Strade Bianche, ancora Pogacar. Ma stavolta col brivido…

08.03.2025
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SIENA – «Credo che se lo chiedete a qualsiasi corridore – dice Pogacar con un sorriso che sa di esperienza – vi dirà che almeno una volta ha avuto una caduta come la mia. Per me non è stata la prima, forse la terza. Ma a prescindere da questo, sarebbe stato un peccato se avessi buttato via tutto il lavoro della squadra…».

Il campione del mondo ha qualche cerotto. Quelli sui polpacci si vedono, gli altri si intuiscono sotto il giubbino iridato. Con 40,705 chilometri all’ora, è stata la Strade Bianche più veloce di sempre, più di quella del 2023 vinta da Pidcock. Questa era più lunga e il vincitore è anche finito in un prato, rischiando di rompersi l’osso del collo. E’ un giorno che Pogacar ricorderà a lungo: forse non quello della vittoria più bella, ma di certo di quella più sofferta.

Sin dal mattino si scherzava su quale sarebbe stato il punto del suo attacco: se su Monte Sante Marie oppure nel settore precedente di Serravalle. E quando Pidcock ha rotto gli indugi sul primo, Tadej si è affrettato ad andargli dietro. Non è parso sorpreso, forse davvero non aveva in animo di vincere con un’impresa delle sue. Però ha raccolto la sfida e si è allontanato con il britannico che al Q36.5 Pro Cycling Team ha ritrovato la spavalderia dei bei tempi.

Un momento di panico

La caduta ha fatto scorrere un brivido lungo la schiena di tutti. Pogacar deve essersi accorto di essere arrivato lungo in quella curva, ha pinzato l’anteriore e la ruota si è girata, facendolo andare giù a peso morto. Il colpo è arrivato anche al casco, gli occhiali si sono girati e Tadej è scivolato a grande velocità verso la banchina. Ha schivato un segnale stradale e si è fermato nel prato. Per molto meno altri non sono più qui tra noi, per molto meno lui stesso alla Liegi del 2023 si ruppe uno scafoide. Invece si è rialzato, ha fatto un rapidissimo check ed è ripartito.

«Sto bene, grazie – dice con un sorriso – grazie per averlo chiesto. Quando sono caduto nella mia mente c’è stato un momento di panico. Però mi sono rialzato, ho visto che potevo riprendere la bici, ho visto che il mio orologio era a posto e anche il computerino. Ho avuto un sacco di pensieri, ma la prima cosa è stata ripartire. Ho provato a tornare davanti perché per questa gara avevamo lavorato tanto».

Pidcock allunga e Pogacar rilancia: il britannico capisce subito che sarà dura
Pidcock allunga e Pogacar rilancia: il britannico capisce subito che sarà dura

Ha chiesto scusa

Pidcock davanti non si è fermato, non ci ha pensato neanche. Ha provato a tenere duro, poi forse aggiornato dall’ammiraglia, ha capito che l’altro stava andando a velocità doppia e che i chilometri fino al traguardo fossero ancora troppi. Perciò, voltandosi e vedendolo arrivare, ha pensato bene di tirare il fiato e recuperare preparandosi per lo scontro finale.

«Quando sono tornato su Pidcock – racconta Pogacar e un po’ ci colpisce – gli ho chiesto scusa. E’ stato un mio stupido errore e poteva finire molto male per tutti davanti, per lui e anche per Swift. Tom mi ha guardato ha detto che stava bene e mi ha chiesto se stessi bene anche io e così abbiamo continuato. So di essere stato fortunato, magari questo d’ora in poi diventerà il mio soprannome: “Lucky guy!”.

«Non so quanto mi abbia aspettato, di certo l’ho visto voltarsi sulla cima della salita quando gli sono arrivato vicino. Forse ha pensato che fosse ancora troppo lunga per andare da solo e avrà pensato che sarebbe stato meglio andare via insieme. Non ne abbiamo parlato, ma so che lui ha rispetto per me e io ne ho per lui. Oggi è stata davvero una classica e anche in questi frangenti così estremi, abbiamo mostrato una grande correttezza».

La pressione di Pidcock

Quella che non gli manca mai è l’ironia. Dopo l’arrivo si è fermato. Ha abbracciato gli uomini della sua squadra con quell’entusiasmo ogni volta così schietto da strapparci il sorriso. Poi ha aspettato Pidcock e alla fine anche Wellens, al culmine di una giornata da incorniciare. Ha risposto alle domande delle televisioni. Si è fatto medicare prima di salire sul podio. Poi si è prestato all’ultimo incontro con i media, prima di tornare al bus e di lì in albergo. Eppure quella caduta resta nelle domande e anche Tadej ci torna sopra.

«Probabilmente aver avuto Pidcock alle spalle – dice – potrebbe avermi spinto a commettere quell’errore. Non è facile andare in discesa sapendo che hai dietro un campione del mondo di mountain bike, campione olimpico di mountain bike e campione del mondo di ciclocross (ride, ndr). Mi ha messo sotto pressione, perché ho dovuto dimostrargli di essere bravo anche io e credo di averlo fatto. Ma non andrò mai con lui in mountain bike. Avevo pensato di attaccare al primo passaggio su Colle Pinzuto, ma la caduta mi ha impedito di farlo.

«Ho sperato che l’inseguimento non mi costasse troppe forze. Fortunatamente non mi sono rotto nulla, alla fine niente di serio. Sapevo che avrei dovuto provare in quel settore, perché le Tolfe sarebbe stato più adatto a Tom, dato che è più corto. Per cui ho fatto uno scatto ed è stato sufficiente».

Due italiani nei primi 20

La sua esultanza in cima allo strappo finale di Santa Caterina è stata quella del goleador. La gente lo ha abbracciato e sospinto, riconoscendo in quelle ferite e quelle lacerazioni un valore aggiunto che finora non aveva mai visto.

Nessuna vittoria è facile, quella che viene avendo in bocca il gusto del proprio sangue vale indubbiamente di più. La terza Strade Bianche di Tadej Pogacar va in archivio con Formolo e Vendrame nei primi venti. La sua prossima tappa sarà la Milano-Sanremo. E chissà che già da stasera nello squadrone non si torni a parlare della Roubaix.

Il passato voleva riprendersi il presente. Ma Vollering ha detto no

08.03.2025
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SIENA – Ma non dovevamo non vederci più? Così recitava una canzone di Lucio Battisti, ed è probabilmente quello che ha pensato Demi Vollering quando ha visto la sua ex compagna Anna van der Breggen ancora alla sua ruota. Come una volta. Come ai vecchi tempi. La Strade Bianche Women va alla grandissima atleta della FDJ-Suez.

Sulle strade senesi tutti si aspettavano la lotta fra Anna Van der Breggen (altro rientro eccellente), la nostra Elisa Longo Borghini, Demi Vollering e, secondo alcuni, anche Mavi Garcia. E in effetti, non ci si è andati lontano.

Tutto succede nell’ultima fase di gara: quando si affronta Colle Pinzuto, Van der Breggen forza, ma Vollering segue senza problemi e anzi, allo scollinamento rilancia. Proprio lì, quando inizia il falsopiano e servono tante gambe e tanti watt, l’unica a resistere all’ex compagna e connazionale è proprio Van der Breggen. Mancano esattamente 14 chilometri alla fine e da lì in poi sarà una fuga a due.

La potenza e la classe di Anna Van der Breggen (34 anni) al rientro dopo tre anni di stop
La potenza e la classe di Anna Van der Breggen (34 anni) al rientro dopo tre anni di stop

La classe della campionessa

Sembra un tuffo nel passato. Le due olandesi hanno un altro passo, un’altra pedalata. E in questa fuga quasi non si parlano. Anche all’arrivo solo Van der Breggen si sposterà per un timido saluto nei confronti di Vollering.

«Se mi aspettavo di vincere? No, ma ci ho sperato». Così inizia Anna Van der Breggen nel post gara. L’atleta della SD Worx, quando parla, ti guarda fisso e non molla un secondo. Ha una determinazione agghiacciante.

«Ho anche sofferto molto durante la gara, è stata dura sin dall’inizio e non sapevo quanto avrei potuto reggere. Però sono molto felice, perché era da così tanto tempo che non mi giocavo un finale in questo modo e quindi sono piuttosto sorpresa, anche se poi eravamo partite per vincere».


«L’attacco? Non avevo in programma di attaccare alle Tolfe, volevo solo stare davanti, quindi ho cercato di affrontare la discesa e l’inizio dello strappo finale il più velocemente possibile. Ho pensato che in quel modo avrei avuto un po’ di spazio per il resto del settore. Ma a quel punto della gara sarebbe cambiato davvero poco. Si doveva andare a tutta! Questa corsa comunque mi dà fiducia per il resto della stagione».

Lo spettacolo dei settori super impolverati della Strade Bianche Women
Lo spettacolo dei settori super impolverati della Strade Bianche Women

Botta e risposta

«Demi – riprende Van der Breggen – voleva che passassi a tirare, ma mi serviva tempo. Sono vecchia e mi serve tempo per recuperare! Non abbiamo avuto lunghe conversazioni, stavamo soffrendo un po’. C’era il dolore alle gambe e anche le emozioni della gara, il pubblico, il finale che si avvicinava. Tra l’altro è stato bello sentire tutto questo di nuovo, soprattutto in questa gara».

«Io – risponde Vollering – sono contenta per aver vinto in generale, non per aver vinto davanti ad Anna. Questa è una vittoria importante per me e per la squadra, non un trionfo contro qualcuno».

Nel finale, come detto, si sono salutate in modo timido e fugace. Non che siano nemiche, ma di certo non si abbracciano. Ognuna fa la sua corsa e sul piatto c’era un passato di spessore. Pensateci un attimo: fino a pochi mesi fa erano entrambe nella stessa squadra e una era l’allenatrice dell’altra. Si dice che in allenamento si siano scontrate spesso.

«Oggi il duello con Anna mi ha riportato a quando ero giovane. Ricordo quei tempi, quando non ero alla sua altezza, non riuscivo a tenerla. Averla battuta mi ha fatto capire quanto sia cresciuta. Mi ha fatto capire che sono diventata forte».

Van der Breggen va da Vollering: l’abbraccio è durato un secondo
Van der Breggen va da Vollering: l’abbraccio è durato un secondo

Vittoria di squadra

E’ vero che Vollering ha vinto, ma va detto anche che aveva la squadra migliore. A un certo punto c’erano tredici atlete davanti e tre erano della FDJ-Suez. Oltre a Demi, c’erano anche Juliette Labous ed Evita Muzic, fondamentale a Colle Pinzuto. E non solo: Muzic è caduta (all’arrivo sanguinava dal ginocchio), è risalita, è andata in fuga e, una volta scattate “quelle due”, faceva il tifo per radio.

«Oggi – spiega Vollering – ho avuto un problema meccanico che ci ha un po’ cambiato i piani, ma Juliette Labous è stata fortissima a riportarmi dentro. Ha fatto delle trenate incredibili. Mi piace molto lo spirito di questa squadra, come ci stiamo muovendo, l’atmosfera. Questa è stata una vittoria del gruppo. Abbiamo tanti obiettivi e la Strade Bianche era uno di questi.

«Ma quando parti con la consapevolezza di poter vincere, tutto lo staff e tutte le compagne sono più motivate, più determinate e quando lavorano riescono a dare di più. Si alza il livello della prestazione.
Per me è un nuovo capitolo, per questo credo che a volte il mio grazie nei confronti delle ragazze non basti. Ma so che loro lo sanno. Voglio che tutte si sentano partecipi».

Demi Vollering taglia il traguardo di Piazza del Campo. «We did it» (ce l’abbiamo fatta), urlava
Demi Vollering taglia il traguardo di Piazza del Campo. «We did it» (ce l’abbiamo fatta), urlava

Addio 2024

E qui Demi Vollering parla anche, non senza un filo di emozione, della sua situazione mentale. Sostanzialmente dice di essere rifiorita, di aver trovato una nuova famiglia e racconta del suo 2024 travagliato.

«Non sapevo se lasciare la SD Worx o no. Se facevo bene o meno. Lo scorso anno non ero libera di testa, avevo sempre qualche problema. Rispetto all’anno scorso mi sento diversa. Mi sono sbloccata. In gara volevo fare certe cose e non mi venivano. C’erano problemi in squadra e questo aveva creato incertezze sul mio futuro. Però voglio dire una cosa – e sembra quasi volersi togliere un sassolino – posso dire di essere una persona leale».

Ai 50 dall’arrivo, Longo Borghini tradita dallo stomaco

08.03.2025
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SIENA – Escludendo, conoscendola, che si sarebbe ritirata, quando Elisa Longo Borghini si ferma dopo il traguardo, si capisce subito che non stia affatto bene. Ha gli occhi smarriti di chi non capisce cosa sia accaduto e ammette di avere ancora qualcosa. Intorno c’è la baraonda di Piazza del Campo, anche sedici minuti dopo l’arrivo delle prime. I volti sono impolverati, qualcuna riesce a sorridere, ma appena Elisa inizia a parlare, basta guardare gli schizzi sul telaio per immaginare l’inferno che per lei è stata la corsa.

«Sinceramente non lo so – dice – io stavo bene, ma da un momento all’altro ho iniziato a vomitare e non ho più smesso. Poi non ho più avuto energie per continuare. Mi sono completamente spenta, è successo un po’ come a Parigi. Non ho capito che cosa possa essere successo, so solo che non sono riuscita più a mangiare né a bere e tutt’ora non mi sento per niente bene».

Persico ha tenuto duro dopo aver capito che Longo Borghini avesse una pessima giornata
Persico ha tenuto duro dopo aver capito che Longo Borghini avesse una pessima giornata

Il gesto di Silvia Persico

Mancava una quarantina di chilometri all’arrivo, quando Longo Borghini si è sfilata, ritrovandosi in una posizione non adatta a chi voglia ancora vincere. Poco dopo, al suo fianco è arrivata Silvia Persico. Hanno parlottato. Poi la bergamasca le ha poggiato la mano sul collo. Le ha detto ancora qualcosa, l’ha abbracciata ed è risalita provando a giocarsi le carte che aveva ancora a disposizione.

«Oggi Elisa non stava bene – dice Persico dopo essersi dissetata, con il volto incrostato di polvere – ho cercato di tenerla con il morale più alto possibile, però purtroppo non era in una giornata buona. Me ne sono accorta dopo le Tolfe. Quando mi ha dato via libera, io ero già stanca. Ero già rientrata due volte, avevo cambiato bici nel primo settore. Sono rientrata nel secondo, mentre nel quarto mi sono dovuta fermare per una foratura. Per cui ho cercato di dare il massimo, ma è stata una gara sempre a rincorrere. Mi dispiace un po’ per la squadra, magari le aspettative erano altre. Però purtroppo, quando non è giornata, non è giornata. La corsa è stata dura, non c’era neanche un momento per recuperare. Ma ora l’importante è che Elisa stia bene. E’ una grande campionessa, peccato perché stava benissimo».

Andando verso il pullman, Longo Borghini si ferma accanto a mamma Guidina
Andando verso il pullman, Longo Borghini si ferma accanto a mamma Guidina

L’abbraccio della madre

Si sussurrava, durante l’attesa che Longo Borghini possa aver pagato il fatto di essere scesa dall’altura da pochi giorni. Tuttavia è stato sufficiente guardarla in faccia e parlarle per capire che quel fattore probabilmente non c’entra nulla.

«Io ho l’influenza – dice mentre si avvia al pullman – devo avere qualcosa, sto male. Ho avuto dei seri problemi di stomaco e per fortuna a 20 chilometri dall’arrivo, quando ero da sola, ho trovato alcune compagne che mi hanno dato il supporto per arrivare in cima a Santa Caterina».

Prima di partire, nel pieno della griglia di partenza, Elisa ha avuto parole d’oro per Sara Piffer e un pensiero per la sua famiglia. Era di ottimo umore, in forma e sorridente. Ora invece si allontana a fatica, dovendo arrampicarsi sulla pendenza di Piazza del Campo per raggiungere il pullman alla Fortezza Medicea. Riconosce il padre alla transenna, gli fa un gesto e gli dice che si vedranno dopo. Invece la madre si sporge. “Il generale”, come la chiama sua figlia, le dice qualcosa nell’orecchio e lei vorrebbe tenerla lontana perché sa di essere sporca. Guidina la stringe, le dice qualcosa e poi la lascia andare. Elisa esce dalla zona transenna, il pubblico si apre, la acclama, applaude e la vede sparire. Si sperava in qualcosa di meglio, speriamo sia stato un episodio isolato e che il Trofeo Binda e la Milano-Sanremo avranno al via la miglior Longo Borghini. Ne abbiamo tutti bisogno.

Bennati a casa meritava una vera spiegazione?

08.03.2025
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SIENA – «A cose normali – dice Bennati – finito il rapporto avrebbero potuto convocarmi. Hanno uffici a Roma e Milano, il presidente ha il suo ufficio, dove ho firmato il contratto. Mi convocavano e avrebbero potuto spiegarmi qualsiasi tipo di ragione. Non sono arrivati i risultati? E’ una motivazione reale, che sarebbe da contestualizzare, ma è innegabile. Potevano dirmi che si aspettavano di meglio, per cui volevano voltare pagina. Invece alla fine sono stato io a chiamare Amadio. Eravamo a metà febbraio e gli ho chiesto che cosa avrei dovuto fare. E Roberto mi ha risposto che avevano appena finito la riunione in cui il presidente aveva deciso di non confermarmi».

La presentazione delle squadre della Strade Bianche è nel pieno, con Bennati sediamo sugli scalini nella Fortezza Medicea, mentre gli chiedono interviste e di fare qualche foto. Nelle scorse settimane tanti hanno parlato del commissario tecnico non confermato. Colleghi hanno scritto articoli molto duri e noi non avevamo ancora sentito la versione del toscano.

Il Consiglio federale di febbraio ha ratificato le nomine dei nuovi commissari tecnici. Quando la mancata conferma è stata ufficiale, Bennati ha scritto un post su Instagram. Ha ribadito il suo amore per l’azzurro. E ha lamentato le modalità della chiusura dei rapporti a causa delle quali ha rinunciato a importanti incarichi professionali. Richiesto nel merito pochi giorni fa, il team manager Amadio ha riconosciuto la serietà e l’impegno di Bennati e spiegato che la fine della collaborazione sia stata dovuta alla rottura dei rapporti fra il cittì e il presidente federale, cui spetta la prerogativa di nominare i tecnici.

La Strade Bianche partirà a breve, con il numero uno per Pogacar nella gara maschile e la sua compagna Urska fra le donne
La Strade Bianche partirà a breve, con il numero uno per Pogacar nella gara maschile e la sua compagna Urska fra le donne
Partiamo dalla fine: hai davvero rinunciato a un importante incarico professionale?

Avevo già ricevuto il contratto dalla Groupama-FDJ. Prima tramite Philippe Mauduit, poi Madiot e alla fine ho parlato con il direttore generale Thierry Cornec. Perso Demare, vogliono ricostruire un gruppo vincente attorno a un velocista forte e avrebbero affidato a me il progetto. Si trattava di individuarne uno libero e poi di costruirgli attorno un treno e un metodo di lavoro. Spero si possa riprendere il discorso che sul momento ho lasciato cadere perché aspettavo il Consiglio federale. Non avrei trovato corretto accettare un’altra offerta e per giunta all’estero.

La decisione è stata davvero presa per un problema di relazione fra Bennati e il presidente federale?

Probabilmente da un certo momento in poi qualcosa si è incrinato. Non ho accettato di accompagnarlo durante la campagna elettorale, ma quale altro tecnico lo ha fatto? Io credo che questa decisione sia stata presa molto prima di febbraio. Ovviamente nell’ultimo anno i problemi ci sono stati, spesso legati a incomprensioni. Ho fatto buon viso alla scelta di far correre Viviani su strada a Parigi. Alla fine è venuta la medaglia, hanno avuto ragione, ma confesso che a un certo punto ho anche pensato di dimettermi. Con il mio carattere non ho sempre detto di sì e qualche volta ho anche detto di no a situazioni in cui non mi trovavo. Non so se questo abbia portato alla decisione.

Che esperienza è stata per te questo viaggio di tre anni?

Alla nazionale non si può dire di no. Quando mi è stato proposto, io non conoscevo il presidente e lui non conosceva me. C’è stato un avvicinamento, poi due o tre incontri e alla fine ho preso la decisione, consapevole che il periodo sarebbe stato complicato. Va detto che quando ho accettato, Colbrelli aveva da poco vinto la Roubaix, era campione europeo e stava entrando in una dimensione internazionale importante. Sarebbe stato competitivo già dal primo mondiale in Australia, poi a Glasgow e anche alle Olimpiadi di Parigi. Sicuramente avremmo potuto chiudere il cerchio, però ovviamente è andata peggio a lui e mi dispiace tanto. A quel punto ho puntato sui corridori che avevamo e con cui ho lavorato bene. Trentin e Bettiol che, ad esempio, secondo il mio punto di vista era più in forma in Australia che a Glasgow. Sono stati tre anni difficili che sicuramente mi hanno dato la possibilità di crescere. Mi sono fatto le ossa, mi sono fatto tanta esperienza che non avevo per questo ruolo.

Quando Bennati ha firmato da cittì, Colbrelli era campione europeo e aveva da poco vinto la Roubaix
Quando Bennati ha firmato da cittì, Colbrelli era campione europeo e aveva da poco vinto la Roubaix
Anche Villa ha detto che nessuno nasce commissario tecnico.

Penso che anche il grande Franco (Ballerini, ndr) non avesse l’esperienza della nazionale. Dalla sua parte sicuramente aveva un parco atleti molto più consistente. Non voglio dire che fosse più facile, però sicuramente aiuta. 

Com’è stato il tuo rapporto con i corridori da non più corridore?

All’inizio è stato strano. Ero sceso da bici da poco tempo e avere questo rapporto così distaccato l’ho trovato particolare. Per fortuna non ci ho messo tanto a trovare le misure giuste.

Ti è parso che i corridori abbiano fatto sempre quello che gli hai chiesto?

Partiamo dal primo mondiale. Quello in Australia è stato molto positivo e lo ricordo con più piacere. I ragazzi hanno interpretato la corsa nella maniera giusta, c’era un bello spirito. Abbiamo sfiorato il podio con Rota e alla fine abbiamo salvato il risultato grazie a Trentin. Quel giorno Evenepoel era nettamente più forte, però il nostro approccio è stato un ottimo biglietto da visita, un modello per il futuro. E il copione, a mio modo di vedere, si è ripetuto anche a Glasgow. Anche lì la squadra ha lavorato bene, l’approccio è stato dei migliori. Bettiol si è giocato le sue carte con quella lunghissima fuga, anche se a un certo punto lo hanno messo nel mirino e poi gli hanno dato il colpo di grazia.

Nel mezzo ci sono stati gli europei di Monaco e Col du Vam.

A Monaco non avevamo ancora il Milan di adesso. Jonathan era agli inizi e il capitano doveva essere Nizzolo. Poi Giacomo è caduto e a quel punto è subentrato Viviani. I ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro, poi Elia ha scelto di impostare la volata da davanti poiché avevamo la squadra per quel tipo di lavoro. A Col du Vam invece si puntava a fare bene con Ganna. Dal punto di vista dell’esperienza in questi appuntamenti Pippo non aveva ancora l’immensa sicurezza che ha in pista e nelle crono. Anche lì la squadra ha lavorato bene, ma nel finale per un’indecisione nel posizionamento, siamo scivolati troppo indietro, c’è stata la caduta e si è compromessa la gara.

Gli europei di Hasselt vedevano l’Italia in pole position con Milan e sono stati la delusione più cocente di Bennati
Gli europei di Hasselt vedevano l’Italia in pole position con Milan e sono stati la delusione più cocente di Bennati
L’europeo del 2024 si poteva vincere?

E’ stato la delusione più grande, dopo tre anni di bocconi amari. Era la prima volta che la nostra nazionale si presentava ai nastri di partenza con l’uomo da battere, vale a dire Milan. L’amarezza è stata grande. Alla fine io non ho fatto nessuna conferenza stampa, non ho fatto dichiarazioni ufficiali, nonostante quanto mi è stato rinfacciato. Finita la corsa, abbiamo fatto la riunione sul pullman, io ho usato parole dure e questa cosa è trapelata. Non avendo le radioline e vedendo un certo atteggiamento nel finale, non ho potuto correggere il loro errore ed ero frustrato. E’ normale che dopo la corsa ci sia un chiarimento e il mio sfogo è stato confermato dalla loro reazione.

Che cosa hanno detto?

Si sono resi conto che, benché avessero fatto un lavoro straordinario, il finale non era stato gestito come si doveva. Di quella situazione avevamo parlato per una settimana, però probabilmente si sentivano talmente sicuri, che alla fine hanno sbagliato. Lo dico da corridore: le volte che ti senti più sicuro sono spesso quelle che ti va peggio. E questo poi me lo ha confermato Jonathan (Milan, ndr), quando ha ammesso che si poteva fare diversamente. Ma questo non è scaricare responsabilità sui corridori, anche perché io la responsabilità me la sono sempre presa. Come a Zurigo, che responsabilità vuoi dare ragazzi?

Che responsabilità vuoi dargli?

Non gli ho detto io di andare in corsa con quello spirito, sarei stato uno stupido. Nei tre anni abbiamo vissuto una parabola discendente, che secondo me non ci stava. Quello di Zurigo non era e non è assolutamente il nostro valore. Come ho detto anche in altre occasioni, il percorso non era adattissimo a Giulio (Ciccone, ndr), però secondo me era doveroso che vi partecipasse, anche e soprattutto in prospettiva del prossimo. Giulio ha 30 anni e non aveva mai corso un mondiale. Lo stesso valeva per Tiberi perché in prospettiva del mondiale in Rwanda, anche Antonio è un corridore da tenere in considerazione.

La partecipazione di Ciccone al mondiale di Zurigo è stata un investimento in vista del prossimo in Rwanda
La partecipazione di Ciccone al mondiale di Zurigo è stata un investimento in vista del prossimo in Rwanda
Perché dici che la decisione era stata presa prima?

Perché si capiva, poi magari mi sbaglio. Dopo il Giro d’Onore è stato fatto un incontro con i tecnici che avevano già firmato il contratto. Io non lo avevo fatto, perché mi hanno detto che non sarebbe stato corretto farmi firmare e lasciare eventualmente il mio contratto al presidente che avesse vinto le elezioni. Sono rimasto in silenzio per quasi tre mesi, perché avevano detto a me e in diverse interviste che Bennati faceva ancora parte del loro programma. Perché allora non farmi partecipare anche me a quella riunione? Forse perché ero già fuori?

Eroica Juniores 2024, chiudiamo la pagina e guardiamo avanti

28.04.2024
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SIENA – La tappa finale della seconda edizione dell’Eroica Juniores è servita per fare il punto insieme a Giancarlo Brocci, direttore generale di Eroica Italia SSD, sulla riuscita della corsa e di come prosegue il progetto (in apertura è con il cittì azzurro Salvoldi). Il passo in avanti è stato deciso rispetto alla prima edizione: due tappe in più, per un totale di cinque. I giorni di corsa sono passati da due a quattro (il primo giorno si sono corse due semitappe), inserendo luoghi iconici e di grande impatto. L’arrivo in Piazza del Campo, al pari della Strade Bianche, ne è un esempio concreto

«Sinceramente – ci racconta – questo è uno sviluppo notevolissimo per me, nonostante l’evento della terza tappa di cui già abbiamo parlato. Già nel 2023 l’evento è stato accolto positivamente da tutti, l’UCI lo descrisse come il migliore della categoria juniores. Il passo in avanti quest’anno è arrivato anche dal territorio, perché certe località importanti (come Siena, ndr) hanno capito a che livello volevamo portare la manifestazione. Altre, ad esempio Chiusdino, che già era stata arrivo di tappa nel 2023, hanno voluto continuare ad ospitarci». 

Non solo una gara

La sensazione che intorno all’Eroica Juniores Nations’ Cup ci sia un mondo che va oltre la semplice corsa lo si respira ogni giorno. Gli appassionati non sono mai mancati, anche chi è qui solo per il nome di L’Eroica. Vedere ragazzi giovani interessati e immersi in un ciclismo di altri tempi dà una sensazione di continuità tra passato e presente. 

«Eroica – continua Brocci – è tanto di più. Oltre che al territorio noi facciamo una promozione a livello internazionale. Da noi già dalla prima edizione sono venuti i migliori corridori del mondo. Abbiamo un sostegno a livello di organizzazione incredibile. Anche nella terza tappa, annullata per maltempo, avevamo 17 scorte tecniche e 3 ambulanze al seguito con altrettanti medici. Quella poi è stata una situazione da tregenda dove la corsa è stata investita prima dalla grandine e poi dalla neve. I ragazzi sono stati fermati e preservati perché, come ho avuto modo di scrivere anche sui miei profili social, c’è un limite anche all’eroismo. Il messaggio che abbiamo voluto dare è che noi vogliamo bene a questi ragazzi».

A sinistra Giancarlo Brocci, a destra Franco Rossi presidente di Eroica Italia SSD (foto, Franco Rossi, Giancarlo Brocci, Eroica Juniores/Guido Rubino)
A sinistra Giancarlo Brocci, a destra Franco Rossi presidente di Eroica Italia SSD (foto, Franco Rossi, Giancarlo Brocci, Eroica Juniores/Guido Rubino)
Anche perché ci si trova davanti ad una categoria sempre in crescita. 

Dal mio punto di vista questa edizione ha segnato un ulteriore salto di qualità nei confronti di un mondo bellissimo e importante come quello degli juniores. Oggi forse la categoria principale nell’ambito del ciclismo giovanile.

Cosa si vuole far passare a questi ragazzi dello spirito di L’Eroica?

Il messaggio importante è quello di recuperare le radici autentiche di questo sport. Al tempo stesso di individuare questi ragazzi affinché possano essere un esempio per i loro coetanei. Non è facile nel 2024 scegliere uno sport di fatica come il ciclismo. La comunità deve stringersi sempre di più intorno a ragazzi che possono diventare un esempio formidabile per tutti. 

I ragazzi si sono potuti interfacciare con chi può trasmettere spiegare loro lo spirito di L’Eroica (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
I ragazzi si sono potuti interfacciare con chi può trasmettere spiegare loro lo spirito di L’Eroica (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Sono un modello quindi?

Lo devono essere per quei giovani che non hanno più voglia di fare fatica. E che non sanno nemmeno di quante imprese bisogna fare per arrivare ad un obiettivo. 

Il termine “eroico” lo aveva già utilizzato quando organizzava il Giro Bio, cos’è rimasto di quella definizione?

Dal mio punto di vista, tutto. Tutti quelli che si sono avvicinati al mondo Eroica lo hanno fatto per condividere il messaggio e i valori che volevo dare. Dentro questa organizzazione ci sono tante persone che si sono avvicinate prima a me, poi all’Eroica e poi al mondo dei giovani. Quello che muove l’evento Eroica Juniores è la passione di tutti quelli che partecipano all’organizzazione. 

I messaggi, negli anni, sono cambiati?

Da un certo punto di vista i messaggi che c’erano anni fa nel Giro Bio abbiamo voluto continuare a darli. E’ chiaro che se dovessimo riproporre un Giro Bio faremmo molta attenzione all’alimentazione. Tema che già da giovani viene, a mio avviso, esasperato. Ci sono tanti messaggi rimasti nel tempo, come voler mangiare tutti insieme nel palazzetto di Castiglione della Pescaia. O dormire al Villaggio San Souci tutti insieme nelle casette. 

Un modo per scoprire un ciclismo lontano ma che sta piano piano tornando (foto EroicaJuniores/Guido Rubino)
Un modo per scoprire un ciclismo lontano ma che sta piano piano tornando (foto EroicaJuniores/Guido Rubino)
Un modo per creare comunità.

Sono cose che nessuno propone più e che si stanno perdendo. Noi vogliamo proporre un modello che, se troverà sostentamento, possa diventare sempre più apprezzato. Questo ciclismo, fatto di comunità e di senso di appartenenza, penso possa arrivare ad essere più bello e interessante di quello moderno. Spero di aver la salute di godermelo. So che per L’Eroica è già successo. Vorrei che sempre più persone dicessero: «cavolo ma quanto è bello questo ciclismo?».

Come si fa?

E’ un discorso di business, se si arriverà ad apprezzare di più questo ciclismo lo deciderà il mercato. Però anche tra i professionisti c’è un recupero dello spirito eroico. Pogacar, Van Der Poel, Van Aert e lo stesso Alaphilippe qualche anno fa, sono corridori che stanno interpretando il ciclismo in modo eroico. Le loro azioni non si vedevano da anni e la gente si entusiasma per questo. Vi faccio un esempio.

I ragazzi nelle prime due tappe hanno mangiato tutti insieme nel palazzetto di Castiglione della Pescaia (foto EroicaJuniores/Guido Rubino)
I ragazzi nelle prime due tappe hanno mangiato tutti insieme nel palazzetto di Castiglione della Pescaia (foto EroicaJuniores/Guido Rubino)
Prego. 

Pogacar a livello di immagine ha guadagnato molto di più in quel Tour perso inseguendo tutti, piuttosto che in quelli vinti in precedenza. Se parte, come fatto qui alla Strade Bianche, a 80 chilometri dall’arrivo, trova un mare di gente pronto ad accoglierlo. 

Significa proporre ai ragazzi un ciclismo che non è solo computer e tecnologia?

Esattamente. Far capire che un certo modo di interpretare questo sport fa entrare i corridori nel cuore della gente. Il popolo del ciclismo ha sempre esaltato anche i perdenti. Portare avanti certe filosofie eroiche crea un vantaggio anche “redditizio” per tutti a livello di immagine. Un bellissimo concetto espresso da Peter Sagan fu: «Mi domandate perché sono diverso, ma chiedetevi perché gli altri sono tutti uguali».

Kristoff, fratello d’arte, conquista Siena e pareggia la sfortuna

19.04.2024
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SIENA – L’occhio da Cinigiano si perde verso l’orizzonte e scorre veloce verso Siena, sull’arrivo di Piazza del Campo. Qui, dove qualche mese fa Tadej Pogacar ha disegnato una delle sue imprese più belle, i ragazzi sognano di ripercorrere le sue gesta. Per un giovane che guarda al ciclismo con aria sognante e che spera, un giorno, di correre tra i grandi, questo è un bell’assaggio di futuro. 

L’Eroica Juniores Nations Cup nella sua seconda tappa in linea mette in palio un pezzo di storia recente del ciclismo. Ad aggiudicarsi l’arrivo più prestigioso di questa edizione è Felix-Orn-Kristoff, norvegese classe 2006. Regola il gruppo con una volata fatta con le ultime energie rimaste in corpo. 

«E’ qualcosa di veramente bello – commenta a caldo mentre le sue ruote lo accompagnano al podio posto sotto la Torre del Mangia – incredibile direi. Divento pazzo se penso a quanti grandi corridori sono passati qui, che grande occasione. E che bella vittoria!».

Ancora i segni addosso

L’Eroica Juniores Nations Cup si lecca le ferite a meno di ventiquattro ore dalla giornata che ha mandato a casa alcuni dei pretendenti alla vittoria finale. Lorenzo Finn non ce l’ha fatta a ripartire. Con lui abbandona la corsa anche Stefano Viezzi, il campione del mondo ciclocross. I due italiani non sono gli unici nomi illustri a lasciare la corsa, a loro si aggiunge Erazem Valjavec, lo sloveno secondo a Roubaix meno di dieci giorni fa. Anche il vincitore di oggi ha ancora i segni sul corpo, specialmente sulle gambe, dovuti alla tappa di ieri. 

«Stamattina – racconta – mi sentivo bene. Ho qualche livido e dei segni ma nulla di grave. In realtà alcune di queste escoriazioni me le sono fatte alla Parigi-Roubaix (dice ridendo, ndr). La caduta di ieri ha compromesso la classifica generale, quindi rimanevano solo le tappe. Da qui in poi mi concentrerò su queste e mi viene da dire che abbiamo già rimediato bene».

Al riparo dai danni

Le colline che accompagnano la corsa sono carezze morbide agli occhi. Su questi dolci pendii poggiano paesini minuscoli, di una bellezza incantata, tanto che viene da chiedersi se siano stati adagiati da mani invisibili o se siano davvero opera dell’uomo. Troppo dolci per creare un buco, così la corsa diventa nervosa, fatta di continui scatti e allunghi

«Sono entrato nella fuga del mattino – racconta ancora Felix-Orn-Kristoff – per restare al sicuro nei tratti di strada bianca e per anticipare. Ero con ragazzi molto forti, ma ci hanno ripreso perché il vento era contrario e non ci ha favoriti. Una volta ripresi ho deciso di aspettare, provare ad uscire voleva dire tornare subito in gruppo. Tutti gli attacchi sono durati pochi chilometri, se non metri. Ho fatto la scelta giusta, bene così, ora arrivano altre corse».

Oggi quattro settori di strada bianca, per 18 chilometri complessivi
Oggi quattro settori di strada bianca, per 18 chilometri complessivi

Futuro già segnato

Felix-Orn-Kristoff è uno di quei ragazzi con il futuro già scritto, almeno per una piccola parte. Dal 2025 correrà con la Circus-ReUz, il devo team della Intermarché-Wanty. Ha già firmato anche un contratto che lo lega al team WorldTour per le due stagioni successive: 2026 e 2027

«Ho firmato con loro – dice – a gennaio o febbraio di quest’anno. In realtà mi avevano contattato dopo il mondiale di Glasgow (terminato in terza posizione, ndr). Stavano già selezionando i corridori per il team del 2025 e ci siamo avvicinati sempre di più. Un solo anno nel devo team non è poco, avrò comunque l’occasione di crescere anche quando sarò nel WorldTour. Non dovrò andare subito al Tour de France (dice ridendo, ndr). Ci sarà modo di fare corse più impegnative ma anche di gareggiare per provare a vincere».

Tanti attacchi in gruppo ma nessuna selezione
Tanti attacchi in gruppo ma nessuna selezione

Un fratello su cui contare

Il cognome Kristoff riporta alla mente quello di Alexander, corridore della Uno-X. Vincitore, tra le altre corse, di una Sanremo e di un Fiandre. I due sono fratelli, anche se vista la grande differenza di età non si direbbe».

«Dovreste chiederlo ai nostri genitori come mai abbiamo così tanti anni di differenza – scherza – ma siamo fratelli. Avere vicino una figura come la sua è bello e stimolante. Mi piace fargli domande sulle gare, per esempio a quale pressione gonfiare i copertoni per la Roubaix. Siamo anche molto simili come tipologia di corridore, vedremo se riuscirò a seguirlo, ma senza pressioni. 

«Penso di essere uno scattista, un puncheur – incalza ancora prima di farci porre la domanda – per via delle mie qualità tecniche. Mi piacciono le salite corte ed esplosive, più o meno come quella di ieri. Forse era troppo corta e rischiosa, gradisco di più chilometraggio superiori con maggiori strappi. Posso essere un corridore da corse di un giorno, da classiche. Il mio risultato nell’ultima Roubaix è condizionato dalla caduta, ma so che ho di più nelle gambe. Oggi l’ho dimostrato».

Eroica Juniores: la Nations’ Cup torna sulle strade bianche

15.04.2024
4 min
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A breve, giovedì prossimo, scatterà la seconda edizione dell’Eroica Juniores Nations Cup. Una gara a tappe di quattro giorni, con cinque frazioni, tra le strade bianche delle terre del Chianti e non solo. Viene replicato quello che l’anno scorso è stato un successo. Anzi, a testimoniare la buona riuscita dell’edizione passata, la corsa è stata rivisitata. Nel 2023 le tappe erano state tre, distribuite in due giorni, dove a vincere fu Jorgen Nordhagen, talento norvegese passato nel Visma-Lease a Bike Development Team. 

La Nation’s Cup degli juniores si è aperta il 7 aprile con la Parigi-Roubaix e per il 2024 propone 11 tappe: L’Eroica Juniores e il G.P. F.W.R Baron sono le sole due prove italiane.

Per il territorio

Il successo e l’apprezzamento dell’Eroica Juniores Nations Cup ha portato gli organizzatori, a capo dei quali troviamo Franco Rossi, a spingere e promuovere l’evento. 

«E’ una gara – ci racconta – nata per rafforzare il messaggio valoriale del territorio. Si è capito subito che la manifestazione potesse avere un buon sviluppo, anche perché è stata apprezzata da tutti: corridori, cittì e addetti ai lavori. L’invito ad allargarla, anzi direi anche la voglia, è venuta da sé e così quest’anno abbiamo raddoppiato i giorni e i chilometri. Ci siamo rivolti agli juniores perché è diventata una categoria fondamentale nel ciclismo moderno, che può decretare già chi saranno i corridori del futuro. Poi c’è anche la parte valoriale, legata al voler trasmettere ai giovani il piacere delle strade bianche. Il nostro evento madre, la ciclostorica L’Eroica, vede avvicinarsi, piano piano tanti ragazzi, e questo ci fa un immenso piacere».

L’edizione 2024 si aprirà con una cronometro a squadre di 22,5 chilometri
L’edizione 2024 si aprirà con una cronometro a squadre di 22,5 chilometri

Da tutto il mondo

L’edizione 2024 dell’Eroica Juniores Nations Cup supera di poco i 400 chilometri, una fatica non da poco se si pensa alla categoria e al fatto che è tutto racchiuso in cinque giorni. Il Giro della Lunigiana, giusto per fare un esempio, viaggia sugli stessi numeri in quanto a giorni e chilometri di gara. 

«C’è stata una grande adesione – continua Rossi – con la presenza di ben 18 team nazionali. Ai quali si aggiungono i team satellite del WorldTour come Decathlon AG2R La Mondiale U19, JEGG-Dir Academy U19-Visma e la Grenke Auto Eder-Bora. Ci saranno anche quattro rappresentative regionali italiane: Veneto, Lombardia, Sicilia e Toscana. Infine Team Veleka, Fensam Hoves, Team Alta Austria e la Vangi Pirata.

«Avere così tante Nazioni rappresentate – continua – è un modo per far capire quanto il brand Eroica si sia esportato nel mondo. Già portiamo il valore del ciclismo eroico e del nostro territorio in nove Paesi del mondo con eventi organizzati».

Entriamo nel dettaglio di questi 400 e passa chilometri con la presentazione delle cinque tappe. Ogni frazione prevede almeno un passaggio su una strada bianca il vero filo conduttore della manifestazione.

«Il primo giorno – spiega Rossi – ci saranno due tappe: una cronometro a squadre da 22 chilometri con partenza da Punta Ala e arrivo a Castiglione della Pescaia. Il pomeriggio, invece, una frazione da 68 chilometri. Volevamo fare una prima tappa in linea pianeggiante, ma da noi in Toscana non ce n’è molta e già il primo giorno ci saranno 500 metri di dislivello. Nella seconda giornata ci sarà l’arrivo a Siena, in Piazza del Campo, dopo 110 chilometri e cinque tratti di strade bianche. Si passano i luoghi iconici della Strade Bianche, la gara dei professionisti. Penso che far arrivare i ragazzi dove pochi mesi fa ha trionfato Pogacar sia un motivo di orgoglio per noi e per loro.

«La terza tappa – conclude – sarà quella che probabilmente scaverà i veri distacchi in classifica generale. Si parte da Siena e si arriva a Montevarchi, con un doppio passaggio sull’arrivo e un traguardo volante a Gaiole in Chianti, dove è nata L’Eroica. Qui ci sarà il passaggio su una salita di 7 chilometri, tutta di strada bianca, il Passo di Monte Luco, che collega il Chianti alla Valdarno. L’ultima fatica prevede 102 chilometri, da Siena a Chiusdino e attraversa tutta la provincia di Siena e la Val d’Elsa. Dopo un duplice passaggio sotto l’arrivo festeggeremo il successore di Nordhagen».

Hirschi pronto a marciare su Parigi, ma soprattutto su Zurigo

09.03.2024
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SIENA – Il 3 agosto e il 29 settembre sono le due date che Marc Hirschi ha cerchiato in rosso. E sono due eventi che Marc correrà con la maglia rossocrociata, quella della sua Svizzera. Marc è un falco, uno di quegli atleti che sa puntare. Che sa farsi trovare pronto quando arriva il momento clou ed essendo in nazionale il leader designato merita una grande attenzione.

Quando ha avuto carta bianca ha messo nel sacco una tappa al Tour, una Freccia Vallone, un terzo posto ai mondiali. E più recentemente, solo lo scorso anno, il Giro dell’Appennino, la Coppa Sabatini, il Giro del Lussemburgo e il campionato nazionale.

Hirschi alla Strade Bianche, un grande lavoro per Pogacar e lo stesso in questi giorni per Ayuso
Hirschi alla Strade Bianche, un grande lavoro per Pogacar e lo stesso in questi giorni per Ayuso

Dalla UAE alla Svizzera

Il connazionale Rubens Bertogliati ad un giornale svizzero (Mattino Online Ticino) ha dichiarato che: «Credo che in questa stagione potrebbe tornare ad essere protagonista. Marc ha pagato più del dovuto gli infortuni e il conseguente passaggio alla UAE».

E proprio il suo team è un punto chiave. Hirschi è un cacciatore di classiche, un vincente. Milita nella prima squadra al mondo, la UAE Emirates, ma se questa da una parte gli dà tanto, dall’altra gli toglie qualcosa. E’ inevitabile: con tanti campioni in rosa, spesso si ritrova a vestire i panni del gregario. 

Noi per esempio abbiamo scambiato delle battute con lui alla Strade Bianche, e quel giorno il leader guarda caso era Tadej Pogacar. Marc stesso ci disse prima del via: «Giustamente oggi lavoro per Tadej».

Non è un caso che da quando è in questo team abbia vinto molte gare, ma non quelle WorldTour. Anche quest’anno ha aperto la stagione con un successo di forza e astuzia e alla Faun Drome Classic, ma si tratta di una prova 1.Pro.

Marc Hirschi (classe 1998) conquista la Faun Drome in Francia, suo 15° successo in carriera
Marc Hirschi (classe 1998) conquista la Faun Drome in Francia, suo 15° successo in carriera

Più Zurigo che Parigi

Se gli obiettivi erano due, Hirschi ci è sembrato quasi più interessato ai mondiali che non ai Giochi Olimpici di Parigi. Ma è anche normale visto che si terranno proprio in Svizzera, a Zurigo. E che forse il percorso parigino è sin troppo scorrevole per le sue caratteristiche di scattista.

«Sì – dice Hirschi – per me i campionati del mondo quest’anno sono l’obiettivo più grande. Si corrono nel mio Paese di origine. E poi ci sono le Olimpiadi. Sarebbe bello iniziare da queste chiaramente, ma non sarà facile prendervi parte perché come ranking abbiamo solo due posti a disposizione e di mezzo c’è anche la cronometro».

Hirschi non ha poi torto, però è anche vero che le convocazioni olimpiche per gli svizzeri sembrano già fatte. Lui stesso è nettamente il primo atleta nel ranking UCI dei rossocrociati e il secondo è Stephen Kung, che punterà soprattutto sulla cronometro. Pensate che Marc ha più di mille punti di vantaggio sullo stesso Kung.

Semmai a rompergli le uova nel paniere potrebbe essere l’altro connazionale, Stefan Bissegger, campione europeo 2022 nella crono. Però la prova in linea è nettamente favorevole alle caratteristiche di Hirschi.

Hirschi è di poche parole, ma gentile. Lo ricordiamo due anni fa alla Per Sempre Alfredo, la gara che lo vide tornare al successo dopo l’anno tremendo costellato da infortuni. Aveva voglia di raccontare. 

Lui però ci crede e sotto sotto lavora proprio per questi obiettivi. Sa che gli sfidanti sono dei giganti e più di qualcuno di questi ce li ha in casa. Sa bene dunque dove deve arrivare per poter vincere.

«In questo inverno – spiega Hirschi – ho modificato un po’ la mia preparazione. Ho lavorato per essere più esplosivo: sarà necessario in quelle gare».

Nel 2020 fu medaglia di bronzo ai mondiali di Imola, dietro Alaphilippe e Van Aert
Nel 2020 fu medaglia di bronzo ai mondiali di Imola, dietro Alaphilippe e Van Aert

A tutte classiche

Hirschi ha già il suo piano di gare. Non farà grandi Giri, forse anche per questo ha puntato del tutto su un certo tipo di allenamenti. La primavera di Marc prevede una grande incetta di classiche. Ad esclusione di Gand e Roubaix, le classiche per i pesi forti, le farà tutte: dalla Sanremo alla Liegi, passando per il Fiandre e la Freccia, che vinse nel 2020. E nel mezzo altre gare.

In tutto questo bailamme di corse, il suo primo stop di stagione sarà a maggio dopo il Giro di Ungheria. Poi forse troverà il tempo di andare a vedere per bene il percorso iridato.

«Non lo conosco – ammette Hirschi – non ho ancora avuto modo di girarci, tra così tante gare e tanti allenamenti. L’ho visto solo online».

Che il 2024 sia l’anno di Hirschi? Che avesse ragione Bertogliati? Lo svizzero può covare il colpaccio, le doti ce le ha e sembra il personaggio perfetto per questo “assalto alla diligenza”.

Si chiama Paul Magnier e non è solo un velocista

06.03.2024
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SIENA – Alla Strade Bianche, un po’ a sorpresa, la Soudal-Quick Step ha schierato Paul Magnier. Il francese era il più giovane al via assieme al danese Jan Christen: gli unici under 20 del gruppo. Entrambi sono classe 2004.

Bramati e gli altri tecnici lo hanno schierato in Toscana quasi fosse un premio, grazie ai buoni risultati e allo stato di forma eccellente mostrato sin qui. Magnier infatti al debutto nel team WorldTour, ma proprio alla primissima corsa, ha subito vinto. Ha vinto e si è ripetuto qualche giorno dopo. 

Paul Magnier (classe 2004) è stato bronzo ai mondiali di mtb 2022. Da lì il passaggio alla Trinity su strada
Paul Magnier (classe 2004) è stato bronzo ai mondiali di mtb 2022. Da lì il passaggio alla Trinity su strada

Ex biker

A Calpe il “Brama” ci aveva detto: «Abbiamo un nuovo gioiello. Guardate le gambe e capite chi è». Era Paul Magnier.

E chi è dunque questo “francesino” che nella ricognizione della Strade Bianche aveva un occhiale da sole rotondo da passeggio e il ciuffo ribelle fuori dal casco? E’ un ragazzo che viene dalla Mtb, tra i suoi successi c’è anche la tappa di Capoliveri all’Elba agli Internazionali d’Italia Series. Lo scorso anno correva nelle file della Trinity Racing, la squadra con cui Pidcock vinse il Giro U23. 

Da juniores, nelle prime apparizioni su strada, si mise in mostra a crono. Al secondo anno, quando alternava ancora strada e mtb fu secondo al Lunigiana, dove vinse due tappe. Lo scorso, il primo tra gli under 23, è stato terzo agli europei. E nel mezzo tanti altri buoni piazzamenti.

La caduta sugli sterrati di Siena. Sin lì Paul si era ben comportato
La caduta sugli sterrati di Siena. Sin lì Paul si era ben comportato

In camera con Loulou

A Siena era quasi incredulo del grande evento, ma non era affatto intimorito o spaesato. «Sono contento di essere qui – ci ha detto Paul prima del via della Strade Bianche – è una grande gara. E noi siamo una grande squadra. Cercherò di fare più esperienza possibile e di divertirmi».

Magari si è anche divertito, almeno prima di cadere nel tratto di Lucignano d’Asso. Sin lì comunque aveva tenuto bene le ruote. E di certo la Strade Bianche non è una corsa semplice. Tra l’altro era anche la sua prima gara WorldTour. Magari le sue doti da biker hanno convinto i tecnici a schierarlo.

Nei giorni toscani abbiamo avuto modo di osservarlo da vicino visto che abbiamo fatto la ricognizione assieme al team belga e, guarda caso, condividevamo lo stesso albergo. Sembrava un veterano. Grande scioltezza e affiatamento con i compagni, con lo staff… Nessuno direbbe che sia un ragazzo di 19 anni.

«Julian Alaphilippe, è il francese della squadra, e anche per questo gli sono stato molto vicino. Alla Strade Bianche ero in camera con lui! Ne ho approfittato per fargli quante più domande possibili e sfruttare così questa esperienza. E poi ascoltare i suoi racconti di questa o quella corsa… Ah è stato super fantastico! Per me è stato davvero importante».

Come De Lie?

Le due corse che ha vinto Magnier sono state allo sprint, ma con delle differenze: la prima è stata di gruppo pieno, si può dire. La seconda sempre di gruppo, ma un po’ più ristretto. Entrambe, il Trofeo Ses Salines e la tappa in Oman, non erano piatte. Anzi. Quella in Oman nel finale tirava parecchio.

«Non mi aspettavo affatto di vincere subito – ci racconta Magnier – e neanche che ne sarebbero arrivate addirittura due. E’ vero, ho fatto ottimi allenamenti allo sprint questo inverno. Ed è anche vero che in quelle corse la squadra ha fatto un ottimo lavoro. Ho vinto io, ma sono state vittorie collettive. Ora sta a me aiutare Julian Alaphilippe e Kasper Asgreen. Sono super contento, davvero…».

Dicevamo di due vittorie su percorsi non del tutto piatti. Forse, è lecito ipotizzare, Magnier è più di un velocista? L’accostamento con Arnaud De Lie non è poi così peregrino.

«Per il momento – dice Paul – ho vinto quelle gare allo sprint, ma in futuro vorrei essere in grado di essere un velocista un po’ diverso, che sa colpire anche in fuga. Sì, qualche somiglianza con De Lie potrebbe esserci. E’ un grande atleta, mi piace e adoro il suo modo di correre».

Magnier con i suoi occhiali da passeggio durante la ricognizione della Strade Bianche
Magnier con i suoi occhiali da passeggio durante la ricognizione della Strade Bianche

Più forza che chilometri

Quest’inverno Magnier ha lavorato molto sulla forza, contrariamente a quello che si poteva pensare. Visto che doveva correre tra i pro’, accumulare chilometri era la cosa più scontata. Chiaramente ne ha fatti di più, ma ha insistito molto anche sulla forza.

«In realtà ho guadagnato peso (è alto 188 centimetri per 76 chili, ndr) – spiega Magnier – sono andato davvero tanto in palestra e ho messo su “tante gambe”. Certo, è più difficile portarle in salita, ma in pianura e negli sprint mi sento molto più a mio agio».

Probabilmente la struttura da biker era ancora evidente e in Soudal-Quick Step ci hanno voluto lavorare, per quello che è un progetto a lungo termine. Il che è plausibile visto che Magnier ha un contratto fino al 2026. 

Paul ha 19 anni e il team ha intenzione di gestirlo per bene. Nessun passo più lungo della gamba e oculatezza per quel che riguarda giorni di gara e qualità delle stesse. La soluzione? Fare alcune gare anche con il devo team della Soudal-Quick Step, insomma le corse U23.

«Questo mi consentirà di puntare a vincere e a fare esperienza, senza bruciare i passi. Tra i pro’ ho visto che le gare sono più lunghe, soprattutto le salite durano di più. E il livello è altissimo. Il mio passaggio dagli under 23, ma direi anche dagli juniores, è stato molto breve. Io però non vedo l’ora di vivere sempre di più di questo mondo», quello dei pro’ chiaramente.