Alessandro De Marchi, CTF, Cycling Team Friuli

Boscolo: «De Marchi è stato capace di incarnare lo spirito del CTF»

23.10.2025
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Alla Veneto Classic si è conclusa la carriera di Alessandro De Marchi, il Rosso di Buja ha appeso la bicicletta al chiodo, ma le sue idee e quello che ha regalato al ciclismo rimarranno vive a lungo. Professionista dal 2011, quando di anni ne aveva 24, ha corso per quindici stagioni ai massimi livelli con l’istinto di chi ama attaccare. La squadra che lo ha lanciato nel professionismo è stato il CTF Friuli di Roberto Bressan e di Renzo Boscolo. Per De Marchi, friulano DOC non ci poteva essere altra maglia per arrivare tra i grandi

Durante la sua ultima gara sono tante le figure che sono venute a vederlo e salutarlo. Tra tutti c’è stato lo stesso Renzo Boscolo. 

«E’ stato un piacere e un onore essere presente all’ultima corsa di De Marchi – dice il diesse friulano – anche se i sentimenti erano contrastanti. Da un lato c’era l’amarezza di vederlo in gara per l’ultima volta, mentre dall’altra parte prevaleva l’orgoglio. Per salutare Alessandro abbiamo fatto un giro di chiamate tra staff e vecchi corridori del CTF e sulle strade della Veneto Classic ci saranno state un centinaio di persone solamente per lui. Insomma, fa capire cosa è stato capace di lasciare Alessandro De Marchi al ciclismo».

Alessandro De Marchi, Veneto Classic, ultima gara
Alla Veneto Classic Alessandro De Marchi ha corso la ultima gara in carriera
Alessandro De Marchi, Veneto Classic, ultima gara
Alla Veneto Classic Alessandro De Marchi ha corso la ultima gara in carriera
Il CTF lo ha lanciato nel professionismo, cosa ha significato per voi?

Alessandro ha concretizzato l’idea che Roberto Bressan ed io avevamo a proposito del Cycling Team Friuli. Ha dato un’anima a quella squadra e alla nostra passione per il ciclismo. De Marchi è stato l’atleta che per tenacia e combattività ha mostrato cosa fosse il CTF. Il grande ciclismo ai tempi era fuori dal Friuli e sono tante le squadre che nel corso degli anni lo hanno cercato, dal Veneto, dalla Toscana e dalla Lombardia. 

Ha sempre avuto un attaccamento forte alla propria terra?

Lui è il rappresentato del Friuli a livello ciclistico, non c’è strada che De Marchi non abbia solcato. Per noi è stato importantissimo, così come Fabbro gli anni successivi. Ecco, loro due sono i corridori friulani che sono stati capaci di aprire una strada per gli altri. 

Alessandro De Marchi, CTF, Cycling Team Friuli, Renzo Boscolo
Il Rosso di Buja è passato al Cycling Team Friuli al primo anno elite, era il 2009
Alessandro De Marchi, CTF, Cycling Team Friuli, Renzo Boscolo
Il Rosso di Buja è passato al Cycling Team Friuli al primo anno elite, era il 2009
Quali erano gli ideali che De Marchi rappresentava per voi?

L’attaccamento alla maglia, vi posso raccontare un aneddoto: è una casualità, ma riceveva davvero tante proposte da squadre molto più grandi della nostra. Lo chiamavano offrendogli soldi che noi all’epoca non avevamo. Lui rifiutava dicendo: «Sono già in una grande squadra. E se non lo è, la farò diventare». 

Com’è arrivato da voi?

Da under 23 è passato con la Bibanese ed è stato quattro anni con loro. Al CTF è arrivato al primo anno elite. La prima corsa vinta è stata al quarto anno da under 23, una tappa del Giro delle Pesche Nettarine. Quell’anno vinse ancora qualche gara e poi venne da noi e rimase per due stagioni.

Quindi passò professionista alla fine del secondo anno elite, una cosa che sembra preistoria…

Già all’epoca cominciava già a essere molto difficile passare da elite. De Marchi però era molto forte in pista, aveva vinto dei titoli nazionali 

E’ sempre stato un attaccante nato?

Già da junior era conosciuto per le fughe e i numerosi piazzamenti, anche se non aveva mai vinto una gara. Quando vinse il premio come corridore più combattivo al Tour de France 2014, qualcuno disse che era il premio che meglio rappresentava Alessandro De Marchi

Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo
Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo durante un incontro sulle strade spagnole in un ritiro invernale
Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo
Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo durante un incontro sulle strade spagnole in un ritiro invernale
Che figura era all’interno del CTF?

All’epoca avevamo anche corridori più grandi di lui, perché c’era l’accordo con la pista. Ma il soprannome che gli diedero in squadra fu: “il capitano”. Tutti si fidavano di lui, il suo carisma era incredibile e polarizzante. De Marchi aveva una determinazione, una grinta e una voglia immensa. Ricordo che andavamo a fare le gare a tappe in Romania o all’estero e partivamo in furgone da casa. Era bellissimo viaggiare con Alessandro perché si parlava di tutto, c’era una grande vitalità nei suoi discorsi. 

Quindi è sempre stato un uomo con le idee chiare, precise e con dei valori e dei principi saldi?

E’ sempre stato un uomo molto attento alla società, a quello che è il sociale, pronto ad aiutare gli altri, è una persona di principi e con un’etica estremamente forte. Questo lo si vede anche dall’evento che ha voluto organizzare sabato e domenica (25 e 26 ottobre, ndr) interamente dedicato ai giovani e ai bambini. Inoltre il ricavato di quella manifestazione andrà in beneficenza. Però Alessandro ha sempre avuto un’attenzione particolare agli altri, non c’è premiazione, evento o gara regionale alla quale rifiuti di partecipare se invitato. E’ un modo di fare che nei giovani si vede sempre meno.

Cycling Team Friuli, festa, Alessandro De Marchi, Nicola Venchiarutti, Matteo Fabbro, Jonathan Milan
De Marchi a un festa insieme ai tanti atleti passati dal Cycling Team Friuli
Cycling Team Friuli, festa, Alessandro De Marchi, Nicola Venchiarutti, Matteo Fabbro, Jonathan Milan
De Marchi a un festa insieme ai tanti atleti passati dal Cycling Team Friuli
Che effetto vi ha fatto vederlo crescere e diventare l’uomo che è ora?

De Marchi nella sua vita ha dato molto di più di quanto ha ricevuto. Sicuramente all’inizio di carriera questo divario era ancora più grande perché ha fatto la scelta di venire da noi al CTF quando la società era nata da poco. Non era scontato avere un atleta del genere. Lui ha creduto nel progetto e ha creduto principalmente in noi. Il merito va a Roberto Bressan, il quale lo ha fortemente voluto, perché in De Marchi ha visto il prototipo di corridore e persona che volevamo in squadra. La tendenza di Alessandro è sempre stata quella di non mollare mai, di volersi migliorare ed è sempre stato ambizioso.

Bressan: «Diventare devo team era il passo giusto da fare»

27.06.2025
4 min
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PINEROLO – La mattina della tappa decisiva del Giro Next Gen, tra i mezzi della Bahrain Victorious Development Team si aggirava Roberto Bressan: lo storico Team Manager del Cycling Team Friuli ora diventato devo team della Bahrain Victorious. Se li coccola e li abbraccia come fossero figli, negli occhi dei ragazzi vedi il rispetto e la fiducia che una figura come quella di Roberto Bressan è capace di trasmettere. Anche lui è emozionato, eppure in carriera ha vinto tanto. Ma ogni successo porta nuove emozioni, soprattutto se alla base c’è stato un cambiamento importante come quello avvenuto per il CTF (in apertura foto Claudio Mollero).

«Trovare una società come la Bahrain Victorious – racconta Bressan – in un certo modo fa diventare tutto un po’ più semplice. Però alla base del progetto, anche se con colori diversi, ci sono le teste e l’animo friulano che hanno contraddistinto il Cycling Team Friuli. Gli allenatori, i coach e i diesse rimangono sempre gli stessi: Mattiussi, Boscolo e tanti altri. Sono arrivate anche delle figure nuove che hanno saputo integrarsi benissimo all’interno di un sistema capace di funzionare». 

Alessandro Borgo e Bryan Olivo insieme a Roberto Bressan i due italiani sono parte del team da quando era CTF
Alessandro Borgo e Bryan Olivo insieme a Roberto Bressan i due italiani sono parte del team da quando era CTF
Cosa vuol dire per lei tornare a vincere una corsa così importante?

Per me non è una novità ed è in un certo senso indifferente perché è da tanti, troppi anni che sono in questo mondo. Sono felicissimo per tutti. Per noi è stato fondamentale tenere questa squadra anche a livello di staff perché avevamo già iniziato a lavorare con alcuni ragazzi: Olivo, Borgo e non solo. Poi sono arrivati ragazzi grazie al progetto devo team come Omrzel e Dunwoody. 

Il cammino che avete sempre fatto con i giovani è rimasto invariato?

Quest’anno abbiamo fatto più altura, un po’ più ritiri di invernali. Prima, quando eravamo CTF, in qualche maniera dovevamo arrangiarci. Però anche in passato dal nostro vivaio sono usciti tanti nomi: Jonathan Milan, De Marchi, Aleotti, Fabbro…

Il progetto devo team ha permesso di portare anche ragazzi stranieri di grande prospettiva, come Omrzel (foto La Presse)
Il progetto devo team ha permesso di portare anche ragazzi stranieri di grande prospettiva, come Omrzel (foto La Presse)
Ora che il progetto si è allargato arrivano anche tanti ragazzi dell’estero, si è aggiunta qualche responsabilità in più?

Per certi versi sì, per altri no. Dal punto di vista economico dormo la notte, mentre la responsabilità è diventata un po’ più grande. Non è facile confrontarsi con un team e una struttura così grande come quella del WorldTour, in qualche modo subisci la pressione. Prima come CTF eravamo noi ad essere esigenti con noi stessi, ora la subisco anche io. Però le cose stanno andando bene. 

Cosa vogliono dire per lei queste responsabilità?

Che devo rispondere a qualcosa di cui si percepisce l’importanza. Ma a essere sincero: era il momento giusto per farlo.

Lo staff tecnico del CTF ha raccolto tanto negli anni e sta trasportando il suo metodo anche al Bahrain Victorious Development Team (foto La Presse)
Lo staff tecnico del CTF ha raccolto tanto negli anni e sta trasportando il suo metodo anche al Bahrain Victorious Development Team (foto La Presse)
Perché?

Sarebbe stato difficile continuare al nostro passo perché ogni stagione che passa eravamo costretti a investire qualcosa in più. Purtroppo gli investimenti e i soldi facevano fatica ad arrivare, Bahrain ci ha supportato per tre anni, questo sarebbe stato il quarto, ma se non fossimo stati assorbiti il CTF sarebbe stato destinato a chiudere. Quando costruisci una casa e arrivi al tetto come fai ad arredarla?

Eravate arrivati alla fine di un progetto?

Il passo successivo poteva essere solamente uno: diventare devo team. Io oggi sono felicissimo ma lo sono ancora di più per i miei ragazzi perché loro hanno tante stagioni davanti. Renzo Boscolo ed io abbiamo costruito la casa e ora tocca a loro proseguire, sono il futuro. Non dico di essere alla fine della mia carriera ma ho dato tanto ed è giusto che qualcun’altro porti avanti il tutto.

Omrzel firma il capolavoro della Bahrain: il Giro Next Gen è suo

22.06.2025
6 min
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PINEROLO – Jakob Omrzel si siede sul marciapiede, coperto dall’ombra di foglie verdi illuminate dal sole e aspetta. Aspetta ancora. Poi una voce gli dice che ha vinto il Giro Next Gen e scoppia in una festa che travolge tutti. Ilario Contessa, massaggiatore del Team Bahrain Victorious Development non trattiene le emozioni e lo abbraccia. Anzi, quasi lo stritola vista la differenza di corporatura tra i due. Gli addetti al podio fanno fatica ad aprire la strada tra le due ali di folla che si erano radunate intorno a Jakob Omrzel. Alessio Mattiussi arriva di corsa e lo sloveno si fionda tra le sue braccia (i due sono insieme nella foto di apertura). Quando si separano ci guarda e dice: «E’ merito di quest’uomo qui, è lui che ha progettato tutto».

Continuano a camminare verso il piazzale del podio, rovente come una lastra di ferro, mentre piano piano gli altri quattro ragazzi del devo team guidato da Roberto Bressan e Renzo Boscolo arrivano e parte la festa. 

Jakob Omrzel vince il Giro Next Gen all’ultima tappa (foto La Presse)
Jakob Omrzel vince il Giro Next Gen all’ultima tappa (foto La Presse)

I cinque moschettieri

Questa mattina, più o meno intorno alle 11, Alessio Mattiussi ci aveva detto di come la giornata fosse imprevedibile. Ieri a Prato Nevoso avevano un piano e la corsa è andata per un verso completamente opposto. 

«Ieri sera abbiamo fatto mille ipotesi – ci dice il diesse Mattiussi mentre si lascia andare dopo la tensione di questi giorni – e stamattina a colazione altre mille. Roberto Bressan, Renzo Boscolo al telefono e io. Un continuo scambio di idee, dettagli, pareri. Alla fine sul camper prima della tappa ho detto loro di non lasciare andare una fuga troppo numerosa o di entrarci, il nome da mettere in appoggio era quello di Borgo. Così non è stato perché il margine con i fuggitivi è sempre rimasto al di sotto del minuto. Poi gli altri ragazzi sono stati bravi a tenere Omrzel fuori da ogni pericolo e a metterlo nelle prime posizioni sulla salita. E’ stato un accumularsi di tensione fino al termine della discesa, lì abbiamo capito di avercela fatta». 

Dopo il traguardo qualche istante di attesa, qui il sorriso di Omrzel che ha appena realizzato di aver preso la maglia rosa
Dopo il traguardo qualche istante di attesa, qui il sorriso di Omrzel che ha appena realizzato di aver preso la maglia rosa

Nove mesi dopo

Jakob Omrzel arriva illuminato dal rosa della maglia di leader di questo Giro Next Gen e con un sorriso simpatico. Lo sloveno, che lo scorso anno da junior aveva stupito per le sue qualità, ora si consacra con la vittoria nella corsa a tappe più importante al suo primo anno nella categoria under 23. Il cammino non è stato semplice perché oltre alla fatica e agli allenamenti ci sono state le difficoltà dovute a un incidente gravissimo che ha visto protagonista lo stesso Omrzel al Giro della Lunigiana

«Sono passati nove mesi difficili – racconta tornando serio per un attimo – nei quali mi sono trovato a ripartire da zero. Nella mia testa è passata anche la domanda se sarei mai tornato a essere quello che ero. Si è trattato di un momento complicato, ma non ho mai smesso di crederci. Quando ero in ospedale (è rimasto per un mese ricoverato a La Spezia, ndr) ho avuto la possibilità di essere curato sia fisicamente che mentalmente». 

Mattiussi ha detto di aver realizzato che avevate vinto il Giro alla fine dell’ultima discesa, tu?

Dopo l’arrivo. Ieri mi sentivo forte ed ero convinto che avremmo potuto prendere la maglia ma oggi l’ho fatto. Ho capito di aver vinto solamente quando non ho visto arrivare Tuckwell (il leader fino a stamattina, ndr) subito dopo di me sul traguardo. Sapevo che il distacco fosse breve ma anche in gara siamo sempre stati vicini. 

Cosa vuol dire indossare questa maglia per te?

Al momento non me ne rendo conto, ho bisogno di alcuni giorni per capirlo ma abbiamo fatto tutti qualcosa di grande. 

Il podio Giro Next Gen 2025: Omrzel, secondo Turckwell e terzo Novak (foto La Presse)
Il podio Giro Next Gen 2025: Omrzel, secondo Turckwell e terzo Novak (foto La Presse)
Quando sei tornato in bici questo inverno qual era il tuo obiettivo?

Il Giro Next Gen. Siamo andati in altura, poi sono tornato in Slovenia ad allenarmi e ho corso il Giro di Slovenia con i professionisti. 

Proprio nella gara di casa ti sei reso conto di essere pronto?

Sì. Lì ho fatto un grande passo in avanti dal punto di vista mentale, credo sia il motivo grazie al quale sono venuto al Giro con tanta fiducia e tante nuove consapevolezze. Ho corso con il WorldTour e sinceramente mi hanno insegnato tanto, ho visto un’altra prospettiva di corsa e l’ho usata in questi giorni. 

Il supporto dei compagni è stato fondamentale per la vittoria di Omrzel, una vittoria di squadra (foto La Presse)
Il supporto dei compagni è stato fondamentale per la vittoria di Omrzel, una vittoria di squadra (foto La Presse)
Questa mattina, a colazione, cosa hai detto ai tuoi compagni di squadra?

Andiamo a vincere il Giro. 

Mattiussi, il tuo diesse, ieri ha detto che avresti potuto vincere, sentivi questa sensazione anche tu?

E’ il team che mi ha dato la fiducia giusta nei miei mezzi. Onestamente mi hanno aiutato molto. Non li ringrazierò mai abbastanza, non so davvero come fare ma mi piacerebbe perché senza di loro non sarei mai arrivato qui. Sono loro i responsabili di tutto, ma anche chi lavora a casa, la mia famiglia e i miei amici

In vista dell’ultima tappa è arrivato anche Roberto Bressan, storico presidente del CTF ora diventato Bahrain Development
In vista dell’ultima tappa è arrivato anche Roberto Bressan, storico presidente del CTF ora diventato Bahrain Development
Sei al primo anno da under 23, te lo saresti aspettato un inizio così?

Sì e no, come si dice: 50 e 50. Speravo di fare una corsa del genere ma non pensavo di poter vincere. Ho lavorato sodo senza mai smettere di crederci. 

Ora, che farai?

Ho tanti altri obiettivi ma prima un po’ di pausa e di festa. Ce lo siamo meritati.

Il CTF chiude e diventa devo team Bahrain

19.12.2024
3 min
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In attesa che i dettagli vengano definiti, dal prossimo anno il Cycling Team Friuli, che già portava il nome Victorious oltre al suo, cesserà l’attività e sarà assorbito dal Team Bahrain Victorious, diventandone il devo team. Le modalità con cui ciò accadrà saranno rese note, resta però la chiusura di una squadra che da 19 anni a questa parte ha tenuto banco fra i dilettanti, lanciando fra gli altri atleti come De Marchi, Aleotti, i fratelli Bais e Jonathan Milan (immagine photors.it in apertura). Quella del CTF è una chiusura diversa da quanto accaduto alla Zalf Fior, ma parliamo pur sempre una società in meno che raccoglierà talenti sul territorio.

«La scelta è diventata inevitabile – racconta il team manager Roberto Bressan – perché non c’erano più le risorse per mantenere un certo livello tecnico. Se non fai l’attività internazionale, non puoi pensare di andare a scontrarti con i devo team. E’ chiaro che negli ultimi tre anni, avendo avuto la sponsorizzazione del Bahrain, siamo rimasti a galla. Ora però il Bahrain ha fatto una scelta diversa e volendo avere un loro devo team, ci hanno chiesto se saremo saliti a bordo».

Roberto Bressan è il team manager del CTF, qui con Roberto Fedriga, presidente della Regione FVG
Roberto Bressan è il team manager del CTF, qui con Roberto Fedriga, presidente della Regione FVG
E voi?

E io ci ho pensato, noi abbiamo pensato. Cosa facciamo? Chiudiamo o torniamo indietro? Abbiamo fatto per ogni anno lo stesso ragionamento e l’idea di tornare indietro non ci convinceva. Nella nostra storia abbiamo sempre cercato di alzare l’asticella.

In che modo?

Abbiamo formato tecnici, allenatori, massaggiatori e direttori sportivi. Abbiamo pensato a ristrutturare la società e a disegnarla in un certo modo. Con le loro possibilità a un certo punto è diventato tutto più facile. E visto che non saremmo stati in grado di tornare sui nostri passi, abbiamo deciso di accettare la loro proposta.

Non ti dispiace perdere una società attiva sul territorio?

Se avessi avuto più soldi, io sarei rimasto con il CTF, perché il mio cuore è il Friuli. Però in Friuli si investe per il calcio, per la pallavolo e per la pallacanestro. In serie A1 ci sono quattro società friulane, mentre nel ciclismo ci siamo noi. Eppure i corridori buoni vengono fuori, penso a Montagner, Stella e Viezzi, che sono passati professionisti o nei devo team delle WorldTour. Abbiamo atleti formati da noi, da De Marchi, passando per Aleotti e Milan: vuol dire che il CTF è servito a qualcosa. Però non spariremo dal territorio.

In che senso?

Renzo Boscolo si è impegnato a dare una mano alla Libertas Ceresetto, che ha gli juniores. Sarà il modo per tenerli monitorati, ma non si chiameranno CTF. 

Andrea Fusaz, qui con Tiberi, è salito tra anni fa dal CTF al Team Bahrain Victorious come preparatore
Andrea Fusaz, qui con Tiberi, è salito tra anni fa dal CTF al Team Bahrain Victorious come preparatore
Cosa sarà invece del CTF Lab?

Il Lab è fuori dal discorso. E’ una struttura privata in cui lavorano degli allenatori e biomeccanici professionisti, in cui la gente va a pagamento. Ci sono ancora Andrea Fusaz, Alessio Mattiussi e anche Fabio Baronti.

Ecco, proprio Fabio nel frattempo è passato alla Jayco-AlUla…

E’ stato un brutto colpo. Fabio era una parte importante del nostro gruppo, non serviva neppure parlare tanto era ben oliato. Tutti sapevano cosa fare ben prima che gli chiedessi di farlo. Non possiamo escludere che un domani torni indietro, ma per ora è andata così. Fabio è stato massaggiatore, poi si è laureato diventando allenatore e alla fine faceva anche il direttore sportivo. Una figura come la sua non sarà facile da rimpiazzare.

Baronti: dal CTF a coach Jayco: «Inizia un nuovo percorso»

13.12.2024
5 min
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I giorni del primo ritiro stagionale in casa Jayco-AlUla scorrono velocemente sotto al sole caldo della Spagna. Lo staff e i corridori lavorano guardando al futuro e intanto gettano le basi per far sì che tutto scorra liscio. Tra le novità del team australiano c’è sicuramente l’arrivo di Fabio Baronti, che ricoprirà il ruolo di coach insieme a Pinotti e altri colleghi. Il veneto, trapiantato in Friuli e arrivato nel ciclismo grazie al CTF di Roberto Bressan, vive queste ore con gioia e una voglia matta di fare. Caratteristica tipica di chi arriva in un contesto nuovo e non vede l’ora di dimostrare che tanta fiducia è meritata. 

«Mi sono ambientato – ci racconta Fabio Baronti in un giovedì di “pausa” – siamo arrivati cinque giorni fa, l’8 dicembre. Abbiamo fatto un meeting per conoscerci e impostare il lavoro, poi il 10 dicembre sono arrivati i ragazzi. Lunedì prossimo, il 16, torneremo a casa per ritornare in Spagna a gennaio. Tra noi membri dello staff si è optato per fare un meeting conoscitivo a Bergamo qualche settimana fa. C’erano tutti i coach compresi i due nuovi, ovvero io e un altro ragazzo».

Fabio Baronti, qui al centro, è stato con il CTF dal 2018 alla fine del 2024
Fabio Baronti, qui al centro, è stato con il CTF dal 2018 alla fine del 2024

Un’altra vita

Quella che sta per iniziare Fabio Baronti è un’altra vita, sicuramente dal punto di vista sportivo tante cose cambieranno. Entrare a far parte dello staff di un team WorldTour in giovane età non è un caso, in certi ambiti i meriti sono addirittura doppi. La Jayco-AlUla ha cambiato qualche corridore durante l’inverno, forse una delle realtà che ha cambiato di più. 

«Sono arrivati dieci nuovi atleti rispetto all’anno scorso. Ma per me è come se fossero 30 – dice con voce simpatica Baronti – anzi 29 visto che conoscevo già Ale (Alessandro De Marchi, ndr). Alcuni li conosco già perché li ho trovati da avversari con il CTF tra gli under 23. In queste prime uscite li abbiamo seguiti da vicino, per noi coach è importante vederli pedalare e prendere informazioni».

Alla Jayco-AlUla ha ritrovato Alessandro De Marchi
Alla Jayco-AlUla ha ritrovato Alessandro De Marchi
Che effetto fa entrare nel WorldTour?

Bello, è parte del percorso di crescita personale e lavorativa. Al CTF ho trovato una famiglia vera, nella quale sono entrato e ho avuto modo di apprezzare le persone e il clima. Qui alla Jayco-AlUla tutto è più professionale e ognuno ha il suo ruolo. Si vive in maniera più precisa e analitica. Il gruppo dello staff è enorme, tra squadra maschile e femminile siamo in 156. 

I colleghi, come sono?

Lo zoccolo duro è sempre lo stesso, nel quale la figura di riferimento un po’ generale è Pinotti. Sono arrivato in un ambiente dove tutti sono pronti, preparati ma anche aperti al confronto. Già da subito ho percepito di poter dare qualcosa.

Baronti è stato preso da Boscolo quando ancora era uno studente di Scienze Motorie: prima come massaggiatore e poi come coach
Baronti è stato preso da Boscolo quando ancora era uno studente di Scienze Motorie: prima come massaggiatore e poi come coach
Che cosa?

Non sono qui per adattarmi a un metodo di lavoro, ma per metterci del mio. Lavorerò sia con il team maschile che femminile, curando il training camp per il Giro d’Italia insieme a Pinotti. Essere accanto a una figura come la sua è uno stimolo importante, credo sia anche un bella dimostrazione di fiducia. Più avanti io e lui faremo dei test sull’aerodinamica. 

Come sei arrivato da loro?

Ho parlato con Pinotti a maggio, durante il Giro d’Italia. Durante tutta la stagione siamo rimasti in contatto, mi ha detto che la squadra aveva intenzione di cambiare e rinnovarsi nel reparto performance. Il fatto che venissi da un team giovanile secondo me ha giocato un ruolo chiave. 

Nei sette anni al CTF è stato spesso in ammiraglia, ruolo che per ora non ricoprirà più
Nei sette anni al CTF è stato spesso in ammiraglia, ruolo che per ora non ricoprirà più
Lavorerai anche con i ragazzi del devo team, la Hagens Berman?

Non direttamente, se qualche ragazzo avrà modo di venire con noi o di essere sottoposto a dei test saremo noi a farlo. Ma loro avranno un coach. 

In che modo lavorerai?

Avrò un piccolo gruppo di tre o quattro atleti con i quali lavorerò direttamente. Ma poi ognuno di noi coach sarà a disposizione degli altri e curerà delle parti della stagione. Avere a che fare con corridori esperti, alcuni anche più grandi di me (Fabio Baronti ha 29 anni, ndr) mi permette di avere un rapporto diverso, di confronto. Al CTF dovevo insegnare ai ragazzi come essere ciclisti a 360 gradi, qui mi occupo solo della parte performance. 

Baronti con i ragazzi del CTF ha costruito un rapporto a 360 gradi, qui con Van Der Meulen dopo la vittoria di tappa alla Ronde de l’Isard (foto Direct Velo/Florian Frison)
Baronti con i ragazzi del CTF ha costruito un rapporto a 360 gradi (foto Direct Velo/Florian Frison)
Un rapporto più diretto?

Sicuramente avere corridori esperti mi permette di ricevere feedback più profondi e capire come muovermi. Insomma, si ottimizza il lavoro. Non sarò più in ammiraglia, magari in futuro prenderò il patentino UCI. Anche se credo che arrivati a un certo livello sia meglio dividere i compiti.

Non resta che farti un grande in bocca al lupo per questa nuova avventura.

Grazie! Ci vediamo in giro.

Pista, volate, salite e crono: tutto il Milan di Roberto Bressan

05.11.2024
5 min
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Sentire che Luca Guercilena ha riconosciuto la bontà del lavoro svolto dal Cycling Team Friuli con Jonathan Milan fa sì che Roberto Bressan mandi attraverso queste righe un messaggio di ringraziamento al general manager della Lidl-Trek. Fra i corridori passati nelle sue mani, Johnny è forse quello che sta volando più alto e che ha dimostrato da subito di poterlo fare (in apertura, immagine photors.it).

«Le parole di Luca mi riempiono di orgoglio – dice il manager friulano – ma è qualcosa che mi sento di dividere con tutto il nostro gruppo. Io ho fatto la mia parte, prendendo le decisioni, ma anche Andrea Fusaz ha fatto tanto con Milan e tutto lo staff tecnico. Una cosa è certa: si vedeva che fosse un talento fuori dal comune».

Bressan, classe 1960, insieme a Roberto Fedriga, presidente della Regione FVG (immagine CTF)
Bressan, classe 1960, insieme a Roberto Fedriga, presidente della Regione FVG (immagine CTF)
Da cosa si vedeva?

Ne avevamo sentito parlare e così quando era ancora junior avevamo cominciato a seguirlo, finché con Andrea Fusaz gli facemmo un test e fummo letteralmente impressionati dai numeri che saltarono fuori. Noi un ragazzo di 18 anni con quei valori non lo avevamo mai visto in vita nostra e, tutto sommato, faccio questo mestiere da qualche anno. Sono stato anche il direttore sportivo di suo padre Flavio, insomma. Jonathan ha dei geni fuori dal comune che gli vengono proprio da suo padre e da sua madre. Ha una forza fisica tutta da esprimere che non permette di sapere dove potrà arrivare. I suoi limiti sono ignoti, siamo ancora lontani secondo me. Secondo me se va al Tour e gli mettono a disposizione un bel treno, due tappe le vince di sicuro. Altro che Philipsen e gli altri…

Al primo anno da U23 lo portaste in pista: si vedeva quel tipo di talento oppure fu un tentativo?

Fu un esperimento. Il giovane Jonathan non aveva un carattere facile e anche tenerlo con la testa sulla bici non era semplicissimo. Così lo portai in pista per gestirlo e dargli la completezza che avevamo già sperimentato con Fabbro, nonostante fosse uno scalatore, e con De Marchi. Sapevamo tutti quello che potesse diventare Alessandro, ma andare in pista completa la dotazione del corridore.

Pare che Villa abbia detto a Guercilena già da allora che Jonathan avrebbe potuto fare il record del mondo.

Villa ha creduto in quello che gli dicevo e inserendolo nel quartetto ai mondiali di Berlino 2020, aggiunse 100 cavalli al quartetto. Quando presero il bronzo a squadre e poi fece 4’08” nell’individuale, che per me fu pazzesco, gli dissi che il suo traguardo doveva essere battere Ganna. Non perché si possa cancellare Pippo, visto che è un’istituzione, ma perché Ganna all’età di Jonathan non faceva gli stessi tempi, quindi era chiaro che il suo cammino fosse quello di batterlo. Attenzione: Ganna ha aperto la via e tracciato un metodo di lavoro dal quale Jonathan è stato di certo avvantaggiato.

Ti aspettavi che potesse fare il record del mondo?

Direi di sì. Quella sera ho chiamato Giovanni Carini, il meccanico della nazionale, e gli ho chiesto di passarmi Jonathan. Era ancora nel mezzo della festa, abbiamo parlato pochi minuti. Gli ho fatto i complimenti perché aveva raggiunto l’obiettivo che si era prefissato quattro anni prima.

Il suo presente è fortemente orientato sulle volate, credi che sia potenzialmente anche un corridore da classiche?

Milan è destinato a vincere le classiche, perché lui ha la salita nelle gambe. Nel tappone del Giro d’Italia U23 del 2020 in cui Aleotti fece quarto, Milan tirò da solo per le prime due salite. E’ più di un Viviani, col massimo rispetto, che fa le volate e vince in pista. Jonathan va forte anche a crono. Il campionato italiano U23 del 2020 era lungo 25,6 chilometri e lui batté Piccolo e Tiberi a 48,200 di media. Quando vincemmo il campionato italiano cronosquadre a 55 di media, lui fece il giro di riscaldamento da solo a 50 di media. Lo vedo più dalla parte di un Boonen o Pedersen che di un velocista puro.

Come si spiega secondo te che all’europeo non sia riuscito a venire fuori nel finale in volata?

Jonathan non è ancora capace di fare le volate da solo, ma se gli danno un treno come quello di Cipollini, non c’è nessuno che possa batterlo, perché ha dei valori di potenza fuori dal comune. Quel giorno, al netto di quello che hanno sbagliato e di cui hanno parlato, secondo me non stava bene, altrimenti uno con quella potenza sarebbe venuto fuori lo stesso. Non so se sia stato per la condizione o la tensione, ma secondo me quel giorno qualcosa deve essere successo.

Quanto della velocità di Milan su strada deriva dalla pista? Secondo Bressan i due ambiti sono legati con corda doppia
Quanto della velocità di Milan su strada deriva dalla pista? Secondo Bressan i due ambiti sono legati con corda doppia
Si dice che dal 2025 potrà puntare solo alla strada: tu gli diresti di andare comunque in pista per allenarsi?

Farebbe male a mollarla, perché la punta di velocità gli viene da quei lavori. Le partenze da fermo con certi rapporti, i lavori specifici sono cose che in strada non riesci a simulare bene. Non so se andrà in pista solo per allenarsi, come pure Ganna. Secondo me però un pensiero al mondiale lo faranno. Non credo che a Ganna faccia piacere aver perso il record del mondo, come credo che se Charlton dovesse battere il record, anche Jonathan, che ora magari potrebbe essere appagato, ritroverebbe la voglia di provare. 

Bressan, il bilancio del CTF e un dubbio sulla categoria U23

14.12.2023
5 min
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Se inizialmente qualcuno fu contrario al fatto che il Cycling Team Friuli diventasse team di sviluppo per la Bahrain Victorious, quello fu sicuramente Roberto Bressan. Poi, vista la convinzione dei suoi collaboratori, anche il grande capo fece un passo indietro, accettò la novità e si mise a studiare la situazione.

La sua squadra non è un vero e proprio “devo team”, perché per esserlo dovrebbe avere la stessa amministrazione e gli stessi finanziatori. Nonostante ciò, il rapporto che si è creato è strettissimo e simbiotico. Gli stessi materiali e un kit con grafiche comuni. Andrea Fusaz è passato dall’essere preparatore dei ragazzi della continental a lavorare in pianta stabile per la WorldTour. Per sostituirlo, ex corridori del CTF si sono laureati in Scienze Motorie e ora sono entrati nell’organico come tecnici. La filiera funziona. Così siamo tornati dal manager di Udine, per farci raccontare se nel frattempo abbia cambiato opinione.

Jonathan Milan, Roberto Bressan, Rod Ellingworth, Giro d'Italia 2020, Udinea
Giro 2020, quello del Covid a ottobre: Milan e Bressan incontrano Ellingworth, al tempo manager alla Bahrain
Jonathan Milan, Roberto Bressan, Rod Ellingworth, Giro d'Italia 2020, Udinea
Giro 2020, quello di ottobre: Milan e Bressan incontrano Ellingworth, al tempo manager alla Bahrain

«Proverei ad ampliare il discorso – dice – parlando prima di tutto del senso delle devo team. Oggi ne hanno uno ben preciso, perché il ciclismo cambia continuamente. E se adesso vuoi fare ciclismo ad alto livello, devi diventare una devo team. La Colpack è l’eccezione che riesce ancora a fare le cose da sé, ma probabilmente hanno una forza economica che altri non hanno. Io non riuscirei a fare quello che faccio senza la Bahrain».

Fino a due anni fa ci riuscivi, cosa è cambiato?

Non girano abbastanza soldi. D’altronde lo vedete quali sono le squadre più forti. La Jumbo, la Quick Step, la Lotto. Hanno tutto il meglio, anche quello delle devo team è diventato un piccolo WorldTour. Sono di un altro mondo e i corridori più forti fanno la fila per essere con loro.

Quindi alla fine hai cambiato idea?

Una volta che entri nell’ordine delle idee, non puoi farne a meno. Noi non siamo una devo, lo siamo per metà. Io sono titolare della mia società, loro mi sponsorizzano e abbiamo le stesse bici. Non ci vedono più come una squadra dilettantistica, c’è un rapporto strettissimo. Se abbiamo bisogno di parlare con un loro preparatore, ci mettiamo in contatto. Mi danno i corridori che vogliono, però alla fine la società resta mia.

Andrea Fusaz è cresciuto come preparatore al CTF Lab, ora è una delle colonne della Bahrain Victorious
Andrea Fusaz è cresciuto come preparatore al CTF Lab, ora è una delle colonne della Bahrain Victorious
Qual è il vantaggio?

Siamo cresciuti. Stiamo allargando la base dei preparatori, dei massaggiatori, dei corridori che acquisiscono una mentalità diversa. Sanno che hanno delle possibilità, quindi sono anche più stimolati. Siamo CTF, ma alla fine siamo come una WorldTour, quindi il progetto funziona. Io avevo le mie perplessità all’inizio, ma se non l’avessi provato, non ci sarei mai arrivato.

Che cosa servirebbe per migliorare ancora?

Se avessi più soldi, farei un’attività ancora più importante e terrei più corridori. Ho una schiera di friulani che vorrei prendere, ma non posso per budget e per politica. Il ragionamento del Bahrain è condivisibile: vogliono una base più ampia e internazionale. La mia è più una mentalità italiana, ma quando ti ritrovi dei corridori così forti in Friuli, non puoi non prenderli. 

Daniel Skerl ha vinto quattro corse nel 2023. Qui il Trofeo Alessandro Bolis a marzo
Daniel Skerl ha vinto quattro corse nel 2023. Qui il Trofeo Alessandro Bolis a marzo
E chi li prende? Può essere il ruolo delle piccole squadre U23 che non sono continental?

Per come la vedo io, le squadre dilettantistiche italiane non agganciate a nessuno sono spacciate. Per come è strutturato il ciclismo internazionale, in questo momento non ha nemmeno più senso che esista la categoria under 23. Sarebbe meglio allungare di un anno la categoria juniores e poi passare direttamente alla continental. Ormai chi può fare bene nelle gare internazionali? Solo una squadra strutturata, per cui le squadre più piccole come quelle toscane che attività possono fare?

E allora chi li prende questi corridori friulani?

Due sono andati alla Fior, mentre i 3-4 più importanti hanno già i procuratori. Se ne chiamo uno e gli chiedo di darmi un suo corridore friulano, lui in cambio mi chiede due anni nella continental e poi il contratto WorldTour. Ma come è possibile far firmare un contratto WorldTour, se ancora non si è visto di che corridore parliamo? Secondo me è esagerato quello che attualmente chiedono i procuratori. Bruttomesso è migliorato tanto, finisce le corse a tappe, ma probabilmente neanche lui è pronto per la WorldTour.

Bruttomesso passa alla Bahrain Victorious dal 2024, per Bressan deve crescere ancora molto (photors.it)
Bruttomesso passa alla Bahrain Victorious dal 2024, per Bressan deve crescere ancora molto (photors.it)
Come è andato il 2023?

Abbiamo avuto parecchi problemi, ma è vero che fare il confronto con la squadra di tre anni fa sarebbe difficile. Jonathan Milan faceva la differenza, anche Aleotti. Abbiamo vinto un sacco di gare, però nel 2023 mi sarei aspettato qualcosa di più. Per contro abbiamo trovato Skerl che diventerà un corridore di peso. Il prossimo anno si ricomincia un ciclo. A parte Brian Olivo, Andreaus e Skerl, avremo tutti primi anni.

L’obiettivo è ancora vincere oppure, avendo dietro la WorldTour, si può correre con meno pressione?

E’ cambiato il modo di pensare, perché la Bahrain non ti dà la pressione immensa che prima dovevi mettere ai corridori. Vedono che se fanno qualcosa di buono, hanno lo spiraglio. Nessuno parla di De Cassan, ma correndo con noi, si è ricavato la possibilità di passare professionista, anche se non al Bahrain. Non gli abbiamo mai dato pressione, è arrivato bene nelle gare giuste e ha trovato il suo posto. L’importante è lavorare come Dio comanda, solo facendo così si tirano fuori dei corridori.

Olivo, la testa dura e il tricolore crono U23

23.06.2023
4 min
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SARCHE – Prima di incontrare Bryan Olivo, giusto ieri dopo la sua vittoria nella cronometro tricolore degli U23, è capitato di stringere la mano a Roberto Bressan. Il team manager del Cycling Team Friuli se ne andava in giro con un sorriso grande così, dato che su Olivo si è già speso più di una volta in prima persona. I tecnici del suo team stanno lavorando da due anni per trasformarlo da crossista promettente in pistard e stradista da leccarsi i baffi. Questa crono, vinta con 1’12” sul secondo e 1’16” sul terzo è stata la conferma che la direzione è giusta.

Olivo e la sua Merida hanno percorso i 25,7 chilometri in 32’20”, a 43,630 di media
Olivo e la sua Merida hanno percorso i 25,7 chilometri in 32’20”, a 43,630 di media

Per il team e la famiglia

Olivo se ne stava rintanato nel box riservato ai primi della classifica, senza la più classica “hot seat”, ma con una serie di divanetti e panche all’ombra, che sotto quel sole così cattivo era un’oasi felice.

«Mi aspettavo di andare bene – diceva – ma non di dare così tanto distacco al secondo. Sui rulli durante il riscaldamento ho visto dei numeri che mi hanno stupito. Sapevo di andar forte, perché questo italiano lo preparo dall’anno scorso. Arrivai terzo e mi dissi che sarei tornato per vincere. Ce l’ho messa tutta e non nego che da lunedì ero molto agitato: non perché sentissi la pressione della gara, ma per tutta la fiducia che mi arrivava dalla squadra, per come mi hanno preparato. Non volevo deludere loro, me stesso e neppure i miei genitori che mi stanno sempre accanto».

Secondo al traguardo, Nicolas Milesi ha colto così il miglior piazzamento del 2023 (foto Tornanti_cc)
Secondo al traguardo, Nicolas Milesi ha colto così il miglior piazzamento del 2023 (foto Tornanti_cc)

Lavori in corso

Il passaggio su strada non è stato privo di punzecchiature. La fuga di un altro fra i migliori talenti dal ciclocross non l’avevamo vista di buon occhio, al punto che mosso da un impeto polemico, la scorsa estate Bressan disse che l’inverno successivo avrebbe rimandato Olivo nel cross. Questo non è successo (non avevamo dubbi), in compenso è proseguita la crescita omogenea di Bryan su quasi tutti i terreni.

«Vincere il campionato italiano – proseguiva Olivo – mi dà emozioni indescrivibili. La stagione era partita bene, poi è diventata un po’ opaca. Ho avuto un problema intestinale, che mi ha fatto perdere 3 chili in tutto il mese di maggio. A giugno non andavo avanti, invece alla fine mi sono ripreso e meglio di così non poteva andare. Detto questo, non so ancora dire che tipo di corridore potrei essere. Credo che adesso si possa dire che vado forte a crono. In pianura vado bene, in salita mi difendo. Si potrebbe dire che sono un “all rounder”, ma non mi definisco così, vediamo col tempo. C’è ancora tanta strada da fare».

Dopo l’arrivo, Belletta era stremato per il caldo: il suo ritardo finale è stato di 1’16”: non male per essere al primo anno (foto Tornanti_cc)
Dopo l’arrivo, Belletta era stremato per il caldo: il suo ritardo finale è stato di 1’16”: non male per essere al primo anno (foto Tornanti_cc)

Non mollare mai

E così adesso, sentendolo parlare, ti chiedi se sulle sue tracce ci sia già qualche squadra di quelle che va a pesca di talenti giovanissimi. Va detto che il Cycling Team Friuli, in quanto vivaio della Bahrain Victorious, è un ottimo posto in cui continuare a fare le proprie esperienze, ma come ragionerebbe un ragazzo di vent’anni davanti all’eventuale offerta di un team WorldTour?

«Non so cosa farò il prossimo anno – ha detto subito – dipende se mi sentirò pronto per passare oppure no, sennò aspetterò ancora un anno. Ho ancora tanti obiettivi quest’anno. Sabato c’è il campionato italiano su strada, dove credo che correrò per i miei compagni. Loro hanno fatto il Giro d’Italia e di sicuro su strada saranno leggermente più pronti di me. Però se ci sarà l’occasione, proverò a fare il mio. E poi vorrei anche fare bene al mondiale.

«Sono tutti obiettivi che vengono gradualmente e grazie alla forza mentale. La differenza in questa crono l’ho fatta perché non ho mollato di un millimetro, anche se le gambe mi dicevano di calare. Io non l’ho fatto e questa è una cosa che non mi succede spesso. Una cosa che da oggi in avanti dovrà sempre esserci. Per me questo significa crescere».

Bressan e il giovane Milan al Cycling Team Friuli

12.05.2023
6 min
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Ieri Jonathan Milan è arrivato ancora secondo in questo Giro d’Italia. Un buon piazzamento che rafforza la sua maglia ciclamino, la quale a sua volta è figlia dalla grandiosa vittoria di San Salvo e prima ancora della storia di questo giovane atleta. Una storia che ben conosce il suo mentore tra gli under 23, Roberto Bressan.

Bressan è il patron del Cycling Team Friuli-Victorious, da dove tutto è nato o quantomeno si è sviluppato. Parliamo spesso di questa squadra giovanile. Lanciò Alessandro De Marchi tra i pro’. Il “Dema” all’epoca non passò con le stimmate del campione. Ma questa squadra friulana faceva un’attività diversa. Faceva qualcosa che oggi è normale, ma 10-15 anni fa era l’eccezione. Portava i suoi ragazzi all’estero, faceva corse a tappe.

Pensate che oggi tra i papabili, quindi senza considerare i ragazzi che non appartengono a squadre WT o Professional, il CTF potrebbe avere sette corridori al Giro d’Italia: i due fratelli Bais, De Marchi, Milan, Aleotti, Fabbro e Buratti.

Dopo sei tappe, Milan indossa la maglia ciclamino. Per il bujese potrebbe essere un obiettivo
Dopo sei tappe, Milan indossa la maglia ciclamino. Per il bujese potrebbe essere un obiettivo

Di padre in figlio

Ma torniamo a Milan e a Bressan. Roberto già conosceva Milan. Magari non il corridore, ma il bambino. Aveva avuto tra le mani suo papà Flavio all’epoca del Caneva. Lo aveva avuto già prima dei dilettanti.

«Ricordo – racconta Bressan – che suo papà era stato campione italiano degli allievi. Vinse anche altre corse crescendo e fece la sua carriera fino ai pro’ (due stagioni all’Amore & Vita, ndr). Fin quando col passare degli anni mi ritrovai suo figlio Jonathan».

«Iniziai a seguire questo ragazzino prima ancora che venisse nella mia squadra. Era junior. Ma io lo seguivo su pista e non su strada. Sapete che io sono un patito della pista! Vedevo come girava, i tempi che faceva… Così lo contattai e gli feci fare un test dal nostro coach, Andrea Fusaz.

«Finito questo test, Andrea – che tra l’altro è ancora il suo coach – mi chiama al telefono e mi dice: “Oh Roberto, guarda che qua abbiamo uno che non ho mai visto prima. Io non ho mai visto tanti watt in vita mia».

Da quel momento Milan viene dunque preso nel Cycling Team Friuli, anche perché la categoria juniores era finita e comunque sarebbe dovuto passare in un team under 23.

Roberto Bressan è il patron del Cycling Team Friuli (immagine dal web)
Roberto Bressan è il patron del Cycling Team Friuli (immagine dal web)

Cambio di registro

Il ragazzo era davvero acerbo. La scuola, gli impegni di un adolescente, si allenava “quasi nei ritagli di tempo”, anche se poi sappiamo che non è del tutto così. Ma fin lì Milan non aveva mai fatto una preparazione strutturata. Il cambio di team e di categoria imponevano un cambio di registro.

Tuttavia le cose non sono state subito rose e fiori per Milan e anche per il CTF.

«Sapevo – prosegue Bressan – che Jonathan non si allenava molto da junior. Faceva più o meno sempre lo stesso allenamento due, tre volte alla settimana. Era totalmente da costruire… Ed è stato difficile da gestire, in quanto non sempre seguiva i programmi».

Il che può anche starci per un ragazzo così acerbo, ma dopo una bella fetta di stagione le cose sarebbero dovute cambiare. Così non è stato.

A maggio inoltrato del primo anno tra gli U23 di Milan, Bressan gioca una carta a sorpresa. Non era possibile che un atleta di queste proporzioni non si riuscisse a gestire, a far crescere come meritava.

«Dal mio cervello di ex atleta esce un’idea: bisogna che lo porti in pista per verificare una volta per tutte le sue qualità. E le qualità emersero palesemente. Così abbiamo cambiato strada nel vero senso della parola. Abbiamo deciso di farlo lavorare soprattutto sulla pista e per la pista… con l’intento di venirne fuori anche su strada».

Marco VIlla, Jonathan Milan, Fabio Masotti, Montichiari, 2020
Nella crescita di Milan c’è molto anche del cittì della pista, Marco Villa
Marco VIlla, Jonathan Milan, Fabio Masotti, Montichiari, 2020
Nella crescita di Milan c’è molto anche del cittì della pista, Marco Villa

Dal cittì Villa…

Il primo anno di Milan tra i dilettanti è stato quindi difficile. Dopo quella mossa, “Jony” entra nel giro della nazionale. Qualcosa migliora, ma non del tutto. Jonathan a detta di Bressan restava un “cavallo pazzo”.

«A quel punto vado da Marco Villa e gli dico: “Marco devi assolutamente fargli fare un periodo con te. Ma non 15 giorni. Portalo fuori. Portalo lontano da casa”. E così andò via con la nazionale per più di due mesi, tra stage e gare di coppa del mondo. Milan doveva formarsi e tirar fuori tutto quello che poteva. 

«Quando è tornato a casa dopo quei due mesi abbondanti era un’altro corridore».

Milan inizia a capire che un certo lavoro paga. Che i tecnici che ha attorno sono validi e che si può fidare. La sua crescita è esponenziale. Vince gare su strada e in pista, crono, una tappa al Giro. E in squadra diventa un leader.

«Da lì è diventato il corridore che conosciamo – spiega Bressan – Quell’anno ha vinto tutto quello che doveva vincere, anche la medaglia di bronzo mondiale nell’inseguimento a squadre, mentre nell’individuale fece un tempo strepitoso: 4’08”.

«Da quando c’è lui nel quartetto hanno fatto il Record del Mondo e vinto molto, tra cui l’Olimpiade. Se non ci fosse stato anche un Jonathan a quei livelli non avremmo vinto a Tokyo».

Jonathan è stato nel CTF per due stagioni, una delle quali quella del Covid (Photo Raphy)
Jonathan è stato nel CTF per due stagioni, una delle quali quella del Covid (Photo Raphy)

Quell’anno in più

E poi c’è il Jonathan gigante buono. Quello che quasi si commuove dopo la vittoria di San Salvo. Che si prodiga per la squadra. Doti che aveva anche al CTF.

«I compagni gli volevano bene. Faceva molto per loro e loro per lui. No, sotto questo punto di vista Jonathan è un buono, davvero».

«Mi è dispiaciuto moltissimo, e lo dico tranquillamente, che sia voluto passare subito. Poteva restare con noi un altro anno. Le Olimpiadi non gliele avrebbe tolte nessuno. Anche perché su strada al primo anno non è che con la Bahrain-Victorious avesse fatto chissà quali corse.

«Per esempio, guardate quanto si muove in volata. Ecco, stare un anno in più tra gli under 23 gli avrebbe consentito di curare questi aspetti. Tra i pro’ non hai il tempo per farlo, né chi ti dice certe cose…

«Che poi alla fine è andata bene che sia passato proprio nella Bahrain, perché questa stessa squadra è venuta a cercarci per avere un team giovanile di riferimento, anche grazie a Milan stesso. Quindi è un po’ come se Jonathan fosse rimasto in famiglia».

«Ora, da quel che sento, quasi sicuramente dovrebbe cambiare squadra. Mi spiace che il suo agente non abbia trattato in modo corretto il dialogo con la Bahrain. Ma poi queste sono cose loro».

A San Salvo, tutta la potenza di Jonathan Milan
A San Salvo, tutta la potenza di Jonathan Milan

Le previsioni di Bressan

Oggi Milan è una delle certezze italiane. E a 22 anni, per il ragazzo di Buja, non è finita qui. Il suo palmares è già ricco e al Giro d’Italia sta facendo benissimo.

La maglia ciclamino potrebbe essere un obiettivo. Un obiettivo a cui magari non avrebbe pensato fino a qualche settimana fa. Ma anche dal punto di vista tecnico Bressan lo aveva inquadrato bene in tempi non sospetti.

«Jonathan – conclude Bressan – ha davanti una carriera incredibile. Oltre alle volate, fra qualche anno vincerà le classiche al Nord. Ormai sono vecchio abbastanza per poter guardare avanti!
«Vincerà le classiche, ne sono sicuro. Deve solo fare le cose per bene. Non si deve montare la testa, ma credo proprio di no, e ricordare qualche volta in più da dove è venuto».