Zabel, il re di 4 Sanremo, fa le carte alle donne

25.02.2025
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Dici Zabel e pensi alla Sanremo. Poi ci sono le sei maglie verdi consecutive del Tour e un totale di oltre 200 vittorie, ma la Sanremo resta il fiore all’occhiello (in apertura quella del 2001, su Cipollini e Vainsteins). Per quattro volte l’ha vinta e una l’ha persa, nel 2004, alzando le braccia troppo presto e spalancando la porta a Freire. Il tedesco di Unna, professionista dal 1993 al 2008, è oggi uno dei riferimenti di Canyon anche per quanto riguarda il team femminile di Kasia Niewiadoma, Soraya Paladin e Chiara Consonni. Per questo, alla vigilia della prima Milano-Sanremo donne, ci è venuto in mente di cercarlo per farci dare qualche ispirazione sulla Classicissima di primavera. Sarà per le donne quello che è dal 1907 per gli uomini?

Non è dato ancora sapere quale sia il percorso della gara. Si parla di 154 chilometri da Genova a Sanremo, con un circuito iniziale che porterà le ragazze già in fila sull’Aurelia, nel punto in cui termina la discesa del Turchino. Non una distanza da Sanremo, piuttosto in media con le altre classiche del calendario WorldTour: più breve del Fiandre che ne misura 163.

Che cosa era la Sanremo per Erik Zabel?

Ricordo ancora quando uscivi dal tunnel del Turchino. A volte ci entravi che a Milano faceva freddo e c’era nebbia, ma quando arrivavi al mare dopo quella galleria, sentivi come se davvero fosse arrivata la primavera. Fu amore a prima vista. Nel 1993, quando ero neopro’, feci la Tirreno. Ero in buona forma e la squadra (la Telekom, ndr) mi selezionò per la Sanremo. Arrivai 94°, ma me ne innamorai. Anche se per i primi quattro anni non riuscii a finire nella top 10, mi è sempre piaciuta.

Che cosa la rende così difficile da vincere?

E’ una miscela di distanza e altimetria, sono quasi 300 chilometri. Il finale è spaventoso. Diciamo che gli ultimi 50-60 chilometri sono sempre affascinanti. Ci sono tantissime cose che succedono sui Capi, sulla Cipressa e sul Poggio. Io non ero abbastanza forte per scappare sul Poggio, per cui cercavo di tenere la ruota dei più forti e passare in cima con i migliori dieci. Il mio obiettivo principale è sempre stato non perdere contatto, come per molti altri sprinter.

Una tattica che ha dato buoni frutti…

Ci sono sempre i finisseur e gli specialisti delle classiche che cercano di attaccare sul Poggio, come Pogacar. Penso che questo sia il fascino della Milano-Sanremo. E’ uno dei pochi Monumenti in cui ci sono diversi tipi di corridore che possono cercare di vincere. Vengono tutti insieme per questa gara. Ci sono tante tattiche diverse, ma il mio obiettivo è sempre stato quello di mantenere le ruote.

Se la corsa sarà troppo breve, Lotte Kopecky diventerebbe secondo Zabel la favorita numero uno
Se la corsa sarà troppo breve, Lotte Kopecky diventerebbe secondo Zabel la favorita numero uno
Pensi che per le donne andrà alla stessa maniera oppure la distanza forse è insufficiente perché Capi, Cipressa e Poggio siano incisivi?

Penso che 150 chilometri siano una distanza già seria. Dall’altro lato, per gli uomini la Milano-Sanremo è la gara più lunga del calendario, per cui RCS dovrebbe fare qualcosa di simile e farne la gara più lunga del calendario femminile. In quel caso avremmo situazioni simili a quelle degli uomini. Ci sarebbero Kasia Niewiadoma o Demi Vollering, le specialiste dei Grandi Giri. Ma ci sarebbe Lotte Kopecky, che va bene in salita e potrebbe arrivare bene al finale. E poi ci sono tante atlete italiane che possono passare bene quelle salite. Penso che potrebbe diventare qualcosa di speciale. In una gara di 150 chilometri, penso che la migliore sarebbe Lotte Kopecky.

Le gare delle donne sono spesso imprevedibili. La Canyon//Sram ha Niewiadoma e Consonni. Daresti a entrambe le stesse occasioni?

E’ sempre buono avere diverse carte da giocare, per essere preparati agli scenari più vari. Se i Capi e la Cipressa saranno veloci e duri, avrai immediatamente una scelta e in quel caso la gara sarà più adatta per Kasia. Se c’è un po’ di vento di fronte sulla Cipressa, gli sprinter possono provare a tenere duro. A quel punto l’obiettivo principale saranno la discesa del Poggio e prendere posizione per via Roma. Come per gli uomini. Più difficili saranno le circostanze, più ci saranno gli uomini di classifica. Ad esempio come quando vinse Nibali…

Cosa ricordi?

Tutti erano molto stanchi al termine di una gara difficile. Vincenzo è stato il più forte e ha vinto con grande classe. Ma in altri anni c’era vento a favore oppure i favoriti si sono guardati troppo a lungo e gli sprinter sono rimasti con loro. E ovviamente se ti porti un velocista in via Roma, per lo scalatore non c’è speranza.

La vittoria di Nibali nella Sanremo del 2018 fu propiziata da una corsa molto dura
La vittoria di Nibali nella Sanremo del 2018 fu propiziata da una corsa molto dura
E’ importante avere un team forte per rendere la gara più difficile?

Abbiamo visto queste ultime due edizioni con il team di Tadej Pogacar. Hanno cercato di rendere la gara più difficile. Hanno preso il controllo. Sono state edizioni veloci, soprattutto l’ultima. Il gruppo è stato selezionato già sulla Cipressa: erano tanti davanti, ma tanti si sono staccati. Se una squadra controlla per 300 chilometri, non le restano gli uomini per rendere la corsa ancora più difficile nel finale. E se ci sono in giro campioni come Mathieu Van der Poel e Wout van Aert che non commettono errori, a volte riescono ad approfittarne, come la Alpecin lo scorso anno con Philipsen.

In una corsa tanto lunga, in cui non si possono sprecare energie, avere la squadra accanto può essere la chiave per il successo?

Se puoi proteggere il tuo leader e lo porti il più fresco possibile alla volata, allora hai fatto un ottimo lavoro. Sarebbe importantissimo avere un compagno accanto dopo il Poggio. Le ragazze non sono dei robot, sono meno controllabili degli uomini. Quindi puoi avere il giorno perfetto, ma anche un giorno storto, puoi sentirti super o non così bene. Stiamo parlando di esseri umani, ma nei miei occhi una delle atlete più importanti può essere, ad esempio, Soraya Paladin. Perché Soraya è in grado di diventare il regista in gruppo. Ha una visione perfetta della corsa e delle tattiche. Sa cosa fare. E’ importante avere qualcuno all’interno della squadra che sia consapevole della situazione e che possa prenderne il controllo.

La bicicletta per la Sanremo è speciale oppure ormai le bici sono relativamente standard?

Per la Sanremo serve una bici aero. Poi bisogna avere delle ruote ad alto profilo da 60 millimetri. Ruote molto veloci, con coperture da 28-30 mm, le gomme tubeless e una resistenza più bassa possibile. Bisogna avere la bicicletta più veloce possibile.

Soraya Paladin, qui al Trofeo Palma Femina 2025, è l’atleta che può guidare la Canyon//Sram alla Sanremo
Soraya Paladin, qui al Trofeo Palma Femina 2025, è l’atleta che può guidare la Canyon//Sram alla Sanremo
Qual è stata l’ultima volta che hai scalato la Cipressa o il Poggio?

Almeno dieci anni fa.

Tornerai alla Sanremo quest’anno?

No, non credo (ride, ndr). Penso di andare alla Strade Bianche e vedere il team in Toscana. La Milano-Sanremo è una gara meravigliosa da guardare in tv, però non è facile da seguire. I corridori sono molto veloci e per superarli a volte non basta l’autostrada. In più bisogna dirlo, fino agli ultimi 60 chilometri si vede meglio dal divano.

Pogacar e la Colnago Y1Rs, prove (ben riuscite) di intesa

24.02.2025
4 min
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Dategli una bicicletta e indicategli l’arrivo, al resto Tadej Pogacar pensa da sé. Il campione del mondo ha divorato il UAE Tour in sella alla nuova Colnago Y1Rs, utilizzandola anche per vincere le tue tappe con l’arrivo in salita a Jabel Jais e a Jebel Hafeet. Non si tratta di scalate a doppia cifra su cui anche 100 grammi farebbero la differenza (figurarsi i 600 grammi che la dividono dalla V4Rs), ma parlando di salite su strade larghe e tendenzialmente veloci, l’impiego della nuova bicicletta aerodinamica ha prodotto i frutti sperati.

«Mi è servito un po’ di tempo per adattarmi alla Y1Rs – ha spiegato Pogacar a corsa conclusa – e devo dire che è una bicicletta fantastica. Ha un bell’aspetto ed è sia veloce che rigida. Posso dire con piacere di averla già usata per vincere la mia prima gara della stagione e penso che i nostri ragazzi più veloci se ne serviranno per vincere qualche sprint».

Pogacar ha sfruttato ottimamente la Colnago Y1Rs sulle salite pedalabili del UAE Tour
Pogacar ha sfruttato ottimamente la Colnago Y1Rs sulle salite pedalabili del UAE Tour

I mozzi argentati

Sulla Colnago di Pogacar facevano bella mostra di sé anche le nuove ruote ENVE SES 6.7, con un montaggio diverso da quelle utilizzate dai compagni nella corsa emiratina. La differenza salta facilmente agli occhi nella foto della tappa di Jabel Jais, in cui la Y1Rs l’ha utilizzata anche Jay Vine. I mozzi in uso all’australiano erano neri e non argentati come quelli del capitano, che li ha utilizzati anche per la ruota anteriore nella cronometro del secondo giorno.

Ci sarà da capire se si tratti di nuovi modelli o di una configurazione personalizzata, come avviene anche per guarnitura e freni. Il UAE Team Emirates ha per questo un contratto con Shimano, ma non è un mistero che in passato la squadra abbia utilizzato ugualmente componenti Carbon-Ti.

Pesante ma più veloce

La bicicletta attualmente in uso alla squadra pesa intorno ai 7,4 chili: 600 grammi più del minimo consentito, ma il vantaggio in termini di aerodinamica sarebbe tale da compensare il valore sulla bilancia. Gran parte delle migliorie riguarda la parte anteriore della bici, mentre la modifica di quello che un tempo avremmo chiamato piantone elimina una serie di turbolenze.

Gli studi aerodinamici effettuati da Colnago con la Khalifa University di Abu Dhabi e il Politecnico di Milano in modo specifico sulla sezione frontale della nuova bici (si parla dell’impiego di 70 sensori di pressione) hanno rilevato un risparmio aerodinamico del 19 per cento. Come dire che andare a 50 all’ora su una V4Rs costa 415 watt a fronte dei 395 della Y1Rs. Viste le qualità atletiche degli uomini in questione, l’utilizzo su salite veloci risulta piuttosto redditizio.

Il punto della “Longo”

Discorso ancora opposto per le donne, che sulle stesse salite del loro UAE Tour hanno utilizzato la bici più leggera, come ci ha confermato Elisa Longo Borghini, vincitrice di Jebel Afeet e della classifica finale.

«La nuova bicicletta è decisamente veloce – ci ha detto – e ed è anche molto leggera, non mi stupisce che i ragazzi l’abbiano usata per la tappa di Jebel Hafeet. Io per essere sicura ho usato il V4Rs perché è stata la bici che ho utilizzato di più nell’ultimo periodo e con cui ho fatto anche tutto il blocco di gennaio sul Teide. Però sono sicura che con una pratica maggiore avrei potuto utilizzare anche la Y1Rs. E’ sicuramente una bicicletta rigida, molto veloce e allo stesso tempo leggera. E se fai un buon bike fitting, è anche molto maneggevole in curva e si guida in modo molto reattivo».

Vingegaard torna a vincere. E manda un messaggio a Pogacar

24.02.2025
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Ieri non è stato solo il giorno di Tadej Pogacar che ha vinto il UAE Tour, ma anche di Jonas Vingegaard. Il capitano della Visma-Lease a Bike, infatti, vincendo la cronometro si è portato a casa la Volta ao Algarve em Bicicleta.

Dopo un 2024 difficilissimo, che Jonas aveva chiuso poco dopo il Tour de France (al Polonia, ndr), finalmente è riapparso sereno e non solo vincente. Il fatto che nell’arrivo in salita non avesse vinto aveva già fatto alzare qualche malumore. Il tutto mentre Pogacar già aveva vinto una corsa, era andato in fuga e si era persino gettato in volata.

Dopo Jonas e Wout, c’è Tiberi

«Non so se me lo aspettavo – ha detto Vingegaard dopo l’arrivo – ma sicuramente speravo di vincere. Ovviamente, dopo quello che è successo l’altro giorno verso l’Alto da Foia, forse ero un po’ più dubbioso… Ma, a dire il vero, credo di aver mostrato quello che sono oggi, non avevo le stesse gambe. Se è un sollievo? Non lo so, ma sono molto contento».

La vittoria di Vingegaard va analizzata. Di certo è partito molto forte e ha sfruttato alla grande le direttive arrivate dal suo compagno più illustre, Wout Van Aert. Wout, partito parecchio prima, aveva fatto segnare il miglior tempo. E anche in modo netto. Dopo il secondo intermedio si era fermato a cambiare bici: il finale, infatti, era in salita, con 2,3 chilometri al 9,3 per cento di pendenza media.
La Visma-Lease a Bike, dunque, aveva ripreso, quasi d’incanto, a essere il team fantascientifico dei dati e dell’aerodinamica.

L’unico a essere stato più veloce, ma solo nel finale, è stato Primoz Roglic, il quale però era partito col “freno a mano”. Quando è stata la volta di Jonas, le cose sono state subito chiare rispetto agli altri big della generale: vantaggi nettissimi ai due intermedi, arrivando ad avere 52” su Primoz dopo 17 chilometri. Tra gli uomini di classifica, il migliore alle spalle del danese è stato il nostro Antonio Tiberi, al termine terzo assoluto dietro ai due Visma. Van Aert, invece, che era in testa prima dell’ultimo intermedio, sullo strappo finale ha perso 27”: probabilmente il cambio della bici non ha fruttato ed ha fatto le prove per Jonas.

Questa breve cronaca ci serve per dire che Jonas è stato il migliore nella gestione dello sforzo e nella salita finale. In una parola: la condizione c’è.

Splendido Tiberi: terzo nella crono di Malhao a 3″ da Van Aert e a 14″ da Vingegaard
Splendido Tiberi: terzo nella crono di Malhao a 3″ da Van Aert e a 14″ da Vingegaard

Soddisfazione reale

«In effetti – prosegue Vingegaard – è stata una bella giornata per me e per la squadra. Ovviamente sono molto contento, molto felice di vincere la classifica generale e di prendermi la rivincita sull’altro giorno. Mia figlia mi ha detto che dovevo vincere oggi, questo mi ha dato ancora più motivazione per farlo per lei».

Vingegaard è tornato più volte sulla prestazione della seconda tappa, quella della sua “non vittoria” in salita. Forse gli scocciava per davvero. E ha aggiunto: «Altri avevano già diversi giorni di gare nelle gambe, io scendevo dall’altura e mi serviva un po’ di tempo per prendere il ritmo».

«Come stavo? E’ stata una bellissima cronometro, mi sono divertito molto. Era un percorso adatto a me, anche se ovviamente dipende se hai buone gambe oppure no. Per ora mi sento bene, sono molto felice di essermi divertito oggi.
«Sono partito pensando alla cronometro e non alla generale. Era un test importantissimo. Sentivo che con le spalle ero messo bene. Anche la scelta di non cambiare la bici è stata ben ponderata. Alla fine abbiamo valutato che per me la differenza di tempi sarebbe stata pochissima e così abbiamo deciso di continuare con la bici da crono».

Messaggio a Pogacar

L’Algarve rilancia parecchio Vingegaard e, tutto sommato, l’intera Visma. Anche la prestazione di Van Aert non va sottovalutata. Aver letteralmente dominato la crono la dice lunga sui materiali, sulle gambe, sul buon lavoro svolto in altura. E ci voleva dopo un 2024 tribolato.

«Come ripeto – ha concluso Vingegaard – sono contento per me e anche per Wout. Anche lui veniva da un anno difficile. Ora non vedo l’ora che arrivi il resto della stagione».

Resto della stagione che per Vingegaard sarà incentrato sul Tour de France. Ma questo primo blocco di gare vedrà impegnata l’ex maglia gialla anche alla Parigi-Nizza e al Catalunya. Il suo programma prevede solo corse a tappe, e l’altra gara prima della Grande Boucle sarà il Delfinato.

Ma il Delfinato sembra lontanissimo. Quello che conta della giornata di ieri è che, se Pogacar trionfa, Vingegaard non sta a guardare. Il messaggio arrivato allo sloveno è stato forte e chiaro.

Senni e il nuovo ruolo di meccanico alla UAE, con sguardo esperto

22.02.2025
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La Volta ao Algarve è entrata già nella sua fase cruciale dopo la cancellazione della prima tappa per i problemi di gestione del percorso, le immagini della “doppia volata” hanno fatto il giro del mondo. Oggi (giovedì per chi legge) il gruppo si è arrampicato fino all’Alto da Foia dove Jan Christen e Joao Almeida hanno firmato un uno-due micidiale. La novità in casa UAE Team Emirates-XRG è la presenza in ammiraglia di Manuel Senni come meccanico. Il romagnolo dopo aver concluso la carriera si era messo a lavorare in un negozio di bici e dopo un paio di giorni di gara nel 2024 da quest’anno ricopre il ruolo di meccanico per la formazione emiratina (in apertura foto UAE Team Emirates – XRG).

Dopo periodo di prova nel 202, Senni è diventato meccanico del team emiratino (foto UAE Team Emirates – XRG)
Dopo periodo di prova nel 202, Senni è diventato meccanico del team emiratino (foto UAE Team Emirates – XRG)

Già in corsa

Quando lo chiamiamo è a bordo strada pronto per un rifornimento, la gara è appena partita e i ritmi sono tranquilli. Raccogliamo il fiato e insieme a Senni entriamo nei segreti di questo nuovo ruolo. 

«Dal 2021 – racconta – anno in cui ho smesso di correre, mi sono subito messo al lavoro trovando un impiego in un negozio. Da quelle parti passa ogni tanto Andrea Agostini, uno dei team manager della UAE Emirates e l’anno scorso mi ha chiesto se fossi interessato a fare qualche giorno di prova con loro. Ho accettato e nella passata stagione mi sono trovato a fare il meccanico per la squadra in un paio di occasioni. Ci siamo trovati subito bene e qualche mese dopo mi hanno messo sotto contratto e lavoro a tempo pieno con la UAE Emirates».

Prima del ritiro di gennaio i meccanici hanno sistemato le bici dei corridori, sullo sfondo la Colnago iridata di Pogacar (foto Instagram/Manuel Senni)
Prima del ritiro di gennaio i meccanici hanno sistemato le bici dei corridori, sullo sfondo la Colnago iridata di Pogacar (foto Instagram/Manuel Senni)
Parlandone riesci a realizzarlo o è ancora tutto troppo nuovo?

Essere nel mondo UAE è bello. Anche quando correvo ho sempre vissuto il ciclismo come una passione e non un lavoro. La stessa sensazione mi rimane oggi. Rientrare nel ciclismo professionistico lavorando con la squadra numero uno al mondo e restare accanto a questi corridori è bello. 

Cosa cambia nel vivere il ciclismo da corridore o da membro dello staff?

Quando sei un atleta hai uno “stress” maggiore perché la tua performance ha un peso non indifferente. Essere nello staff toglie questa parte ma si  lavora di più, ci si fa il mazzo! Però a livello di stress e tensione sei più tranquillo, la cosa che mi piace è che comunque mi sento coinvolto.

Si è parte dello stesso gruppo, anche se con lavori e mansioni diverse…

Questa è la mia prima gara del 2025 e mi sento preso dal risultato, percepisco la tensione della gara. E’ una tensione passiva, perché in bici ci vanno i corridori, però tutti lavoriamo per il massimo risultato e quando li guardo è come se fossi lì con loro. 

Nella seconda tappa della Volta ao Algarve la doppietta UAE firmata da Christen e Almeida
Nella seconda tappa della Volta ao Algarve la doppietta UAE firmata da Christen e Almeida
Cosa hai già visto del mondo UAE Emirates?

Sono stato nel magazzino a Milano per montare i telai prima di partire per il ritiro di gennaio in Spagna. Quello è stato il primo impatto con tutti i corridori, c’erano Pogacar e tutti i grandi nomi della squadra. C’era tanta emozione, ma anche tanta responsabilità. Sai di essere nella squadra più forte del mondo e non puoi sbagliare. 

Hai già lavorato alla bici di Pogacar?

Per il momento non ancora, lui ha un meccanico personale che lo segue da quando era ragazzino. 

Com’è arrivare alla gara con il pullman della UAE?

Sei sommerso da un mare di gente e di tifosi. Da corridore lo percepisci ma lo vivi meno, scendi dal pullman per andare a firmare, risali e riscendi per andare alla partenza. Noi dello staff siamo a contatto con i tifosi per tante ore, chiedono e fanno domande. 

I corridori portoghesi sono delle star alla Volta ao Algarve, qui Ivo Oliveira scatta una foto con una tifosa
I corridori portoghesi sono delle star alla Volta ao Algarve, qui Ivo Oliveira scatta una foto con una tifosa
Di che tipo?

Vogliono la borraccia oppure chiedono dove sono i corridori così li aspettano per una foto o un autografo. Ci sono anche tanti appassionati di tecnica che fanno domande sulle corone, sui rapporti, le gomme o le pressioni. Altri sono curiosi e basta e ci chiedono come stanno gli atleti. 

Voi rispondete?

Per quel che possiamo fare sì. Ma giuro che non sappiamo lo stato di forma dei corridori, per quello dovreste chiedere ai preparatori. 

Senni alle prese con la pressione delle gomme, per ora nessuna richiesta particolare (foto UAE Team Emirates-XRG)
Senni alle prese con la pressione delle gomme, per ora nessuna richiesta particolare (foto UAE Team Emirates-XRG)
Essere stato corridore ti aiuta per prendere dimestichezza con questo nuovo lavoro?

Devo ammettere di sì. Anche ora per passare la borraccia, se sei stato dall’altra parte conosci i movimenti e sai aiutare l’atleta. La cosa su cui bisogna prendere subito le misure sono le strade e le scorciatoie per arrivare in tempo ai rifornimenti. Quindi prima di partire si deve controllare sulle mappe quali sono le strade chiuse per evitare di rimanere imbottigliati e perdere il passaggio del gruppo. In qualche occasione sono dovuto andare ai rifornimenti da solo e devo ammettere che un pochino di tensione c’era. 

Siete partiti bene con la doppietta Christen-Almeida nella seconda tappa…

Siamo qui con una squadra forte e con quattro corridori portoghesi su sette. Loro sono le star locali, quando arrivano Almeida, Morgado e i fratelli Oliveira il pubblico si scalda parecchio. 

Dopo una doppietta come questa c’è tempo di festeggiare?

Poco! Per noi meccanici appena termina la tappa inizia il vero lavoro, apriamo il gas. Carichiamo le bici e si va verso l’hotel e si lavora per far sì che tutto sia pronto per la tappa successiva. Laviamo i telai, controlliamo i vari componenti e poi laviamo i mezzi. Al momento è tutto molto regolare, i corridori non hanno ancora avanzato richieste particolari. Anche in corsa non abbiamo vissuto situazioni stressanti, le forature sono arrivate in momenti tranquilli.

Finita la tappa Senni e i membri dello staff caricano le bici e si dirigono in hotel, il lavoro è appena iniziato (foto UAE Team Emirates-XRG)
Finita la tappa Senni e i membri dello staff caricano le bici e si dirigono in hotel, il lavoro è appena iniziato (foto UAE Team Emirates-XRG)
Dove andrai poi?

Ho un calendario provvisorio, ma appena terminata la Volta ao Algarve andrò alle corse in Croazia. Poi farò una serie di corse con il devo team e ad aprile dovrei essere alla Roubaix. Lì ci sarà tanta tensione, ma avrò avuto modo di fare esperienza nel frattempo. 

Continuerai a lavorare in negozio?

Visto che sono assunto a tempo pieno ho tanto lavoro da fare, anche fuori dalle gare, però se capiterà una mezza giornata libera tornerò volentieri a salutare i vecchi colleghi

Narvaez torna in Europa, con le certezze dell’Australia

20.02.2025
6 min
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Una toccata e fuga. Jhonathan Narvaez ha esordito con la nuova maglia della Uae dimostrando subito di che pasta è fatto, conquistando al Santos Tour Down Under quel successo finale che gli era sempre sfuggito in una corsa di livello WorldTour. Già solo quel risultato porterebbe a dire che la scelta di lasciare la Ineos dopo ben 6 anni è stata giusta. Jhonatan è tornato in Ecuador, riconfermandosi campione nazionale e poi ha continuato ad allenarsi in altura, nella “sua” altura. Doveva venire in Europa per le corse iberiche, ma poi si è scelto di posticipare alle prime classiche belghe.

Per parlare con lui lo abbiamo praticamente buttato giù dal letto, fissando un appuntamento quando da lui erano le 7 del mattino. Eppure era già sveglio e pronto, davvero desideroso di raccontare la sua nuova dimensione e di riassaporare presto quel mondo messo solo provvisoriamente da parte.

Nella classifica del Tour Down Under, Narvaez ha prevalso con 9″ su Romo (ESP) e 15″ su Fisher Black (NZL)
Nella classifica del Tour Down Under, Narvaez ha prevalso con 9″ su Romo (ESP) e 15″ su Fisher Black (NZL)
Che cosa ha rappresentato per te la vittoria in Australia?

Per me è stata una vittoria importante perché è un appuntamento prestigioso. Ci tenevo particolarmente per dimostrare di essere un buon elemento per quel tipo di corse, lunghe una settimana. Sapevo che aveva le caratteristiche giuste, con salite non troppo lunghe. Lo scorso anno la vittoria finale mi era sfuggita per 9”, pensavo che dovevo solo fare le cose per bene e avrei colto il bersaglio grosso. Così è stato.

Qual è stato il momento più bello e quello più difficile?

Sicuramente il penultimo giorno, quello di Willunga perché c’era un vento molto forte che ha spaccato in due il gruppo e io mi sono ritrovato nella seconda metà. Ho pensato che non saremmo più riusciti a rimettere insieme i pezzi, che la corsa era ormai andata. Ma poi ho pensato anche che dovevo mantenere la calma, infatti sono rientrato e nell’ascesa finale ho messo insieme il tutto e ho vinto. Quindi nella stessa tappa c’è stato anche il momento migliore.

La volata vincente nella penultima tappa a Willunga Hill, battendo Onley e Fisher Black
La volata vincente nella penultima tappa a Willunga Hill, battendo Onley e Fisher Black
Le corse a tappe come il Santos Down Under sono la tua dimensione ideale come ciclista?

Credo di sì. Per me è una gara dura, ma non prevede lunghe salite da 20 minuti, quindi è adatta a me. Si tratta di fasi esplosive in cui bisogna essere veloci. Quindi posso dire che è una gara che si adatta alle mie caratteristiche. La cosa che mi dispiace è che di corse così, di una settimana intera, non troppo lunghe né brevi, non ce ne sono altre in cui potrò essere leader. Il che significa che avevo solo un colpo in canna…

Come ti sei trovato a fare il leader alla Uae?

E’ stato molto positivo, mi hanno dato fiducia sapendo che potevo essere un valido candidato al successo. Ho già fatto gare come capitano, gestendo la squadra, so come muovermi anche nei momenti difficili, ma il team mi ha dato molta sicurezza e soprattutto i compagni hanno lavorato in maniera splendida. Non dimentichiamo che era comunque una gara WorldTour, non si può mai dire come andranno le cose in un livello così alto.

L’ecuadoriano con compagni e staff ad Adelaide. Lo scorso anno aveva perso per appena 9″
L’ecuadoriano con compagni e staff ad Adelaide. Lo scorso anno aveva perso per appena 9″
Tu hai sorpreso tutti al Giro d’Italia battendo Pogacar il primo giorno: ripensa a quella tappa non come avversario ma come compagno di Pogacar, come potreste lavorare insieme nella stessa situazione?

Questa domanda non mi è mai passata per la testa, ma non so davvero cosa sarebbe successo in quello scenario, se lui fosse stato il mio socio e compagno di squadra. E’ un tema interessante, per trovare una risposta adeguata dovrei trovarmi a gareggiare insieme e non è ancora successo. Ho fatto solo dei training camp in cui abbiamo condiviso piccoli momenti in bici, in hotel e niente di più. Devo imparare a conoscerlo, sarà anche importante in vista del Tour.

Che tipo è e come ti trovi a essere un suo aiutante, magari proprio alla Grande Boucle?

Partiamo col dire che il Tour è un pensiero che mi entusiasma, perché non l’ho mai affrontato. Per me è molto importante portare a termine la gara. Ed è ancora più bello farlo in una squadra come la sua, accanto al campione in carica, quindi sarà una bellissima avventura e speriamo di arrivare in buone condizioni.

Appena tornato dall’Australia, Narvaez si è laureato campione nazionale, per la terza volta (foto Prensa Latina)
Appena tornato dall’Australia, Narvaez si è laureato campione nazionale, per la terza volta (foto Prensa Latina)
Le tue vittorie in Ecuador che risalto hanno avuto?

Ora il ciclismo sta crescendo poco a poco. Sia per quanto riguarda i giovani corridoi che per gli appassionati, c’è molto più fermento rispetto a sei anni fa, oggi il ciclismo è molto diffuso. Anche le corse sono molto più seguite. Le mie vittorie mi hanno reso piuttosto popolare, il successo in Australia ha avuto risalto. Prima non era così. Soprattutto nella zona in cui vivo, quella montuosa dell’Ecuador. Qui si va molto in bicicletta.

Tra poco torni in Europa: lasciare casa che sensazioni ti dà?

Non è tanto un peso perché viaggio sempre con la mia famiglia, ho mio figlio che ha un anno e quindi posso seguirlo insieme a mia moglie. Ci siamo adattati bene alla vita europea. Apprezzo i benefici della mia professione: tutta la mia vita è quasi organizzata e non mi costa nessuno sforzo tornare indietro. Ovviamente mi manca il mio Paese, poi in questo momento è bellissimo perché il clima è molto buono, ma fa parte del raggiungimento dei propri obiettivi professionali, è un sacrificio che faccio volentieri.

Il suo successo nel 2020 a Cesenatico, nel Giro d’Italia dove si è rivelato come ottimo finisseur
Il suo successo nel 2020 a Cesenatico, nel Giro d’Italia dove si è rivelato come ottimo finisseur
Tu farai tutto il periodo delle classiche, qual è quella che ti piace di più e con che ambizioni le affronti?

A me piacciono tutte molto, ma soprattutto quelle fiamminghe che meglio mi si adattano, ad esempio il Giro delle Fiandre. Ma anche quelle delle Ardenne mi piacciono molto. Le affronto tutte con molta ambizione, puntando a fare bene e portare a casa qualcosa, d’altronde un corridore non va avanti con l’ambizione. So che ci saranno gare dure, ma arriverò nelle migliori condizioni possibili, ho lavorato per quello.

Hai vinto due volte al Giro d’Italia: che differenza c’è tra il Narvaez del 2020 e quello dello scorso anno?

Ora riconosco di essere un corridore un po’ più maturo. Nel 2020 ho commesso ancora molti errori come professionista, forse un po’ di ignoranza su cosa bisogna fare in allenamento e a riposo. Negli ultimi anni ho lavorato meglio, sono stato più disciplinato con l’alimentazione, l’allenamento, il riposo e questo mi ha fatto fare un salto in avanti. Penso che la chiave sia cercare di fare le cose bene per poter emergere.

Grandi Giri e Roubaix: per Pogacar la benedizione di Martinelli

18.02.2025
5 min
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Negli ultimi giorni il video di Pogacar nella foresta di Arenberg ha fatto il giro del mondo. Tutti ne hanno parlato, dagli avversari (intimoriti) ai tifosi (sognanti). In una recente intervista Fabio Baldato ci ha rivelato che quella ricognizione faceva parte di una due giorni più generale sulle strade del Nord, e che per quest’anno la Roubaix non è nei programmi del campione del mondo. Pogacar però non ha mai fatto mistero di voler correre la regina delle classiche e la sensazione generale è che abbia tutte le carte in regola per poterla vincere.

Un’idea – un corridore da corse a tappe che se la gioca sulle pietre francesi – che solo cinque anni fa sembrava impensabile. Non a caso l’ultimo vincitore del Tour de France a trionfare alla Roubaix è stato Bernard Hinault nel 1981, 44 anni fa. Abbiamo raggiunto al telefono Giuseppe Martinelli per chiedere la sua opinione su questa difficile quanto affascinante convivenza.

Dopo quasi 40 anni in ammiraglia Giuseppe Martinelli ha terminato nel 2024 la sua carriera da direttore sportivo
Dopo quasi 40 anni in ammiraglia Giuseppe Martinelli ha terminato nel 2024 la sua carriera da direttore sportivo
Martinelli, che effetto le ha fatto vedere Pogacar sfrecciare nella foresta di Arenberg?

Ci sono due cose che mi fanno pensare. La prima è che andato a provare perché non si sa mai, se dovesse sentirsi bene in quel periodo potrebbe anche dire: vado e provo. La seconda è che secondo me gli piace proprio andare in bici, in sella gli viene tutto facile e allora ci è andato anche giusto per divertirsi. Non possiamo saperlo. Quello che è chiaro è che sicuramente è l’unico corridore in questo momento che può pensare di fare una cosa del genere, vincere un Grande Giro e la Parigi-Roubaix. Sono molto curioso di vederlo ora all’inizio della stagione, perché credo che quest’anno andrà ancora più forte. Sa che Vingegaard arriverà al Tour più forte rispetto alla scorsa stagione, quindi anche lui arriverà ancora più preparato.

L’ultimo vincitore di Tour a fare sua la Roubaix è stato Hinault nel 1981. E’ davvero così difficile coniugare le due cose? 

Abbastanza. Roubaix e Tour si potrebbe anche fare forse, ma Roubaix e Giro è davvero difficile. 

Troppo ravvicinati? 

Sì, alla Roubaix una caduta è dietro l’angolo e non hai tempo di recuperare. In più una gara del genere ti lascia strascichi anche nelle gambe. E per uno che prepara il Giro sono tossine e fatiche che possono rimanere per molto tempo. Ma soprattutto il problema sono le incognite, gli incidenti. Quando programmi una stagione valuti anche i rischi, è normale, è alla fine di solito dici di no. E’ una questione di strategia e di rischi calcolati. 

Nel 2014 Nibali costruì gran parte del suo successo al Tour sul pavè
Nel 2014 Nibali costruì gran parte del suo successo al Tour sul pavè
Lei era in ammiraglia nella famosa tappa del pavè al Tour 2014, quando sulle pietre Nibali fece la differenza in maglia gialla. Anche considerando il suo passato in mtb avrebbe potuto provarla?

Quel giorno Vincenzo aveva una condizione eccezionale e accanto compagni fortissimi, Contador prese qualcosa come 4 minuti. Sono quelle giornate in cui viene tutto facile. Per quanto riguarda il provare a fare la Parigi-Roubaix ci abbiamo pensato molto, l’idea c’era ma non c’è stata l’occasione. Il problema, oltre ai rischi di cui parlavo prima, è che se un uomo di classifica va lì trova gli specialisti che si concentrano su quelle gare. Ai tempi di Vincenzo per esempio c’erano Sagan e Cancellara. Quindi era difficile andarci solo per provare, correndo quegli inevitabili rischi.

Magari avrebbe potuto andarci a fine carriera?

Nel 2022 volevamo provare, ma Vincenzo alla fine ha rinunciato e anch’io ho tirato un po’ indietro. Dispiace un po’ perché avrà quel piccolo rimorso, ma alla fine uno come lui non ha bisogno di quello per ampliare un palmares già straordinario. Poi nel 2022 c’erano già campioni più forti di lui e a quel punto non ne valeva più la pena.

La tendenza è di usare coperture sempre più larghe. Baroncini, in questa ricognizione del 2024, montava tubeless da 32 mm (foto UAE Team Emirates)
La tendenza è di usare coperture sempre più larghe. Baroncini, in questa ricognizione del 2024, montava tubeless da 32 mm (foto UAE Team Emirates)
Oggi sarebbe più facile rispetto al passato con i nuovi materiali che si hanno a disposizione?

Forse sì, è più semplice, con le nuove bici e i copertoni tubeless, magari si corrono meno rischi. Ma il punto vero è sempre un altro, cioè il fatto che, oggi soprattutto, alla Roubaix ci sono tre o quattro corridori fortissimi contro cui scontrarsi. Per un corridore da Grandi Giri pensare davvero di battere gente come Van Aert o Van Der Poel è dura, campioni del genere se non hanno problemi se la giocano tra loro. Quindi finisci con l’andare solo per partecipare, e un 6° o 7° posto secondo me non vale il rischio.

Considerazioni che valgono per tutti tranne che per Pogacar… 

Non c’è dubbio. Se dovessi buttarla lì, per lui è quasi più facile vincere la Roubaix che la Sanremo. Perché sul pavè contano le gambe e la tecnica, e lui ce l’ha tutte e due. Ha anche una squadra forte, con compagni come Wellens e Politt che lo possono pilotare molto bene.

Tadej Pogacar probabilmente non sarà al via della Roubaix 2025, ma l’appuntamento è solo rimandato
Tadej Pogacar probabilmente non sarà al via della Roubaix 2025, ma l’appuntamento è solo rimandato
Se lei fosse il suo DS quando gliela farebbe fare?

Intanto se fossi il suo tecnico, sarei molto contento, in generale. A parte gli scherzi, lascerei decidere a lui. Gli direi: «Quando vuoi farla, io ci sono». Poi ha il vantaggio che non deve preparare più di tanto una gara del genere, perché lui è sempre pronto, basta fargli trovare la bici a posto e lui va. Ora che non sono più dentro il ciclismo ho proprio voglia di godermelo, mi è piaciuto dal primo giorno. Perché semplicemente è un fenomeno e quindi fa cose impensabili per gli altri, anche vedendole da fuori. Io ho seguito il ciclismo tutta la vita, ma quando l’ho visto attaccare al mondiale a 100 chilometri dall’arrivo ho spento la tv e sono andato a farmi una passeggiata.

Perché credeva che la gara fosse già finita lì? 

No, al contrario, perché pensavo l’avesse buttata via. Poi dopo un’ora e mezza sono tornato, ho riacceso la tv ed era ancora lì, in testa. Qualcosa di davvero incredibile. Non mi sono mai divertito tanto a guardare il ciclismo come gli ultimi tre-quattro anni, perché se ami questo sport non puoi non voler bene a corridori del genere che ti fanno saltare sulla sedia e avvicinano tanti giovani alla disciplina. Speriamo che tutto questo aiuti anche il movimento italiano.

UAE Tour, riparte Pogacar. Con Gianetti nel cuore di Tadej

13.02.2025
5 min
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Mauro Gianetti è volato ieri in UAE, dove da lunedì inizierà in UAE Tour degli uomini. Quello delle donne l’ha vinto domenica scorsa Elisa Longo Borghini: maglia simile, ma società diverse. Certo Pogacar e compagni (in apertura foto Fizza/UAE) non saranno in ansia per dover reggere il confronto, ma è innegabile che andare a correre in casa dello sponsor sia sempre un’esperienza particolare. Al punto che sarebbe stato lo stesso Tadej a insistere perché lo portassero laggiù. Così almeno dice Gianetti.

«E’ la corsa di casa – spiega il manager svizzero – c’è entusiasmo per tutto quello che il Governo ha progettato e creato negli ultimi dieci anni. Anche i corridori, quando vengono negli Emirati per il ritiro, se ne rendono conto. Soprattutto Tadej ha visto la crescita, perché lui è con noi dall’inizio. Ha visto tutta l’evoluzione e quello che si continua a realizzare. In principio non era previsto che corresse il UAE Tour. Vogliamo dare la possibilità anche ad altri, ma è stato lui a chiederlo. Sentiva il richiamo di fare la prima gara del 2025 con la maglia di campione del mondo proprio negli Emirati. Il piano originario prevedeva invece che cominciasse alla Strade Bianche».

Il governo emiratino ha affiancato al team un progetto per mettere in bici i ragazzi e Gianetti è parte attiva (Photo Fizza)
Il governo emiratino ha affiancato al team un progetto per mettere in bici i ragazzi e Gianetti è parte attiva (Photo Fizza)
Sicuramente gli piace andare in bici. Lo abbiamo anche visto pedalare della Foresta di Arenberg…

Era al Nord per vedere le tappe del Tour, ve lo ha raccontato Fabio Baldato, in più quel giorno doveva fare dei test in pista. Però ha sentito che Wellens sarebbe andato a fare un allenamento sul pavé e si è offerto di accompagnarlo. Per questo lo avete visto in quel video e mi sembra che andasse anche bene. Alla fine era gasatissimo. Gli è piaciuto tanto, non aveva mai provato il vero pavé. E ha detto che un giorno andrà a fare la Roubaix, ma non quest’anno. Si diverte ed è bene così.

Quanto è popolare Pogacar negli Emirati?

Da morire, non faccio paragoni dissacranti, ma è molto popolare. Al di là dell’atleta, è qualcuno che ha fatto grande gli Emirati Arabi, li ha portati in cima al mondo. E’ amato e adorato da tutti, forse più che in Europa. In generale, chiunque faccia parte della squadra, viene visto con occhi speciali. Quello che stiamo facendo per loro è veramente percepito come qualcosa di grande, che va al di là del semplice sport.

Ci saranno eventi speciali per l’arrivo del campione del mondo?

La gara è quella. E’ chiaro che noi, anche in Europa, ormai abbiamo capito che quando andiamo alle gare con Tadej, abbiamo bisogno di una struttura che prima non avremmo mai immaginato. Forse il ciclismo prima non ne aveva mai avuto bisogno, se non con Marco Pantani e forse Armstrong. C’è bisogno di più di sicurezza attorno a lui quando si muove e negli Emirati sarà più o meno la stessa cosa.

UAE Tour del 2022: Pogacar vince a Jebel Hafeet davanti ad Adam Yates che ora è un suo compagno di squadra
UAE Tour del 2022: Pogacar vince a Jebel Hafeet davanti ad Adam Yates che ora è un suo compagno di squadra
E’ da escludere che parteciperà per fare presenza: lo immaginiamo all’attacco ogni volta che potrà…

Lui corre per vincere. E’ un agonista, uno che ha voglia e lavora tanto. Si allena, si impegna, è dedicato, è appassionato, condivide l’emozione dell’allenamento anche con i compagni. Ha accompagnato Tim Wellens a provare la Roubaix, gli piace essere con loro. Lui è veramente così e di conseguenza corre per vincere. Sa di poterlo fare quindi ci prova e non parte mai senza un obiettivo chiaro.

Se Tadej è fatto così, avete paura che il tanto successo possa cambiarlo? Ne avete mai parlato con lui?

E’ un argomento che va affrontato, anche perché la sua crescita come atleta non è finita e tantomeno come personaggio. E’ tutto in evoluzione, per cui sono discorsi e un’attenzione che discutiamo regolarmente con lui e con chi lo circonda. Quindi la famiglia, il suo agente, la squadra, il nostro gruppo. Tutti assieme vogliamo il meglio, ma prima di tutto bisogna capire cosa vuole lui. Al centro c’è Tadej. Per cui da un lato non vogliamo limitare la sua notorietà, dall’altro non vogliamo creare un fenomeno da baraccone che non sia in grado di sostenere la troppa pressione. 

Quindi è ancora tutto in divenire?

E’ un lavoro costante che dobbiamo portare avanti perché l’evoluzione del personaggio e dell’atleta è tutt’ora in corso. Bisogna stare concentrati anche su quello. Quindi è chiaro che lui deve rimanere se stesso e noi tutti attorno lavoriamo per far sì che il il personaggio coincida con il vero Tadej.

Così su Instagram, Pogacar ha svelato sorridendo il suo test nell’Arenberg
Così su Instagram, Pogacar ha svelato sorridendo il suo test nell’Arenberg
Come procede lo sviluppo del ciclismo in UAE?

A causa del Covid c’era stato un piccolo rallentamento dei nostri progetti nelle scuole, mentre negli ultimi due anni c’è stata un’impennata. Nel 2025 ripartiamo con un grosso progetto, in cui per ogni anno metteremo in bicicletta altri 3.000 bambini. E’ un progetto di sei anni, molto concreto e con molta passione da parte di tutte le scuole degli Emirati Arabi, che fanno gara per poter partecipare. Vedere la voglia dei bambini di indossare una t-shirt della squadra e imparare ad andare in bicicletta, è una cosa davvero bella.

E poi ci sono le infrastrutture?

Stiamo assistendo alla crescita velocissima del velodromo che ospiterà il mondiale pista del 2029. E poi le strutture, i chilometri e chilometri di piste ciclabili che ogni mese si aggiungono a quelle già create in questi anni. Questo è davvero bello, c’è uno sviluppo veramente rapido, veloce e appassionante.

Baldato nella Foresta con un ospite speciale

12.02.2025
7 min
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Agile e potente. Capace di saltellare su sassi ancora infangati come se non avesse fatto altro per tutta la sua vita. Rilassato e sicuro. A forza di vederlo sfrecciare sul pavé nei video su Instagram, la curiosità di sapere come sia andato il viaggio al Nord di Tadej Pogacar è diventata irrefrenabile. Ed è per questo che abbiamo suonato alla porta di Fabio Baldato, che da esperto guerriero del Nord non si è perso un solo gesto del campione del mondo. E come al solito non ha potuto fare altro che ammettere il suo stupore.

Lo stesso dei tifosi, ignari di tutto, che se lo sono visto uscire dalla Foresta di Arenberg e indossare in tutta fretta il giubbino iridato per farsi una foto ricordo. Altrimenti per questa scorribanda sul pavé del Fiandre e della Roubaix, lo sloveno aveva puntato su un look all-black, anche per passare inosservato.

«Sta a noi essere bravi e proteggerlo – sorride Baldato – perché lui si fermerebbe con tutti. Non si nega a nessuno e non se la tira per niente. Si ferma per strada con il ragazzino che gli chiede di fare il selfie, l’autografo o di firmare la borraccia. E’ successo così all’uscita dell’Arenberg, come pure davanti all’hotel o sul percorso del Fiandre».

Sui muri del Fiandre, testando i nuovi materiali, per ricreare le condizioni del 2023
Sui muri del Fiandre, testando i nuovi materiali, per ricreare le condizioni del 2023

Il volo di andata il venerdì sera, il ritorno di domenica sera. Wellens e Pogacar da Nizza, Baldato da Venezia. E in mezzo il personale con i mezzi. Era una trasferta programmata da tempo, soprattutto per testare i nuovi materiali. Pogacar non corre il Fiandre dal 2023 (quando lo vinse) e voleva recuperare il tempo perso.

Quando è nato il progetto?

Lo avevamo pensato a dicembre. Saremmo dovuti andare in quattro, ma all’ultimo momento Morgado ha dovuto fare un piccolo intervento a una ciste, mentre Politt si è fermato a Mallorca e non era il caso che venisse su certe strade. Quindi alla fine da quattro corridori sono rimasti in due.

Qual era l’obiettivo?

Vedere il percorso. Tadej non ha fatto il Fiandre l’anno scorso e abbiamo materiali nuovi: ruote, anche tubeless e pressioni da provare. Quindi abbiamo voluto fare i test anche per lui, partendo dall’esperienza fatta nel 2024. Eppure, nonostante i test da fare, non ha sdegnato di fare due buoni allenamenti, belli intensi. Abbiamo fatto il Fiandre dall’inizio dei tratti in pavé, quindi 180 chilometri. E più o meno lo stesso per la Roubaix.

Il test della Roubaix è stato tanto per provare oppure c’è sotto qualcosa?

Quest’anno è stato tanto per provare. Che lui ce l’abbia nella testa, l’ha già detto anche in passato, ma non è nel programma di quest’anno. Al momento, almeno. Il motivo principale del nostro viaggio era rinfrescarsi il Fiandre e usare i materiali. C’era in programma di fare anche due giorni di buon allenamento, un buon carico di lavoro e siamo riusciti a fare tutto bene. Eravamo nel nostro classico Park Hotel di Waregem, che viene molto comodo per fare le ricognizioni.

Pogacar ha corso (e vinto) il Fiandre per l’ultima volta nel 2023. Baldato era sull’ammiraglia
Pogacar ha corso (e vinto) il Fiandre per l’ultima volta nel 2023. Baldato era sull’ammiraglia
C’erano anche i meccanici quindi?

Sì, c’era Maurizio Da Rin, che era con me già al Fiandre lo scorso anno. E con lui per le corse ci sarà anche Bostjan, il meccanico di Tadej. Volutamente abbiamo portato uno dei meccanici che ha più esperienza e che segue tutto il discorso delle gomme, delle pressioni e altro. Tadej ha provato. Si è fidato di quello che avevamo usato l’anno scorso, poi ha saggiato un paio di opzioni di pressione per come erano state suggerite dal settore performance. Ha provato ad abbassarle un po’, quindi ha rimesso quello che era stato consigliato e alla fine si è fidato di quello che gli era stato consigliato. Il corridore deve avere l’ultima parola, sentirsi sicuro. Altrimenti succede che parte in un modo, poi si ferma e si mette a sgonfiare le gomme e non sai mai se va bene.

Anche perché dietro c’è uno studio. 

Va tutto in base al peso. Vengono calcolate le pressioni ed è buono soprattutto quando puoi avere gli stessi materiali dell’anno precedente. Invece questa volta avremo materiali diversi rispetto al 2023 ed era importante riuscire a ricreare condizioni simili.

Tu che qualche Roubaix l’hai vista e l’hai anche fatta, come hai visto Pogacar sul pavé?

Lo avevo visto già al Fiandre e ti impressiona. Possiamo classificarlo come corridore per tutti i terreni, uno scalatore che va fortissimo sul pavè, anche se non lo puoi classificare come scalatore. Puoi dire che sia anche un cronoman, uno scalatore, un passista e tra un po’ anche un velocista. Non ha paura. E nonostante non abbia una stazza massiccia e pesante, stupiscono la stabilità, la velocità e la forza che imprime sui pedali.

Cosa si può dire del suo colpo di pedale sul pavé?

Va di cadenza. Ha una bella pedalata rotonda e la cadenza lo aiuta. C’è il corridore che va di forza e lo vedi calciare i pedali e quello che invece li fa girare. Che spinge, tira, spinge e tira. Una pedalata rotonda, quasi da pistard o da scatto fisso, che è quella che rende sul pavé. Io riuscivo a andarci bene perché venivo dalla pista. Rui Oliveira è un altro che pedala da pistard. Tanti invece riescono ad andare bene perché vanno di forza. Sono due diversi modi di andare che alla fine rendono.

Pogacar si è allenato per entrambi i giorni vestito di nero: solo all’uscita dell’Arenberg, racconta Baldato, ha indossato il giubbino iridato
Pogacar si è allenato vestito di nero: solo all’uscita dell’Arenberg, racconta Baldato, ha indossato il giubbino iridato
In effetti veniva da notare che anche Nibali era riuscito ad andare bene sul pavé al Tour del 2014…

E anche Vincenzo infatti era uno che la pedalata la faceva rotonda, non buttava il rapportone, non era un corridore alla Ballero. Lo ricordiamo tutti al Tour del 2014

E’ vero che dopo la recon della Roubaix, Tadej era contento come un bimbo?

Era entusiasta, ha passato una bella giornata. Si è divertito, quello sì: ve lo confermo. Sono stati due giorni in cui è andato tutto liscio. E non vi nascondo che avevo un po’ di brividi, perché il pavé non era dei più belli e lui andava dentro deciso come se niente fosse. Eravamo a una settimana dal UAE Tour, pensavo che se fosse successo qualcosa, mi sarebbe convenuto restare in Belgio. Ora lo dico scherzando, ma quando ero in macchina, ci ho pensato un paio di volte e sono rimasto zitto. Non avevo neanche coraggio di dirgli nulla, perché vedevi che gli veniva tutto naturale. Aveva la faccia sporca di chi ha fatto tante Roubaix.

Il pavé era ridotto davvero male?

Quando arrivi vicino alla Roubaix, un paio di settimane prima danno una pulita al pavé. Ma domenica c’erano parecchi tratti sporchi per i trattori che vanno a lavorare nei campi. C’erano punti infangati e alcuni anche sommersi. Non eravamo in gara, si potevano prendere con cautela, ma non troppo piano, perché sennò si correva il rischio di scivolare. Devi riuscire a far correre la bici come nella mountain bike o nel ciclo cross, trovare il giusto compromesso. Se vai piano, è più facile che scivoli.

Hai visto tanti di corridori, com’è per Fabio Baldato lavorare insieme a Tadej Pogacar?

E’ una soddisfazione, ma non voglio prendermi più di meriti di quelli che ho. E’ un ragazzo che si allena da solo, con il suo allenatore. E’ molto preciso. Noi possiamo dargli l’assistena e qualche consiglio, una nostra visione di corsa, ma lui ha le idee molto chiare. Capisce e vede la corsa, conosce tutti gli avversari, anche qualche new entry che dall’ammiraglia magari può sfuggire. Non voglio dire che sia facile, però ti fa sentire a tuo agio. Non è uno che se la tira, non ha bisogno di un portaborse. E’ importante fargli trovare le cose organizzate, semplici e che funzionano.

Baldato ha iniziato la stagione con il Tour Down Under: qui con Narvaez che ha conquistato la classifica finale
Baldato ha iniziato la stagione con il Tour Down Under: qui con Narvaez che ha conquistato la classifica finale
Avete trovato novità nei due percorsi?

Sono riuscito a avere entrambi i percorsi definitivi di Fiandre e di Roubaix. Ci sono un po’ di varianti, piccole cose, però siamo riusciti a fare il percorso del Fiandre e anche il nuovo ingresso della Foresta di Arenberg. Non ci sarà più la chicane dell’ultima volta, ma una doppia curva destra-sinistra a 90 gradi. Farli rallentare era necessario. L’anno scorso ci sono entrati a 30 all’ora e non è successo niente. Con i materiali di adesso e la strada che un po’ scende, sarebbero capaci di entrarci anche a 60 all’ora e ci sarebbero dei bei problemi di sicurezza.

Bragato: posizioni avanzate, le spie di un ciclismo che cambia

07.02.2025
6 min
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Il lavoro in palestra che determina le nuove posizioni in sella. Le affermazioni di Alessandro Mariano hanno dato parecchio da discutere, perché tutte le volte che si parla di biomeccanica l’interesse è tanto e gli esperti ancor di più. Quel che traspare è che anche su questo fronte il ciclismo stia vivendo una notevole evoluzione e le concezioni, che fino a 5-6 anni fa erano il cardine del ragionamento, siano ormai superate.

Il Team Performance della Federciclismo di tutto questo si nutre. Lo osserva, lo studia, formula ipotesi e le riscontra, infine elabora dei modelli prestazionali da proporre agli atleti nel giro della nazionale. Per questo quando abbiamo proposto a Diego Bragato, che lo guida, di fare un pezzetto di strada con noi, la sua apertura è risultata decisiva. Lo abbiamo strappato per qualche minuto alla preparazione degli europei su pista, alla cui volta la spedizione azzurra partirà domenica.

Diego Bragato e il responsabile del Team Performance della Federazione ciclistica
Diego Bragato e il responsabile del Team Performance della Federazione ciclistica
Davvero le posizioni in sella cambiano come conseguenza delle diverse preparazioni?

Sì, è vero, anche se secondo me è il discorso è più ampio. Dal punto di vista della biomeccanica, ci sta che risulti questa evidenza, anche se ai quadricipiti di cui parla Mariano aggiungerei anche il gluteo e il bicipite femorale, che viene potenziato in maniera diversa. Però secondo me il discorso da fare è più ampio, non è legato solo al singolo distretto muscolare, ma piuttosto a una filosofia che finalmente sta passando anche nel ciclismo, per cui non sono più soltanto corridori, ma finalmente atleti.

Che cosa cambia?

Si lavora su tutti quei concetti che magari nel ciclismo sono poco conosciuti, ma negli sport di squadra invece sì. Si ragiona ad esempio di strutturare il fisico perché sia pronto a sostenere situazioni o posizioni, nel nostro caso estreme, che una persona normale soffrirebbe. Pensiamo ai contrasti nel rugby, nel calcio, nel basket… Sono scontri duri, ma un atleta che fa quegli sport li può sostenere, perché è strutturato per cadere, per rialzarsi, per saltare e prendere dei colpi mentre salta. Li può sostenere perché ha il fisico pronto per farlo. Anche nel ciclismo abbiamo finalmente atleti in grado di fronteggiare situazioni estreme.

Ad esempio?

Ad esempio, le posizioni di cui si parla. Fatta la dovuta prevenzione, possono tenere a lungo assetti in sella in cui una persona normale si farebbe male. Infatti secondo me il problema principale non è tanto la posizione che ha Pogacar (foto di apertura, ndr), ma quelli che cercano di imitarlo senza avere alle spalle il percorso fisico e biomeccanico che ha fatto lui. Il fatto che pedalino così avanzati è una conseguenza del fatto che adesso gli atleti del ciclismo sono in grado di fare ciò che un tempo era impossibile.

Una posizione così avanzata è possibile grazie alla migliore preparazione degli atleti. Qui, Uijtdebroeks
Una posizione così avanzata è possibile grazie alla migliore preparazione degli atleti. Qui, Uijtdebroeks
Hai parlato di prevenzione.

Nel ciclismo di vertice, le squadre hanno tutto attorno all’atleta degli staff che lavorano in prevenzione, con alert relativi a sovraccarichi e quant’altro. Perciò riescono a intervenire prima di un infortunio. Di conseguenza gli atleti sono seguiti anche per poter mantenere queste posizioni efficaci ma estreme per tutto il tempo necessario.

Quando è avvenuta questa svolta?

Il ciclismo è cambiato e con esso è cambiato anche il modo di correre, di interpretare le gare. Da quando la forza è entrata in maniera predominante nella preparazione di un ciclista, ovviamente è cambiata anche la fisicità. E’ cambiato il potenziale, legato alla forza che un atleta può esprimere. Quindi di conseguenza ci siamo spostati di più sopra i pedali e di fatto tutto in avanti. Sicuramente questo determina una diversa distribuzione del peso sulle bici. In più sono cambiati molto anche i materiali quindi la combinazione di questi fattori ha reso più difficile guidare questi mezzi. Ma c’è un altro fattore legato all’esperienza da fare prima di usarli.

Cosa vuoi dire?

Secondo me dovremmo creare un percorso che porti i ragazzi ad imparare un po’ alla volta a guidare le bici da gara, come si fa in Formula Uno passando prima per i kart. Ad oggi abbiamo ragazzi che troppo spesso si trovano su bici da Formula Uno senza aver fatto la garetta con bici più normali in cui si impara a controllare e guidare. E’ necessario proporre invece un percorso in cui insegnare ai ragazzi come si guida una bici che non ha quella rigidità, che non ha quel tipo di frenata, che non ha quel tipo di comfort. Non comfort come posizione, ma come strumenti a disposizione. Imparare anche a gestire le frenate, le cose fatte come si facevano una volta. Se invece parti subito dalle bici e le posizioni estreme, è un attimo cadere e farsi davvero male.

Le posizioni avanzate da seduti assottigliano la differenza rispetto alle azioni en danseuse. Lui è Mikel Landa
Le posizioni avanzate da seduti assottigliano la differenza rispetto alle azioni en danseuse. Lui è Mikel Landa
Torniamo alla nuova fisicità degli atleti: questo essere così avanzati riduce la differenza fra pedalare da seduti e farlo in piedi?

La differenza si è assottigliata, certo. Adesso di fatto da seduti sono quasi sopra i pedali, mentre prima raggiungevano quella posizione alzandosi e venendo avanti col corpo. La differenza resta, perché quando sei in piedi, viene meno l’appoggio sulla sella, ma è vero che è inferiore.

E c’è uno studio del lavoro in palestra per rendere più efficace anche la pedalata in piedi oppure i muscoli coinvolti sono gli stessi e si può aggiungere poco?

In realtà c’è un grosso studio legato al controllo e alla stabilità del movimento. Soprattutto quando ci si alza in piedi e appunto viene meno il punto d’appoggio più importante che è la sella, il controllo del bacino deve essere fatto dai muscoli stabilizzatori e su quello in palestra si lavora molto. Per la nostra filosofia di lavoro, conoscere la tecnica di sollevamento del peso e il controllo del movimento vengono prima della velocità e del carico.

Affinché il gesto tecnico rimanga efficiente?

Perché dobbiamo saper controllare i movimenti, altrimenti le spinte non vanno dove devono, ma vanno a muovere il bacino e la schiena. Quando ti alzi sui pedali devi gestire anche la forza di gravità, per cui immaginiamo un ragazzo che si alza in piedi e spinge sui pedali senza aver lavorato su addominali, dorsali, lombari per bloccare il bacino. Lo vedremmo ondeggiare, con il bacino che si sposta a destra o sinistra. Questo vuol dire non essere bravi, si disperde potenza e si sovraccaricano dei compartimenti che soffrono.

In palestra lavorando sulla forza e sul controllo del gesto: aspetto determinante per essere più efficienti
In palestra lavorando sulla forza e sul controllo del gesto: aspetto determinante per essere più efficienti
Tirando le somme, cambia la fisicità, cambia la posizione, cambia il gesto, non cambia la bicicletta. Secondo te, tenendo conto di tutto questo, si andrà verso un cambiamento delle geometrie dei telai?

Secondo me siamo in un momento storico in cui la tecnologia ci permetterà di fare degli altri passi avanti, ma non so in quale direzione. Questo non è l’ambito che sto seguendo di più, però posso dire che qualche anno fa in pista a Montichiari abbiamo fatto dei test e la relativa raccolta dati facendo inossare ai ragazzi un abbigliamento che permetteva di leggere l’elettromiografia di superficie (la rappresentazione grafica dell’attività elettrica muscolare, ndr) durante il gesto sportivo. Leggevamo come si comportassero i muscoli durante certi movimenti e cambiando la posizione in bici. Quando si attivassero e quando si disattivassero. Secondo me, continuando con questi strumenti e questa tecnologia, potremmo raggiungere il miglior connubio tra rendimento e comodità, personalizzando le scelte tecniche per ciascun atleta.