche nel cross). Lo vede muoversi nei due ambienti e sulle due bici e una sua idea ce l’ha, eccome…
Biker inside
«Il fatto stesso – dice Fontana – che dopo una vittoria come la Strade Bianche, Tom non abbia detto: “Adesso voglio una Roubaix”. Oppure: “Punto ad un altro grande successo su strada”, la dice lunga. Uno stradista avrebbe risposto diversamente».
In Ineos Grenadiers è proprio Tom l’uomo per il Tour de France, ma questo oltre alle gambe, richiede una concentrazione e un approccio nei mesi precedenti di grande disciplina. Non fraintendeteci, non vogliamo dire che Pidcock sia poco serio negli allenamenti, anzi si allenava pure con la spalla rotta per non saltare le Olimpiadi, ma di certo la classifica nei grandi Giri richiede un altro impegno.
Le gare che vorrebbe fare in mtb, come le prove di Coppa del mondo, non sono così scontate. C’è tutto un percorso di programmazione: carico, scarico, gare, altura… da seguire. In qualche modo sei più vincolato e meno “selvaggio”.
«In effetti – va avanti Fontana – sono paletti importanti. Un conto è andare al Tour come lo scorso anno per vincere una tappa o fare esperienza, e un conto è andarci per fare classifica. Io non ho mai fatto un Tour, ma tutti gli amici stradisti con cui parlo mi dicono che c’è una pressione senza eguali, specie per chi punta alla maglia gialla.
«Poi è anche vero che Tom ci ha sorpreso tante volte. Lui è uno di quei fenomeni… che si è messo tra i fenomeni. Uno di quelli che ha cambiato il ciclismo. Prima Sagan, poi Van der Poel e Van Aert, poi ancora Pogacar ed Evenepeol… adesso c’è lui. Magari riesce a stare bene anche in quel contesto.
«Mi dicono che tutte le squadre WorldTour sono serie, delle scuderie da F1, ma la Ineos lo è ancora di più. Magari alla fine avranno ragione loro. E se non è quest’anno, il Tour lo vince fra 2-3 anni e quel video della folle discesa postato sui social – per dire del suo spirito da biker – è meno fuori contesto».
Giovane maturo
L’analisi di Fontana va avanti. Fonzie cerca di spiegarsi facendo ricorso ai paragoni con i colleghi di Pidcock, uno su tutti, Mathieu Van der Poel, chiaramente, biker anche lui.
«Al netto del suo essere biker dentro, Tom mi sembra più maturo dell’età che ha. Ha un approccio molto più adulto alle gare rispetto a Van der Poel, per dire. Alla sua età Mathieu arrivava e vinceva perché aveva una super gamba, una forza incredibile, ma “non lo sapeva”. Più volte ho detto: “Ragazzi quando questo qui si accorge di cosa sta facendo vincerà meno, perché automaticamente penserà di più! E così è andata, qualche problemino lo ha avuto anche lui dopo aver preso consapevolezza.
«Era difficile dopo un evento vedere VdP più o meno contento a prescindere dal risultato. Tom invece dopo il quarto posto nel mondiale di mtb lo scorso anno era deluso. Lo vedo dunque più sul pezzo, più consapevole, più grande della sua età».
E questo potrebbe essere un punto a suo favore tornando a pensare a quella sfida chiamata Tour de France.
Posizione personale
Fontana poi rivede il biker anche da un punto di vista tecnico. E fa un’analisi tecnica della sua pedalata. E lo fa partendo proprio da una frase di Pidcock dopo la vittoria di Siena, quando l’inglese ha detto: «Vedevo gente che faceva fatica sullo sterrato, mentre io ero a mio agio».
«Tom pedala da biker – spiega Fontana – e lo vedo ancora di più quando è nel contesto delle gare coi pro’ su strada. Lo riconosco subito. Lo stesso Van der Poel, è più stradista. Lui ha una pedalata potente, piena, quella di Tom non è così…
«Non è facile da spiegare, ma non si tratta neanche di alta cadenza. Anzi, quella magari a volte è anche più bassa, solo che quando cambia la pendenza e si fa più dura resta sempre quella. In questo senso mi ricorda Miguel Martinez.
«Anche la posizione è diversa. Gli altri sono allungati, distesi sulla bici. Tom ha un attacco più corto, il telaio della giusta misura perché deve e vuole guidare in quel mondo. In questo mi rivedo molto in lui. Non gliene importa nulla di spianarsi sulla bici perché deve andare a 50 all’ora. Va in bici come piace a lui. Non fa come gli altri che si adattano».