Tutti fanno un passo indietro e l’Eroica Juniores salta

05.04.2025
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Dopo due edizioni l’Eroica Juniores Nations Cup si ferma. A poche settimane dal via la corsa a tappe dedicata ai ragazzi nati tra il 2007 e il 2008 non partirà. I problemi sono stati di natura economica. I due fondatori di questa corsa, Giancarlo Brocci e Franco Rossi non hanno trovato le certezze adeguate per portare avanti un impegno del genere (in apertura foto Eroica Juniores/Guido Rubino). 

«Sono assolutamente dispiaciuto – dice in prima battuta Giancarlo Brocci – questa è la conferma che non ci sono le condizioni di tranquillità per proporre eventi di calibro internazionale in quella che è la categoria di riferimento del ciclismo giovanile. Nessuna delle istituzioni chiamate in causa ci ha potuto dare conferma dell’impegno preso, per motivi diversi. Né Rossi e nemmeno il sottoscritto poteva esporsi ulteriormente per portare avanti una manifestazione che ha dei costi notevoli».

Giancarlo Brocci al via della seconda tappa nell’edizione del 2024 (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Giancarlo Brocci al via della seconda tappa nell’edizione del 2024 (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)

Un passo indietro

Alla luce di quanto appena detto da Giancarlo Brocci è evidente che l’idea e la volontà di portare avanti un evento come quello dell’Eroica Juniores Nations Cup era in mano alla passione dei due fondatori. Nel cercare una soluzione e una stabilità economica si sono imbattuti nel “passo del gambero” da parte delle istituzioni che avevano dapprima dato il via libera per poi fermarsi e ritrattare. 

«Gli enti chiamati in causa – continua Brocci – con i quali avevamo un accordo iniziale non erano in grado di coprire le spese perché anche loro aspettavano finanziamenti che tardavano ad arrivare. Siamo partiti con il cercare supporto da Regione Toscana e dai Comuni che hanno manifestato interesse per le iniziative legate al marchio Eroica. La Nations Cup ha il suo appeal, ma è difficile trovare continuità di spesa. E i bilanci di questi enti alla fine non prevedono risorse da destinare». 

L’Eroica Juniores porta i giovani a conoscere un ciclismo dal sapore antico (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
L’Eroica Juniores porta i giovani a conoscere un ciclismo dal sapore antico (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Insomma, signor Brocci, tutto è legato all’incertezza…

Quando fai una corsa a tappe internazionale ovviamente devi mettere in conto una cifra importante, sopra i 40.000 euro a tappa. Il tirarsi indietro da parte degli enti deriva dal fatto che non possono darti a bilancio le cifre necessarie. Servirebbe una potenza di fuoco maggiore, che ad esempio è propria del Giro d’Italia. Loro possono agire con anticipo e avere già dei fondi. Noi ci muoviamo su bilanci che sono più difficili da gestire, perché siamo sempre nell’arco dell’imprevedibilità.

Cosa che porta a non avere un budget sufficiente…

Arrivi a raccogliere sempre meno di quanto preventivato, per diversi motivi. Rossi e io siamo spinti da un grande spirito, ma quando alla fine ti manca un 20 o 30 per cento del budget previsto non è facile. Negli anni scorsi il marchio Eroica ha coperto le spese rimanenti e lo ha fatto in maniera importante, soprattutto nella prima edizione (il 2023, ndr). Il problema fondamentale è uno…

Quale?

Se non hai una delibera formale (da parte di Regione Toscana e gli altri enti, ndr) dove viene assegnato un fondo sul quale contare cosa si può fare? Io vengo da una storia in cui ho messo cifre astronomiche che mi hanno cambiato la vita proprio per il romanticismo con cui ho proposto il Giro Bio e altri eventi. Sapete bene che non si può continuare a vivere di romanticismo e di imprevisti.

Stefano Viezzi, campione del mondo ciclocross, in azione sugli sterrati della provincia di Siena (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Stefano Viezzi, campione del mondo ciclocross, in azione sugli sterrati della provincia di Siena (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
E’ mancato interesse nella promozione della manifestazione?

Dietro eventi come questi c’è una promozione del territorio che ha una risonanza mondiale. Con Eroica e Strade Bianche abbiamo portato la Provincia di Siena al centro del movimento del ciclismo e del cicloturismo. Lo abbiamo fatto in quella che era la provincia meno ciclistica della Toscana. Abbiamo fatto delle cose che hanno inciso sulla cultura mondiale di questo sport, basti pensare al Tour de France del 2024 con l’inserimento di 32 chilometri di strada sterrata dentro la nona tappa. 

L’arrivo del Giro a Siena, oltre alla Strade Bianche, può aver contribuito nella mancanza di fondi?

Può anche essere, ma questo lo state supponendo voi. L’Eroica Juniores Nations Cup è una manifestazione che ha un costo elevato, vicino ai 250.000 euro ed è sempre stata in mano all’aleatorietà. Cosa che il primo anno è ricaduta in gran parte su Eroica Srl. Ma a un certo punto devono anche essere le istituzioni a fare un passo verso di te e dirti: «Abbiamo individuato questo tipo di risorse». Ma se fino all’ultimo non sappiamo quanto è il contributo come fai a fidarti? Se poi al posto che 80 ti danno 30 chi mette quel che manca?

Gli anni scorsi lo ha fatto il marchio Eroica, come ci dicevi?

Esattamente, come detto prima loro arrivavano a coprire quel che mancava, ma non è un modo sostenibile di andare avanti. 

L’arrivo in Piazza del Campo a Siena vinto dal norvegese Felix Orn-Kristoff (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
L’arrivo in Piazza del Campo a Siena vinto dal norvegese Felix Orn-Kristoff (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Come mai Eroica ha fatto un passo indietro?

Chi gestisce l’utilizzo del marchio deve farlo per le manifestazioni che hanno una resa per i soci. Il marchio Eroica dice che se non ci sono garanzie quest’anno non potremo coprirvi perché il primo anno abbiamo messo 100, il secondo anno 30 ma dal nostro punto di vista possiamo sostenervi soltanto per la corsa di un giorno. 

Eroica prestava il nome, senza quindi un contributo economico fisso?

Sì. Il discorso è stato semplice. Eroica ci ha fornito un contributo economico fisso a fronte della manifestazione di un giorno (che si terrà a maggio, ndr). Che porta anche il nome di Andrea Meneghetti, un socio del marchio purtroppo scomparso. Eravamo noi (Brocci e Rossi, ndr) che vedevamo anche nella corsa a tappe un’opportunità importante. 

Come mai poi non c’è stato un accordo economico fisso sulla corsa a tappe? 

Perché rispetto a un impegno economico di un certo tipo, Eroica ha detto che a quelle condizioni non lo avrebbero sostenuto. Credo sia legittimo, è un marchio che deve rendere conto ai soci della propria produttività. La corsa su quattro o cinque giorni non siamo in grado di garantirla perché non sappiamo quanto ci potrà costare se non ci sono le garanzie istituzionali. 

Permettere ai ragazzi di vivere l’atmosfera del ciclismo dei grandi è un’occasione unica (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Permettere ai ragazzi di vivere l’atmosfera del ciclismo dei grandi è un’occasione unica (foto Eroica Juniores/Guido Rubino)
Perché poi alla fine non c’è stata questa garanzia a livello di istituzioni?

Noi a Regione Toscana abbiamo fatto richiesta di un contributo per una cifra e ci hanno risposto che tutta non ci sarebbe stata. Poi quanto ci avrebbero dato non si sa, non siamo stati in grado di avere una risposta. Se poi ti manca anche il contributo del marchio Eroica tutto finisce. Sono scelte legittime. 

Il discorso può essere racchiuso con la frase “Ubi maior, minor cessat” già usata in un nostro editoriale quando si era parlato dell’evoluzione del ciclismo. Le cose non cambiano quando si parla di eventi. L’avvento, gradito, della Sanremo Woman ha portato alla cancellazione del Trofeo Ponente in Rosa. E l’impressione è che il coinvolgimento di Siena per l’arrivo della nona tappa del Giro abbia contribuito a tagliare i fondi per l’Eroica Juniores.

Nel 2024 la città ha ospitato l’arrivo in Piazza del Campo vinta dal giovane Felix Orn-Kristoff, e sempre da Siena erano partite due frazioni della corsa riservata agli juniores. Il rischio è che se si arriva al punto in cui gli eventi di primo livello mangiano quelli più piccoli ci ritroveremo con una casa dal bel tetto ma senza fondamenta.

Il Giro in Toscana ed Emilia: la ricognizione di Caruso e Tiberi

18.03.2025
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Le fatiche della Tirreno-Adriatico sono da poco alle spalle per gli atleti della Bahrain Victorious è stato un altro passo di avvicinamento al Giro d’Italia. Lo scontro tra Juan Ayuso e Antonio Tiberi ha dato un piccolo anticipo di quello che potremmo vedere sulle strade della Corsa Rosa. Lo scalatore laziale ha dato prova di solidità nella cronometro iniziale, mentre ha pagato dazio (se pur in maniera leggera) sull’unico arrivo in salita della Corsa dei Due Mari.

Ma i passi che lanciano la ricorsa alla lotta per la maglia rosa sono ancora lunghi e danno modo di pensare che Ayuso e Tiberi possano crescere ulteriormente. Una caratteristica che non può mancare nel preparare il Giro d’Italia è la cura dei dettagli. In questo Antonio Tiberi ha un’arma in più a suo vantaggio: l’esperienza di Damiano Caruso. I due hanno approfittato di questi ultimi giorni per visionare tre tappe: la nona, la decima e l’undicesima.

Antonio Tiberi e Damiano Caruso sulle strade senesi per visionare gli sterrati
Antonio Tiberi e Damiano Caruso sulle strade senesi per visionare gli sterrati

Le insidie senesi

Per la frazione numero nove, quella degli sterrati senesi, l’attenzione è andata verso i quasi trenta chilometri di strade bianche.

«Siamo stati a visionare due settori – racconta Caruso mentre in sottofondo la musica accompagna il trasferimento dopo l’arrivo di Pergola – quello che alla Strade Bianche è il numero sei (Pieve a Salti, ndr). Forse il più tecnico dei cinque che attraverseremo, con una salitella e due tornanti insidiosi in discesa. A mio avviso sarà un remake di ciò che abbiamo visto alla Strade Bianche, ci saranno grandi distacchi. Gli sterrati impegnativi, che sono in totale tre, arrivano tutti nella parte centrale della tappa. Le cadute saranno all’ordine del giorno».

Sarà importante trovare la giusta pressione delle gomme per pedalare sulle strade bianche e in maniera efficiente nei lunghi tratti asfaltati
Sarà importante trovare la giusta pressione delle gomme per pedalare sulle strade bianche e in maniera efficiente nei lunghi tratti asfaltati

Attenzione ai dettagli

I consigli riguardo a come affrontare gli sterrati senesi arrivano anche da chi la Strade Bianche l’ha corsa. Piccoli dettagli che possono fare la differenza in una gara che potrebbe decidersi sugli episodi.

«Pello Bilbao – continua Caruso – ci ha dato qualche informazione importante, ma lui è uno che la bici sa guidarla davvero bene. Quello su cui ci siamo concentrati Tiberi e io è trovare l’equilibrio sui dettagli tecnici. Penso adotteremo copertoni da 30 millimetri con pressioni non troppo basse, alla fine ci sarà tanto asfalto e serve trovare il compromesso ideale. La condizione degli sterrati sarà simile a quella che abbiamo trovato noi: secchi, polverosi e con poco grip. Vedrete sicuramente un bellissimo spettacolo, forse un pochino al limite per essere in una grande corsa a tappe. E’ giusto mettere le strade bianche, come al Tour si inserisce il pavé ma non si deve esagerare».

Tiberi e Caruso in Piazza dei Miracoli a Pisa, la cronometro Lucca-Pisa sarà la prima tappa dopo il giorno di riposo
Tiberi e Caruso in Piazza dei Miracoli a Pisa, la cronometro Lucca-Pisa sarà la prima tappa dopo il giorno di riposo

Riposo attivo

Al termine della nona tappa i corridori entreranno nel secondo giorno di riposo, dopo quello che arriva una volta rientrati dall’Albania.

«Avere una cronometro dopo il riposo – spiega Caruso – non è facile da gestire. Chi farà classifica dovrà gestire in maniera attiva la giornata di pausa. La partenza dal centro di Lucca è spettacolare ma insidiosa, con l’attraversamento di un tratto in basolato e tante curve. Successivamente la strada si apre e per una quindicina di chilometri ci sarà spazio per gli specialisti, lì chi ha gamba può tenere una media sui 55 o anche 58 chilometri orari. Appena si arriva nei pressi di Pisa torna una parte delicata con un altro passaggio dal centro storico fino all’arrivo in Piazza dei Miracoli. Sarà importante fare un giorno di riposo che permetta agli uomini di classifica di arrivare con il motore acceso».

L’arrivo della frazione che porterà i corridori da Gubbio a Siena sarà in Piazza del Campo
L’arrivo della frazione che porterà i corridori da Gubbio a Siena sarà in Piazza del Campo

Attenti alle imboscate

La terza e ultima frazione visionata da Tiberi e Caruso è stata quella che da Viareggio porta a Castelnovo ne’ Monti. 185 chilometri a due facce, una tranquilla e sorniona, l’altra agguerrita.

«Ci siamo concentrati sugli ultimi 120 chilometri – dice ancora Caruso – da quando inizia la salita di Alpe San Pellegrino. E’ una tappa che si presta al classico scenario da “corsa nella corsa”. La fuga avrà il terreno giusto per muoversi e anche gli uomini di classifica potranno muoversi. Se nei primi 60 chilometri la fuga avrà già preso forma avremo una scalata regolare, altrimenti i ritmi potrebbero alzarsi parecchio. La salita di Alpe San Pellegrino è impegnativa, ma lo è altrettanto la discesa e farsi cogliere impreparati vuol dire inseguire tutto il giorno. E’ una di quelle classiche tappe trabocchetto, se nella fuga entra un corridore non troppo distante dai primi potrebbe rientrare in classifica. Non è facile gestire queste situazioni, perché chiudere sui fuggitivi vuol dire spremere i compagni e su tre settimane di gara ogni goccia di energia conta».

Finale insidioso

Superata la principale asperità di giornata il gruppo punterà deciso verso la provincia di Reggio-Emilia, attraversando l’appennino tosco-emiliano.

«Una volta finita la discesa di Alpe San Pellegrino la strada torna subito a salire – conclude Caruso – con il GPM di Toano e Pietra di Bismantova. Salite di seconda categoria, brevi e ripide con pendenze a doppia cifra. Se dovesse arrivare anche il brutto tempo diventa una giornata in cui qualcuno si può fare male in termini di classifica. Negli ultimi cinque chilometri ci sono due strappetti tosti che era bene visionare. L’asfalto non è in condizioni ottimali, speriamo venga rifatto prima del Giro. In generale saranno tre giorni in cui tenere gli occhi aperti».

Ferrand-Prevot e quella consapevolezza che dà ancora più forza

17.03.2025
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La vittoria di Elisa Balsamo al Trofeo Binda ci lancia definitivamente verso la settimana della Milano-Sanremo Women. Una classica che, pur essendo alla sua prima edizione, fa gola a molte campionesse, tra cui Pauline Ferrand-Prevot. La grande ex biker è tornata alla strada dopo tanti anni ed è già a un ottimo livello.

La francese della Visma-Lease a Bike è tornata alla strada per puntare a essere ancora una grandissima. Pauline è una ragazza che ama le sfide… e se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo dire che qualche speranza ce l’ha eccome.

Ferrand-Prevot (classe 1992) è tornata su strada dopo aver disputato l’ultima stagione intera nel 2018
Pauline Ferrand-Prevot (classe 1992) è tornata su strada dopo aver disputato l’ultima stagione intera nel 2018

Che ritorno

Alla Strade Bianche è arrivata terza. Era il quinto giorno di corsa, dopo l’ultima apparizione internazionale, che risaliva al 2018 (mondiale di Zurigo escluso). Aveva preso parte a qualche campionato nazionale, ma così… “tanto per”, come si suol dire.

In Piazza del Campo, dopo la gara, il suo sorriso anticipava le sue parole. «Mi sento davvero bene – ha detto Pauline – e sono contenta. Ho visto che Anna Van der Breggen e Demi Vollering erano troppo lontane e così mi sono concentrata sul podio. Sono anche caduta, ma è stato un errore tutto mio. Non penso di essere ancora al 100 per cento, e per questo sono felice, so che posso alzare il livello delle mie performance».

Ferrand-Prevot è dunque tornata in gara da poco. Ha trovato un ciclismo ben diverso da quello che aveva lasciato, un ciclismo pre-Covid, che si è radicalmente modificato, soprattutto in campo femminile. Lei stessa ha ribadito più volte il tema della concentrazione durante la gara e l’importanza di essere sempre attiva. Cosa che non è così facile dopo tanti anni di inattività su strada, considerando che le gare di MTB durano meno di un’ora e mezza. Così come aveva sottolineato il problema di “ricordarsi” di mangiare, cosa che nelle sue gare di MTB non faceva, ovviamente.

«Quando sono arrivata al ritiro di dicembre, l’allenatore mi ha detto: “Sembri sorpresa”. Non pensavo che il livello fosse così alto – ha detto Pauline – Anche l’alimentazione è cambiata molto e gioca un ruolo essenziale nelle prestazioni. Le tattiche di squadra sono diventate fondamentali. Il ciclismo è diventato davvero uno sport di squadra».

Al UAE Tour Women un po’ di fatica, specie nella salita lunga, ma era previsto. A Siena è stata già terza
Al UAE Tour Women un po’ di fatica, specie nella salita lunga, ma era previsto. A Siena è stata già terza

Questione di testa

Ferrand-Prevot sta riprendendo ad allenarsi in un certo modo, e si può dire che sia ancora in una fase di adattamento.
«I momenti più difficili? Penso che sia solo una questione di fiducia. Non ho corso a questo livello da molto tempo, quindi devo trovare la fiducia e credere in me stessa. Alla Strade Bianche, forse nel momento dell’attacco mi sono mancati 5 o 10 metri, ma la cosa importante è che mentalmente so di poter essere la migliore. Sì, devo credere in me stessa. Ma ora che so di poter competere con le migliori atlete, affronterò le prossime gare con buone sensazioni».

La meticolosità di Pauline è quella di sempre. Anche se sapeva che sarebbe tornata alla strada, per esempio, ha fatto le cose al massimo nella MTB fino alla fine. E guarda caso, ha vinto il titolo olimpico. Prima della Strade Bianche, era venuta alcune settimane prima a fare la ricognizione per avere tutto sotto controllo, perché di fatto per lei era qualcosa di nuovo. E lo stesso farà per la Sanremo.
«Alla Sanremo andremo con una squadra forte. Davvero vogliamo vincere questa prima edizione».

E’ il 23 aprile 2014 quando Pauline vince la Freccia Vallone. In quell’anno conquisterà anche il mondiale (foto Eurosport)
E’ il 23 aprile 2014 quando Pauline vince la Freccia Vallone. In quell’anno conquisterà anche il mondiale (foto Eurosport)

Obiettivo Tour

La Visma-Lease a Bike vuole essere tra le grandi anche tra le donne, per questo ha ingaggiato Ferrand-Prévot. I sogni della francese sono in sintonia con quelli del team: vincere il Tour de France Femmes.
«Per ora c’è stato un buon inizio di stagione – ha detto Pauline – ma so che c’è ancora tanto lavoro da fare».

E a proposito di Tour, un’atleta con le sue caratteristiche non poteva esimersi dal correre le classiche del Nord, a prescindere dall’obiettivo del Tour. Tuttavia, nonostante le doti da biker, non correrà le classiche delle pietre, ma si concentrerà sulle Ardenne, dove tra l’altro ha già fatto bene. Nel 2014 vinse la Freccia Vallone, tra l’altro – ed è una curiosità – l’ultima prima del dominio di sette anni di Van der Breggen, anche lei tornata quest’anno.
«L’idea è di vincere il Tour da qui a tre anni. Ci pensavo da un po’. Lo scorso anno mi ero concentrata del tutto sulle Olimpiadi, ma ora eccomi qui».

EDITORIALE / Quando anche i giganti hanno paura

10.03.2025
4 min
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Dovunque vada, Pogacar vince. Le eccezioni rafforzano la regola. A partire da gennaio 2024, lo sloveno ha… fallito appena due volte. Alla Milano-Sanremo, chiusa al terzo posto. Poi nel Grand Prix Cycliste de Quebec, in cui è arrivato settimo. Tolta la Tre Valli Varesine annullata per avverse condizioni meteo e problemi di sicurezza, le altre le ha vinte tutte. Parliamo di Strade Bianche, Catalunya, Liegi, Giro, Tour, Montreal, mondiale, Giro dell’Emilia, Lombardia, UAE Tour e ancora la Strade Bianche. Si può capire che gli altri ne abbiano paura.

Non si vuole dire che il ciclismo nell’era Pogacar risulti monotono, ma di certo – rischiando le ire dei suoi tantissimi tifosi – sarebbe auspicabile assistere a un minimo contraddittorio, che renderebbe le sue vittorie più emozionanti e lo spettacolo meno prevedibile.

Chiappucci contro Indurain, una sfida impari che però ha dato spesso il sale a Tour e Giro
Chiappucci contro Indurain, una sfida impari che però ha dato spesso il sale a Tour e Giro

I dominatori del passato

L’esperienza personale e diretta di un così grande dominatore, sia pure meno vorace, risale agli anni di Indurain. Era un altro ciclismo, lo spagnolo lasciava le classiche ai corridori più adatti e vinceva in serie il Giro e il Tour. Imbattibile, inattaccabile, educato e spietato. Qualcuno ci provava in Francia, qualcuno in Italia. Bugno, Chiappucci e per un po’ anche Chioccioli andavano all’assalto, ma alla fine neanche ci provavano più, vittime della paura e stanchi d’essere piegati.

Tolta la grande impresa di Chiappucci al Sestriere nel 1992, le corse seguivano lo stesso schema di attacchi spesso spuntati sull’ultima salita. E Indurain intanto dominava e probabilmente ringraziava, fino all’arrivo di Pantani che, sconfiggendolo e piegandolo, conquistò i cuori degli sportivi che dopo un po’ si erano anche stancati di quel dominio.

L’attacco di Pidcock ha acceso la Strade Bianche e messo pressione su Pogacar, vivacizzando il finale
L’attacco di Pidcock ha acceso la Strade Bianche e messo pressione su Pogacar, vivacizzando il finale

Il coraggio di Pidcock

Alla Strade Bianche è successo qualcosa di inatteso: qualcuno ha riposto la paura e ha attaccato Pogacar. Lo ha fatto Pidcock, pur sapendo probabilmente di essere sconfitto nel momento stesso in cui ci ha provato. Eppure la sua presenza e le ammissioni successive di Pogacar hanno dimostrato che in determinate circostanze il solo modo per tenere aperta mezza porta sul risultato a sorpresa sia mettere pressione al campione.

Lo ha detto Tadej, appunto, nella conferenza stampa dopo la vittoria. Avere a ruota uno che è stato campione del mondo e olimpico di mountain bike e campione del mondo di ciclocross lo ha spinto probabilmente a osare di più in discesa, fino all’errore e la caduta. Dinamiche che fanno parte del gioco, come la sua reazione da campione assoluto che si è rialzato e ha rimesso a posto i tasselli del mosaico. Lo stesso Mauro Gianetti, il grande capo del UAE Team Emirates, si è accorto delle novità e si è complimentato con il britannico del Q36.5 Pro Cycling Team.

Van der Poel ha debuttato a Le Samyn, attaccando e poi vincendo. Poteva correre a Strade Bianche? Probabilmente sì
Van der Poel ha debuttato a Le Samyn, attaccando e poi vincendo. Poteva correre a Strade Bianche? Probabilmente sì

La paura di Van der Poel

Non si tratta di fare tifo contro, ma a favore del ciclismo. Affinché la Sanremo si trasformi nella più bella corrida, la Liegi proponga il confronto di alto livello con Evenepoel e magari il Tour mostri un Vingegaard finalmente a posto.

I mancati incroci per motivi di salute sono inevitabili. I mancati incroci per opportunità o paura di rimetterci la faccia sono la piaga di questa fase. Se alle spalle di Pogacar oltre a Pidcock ci fosse stato un altro campione del mondo di ciclocross, dopo la caduta forse lo sloveno non sarebbe rientrato. E Pidock e Van der Poel, collaborando, si sarebbero giocati la corsa. VdP ha avuto paura di fare una figuraccia? E’ possibile, molto possibile. La sua squadra ha preferito risparmiarsela e risparmiargliela? E’ altrettanto possibile. Chissà che fastidio avrà già addosso l’olandese al pensiero che Pogacar possa davvero sfidarlo anche alla Roubaix dopo averne subito la lezione nell’ultimo Fiandre corso insieme.

Lo abbiamo detto in apertura: dovunque vada, Pogacar vince. Gli altri, evitandolo, gli rendono semplicemente la vita meno complicata. Gli organizzatori, disegnando corse sempre più dure remano contro la possibilità di uno spettacolo aperto. Aspettiamo dunque la Sanremo, il primo scontro senza grandi assenti, sul percorso meno scontato di tutti.

Pidcock non ha sbagliato nulla. E’ stata “solo” questione di motore

08.03.2025
5 min
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SIENA – Quando chiediamo a Tom Pidcock se si aspettasse questa sfida con Tadej Pogacar, lui replica con un secco: «E con chi altro?». Ma forse la domanda andava girata. Forse sarebbe stato meglio chiedergli se si aspettasse di tenere così a lungo le ruote del campione del mondo. Era chiaro che lo sloveno ci sarebbe stato.

In ogni caso, quello che abbiamo potuto vedere a Siena nel dopo gara è un Pidcock realista. Di certo non contento per il secondo posto, perché uno come lui è nato per vincere o per correre con l’idea di vincere. Ma neanche così dispiaciuto.

«Sono contento di essere stato l’unico che è riuscito a seguire Tadej, ma nel finale è stato troppo forte per me». Alla fine, quello che doveva fare lo ha fatto. È andato via con il numero uno e solo un suo affondo potente ai 18 chilometri dall’arrivo lo ha messo fuori gioco. Questione di motore. C’è poco da fare.

Pogacar e Pidcock una volta rimasti soli, ma anche prima con Swift, non hanno affondato il colpo. «Ritmo comodo», ha detto Tom
Pogacar e Pidcock una volta rimasti soli, ma anche prima con Swift, non hanno affondato il colpo. «Ritmo comodo», ha detto Tom

Vado o non vado?

«La corsa è andata come mi aspettavo – spiega Pidcock – siamo andati abbastanza veloci per tutta la gara, quindi sono contento che tutto sia andato bene».

E poi si arriva al momento clou: la caduta che avrebbe potuto cambiare tutto. È vero che dopo lo ha atteso, ma è anche vero (e dalle immagini TV si è visto benissimo) che dopo la scivolata di Pogacar e il dritto di Swift, lui si volta e decide di proseguire. Il che è legittimo, non lo biasimiamo, sia chiaro. La gara è gara. Specie contro un atleta pressoché imbattibile come Pogacar, si sfrutta ogni possibilità.

«Per un po’ – dice Pidcock – ho pensato di andare. Ho guardato dietro e né Tadej né Swift c’erano. Però poi ho pensato anche che c’erano ancora 50 chilometri da fare e che ero da solo, con solo mezzo minuto di vantaggio. A quel punto sono tornato sui miei passi e ho aspettato. Ed è stata la cosa giusta. Quando è rientrato, ho visto le sue ferite e si capiva l’impatto che aveva subito».

Qualcuno gli chiede se questo Pogacar sia un superuomo e, se lo aprissero, cosa si aspetterebbe di trovare. Lui glissa e dice: «Mi aspetto di trovare qualcosa di normale, un corpo, delle ossa…».

L’inglese ha preferito usare la Scott Addict, più adatta agli scalatori, che la più rigida Foil, la bici aero, scelta invece da altri compagni
L’inglese ha preferito usare la Scott Addict, più adatta agli scalatori, che la più rigida Foil, la bici aero, scelta invece da altri compagni

Pidcock coraggioso

Una cosa è certa: oggi Pidcock ha dimostrato grande coraggio. Attributi che gli avevano chiesto di mostrare il giorno prima. Alla fine, in questi due giorni senesi, l’inglese ci è parso molto concreto, passateci il termine. Pochi fronzoli, pochi sorrisi, ma neanche musi lunghi. Si è presentato in mixed zone e ha risposto a non si sa quante interviste, forse anche più di Pogacar. In fin dei conti, la notizia, l’outsider che avrebbe tenuto in piedi la tensione della competizione, era lui. E lo stesso atteggiamento lo aveva dopo il traguardo.

Ancora Tom: «Non si trattava di avere gli attributi, si trattava semplicemente di seguire il piano. E il piano non era attaccare a Monte Sante Marie, ma solo seguire Tadej quando avrebbe attaccato. Sapevo che sarebbe partito di lì a poco. Si vedeva che stava aspettando il momento giusto, e così ho pensato di andare io». Insomma, la dinamite era pronta, lui ha solo acceso la miccia.

Pidcock, come la netta maggioranza degli atleti in gara, ha utilizzato gomme da 30 millimetri (i tubeless Vittoria), ruote a profilo medio-alto e, contrariamente a molti altri, non aveva un manubrio strettissimo, specie se rapportato alla propria altezza e quindi alla larghezza delle sue spalle. E questo, sullo sterrato, è un bel vantaggio: allarga la base d’appoggio.

«Siamo a posto, Tom sta bene, ci farà divertire», ci aveva detto Gabriele Missaglia prima di salire in ammiraglia e schierarsi per l’allineamento.

Il saluto, un po’ sconsolato, di Tom sul traguardo dice tutto. Ha incassato 1’24” da Pogacar, però ha guadagnato terreno su Wellens
Il saluto, un po’ sconsolato, di Tom sul traguardo dice tutto. Ha incassato 1’24” da Pogacar, però ha guadagnato terreno su Wellens

I pensieri della sera

Cosa passa nella mente di un atleta che deve sfidare il più forte corridore, forse, di tutti i tempi? Come va a dormire? È un onore o un onere? Paura o adrenalina?

«Pensavo che alla fine questo duello sarebbe stato una gioia. Questo è ciò che speravo. Sapevo di essere in buona forma, penso che sia la migliore condizione che abbia mai avuto ed è stato bello essere in lotta così a lungo con lui. Ho fatto una delle mie migliori performance. Mi sentivo molto bene oggi. Quando hai ancora 70 chilometri da fare e attacchi, è perché stai bene. Sapevo che sarebbe stata una lunga gara, ma ero “comodo” con quel passo che abbiamo tenuto in due. Sono sincero, spesso quando siamo rimasti da soli davanti ero in Z2».

Riassumendo, il coraggio c’è stato, la parte tattica anche, le gambe? Assolutamente sì, lui stesso ha parlato di miglior condizione di sempre. E quindi? come detto all’inizio questione di motore: stop. Quindi c’è da allargare le braccia, incassare e continuare a lavorare. Cosa che tutto sommato ha detto anche Tom: «Ho fatto dei passi avanti quest’anno e posso dire di stare andando nella direzione giusta. La nuova squadra, il nuovo allenatore, il nuovo nutrizionista, tutte queste novità sono arrivate solo a dicembre, sono passati solo tre mesi». Vale la pena continuare a sperare insomma…

Strade Bianche, ancora Pogacar. Ma stavolta col brivido…

08.03.2025
6 min
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SIENA – «Credo che se lo chiedete a qualsiasi corridore – dice Pogacar con un sorriso che sa di esperienza – vi dirà che almeno una volta ha avuto una caduta come la mia. Per me non è stata la prima, forse la terza. Ma a prescindere da questo, sarebbe stato un peccato se avessi buttato via tutto il lavoro della squadra…».

Il campione del mondo ha qualche cerotto. Quelli sui polpacci si vedono, gli altri si intuiscono sotto il giubbino iridato. Con 40,705 chilometri all’ora, è stata la Strade Bianche più veloce di sempre, più di quella del 2023 vinta da Pidcock. Questa era più lunga e il vincitore è anche finito in un prato, rischiando di rompersi l’osso del collo. E’ un giorno che Pogacar ricorderà a lungo: forse non quello della vittoria più bella, ma di certo di quella più sofferta.

Sin dal mattino si scherzava su quale sarebbe stato il punto del suo attacco: se su Monte Sante Marie oppure nel settore precedente di Serravalle. E quando Pidcock ha rotto gli indugi sul primo, Tadej si è affrettato ad andargli dietro. Non è parso sorpreso, forse davvero non aveva in animo di vincere con un’impresa delle sue. Però ha raccolto la sfida e si è allontanato con il britannico che al Q36.5 Pro Cycling Team ha ritrovato la spavalderia dei bei tempi.

Un momento di panico

La caduta ha fatto scorrere un brivido lungo la schiena di tutti. Pogacar deve essersi accorto di essere arrivato lungo in quella curva, ha pinzato l’anteriore e la ruota si è girata, facendolo andare giù a peso morto. Il colpo è arrivato anche al casco, gli occhiali si sono girati e Tadej è scivolato a grande velocità verso la banchina. Ha schivato un segnale stradale e si è fermato nel prato. Per molto meno altri non sono più qui tra noi, per molto meno lui stesso alla Liegi del 2023 si ruppe uno scafoide. Invece si è rialzato, ha fatto un rapidissimo check ed è ripartito.

«Sto bene, grazie – dice con un sorriso – grazie per averlo chiesto. Quando sono caduto nella mia mente c’è stato un momento di panico. Però mi sono rialzato, ho visto che potevo riprendere la bici, ho visto che il mio orologio era a posto e anche il computerino. Ho avuto un sacco di pensieri, ma la prima cosa è stata ripartire. Ho provato a tornare davanti perché per questa gara avevamo lavorato tanto».

Pidcock allunga e Pogacar rilancia: il britannico capisce subito che sarà dura
Pidcock allunga e Pogacar rilancia: il britannico capisce subito che sarà dura

Ha chiesto scusa

Pidcock davanti non si è fermato, non ci ha pensato neanche. Ha provato a tenere duro, poi forse aggiornato dall’ammiraglia, ha capito che l’altro stava andando a velocità doppia e che i chilometri fino al traguardo fossero ancora troppi. Perciò, voltandosi e vedendolo arrivare, ha pensato bene di tirare il fiato e recuperare preparandosi per lo scontro finale.

«Quando sono tornato su Pidcock – racconta Pogacar e un po’ ci colpisce – gli ho chiesto scusa. E’ stato un mio stupido errore e poteva finire molto male per tutti davanti, per lui e anche per Swift. Tom mi ha guardato ha detto che stava bene e mi ha chiesto se stessi bene anche io e così abbiamo continuato. So di essere stato fortunato, magari questo d’ora in poi diventerà il mio soprannome: “Lucky guy!”.

«Non so quanto mi abbia aspettato, di certo l’ho visto voltarsi sulla cima della salita quando gli sono arrivato vicino. Forse ha pensato che fosse ancora troppo lunga per andare da solo e avrà pensato che sarebbe stato meglio andare via insieme. Non ne abbiamo parlato, ma so che lui ha rispetto per me e io ne ho per lui. Oggi è stata davvero una classica e anche in questi frangenti così estremi, abbiamo mostrato una grande correttezza».

La pressione di Pidcock

Quella che non gli manca mai è l’ironia. Dopo l’arrivo si è fermato. Ha abbracciato gli uomini della sua squadra con quell’entusiasmo ogni volta così schietto da strapparci il sorriso. Poi ha aspettato Pidcock e alla fine anche Wellens, al culmine di una giornata da incorniciare. Ha risposto alle domande delle televisioni. Si è fatto medicare prima di salire sul podio. Poi si è prestato all’ultimo incontro con i media, prima di tornare al bus e di lì in albergo. Eppure quella caduta resta nelle domande e anche Tadej ci torna sopra.

«Probabilmente aver avuto Pidcock alle spalle – dice – potrebbe avermi spinto a commettere quell’errore. Non è facile andare in discesa sapendo che hai dietro un campione del mondo di mountain bike, campione olimpico di mountain bike e campione del mondo di ciclocross (ride, ndr). Mi ha messo sotto pressione, perché ho dovuto dimostrargli di essere bravo anche io e credo di averlo fatto. Ma non andrò mai con lui in mountain bike. Avevo pensato di attaccare al primo passaggio su Colle Pinzuto, ma la caduta mi ha impedito di farlo.

«Ho sperato che l’inseguimento non mi costasse troppe forze. Fortunatamente non mi sono rotto nulla, alla fine niente di serio. Sapevo che avrei dovuto provare in quel settore, perché le Tolfe sarebbe stato più adatto a Tom, dato che è più corto. Per cui ho fatto uno scatto ed è stato sufficiente».

Due italiani nei primi 20

La sua esultanza in cima allo strappo finale di Santa Caterina è stata quella del goleador. La gente lo ha abbracciato e sospinto, riconoscendo in quelle ferite e quelle lacerazioni un valore aggiunto che finora non aveva mai visto.

Nessuna vittoria è facile, quella che viene avendo in bocca il gusto del proprio sangue vale indubbiamente di più. La terza Strade Bianche di Tadej Pogacar va in archivio con Formolo e Vendrame nei primi venti. La sua prossima tappa sarà la Milano-Sanremo. E chissà che già da stasera nello squadrone non si torni a parlare della Roubaix.

Il passato voleva riprendersi il presente. Ma Vollering ha detto no

08.03.2025
5 min
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SIENA – Ma non dovevamo non vederci più? Così recitava una canzone di Lucio Battisti, ed è probabilmente quello che ha pensato Demi Vollering quando ha visto la sua ex compagna Anna van der Breggen ancora alla sua ruota. Come una volta. Come ai vecchi tempi. La Strade Bianche Women va alla grandissima atleta della FDJ-Suez.

Sulle strade senesi tutti si aspettavano la lotta fra Anna Van der Breggen (altro rientro eccellente), la nostra Elisa Longo Borghini, Demi Vollering e, secondo alcuni, anche Mavi Garcia. E in effetti, non ci si è andati lontano.

Tutto succede nell’ultima fase di gara: quando si affronta Colle Pinzuto, Van der Breggen forza, ma Vollering segue senza problemi e anzi, allo scollinamento rilancia. Proprio lì, quando inizia il falsopiano e servono tante gambe e tanti watt, l’unica a resistere all’ex compagna e connazionale è proprio Van der Breggen. Mancano esattamente 14 chilometri alla fine e da lì in poi sarà una fuga a due.

La potenza e la classe di Anna Van der Breggen (34 anni) al rientro dopo tre anni di stop
La potenza e la classe di Anna Van der Breggen (34 anni) al rientro dopo tre anni di stop

La classe della campionessa

Sembra un tuffo nel passato. Le due olandesi hanno un altro passo, un’altra pedalata. E in questa fuga quasi non si parlano. Anche all’arrivo solo Van der Breggen si sposterà per un timido saluto nei confronti di Vollering.

«Se mi aspettavo di vincere? No, ma ci ho sperato». Così inizia Anna Van der Breggen nel post gara. L’atleta della SD Worx, quando parla, ti guarda fisso e non molla un secondo. Ha una determinazione agghiacciante.

«Ho anche sofferto molto durante la gara, è stata dura sin dall’inizio e non sapevo quanto avrei potuto reggere. Però sono molto felice, perché era da così tanto tempo che non mi giocavo un finale in questo modo e quindi sono piuttosto sorpresa, anche se poi eravamo partite per vincere».


«L’attacco? Non avevo in programma di attaccare alle Tolfe, volevo solo stare davanti, quindi ho cercato di affrontare la discesa e l’inizio dello strappo finale il più velocemente possibile. Ho pensato che in quel modo avrei avuto un po’ di spazio per il resto del settore. Ma a quel punto della gara sarebbe cambiato davvero poco. Si doveva andare a tutta! Questa corsa comunque mi dà fiducia per il resto della stagione».

Lo spettacolo dei settori super impolverati della Strade Bianche Women
Lo spettacolo dei settori super impolverati della Strade Bianche Women

Botta e risposta

«Demi – riprende Van der Breggen – voleva che passassi a tirare, ma mi serviva tempo. Sono vecchia e mi serve tempo per recuperare! Non abbiamo avuto lunghe conversazioni, stavamo soffrendo un po’. C’era il dolore alle gambe e anche le emozioni della gara, il pubblico, il finale che si avvicinava. Tra l’altro è stato bello sentire tutto questo di nuovo, soprattutto in questa gara».

«Io – risponde Vollering – sono contenta per aver vinto in generale, non per aver vinto davanti ad Anna. Questa è una vittoria importante per me e per la squadra, non un trionfo contro qualcuno».

Nel finale, come detto, si sono salutate in modo timido e fugace. Non che siano nemiche, ma di certo non si abbracciano. Ognuna fa la sua corsa e sul piatto c’era un passato di spessore. Pensateci un attimo: fino a pochi mesi fa erano entrambe nella stessa squadra e una era l’allenatrice dell’altra. Si dice che in allenamento si siano scontrate spesso.

«Oggi il duello con Anna mi ha riportato a quando ero giovane. Ricordo quei tempi, quando non ero alla sua altezza, non riuscivo a tenerla. Averla battuta mi ha fatto capire quanto sia cresciuta. Mi ha fatto capire che sono diventata forte».

Van der Breggen va da Vollering: l’abbraccio è durato un secondo
Van der Breggen va da Vollering: l’abbraccio è durato un secondo

Vittoria di squadra

E’ vero che Vollering ha vinto, ma va detto anche che aveva la squadra migliore. A un certo punto c’erano tredici atlete davanti e tre erano della FDJ-Suez. Oltre a Demi, c’erano anche Juliette Labous ed Evita Muzic, fondamentale a Colle Pinzuto. E non solo: Muzic è caduta (all’arrivo sanguinava dal ginocchio), è risalita, è andata in fuga e, una volta scattate “quelle due”, faceva il tifo per radio.

«Oggi – spiega Vollering – ho avuto un problema meccanico che ci ha un po’ cambiato i piani, ma Juliette Labous è stata fortissima a riportarmi dentro. Ha fatto delle trenate incredibili. Mi piace molto lo spirito di questa squadra, come ci stiamo muovendo, l’atmosfera. Questa è stata una vittoria del gruppo. Abbiamo tanti obiettivi e la Strade Bianche era uno di questi.

«Ma quando parti con la consapevolezza di poter vincere, tutto lo staff e tutte le compagne sono più motivate, più determinate e quando lavorano riescono a dare di più. Si alza il livello della prestazione.
Per me è un nuovo capitolo, per questo credo che a volte il mio grazie nei confronti delle ragazze non basti. Ma so che loro lo sanno. Voglio che tutte si sentano partecipi».

Demi Vollering taglia il traguardo di Piazza del Campo. «We did it» (ce l’abbiamo fatta), urlava
Demi Vollering taglia il traguardo di Piazza del Campo. «We did it» (ce l’abbiamo fatta), urlava

Addio 2024

E qui Demi Vollering parla anche, non senza un filo di emozione, della sua situazione mentale. Sostanzialmente dice di essere rifiorita, di aver trovato una nuova famiglia e racconta del suo 2024 travagliato.

«Non sapevo se lasciare la SD Worx o no. Se facevo bene o meno. Lo scorso anno non ero libera di testa, avevo sempre qualche problema. Rispetto all’anno scorso mi sento diversa. Mi sono sbloccata. In gara volevo fare certe cose e non mi venivano. C’erano problemi in squadra e questo aveva creato incertezze sul mio futuro. Però voglio dire una cosa – e sembra quasi volersi togliere un sassolino – posso dire di essere una persona leale».

Ai 50 dall’arrivo, Longo Borghini tradita dallo stomaco

08.03.2025
3 min
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SIENA – Escludendo, conoscendola, che si sarebbe ritirata, quando Elisa Longo Borghini si ferma dopo il traguardo, si capisce subito che non stia affatto bene. Ha gli occhi smarriti di chi non capisce cosa sia accaduto e ammette di avere ancora qualcosa. Intorno c’è la baraonda di Piazza del Campo, anche sedici minuti dopo l’arrivo delle prime. I volti sono impolverati, qualcuna riesce a sorridere, ma appena Elisa inizia a parlare, basta guardare gli schizzi sul telaio per immaginare l’inferno che per lei è stata la corsa.

«Sinceramente non lo so – dice – io stavo bene, ma da un momento all’altro ho iniziato a vomitare e non ho più smesso. Poi non ho più avuto energie per continuare. Mi sono completamente spenta, è successo un po’ come a Parigi. Non ho capito che cosa possa essere successo, so solo che non sono riuscita più a mangiare né a bere e tutt’ora non mi sento per niente bene».

Persico ha tenuto duro dopo aver capito che Longo Borghini avesse una pessima giornata
Persico ha tenuto duro dopo aver capito che Longo Borghini avesse una pessima giornata

Il gesto di Silvia Persico

Mancava una quarantina di chilometri all’arrivo, quando Longo Borghini si è sfilata, ritrovandosi in una posizione non adatta a chi voglia ancora vincere. Poco dopo, al suo fianco è arrivata Silvia Persico. Hanno parlottato. Poi la bergamasca le ha poggiato la mano sul collo. Le ha detto ancora qualcosa, l’ha abbracciata ed è risalita provando a giocarsi le carte che aveva ancora a disposizione.

«Oggi Elisa non stava bene – dice Persico dopo essersi dissetata, con il volto incrostato di polvere – ho cercato di tenerla con il morale più alto possibile, però purtroppo non era in una giornata buona. Me ne sono accorta dopo le Tolfe. Quando mi ha dato via libera, io ero già stanca. Ero già rientrata due volte, avevo cambiato bici nel primo settore. Sono rientrata nel secondo, mentre nel quarto mi sono dovuta fermare per una foratura. Per cui ho cercato di dare il massimo, ma è stata una gara sempre a rincorrere. Mi dispiace un po’ per la squadra, magari le aspettative erano altre. Però purtroppo, quando non è giornata, non è giornata. La corsa è stata dura, non c’era neanche un momento per recuperare. Ma ora l’importante è che Elisa stia bene. E’ una grande campionessa, peccato perché stava benissimo».

Andando verso il pullman, Longo Borghini si ferma accanto a mamma Guidina
Andando verso il pullman, Longo Borghini si ferma accanto a mamma Guidina

L’abbraccio della madre

Si sussurrava, durante l’attesa che Longo Borghini possa aver pagato il fatto di essere scesa dall’altura da pochi giorni. Tuttavia è stato sufficiente guardarla in faccia e parlarle per capire che quel fattore probabilmente non c’entra nulla.

«Io ho l’influenza – dice mentre si avvia al pullman – devo avere qualcosa, sto male. Ho avuto dei seri problemi di stomaco e per fortuna a 20 chilometri dall’arrivo, quando ero da sola, ho trovato alcune compagne che mi hanno dato il supporto per arrivare in cima a Santa Caterina».

Prima di partire, nel pieno della griglia di partenza, Elisa ha avuto parole d’oro per Sara Piffer e un pensiero per la sua famiglia. Era di ottimo umore, in forma e sorridente. Ora invece si allontana a fatica, dovendo arrampicarsi sulla pendenza di Piazza del Campo per raggiungere il pullman alla Fortezza Medicea. Riconosce il padre alla transenna, gli fa un gesto e gli dice che si vedranno dopo. Invece la madre si sporge. “Il generale”, come la chiama sua figlia, le dice qualcosa nell’orecchio e lei vorrebbe tenerla lontana perché sa di essere sporca. Guidina la stringe, le dice qualcosa e poi la lascia andare. Elisa esce dalla zona transenna, il pubblico si apre, la acclama, applaude e la vede sparire. Si sperava in qualcosa di meglio, speriamo sia stato un episodio isolato e che il Trofeo Binda e la Milano-Sanremo avranno al via la miglior Longo Borghini. Ne abbiamo tutti bisogno.

Bennati a casa meritava una vera spiegazione?

08.03.2025
7 min
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SIENA – «A cose normali – dice Bennati – finito il rapporto avrebbero potuto convocarmi. Hanno uffici a Roma e Milano, il presidente ha il suo ufficio, dove ho firmato il contratto. Mi convocavano e avrebbero potuto spiegarmi qualsiasi tipo di ragione. Non sono arrivati i risultati? E’ una motivazione reale, che sarebbe da contestualizzare, ma è innegabile. Potevano dirmi che si aspettavano di meglio, per cui volevano voltare pagina. Invece alla fine sono stato io a chiamare Amadio. Eravamo a metà febbraio e gli ho chiesto che cosa avrei dovuto fare. E Roberto mi ha risposto che avevano appena finito la riunione in cui il presidente aveva deciso di non confermarmi».

La presentazione delle squadre della Strade Bianche è nel pieno, con Bennati sediamo sugli scalini nella Fortezza Medicea, mentre gli chiedono interviste e di fare qualche foto. Nelle scorse settimane tanti hanno parlato del commissario tecnico non confermato. Colleghi hanno scritto articoli molto duri e noi non avevamo ancora sentito la versione del toscano.

Il Consiglio federale di febbraio ha ratificato le nomine dei nuovi commissari tecnici. Quando la mancata conferma è stata ufficiale, Bennati ha scritto un post su Instagram. Ha ribadito il suo amore per l’azzurro. E ha lamentato le modalità della chiusura dei rapporti a causa delle quali ha rinunciato a importanti incarichi professionali. Richiesto nel merito pochi giorni fa, il team manager Amadio ha riconosciuto la serietà e l’impegno di Bennati e spiegato che la fine della collaborazione sia stata dovuta alla rottura dei rapporti fra il cittì e il presidente federale, cui spetta la prerogativa di nominare i tecnici.

La Strade Bianche partirà a breve, con il numero uno per Pogacar nella gara maschile e la sua compagna Urska fra le donne
La Strade Bianche partirà a breve, con il numero uno per Pogacar nella gara maschile e la sua compagna Urska fra le donne
Partiamo dalla fine: hai davvero rinunciato a un importante incarico professionale?

Avevo già ricevuto il contratto dalla Groupama-FDJ. Prima tramite Philippe Mauduit, poi Madiot e alla fine ho parlato con il direttore generale Thierry Cornec. Perso Demare, vogliono ricostruire un gruppo vincente attorno a un velocista forte e avrebbero affidato a me il progetto. Si trattava di individuarne uno libero e poi di costruirgli attorno un treno e un metodo di lavoro. Spero si possa riprendere il discorso che sul momento ho lasciato cadere perché aspettavo il Consiglio federale. Non avrei trovato corretto accettare un’altra offerta e per giunta all’estero.

La decisione è stata davvero presa per un problema di relazione fra Bennati e il presidente federale?

Probabilmente da un certo momento in poi qualcosa si è incrinato. Non ho accettato di accompagnarlo durante la campagna elettorale, ma quale altro tecnico lo ha fatto? Io credo che questa decisione sia stata presa molto prima di febbraio. Ovviamente nell’ultimo anno i problemi ci sono stati, spesso legati a incomprensioni. Ho fatto buon viso alla scelta di far correre Viviani su strada a Parigi. Alla fine è venuta la medaglia, hanno avuto ragione, ma confesso che a un certo punto ho anche pensato di dimettermi. Con il mio carattere non ho sempre detto di sì e qualche volta ho anche detto di no a situazioni in cui non mi trovavo. Non so se questo abbia portato alla decisione.

Che esperienza è stata per te questo viaggio di tre anni?

Alla nazionale non si può dire di no. Quando mi è stato proposto, io non conoscevo il presidente e lui non conosceva me. C’è stato un avvicinamento, poi due o tre incontri e alla fine ho preso la decisione, consapevole che il periodo sarebbe stato complicato. Va detto che quando ho accettato, Colbrelli aveva da poco vinto la Roubaix, era campione europeo e stava entrando in una dimensione internazionale importante. Sarebbe stato competitivo già dal primo mondiale in Australia, poi a Glasgow e anche alle Olimpiadi di Parigi. Sicuramente avremmo potuto chiudere il cerchio, però ovviamente è andata peggio a lui e mi dispiace tanto. A quel punto ho puntato sui corridori che avevamo e con cui ho lavorato bene. Trentin e Bettiol che, ad esempio, secondo il mio punto di vista era più in forma in Australia che a Glasgow. Sono stati tre anni difficili che sicuramente mi hanno dato la possibilità di crescere. Mi sono fatto le ossa, mi sono fatto tanta esperienza che non avevo per questo ruolo.

Quando Bennati ha firmato da cittì, Colbrelli era campione europeo e aveva da poco vinto la Roubaix
Quando Bennati ha firmato da cittì, Colbrelli era campione europeo e aveva da poco vinto la Roubaix
Anche Villa ha detto che nessuno nasce commissario tecnico.

Penso che anche il grande Franco (Ballerini, ndr) non avesse l’esperienza della nazionale. Dalla sua parte sicuramente aveva un parco atleti molto più consistente. Non voglio dire che fosse più facile, però sicuramente aiuta. 

Com’è stato il tuo rapporto con i corridori da non più corridore?

All’inizio è stato strano. Ero sceso da bici da poco tempo e avere questo rapporto così distaccato l’ho trovato particolare. Per fortuna non ci ho messo tanto a trovare le misure giuste.

Ti è parso che i corridori abbiano fatto sempre quello che gli hai chiesto?

Partiamo dal primo mondiale. Quello in Australia è stato molto positivo e lo ricordo con più piacere. I ragazzi hanno interpretato la corsa nella maniera giusta, c’era un bello spirito. Abbiamo sfiorato il podio con Rota e alla fine abbiamo salvato il risultato grazie a Trentin. Quel giorno Evenepoel era nettamente più forte, però il nostro approccio è stato un ottimo biglietto da visita, un modello per il futuro. E il copione, a mio modo di vedere, si è ripetuto anche a Glasgow. Anche lì la squadra ha lavorato bene, l’approccio è stato dei migliori. Bettiol si è giocato le sue carte con quella lunghissima fuga, anche se a un certo punto lo hanno messo nel mirino e poi gli hanno dato il colpo di grazia.

Nel mezzo ci sono stati gli europei di Monaco e Col du Vam.

A Monaco non avevamo ancora il Milan di adesso. Jonathan era agli inizi e il capitano doveva essere Nizzolo. Poi Giacomo è caduto e a quel punto è subentrato Viviani. I ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro, poi Elia ha scelto di impostare la volata da davanti poiché avevamo la squadra per quel tipo di lavoro. A Col du Vam invece si puntava a fare bene con Ganna. Dal punto di vista dell’esperienza in questi appuntamenti Pippo non aveva ancora l’immensa sicurezza che ha in pista e nelle crono. Anche lì la squadra ha lavorato bene, ma nel finale per un’indecisione nel posizionamento, siamo scivolati troppo indietro, c’è stata la caduta e si è compromessa la gara.

Gli europei di Hasselt vedevano l’Italia in pole position con Milan e sono stati la delusione più cocente di Bennati
Gli europei di Hasselt vedevano l’Italia in pole position con Milan e sono stati la delusione più cocente di Bennati
L’europeo del 2024 si poteva vincere?

E’ stato la delusione più grande, dopo tre anni di bocconi amari. Era la prima volta che la nostra nazionale si presentava ai nastri di partenza con l’uomo da battere, vale a dire Milan. L’amarezza è stata grande. Alla fine io non ho fatto nessuna conferenza stampa, non ho fatto dichiarazioni ufficiali, nonostante quanto mi è stato rinfacciato. Finita la corsa, abbiamo fatto la riunione sul pullman, io ho usato parole dure e questa cosa è trapelata. Non avendo le radioline e vedendo un certo atteggiamento nel finale, non ho potuto correggere il loro errore ed ero frustrato. E’ normale che dopo la corsa ci sia un chiarimento e il mio sfogo è stato confermato dalla loro reazione.

Che cosa hanno detto?

Si sono resi conto che, benché avessero fatto un lavoro straordinario, il finale non era stato gestito come si doveva. Di quella situazione avevamo parlato per una settimana, però probabilmente si sentivano talmente sicuri, che alla fine hanno sbagliato. Lo dico da corridore: le volte che ti senti più sicuro sono spesso quelle che ti va peggio. E questo poi me lo ha confermato Jonathan (Milan, ndr), quando ha ammesso che si poteva fare diversamente. Ma questo non è scaricare responsabilità sui corridori, anche perché io la responsabilità me la sono sempre presa. Come a Zurigo, che responsabilità vuoi dare ragazzi?

Che responsabilità vuoi dargli?

Non gli ho detto io di andare in corsa con quello spirito, sarei stato uno stupido. Nei tre anni abbiamo vissuto una parabola discendente, che secondo me non ci stava. Quello di Zurigo non era e non è assolutamente il nostro valore. Come ho detto anche in altre occasioni, il percorso non era adattissimo a Giulio (Ciccone, ndr), però secondo me era doveroso che vi partecipasse, anche e soprattutto in prospettiva del prossimo. Giulio ha 30 anni e non aveva mai corso un mondiale. Lo stesso valeva per Tiberi perché in prospettiva del mondiale in Rwanda, anche Antonio è un corridore da tenere in considerazione.

La partecipazione di Ciccone al mondiale di Zurigo è stata un investimento in vista del prossimo in Rwanda
La partecipazione di Ciccone al mondiale di Zurigo è stata un investimento in vista del prossimo in Rwanda
Perché dici che la decisione era stata presa prima?

Perché si capiva, poi magari mi sbaglio. Dopo il Giro d’Onore è stato fatto un incontro con i tecnici che avevano già firmato il contratto. Io non lo avevo fatto, perché mi hanno detto che non sarebbe stato corretto farmi firmare e lasciare eventualmente il mio contratto al presidente che avesse vinto le elezioni. Sono rimasto in silenzio per quasi tre mesi, perché avevano detto a me e in diverse interviste che Bennati faceva ancora parte del loro programma. Perché allora non farmi partecipare anche me a quella riunione? Forse perché ero già fuori?