WorldTour e professional, un gap sempre più grande

19.03.2021
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Strade Bianche e Tirreno-Adriatico hanno evidenziato una volta per tutte la grande differenza tra squadre WorldTour e professional. Quando la corsa entra nel vivo davanti restano quasi solo corridori appartenenti alla massima categoria, Van der Poel escluso. 

Con Roberto Reverberi, manager e diesse della Bardiani Csf Faizanè, tra l’altro una delle professional meglio attrezzate sotto ogni punto di vista, ne è emersa un’analisi interessante: certi gap non riguardano tanto (o solo) le squadre, ma anche i corridori.

Roberto Reverberi, classe 1956, è diesse e dirigente della Bardiani
Roberto Reverberi, classe 1956, è diesse e dirigente della Bardiani
Dopo la Strade Bianche eri “contento” perché due dei tuoi corridori erano riusciti a concludere la corsa: una frase che ci ha colpito.

Vero, può sembrare poca cosa, ma non è mica una situazione solo nostra. Alcune squadre WorldTour non lo dicono, ma spesso anche loro hanno corridori che non arrivano davanti o che semplicemente finiscono le gare. Solo che loro investono 25 milioni di euro. C’è da pensare, no? Con quelle cifre, se davanti sono in venti dovrebbero avere due-tre corridori come minimo.

E’ un punto di vista che spesso da fuori si tende a trascurare…

Che poi noi puntiamo soprattutto sui giovani. E ti può capitare il ragazzo che ti arriva davanti, penso a Modolo quarto alla sua prima Sanremo. Più che altro non è una questione di professional e WorldTour.

E di cosa?

Di fatto ci sono 5-6 squadre che vincono tutto e portano via forza al ciclismo. Tutto il resto non fa nulla o quasi. Non tutte hanno le strutture per fare bene in tutte le gare. A loro, come a noi professional, se va bene vincono una tappa in un grande Giro, perché nelle corse di un giorno è più difficile fare il colpaccio. Ma con un investimento ben diverso dal nostro. Per me il ciclismo non può supportare 19 squadre WorldTour. Alcune non ce la fanno. Con la seconda o terza squadra, le scelte secondarie per intenderci, fanno fatica anche nelle corse di secondo livello, dove noi magari andiamo con i nostri migliori atleti. Ci sono team che lo scorso anno a fronte di 21 milioni di euro d’investimento hanno raccolto 7 vittorie e non erano tutte gare di primo livello. Una vittoria gli costava 3 milioni di euro, ne vale la pena? Noi con un budget sei volte inferiore ne abbiamo vinte nove.

E quindi quale potrebbe essere la soluzione?

E’ un ciclismo gonfiato, 19 squadre WorldTour sono troppe. Ognuna deve avere minimo 25 corridori, alcune ne hanno anche 30, e fanno fatica a farli correre tutti. E noi professional, che non abbiamo diritto e certezza di correre, dobbiamo tenerne minimo 20. Perché? Se avessi 8-9 milioni di budget non farei la WorldTour, anche se poi l’Uci mi spingerebbe a farla e di conseguenza a fare sforzi enormi, piuttosto cercherei di prendermi, o se ce l’ho già di tenermi, il corridore buono e con il resto ci faccio una discreta squadra. Punto alla classifica Uci delle professional e se la vinco ho diritto a fare le corse più importanti. E non sarebbe una cosa impossibile, basta vedere la Alpecin Fenix con Van der Poel.

Al Trofeo Laigueglia nel finale si è vista la differenza tra le WT e le altre squadre
Al Trofeo Laigueglia nel finale si è vista la differenza tra le WT e le altre squadre
Dover avere un certo numero di corridori senza certezza del calendario non è facile…

Qualche anno fa, dirigenti dell’Uci ci dissero che “avevamo diritto ad essere invitati”. Cioè diritto a niente, nessuna certezza. Guardate che è una frase molto fine. Per me bisognerebbe ridurre i team WorldTour perché non c’è la qualità sufficiente. Le associazioni dei corridori vogliono assicurarsi il “posto di lavoro”, ma qui siamo nello sport e se non c’è qualità che lavoro assicuri? Se io potessi terrei dieci corridori, ma buoni, e investirei su di loro. Vedete che adesso le grandi squadre schierano tutti capitani? Perché? Perché li devono far correre. Le corse sono poche e ogni volta è un campionato del mondo, basta vedere l’ordine di partenza che c’era a Laigueglia o a Larciano. Quando dico della qualità non lo dico a caso. Facciamo due conti. In tutto, tra WorldTour e professional, le squadre sono 38. Ma in realtà sono di più. Le WorldTour con 30 corridori è come se fossero tre squadre e noi con 20 è come se ne fossimo due. Se si fanno i conti alla fine è come se di squadre ce ne fossero 120-130. E quando riesci a farli correre tutti? Per questo dico che è un discorso di atleti di qualità e non di squadre.

Ho più soldi, prendo i corridori più forti: si può riassumere così. E tornando alla Strade Bianche: la gara senese è stato lo specchio di tutto ciò?

Alla Strade Bianche alla fine ci siamo anche fatti vedere. Siamo stati in fuga e due dei nostri l’hanno finita. Uno come Zana era alla sua prima partecipazione ed è stato un successo dal punto di vista dell’esperienza per lui. E per noi che puntiamo sui giovani è stata una soddisfazione. Poi se si va a vedere, specie con quei tre che hanno dominato, molti team ben attrezzati partivano già battuti in partenza. Voi da fuori guardate chi è più forte rispetto a noi. Ma noi guardiamo anche chi va più piano. E quando vedo che in corsa restano dieci ammiraglie e noi ci siamo mi fa piacere. Prendendo ad esempio sempre la Strade Bianche della situazione, il signor Bardiani mi dice: come mai in quegli otto là davanti non c’era nemmeno uno dei nostri? Io gli rispondo: sai quanto costano quegli otto? Costano 30 milioni di euro. Noi ci facciamo la squadra per dieci anni.

Spesso le WT nelle corse di minor livello, fanno fatica contro le professional
Spesso le WT nelle corse di minor livello, fanno fatica contro le professional
Ma allora da cosa manca? Alla fine anche i ragazzi delle professional hanno due gambe, una bici, due polmoni… perché tanta differenza quando davvero si apre il gas?

A noi non manca nulla, eppure in gruppo qualcuno sfotte. Senza fare nomi, dico che spesso per andare in centro gruppo o per mettersi davanti tra i vari treni se non hai l’uomo giusto che ti introduce non ci vai. L’anno scorso, a Fiorelli per un paio di volte che si è buttato nelle volate al Giro, hanno rotto le scatole. E i velocisti certe manovre le fanno da sempre. Se fosse stato in una WorldTour non avrebbero detto nulla.

Quando i tuoi ragazzi si ritrovano ad affrontare queste grandi corse li vedi più spaventati o più gasati?

Noto che oggi i giovani in generale sono più freddi. Una volta prima di una Sanremo si sentiva proprio la tensione nell’aria. Adesso non so se perché sono proprio più freddi o per qualche altro motivo, ma sembra non colgano la storicità della corsa, la sua grandezza. Sembra quasi la normalità.

E tu cosa gli dici?

La si butta un po’ sullo scherzo e nella riunione gli faccio: ohi, non siamo mica alla corsa della parrocchia! Cavolo, siamo alla Sanremo! Poi chiaramente, cerco di motivarli, gli mostro i punti in cui è necessario stare davanti e altri dove invece possono stare più tranquilli. E quando è così vedo nelle loro facce che è il corridore esperto a sentire ancora la corsa. La sento io che ne ho fatte non so quante di Sanremo. A volte, specie se ho un corridore che può far bene, ancora non ci dormo la notte.

Carera, esiste un modo per non perdere i talenti?

28.01.2021
5 min
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«La nostra credibilità è fondamentale – dice Johnny Carera – proponi il corridore, ma è come se proponessi te stesso. Non parlo del fannullone, ma dell’atleta che per motivi fondati abbia avuto dei problemi. A lui cerchi di trovare una seconda opportunità, ma è fondamentale che ci sia fiducia fra lui, l’agente e il manager della squadra».

Inizia così l’interessante viaggio nell’esperienza del maggiore dei due fratelli bergamaschi, che dal 1998 sono tra le figure di rilievo nel complesso universo degli agenti dei corridori: un mondo che racchiude ex atleti, figure improvvisate, furbacchioni e tante brave persone, in cui da qualche anno l’Uci ha provato a mettere ordine. Il discorso con Carera, che mentre parliamo sta guidando verso casa di Antonio Tiberi e con lui cenerà in famiglia, verte su un tema toccato giorni addietro con Roberto Reverberi. Lasciando per una volta ai margini i campioni, giovani o già fatti, ci interessa sapere come ci si regola per i corridori che Reverberi ha definito di seconda fascia.

Proprio ieri sera, Johnny Carera ha cenato a casa di Antonio Tiberi, con suo padre e sua madre
Proprio ieri sera, Johnny Carera ha cenato a casa di Antonio Tiberi
E’ giusto dividerli in fasce?

Ai miei occhi, soprattutto in partenza, sono tutti uguali. Uno che vince il Lunigiana (corsa a tappe di riferimento tra gli juniores, ndr) ha ottime chance di diventare qualcuno, ma ce ne sono alcuni che non ci sono riusciti e altri, che nella stessa edizione si sono piazzati nei dieci, che hanno fatto la loro carriera. Quando prendi un corridore, la prima cosa da capire è se sia un bravo ragazzo e se può sfociare in una buona dimensione. Ma ricordiamoci che il ciclismo non è per tutti e questa a volte è una verità difficile da accettare. Su 5 ne arrivano 3, più o meno è questa la proporzione. Pogacar ha vinto il Lunigiana e il Tour, altri hanno vinto il Lunigiana e sono spariti. Quello che si fa è studiare la situazione com’è e immaginare un cammino atleta per atleta.

La proposta ai manager è anche tecnica, oppure si molla il ragazzo e addio?

Si parla con la squadra nei termini detti prima. Si presenta il ragazzo e se ne tracciano le caratteristiche. A me poi piace seguirli, perché mi reputo bravo con i giovani, per cui non li lascio a loro stessi.

L’attività della A&J All Sports è iniziata nel 1998 quando Alex, a destra, finì gli studi
L’attività della A&J All Sports è iniziata nel 1998 quando Alex, a destra, finì gli studi
Come ti spieghi il vorticoso turnover in certe squadre?

Prendiamo quest’anno, con 15 neoprofessionisti. In teoria ce ne sono tanti buoni, ma anche due o tre che non so chi siano. In passato erano il doppio e gli sconosciuti erano una larga fetta del totale. Se non hai motore per stare ad alto livello, niente di strano che dopo due anni tu debba smettere. Le squadre, soprattutto quelle più piccole, cercano atleti di buon livello, ma con tante difficoltà in più. Dieci, quindici anni fa Reverberi poteva prendere Modolo, Colbrelli, Battaglin, Petacchi, CicconeOggi atleti di quel livello finiscono subito nel radar delle WorldTour, che investono sui giovani indipendentemente da quanto vincono da ragazzi. Per cui le professional vanno in caccia del giovane che non è stato eccellente, ma potrebbe avere un potenziale. E se vedono che queste caratteristiche non ci sono, ne cercano altri.

Sembra tutto un po’ troppo veloce…

Ci sono tante cose da vedere, compreso l’impegno. Fare il corridore oggi è durissimo, più che in passato, perché è cambiato il contesto sociale. Un ragazzo di 20 anni fa una fatica bestiale a fare tre ritiri sul Teide e stare lontano per tutti i giorni di corsa, magari anche in Cina, lasciando a casa la sua ragazza carina e tante comodità.

Come agenti parlate loro di queste cose, magari suonando anche la sveglia se si perdono?

E’ troppo comodo dirgli che va tutto bene, ho anche rotto dei contratti con gente famosa perché mi rendevo conto che le cose non funzionavano. Tendo a dirgli la verità. Da noi si dice: meglio arrossire oggi che impallidire domani. Siamo in una fase in cui si deve arrivare subito, giocando al meglio ogni occasione, perché non sempre si avrà la seconda chance.

Il rapporto con Valerio Conti è già di lunga data
Il rapporto con Valerio Conti è già di lunga data
Ti ascoltano?

Se gli vuoi bene, devi essere per loro quasi un secondo padre, che però sia capace di vedere la verità. Il padre vero li asseconda, lo so perché ho anche io dei figli. Noi non possiamo. E tanti, dopo certi scontri, ci hanno anche ringraziato.

Messa così, nessuno smetterebbe mai…

Se punti su un ragazzo che ha dei numeri ed è una brava persona, è obiettivamente difficile che lo lascino a piedi. Semmai a un certo punto potrebbe essere necessario ricollocarlo, perché le ambizioni vanno riviste e dovrà accontentarsi. Da giovani è diverso, poi si cresce.

Come si gestisce un giovane come Tiberi?

Antonio è molto intelligente. Con lui si è costruito un percorso di crescita in un ambiente in cui potrà imparare velocemente, con un riferimento come Vincenzo Nibali, che a sua volta ebbe vicino Ivan Basso. Senza stress, pronto per fare bene. Tiberi è molto sul pezzo. Il rapporto fra atleta e agente diventa perfetto quando c’è simbiosi. Ma io devo e voglio stare dietro alle quinte e semmai risolvere i problemi. Non mi piacciono quelli che vogliono apparire.

Il rapporto con Vincenzo si può definire perfetto?

Non ci sono parole. Credo si possa parlare di amicizia, di rapporto di famiglia che si è creato nel tempo. Siamo insieme da 18 anni (nella foto di apertura, sono con l’addetto stampa Geoffrey Pizzorni al via dell’ultima tappa del Giro 2016, ndr), ci sono fiducia e rispetto reciproco.

Ma se tutto è così lineare, perché vengono fatti passare corridori senza arte né parte, che magari tolgono il posto a chi semplicemente avrebbe bisogno di un anno in più?

Il problema c’è se qualcuno non si comporta bene e magari promette cose non vere, lasciando crescere i propri assistiti in un mare di bugie. Quelli che diventano forti non hanno mai avuto bisogno di tante chiacchiere

Zana-Mazzucco debuttanti, Rossato cosa dici?

28.10.2020
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La Bardiani Csf Faizanè era la squadra più giovane del Giro d’Italia. L’età media dei suoi otto ragazzi era la più bassa tra le 22 formazioni presenti. E tra questa infornata di giovani Fabio Mazzucco e Filippo Zana erano al debutto. Entrambi classe 1999 ed entrambi provenienti dalle fila della storica UC Trevigiani.

In questa nuova avventura tra i pro’ hanno avuto la fortuna di avere al loro fianco Mirko Rossato, direttore sportivo che li seguiva quando erano dilettanti.

Mirko Rossato, è tornato quest’anno alla Bardiani
Mirko Rossato, è tornato quest’anno alla Bardiani
Squadra di giovani, Mirko: più un limite o uno stimolo?

Da parte mia posso dire che è uno stimolo. Questi ragazzi hanno affrontato in 21 giorni, 21 tappe di esperienza. Ogni volta una cosa nuova. Bisognava gestirli in tutto e per tutto. Dalla gara all’alimentazione, dalla tattica al recupero… perché tempo per recuperare non ce n’era. Però il loro sogno era il nostro entusiasmo. Poi è chiaro che dall’altro lato non puoi pretendere molto. Sì, in qualche tappa intermedia cerchi di fargli prendere la fuga, ma pensando anche al giorno dopo. Se la tappa successiva è dura devi farli stancare il meno possibile, altrimenti rischiano di tornare a casa, di non stare nel tempo massimo.

Hanno vissuto dei momenti di crisi?

Mazzucco moralmente è sceso parecchio in alcune tappe. Fare una fatica tremenda solo per restare attaccato al gruppo non è facile. Dopo 7-8 giorni è sceso molto anche fisicamente. Ha avuto un calo non da poco. Il che ci stava, perché alla fine non aveva mai fatto gare coì lunghe. Al massimo aveva fatto la Tirreno. Poi un po’ si è ripreso. Con Roberto (Reverberi, ndr) ad un certo punto credevamo che non ce la facesse. Invece è stato bravo a tenere duro. 

E Zana?

Anche per lui non è stato facile. Filippo ha provato diverse azioni interessanti. Nella tappa di San Daniele del Friuli è entrato nella fuga ed era convinto di poter fare risultato. Poi però quando hanno davvero aperto il gas si è staccato. A fine tappa c’è rimasto male. E mi ha detto: cavolo, devo lavorare di più, tanto di più. E lui è un montanaro vero, parla poco. Rispetto a Mazzucco era un po’ più continuo. Ha mostrato un buon recupero. Inoltre è un ragazzo meticoloso.

Fabio Mazzucco, padovano, aveva vinto una tappa al Giro U23 2019
Mazzucco, padovano, aveva vinto una tappa al Giro U23 2019
Sono stati bravi alla fine…

Una cosa bella era proprio questa: sentirli parlare in prospettiva. La parola lavoro è stata la più usata da loro due. Non è facile ritrovarsi nella mischia, spingere al massimo solo per restare agganciati, tanto più se come loro due eri abituato a vincere tra i dilettanti. E questo è quel che è successo a Fabio Mazzucco nella tappa di Piancavallo. Una frazione che prima dell’ascesa finale prevedeva altre quattro salite. Quel giorno Fabio è arrivato con il gruppetto ad oltre 40′. Dopo l’arrivo, stremato, è scoppiato in una crisi di pianto.

Come mai?

Era sconfortato, ma sono situazioni che ti servono per crescere. Oggi per molti giovani può essere più facile, ma anche più difficile. Alcuni passano e vanno forte, vediamo chi ha vinto il Giro e il Tour. Per altri non è così. Però un grande Giro fa crescere il tuo motore ed averlo fatto in autunno crea più di altre volte una solida base di lavoro. In un paio di mesi non perdi tutto ciò che hai fatto. 

Tu e Reverberi insistevate sul riscaldamento. A Castrovillari notammo che li riprendeste. Perché? 

Oggi si parte sempre a tutta e cerchiamo sempre di far scaldare i ragazzi, soprattutto quando poi si inizia con una salita. Sono fasi in cui se resti dietro rischi molto. Non a caso uno dei giorni in cui erano più preoccupati era per la tappa dello Stelvio. Qualcuno di loro non ha neanche dormito la sera prima. Faceva freddo, si partiva in salita, la tappa era lunga e durissima. Quella mattina li ho visti scaldarsi per bene.

A Brindisi come è andata con i ventagli?

Hanno cercato di stare davanti, ma quella era una tappa in cui serviva esperienza. Dopo l’arrivo li ho visti con gli occhi spalancati. Proprio Zana e Mazzucco si guardavano e continuavano a ripetersi: mai vista una cosa del genere e tu? Nemmeno io, rispondeva l’altro. Al che gli ho detto: oh guardate che avete corso insieme tre anni, ve lo dovreste ricordare! 

Filippo Zana, vicentino, l’anno scorso ha vinto il Gp Capodarco
Zana, vicentino, l’anno scorso ha vinto il Gp Capodarco
Però adesso hanno un Giro nel sacco…

Sono esperienze importanti. Si parla sempre di WorldTour ma quanti ragazzi della loro età possono dire di aver fatto la Sanremo, la Tirreno, il Giro? Guardate che nelle squadre WorldTour se non sei all’altezza certe corse non le fai, neanche per fare il gregario. Per noi Mazzucco e Zana hanno del potenziale e abbiamo deciso d’investirci schierandoli in queste corse.

Tu che li hai sentiti parlare da chi sono rimasti colpiti?

Parlavano spesso di Almeida. Joao ha un anno più di loro e anche lui era passato per la Trevigiani. Senza contare che tra i dilettanti forse loro due avevano vinto più del portoghese.

E adesso cosa gli consigli?

Di riposarsi, ma senza ingrassare perché a dicembre si ricomincia a preparare la prossima stagione in vista delle gare di febbraio. Mi spiace che non potranno farsi neanche una vera vacanza visti i tempi. 

Roberto Reverberi

Reverberi, ma chi è questo Fiorelli?

Giada Gambino
29.09.2020
3 min
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Roberto Reverberi, uno dei direttori sportivi con tanta esperienza e tra i più stimati in Italia, è a capo della squadra professional Bardiani CSF Faizanè. Tra i corridori della sua formazione, per il Giro d’Italia, ha selezionato il neoprofessionista siciliano Filippo Fiorelli spiegandone, così, il motivo… 

In che modo Fiorelli è arrivato a casa Reverberi? 

Un giorno Marcello Massini, il suo direttore sportivo, mi chiamò. «Lo sai che rompo poche volte – disse – e se lo faccio c’è un motivo! Ho un corridore che ha delle forti doti. Ha iniziato tardi e per questo non ha neanche avuto modo di mettersi molto in mostra». Non ce lo siamo fatti ripetere due volte. Nonostante non avesse un passato ciclistico alle spalle, lo abbiamo preso, fidandoci della grande competenza di Massini. E non ce ne siamo minimamente pentiti. 

Filippo Fiorelli
Filippo Fiorelli, per lui buon debutto al Giro d’Italia
Filippo Fiorelli
Filippo Fiorelli, siciliano, per lui buon debutto al Giro d’Italia
In questa prima fase che sensazioni vi ha dato? 

Filippo ci ha subito dato delle piccole soddisfazioni. Le corse cui ha partecipato, essendo le prime dopo la quarantena, hanno avuto come protagonisti corridori di un certo livello e tante squadre WorldTour. Tutti affamati di risultati, con tanta voglia di gareggiare. E’ al primo anno da professionista, ciclisticamente è molto giovane. Eppure è uno dei ragazzi che ha fatto più piazzamenti e questo bisogna apprezzarlo ed evidenziarlo.

Da un punto di vista caratteriale come lo descriveresti? 

Fiorelli è un ragazzo tranquillo. Per quel poco che ho potuto osservare, visti i vari problemi dettati dal coronavirus, mi è sembrato anche molto modesto e con tanta voglia di imparare. Questo è un ulteriore fattore positivo, da non trascurare per il potenziale che potrà esprimere. 

Facendo invece un’analisi tecnica?

È un ciclista abbastanza completo: si difende in salita ed è veloce. I percorsi veloci che ci sono oggi, che per la maggior parte non sono per velocisti puri, possono essere adatti a lui. Sapendosi gestire in salita, rispetto a molti sprinter, in una volata con una ventina di corridori potrebbe avere la meglio. Potrei paragonarlo a Ulissi

Cosa porterà a casa dal Giro d’Italia? 

Tanta esperienza. Se dovesse portare a casa qualche buon risultato… tanto meglio, ma il suo principale obiettivo sarà quello di correre, imparare e crescere. Lo abbiamo voluto portare al Giro perché se lo merita e perché, a differenza di altri suoi compagni, ha una buona condizione dovuta forse ad un migliore allenamento.

Cosa rappresenta il Giro per la Bardiani?

La vetrina principale. La corsa in cui mettersi in mostra entrando nelle fughe di giornata. Come è già successo in passato… una vittoria di tappa non dispiacerebbe.

Ritornando a Fiorelli, cosa si aspetta da lui Roberto Reverberi? 

Non escludo niente. È un buon corridore. Il fatto che non abbia una storia ciclistica alle spalle, come stiamo vedendo recentemente con molti giovani che vengono da altri sport, non è un rilevante. Anche se non ha fatto il classico percorso, iniziando con le categorie giovanili, ci potremmo anche aspettare delle belle sorprese. Ha solo margini di miglioramento. Nel giro di due anni potrebbe diventare un grande corridore

Filippo Fiorelli, Giro d'Italia 2020

Fiorelli, il primo Giro a casa sua

Giada Gambino
29.09.2020
3 min
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Tra i corridori che prenderanno il via al Giro d’Italia ce n’è uno che, al primo anno da professionista, avrà la fortuna di partire proprio dalle strade di casa: Filippo Fiorelli

Il corridore siciliano della Bardiani CSF Faizanè ha un passato ciclistico molto particolare. Ha iniziato a correre a 18 anni tra gli amatori palermitani per poi, solo due anni più tardi, trasferirsi in Toscana e iniziare il suo percorso tra i dilettanti. Solo da quest’anno è approdato infine alla corte dei Reverberi.

Questa prima stagione da professionista è stata abbastanza particolare. La quarantena quanto ha inciso sulla tua preparazione ?

Quando ho firmato il contratto e sono diventato professionista volevo subito fare del mio meglio. Purtroppo, però, a inizio stagione ho avuto dei problemi al ginocchio che non mi hanno consentito di correre immediatamente. Poi, una volta guarito, c’è stata la quarantena. Ho cercato di non lasciarmi abbattere. Ho continuato ad allenarmi in strada finché era consentito. Poi sono passato sui rulli. Non è stato sicuramente un momento bello e la ripartenza post lockdown è stata abbastanza impegnativa.

Filippo Fiorelli_Giro2020
Fiorelli ha corso da dilettante alla scuola di Marcello Massini, in Toscana
Filippo Fiorelli_Giro2020
Fiorelli ha corso da dilettante alla scuola di Marcello Massini, in Toscana
Dopo la quarantena hai subito iniziato con gare di un certo livello e hai avuto dei buoni risultati.

La prima corsa da professionista è stata il Sibiu Cycling Tour in Romania. Sono arrivato sempre tra i primi nelle varie tappe e ho concluso la corsa con un decimo posto finale. La top 10 mi ha sicuramente soddisfatto e mi ha dato forza maggiore per affrontare le gare successive nelle quali, in molti casi, sono riuscito a fare una buona corsa.

Qual è la differenza tra una gara dilettantistica e una professionistica ?

C’è un abisso. Anche tra i dilettanti si pedala, ma è totalmente diverso lo svolgimento. Tra i professionisti la corsa è più studiata. Posso dire che, invece, i dilettanti corrono più “alla garibaldina“. 

Come ti trovi alla Bardiani?

La squadra crede molto in me, questo mi dà sicuramente tanta motivazione e morale, in futuro, nei momenti più difficili. Mi trovo bene con tutti i miei compagni, ma con Francesco Romano che è siciliano come me ho legato particolarmente e spesso ci alleniamo insieme

Cosa hai pensato quando ti hanno detto che avresti fatto il Giro?

Non ci credevo, pensavo di stare sognando e, sicuramente, non volevo essere svegliato. Il Giro alla fine servirà soprattutto per crescere e per conoscermi meglio. E’ un’esperienza unica e mai fatta prima. All’emozione generale si è aggiunto anche il fatto che la Corsa Rosa è partita da casa mia. Non avevo più gareggiato in Sicilia da quando ero amatore. Correre nelle strade dove ho messo le basi, con il tifo della mia famiglia e dei miei amici non ha avuto prezzo. 

Con quali aspettative sei partito?

Non sapevo nemmeno io cosa aspettarmi. Sto dando il massimo e non mi sono mai tirato indietro. Partecipare al Giro d’Italia al primo anno di professionismo è qualcosa di incredibile e cercherò di dare il meglio di me anche per la mia squadra. 

Questo anno è stato insolito, ma ne avrai altri per correre in modo regolare. Quale futuro prevedi?

Non sarò sicuramente un corridore da grandi Giri, ma in un giro a tappe corto senza salite troppo lunghe potrò dire la mia. In salita reggo e ho uno spunto abbastanza veloce, molte gare rientrano nelle mie caratteristiche. Sono solo all’inizio, potrà succedere di tutto!