Torniamo a parlare di Training Peaks.Ieri lo abbiamo fatto dal punto di vista degli atleti, adesso lo facciamo da quello del preparatore. Per l’occasione abbiamo pensato di chiamare in causa Pino Toni, il tecnico toscano che probabilmente è stato il primo in Italia a fare riferimento a questa piattaforma. Ammesso sia corretto chiamarla in questo modo.
Ci si possono caricare gli allenamenti che si registrano con i propri dispositivi e anche importarli da altre App come Strava, Garmin, Polar… In base agli strumenti che si utilizzano. Quindi massima disponibilità, per un sistema davvero “open source”.
Joe Friel, tra gli ideatori di Training Peaks e autore de La Bibbia dell’allenamento ciclisticoJoe Friel, tra gli ideatori di Training Peaks e autore de La Bibbia dell’allenamento ciclistico
Pino, quando hai iniziato a lavorare con Training Peaks?
I primi contatti credo risalgano già al 2005, io ero responsabile dell’SRM in Italia e Schoberer aveva conosciuto la piattaforma in Colorado dove da poco aveva aperto la sede americana di SRM. Organizzò l’incontro con il Team Telekom del quale eravamo consulenti come azienda. Dirk Friel e Gear Fisher i fondatori s’incontrarono con l’allenatore, Sebastian Weber, e partecipai alla presentazione. Ho iniziato ad utilizzarla nel 2009 quando lasciata SRM mi sono dedicato al Coaching (Giuseppe dirige Cycling Project, ndr).
Perché di fatto è un portale. Non un software…
Esatto è un sito, il software è WKO, oggi arrivato alla quinta versione. Dirk è figlio dell’autore de La Bibbia dell’Allenamento Ciclistico, Joe Friel, quindi non creato a caso. Anche lui è stato un corridore. Era un compagno di Bobby Julich, correvano insieme nelle categorie giovanili.
Cosa ti piace in quanto preparatore di questo sito?
Sul piano dell’analisi dei dati non dà molto di più di altri, ma puoi trasferirci tutti i dati e questo è ottimo per il lavoro del preparatore e per la programmazione. Ci si possono mettere anche impressioni, feedback, note, e chiaramente i dati degli allenamenti. Senza contare che è facile da utilizzare. Ed è internazionale, va bene per tutti. Oggi quando prendi un atleta la prima cosa che gli chiedi è l’accesso a Training Peaks.
Il fatto che sia internazionale e che “omogenizzi” un linguaggio, immaginiamo possa aiutare molto…
Sì. Da quest’anno, per esempio, ho iniziato a collaborare con la Bardiani Csf Faizanè e la prima cosa che ho fatto nella riunione che abbiamo avuto è stata quella di portare, di suggerire Training Peaks. Non tutti lo utilizzavano. Su 24 corridori ci sono 14 coach. Io seguo otto corridori. Va da sé che avere una “piazza” comune sia importante. Anche per la squadra stessa, per mettere a conoscenza tutto lo staff non solo su ciò che si è fatto in allenamento, ma anche quello che si andrà a fare. E magari correggere il tiro se non si è convinti di qualche allenamento. Si discute di questo o quel lavoro da fare.
Pino Toni, al Cicalino spiega ai ragazzi della Bardiani come dovranno lavorare con Training PeaksPino Toni, al Cicalino spiega ai ragazzi della Bardiani come dovranno lavorare con Training Peaks
Il cuore di TrainingPeaks quindi è WKO?
E’ utile per la programmazione e consente di fare analisi dei dati più precise.
In questo periodo in cui gli atleti si allenano in modo blando per esempio a cosa dai maggiore attenzione?
A tutto! Scherzi a parte, si dà maggiore importanza a valutare bene i valori che indicano il recupero uno di questi l’HRV per esempio. HRV sta per Heart Rate Variability ed è la variazione della frequenza cardiaca tra un battito ed un altro. Faccio un esempio. In un minuto, quindi 60 secondi, ho 60 battiti. Si può dire un battito al secondo. In realtà non è proprio così. Perché si ha un battito dopo 0,98” e un altro dopo 1,02” e maggiore è questa differenza e più il fisico di quell’atleta è riposato. E’ l’incidenza tra il sistema simpatico e parasimpatico, parte attiva e parte passiva. Esistono molti accessori che aiutano in questo, anelli, bracciali e orologi, non tutti li usano ma io da anni lo consiglio.
Tanti dati dicevamo, ma tutto ciò in qualche modo “alfabetizza” anche gli atleti? Li rende consapevoli di ciò che stanno facendo, caricando e parlando?
Sì – risponde secco Toni – e questo a mio avviso è molto importante quando poi si vanno a fissare gli obiettivi. E questo ottimizza ulteriormente il lavoro, sia mio che dell’atleta. Creare un grafico dell’allenamento in base a valori di soglia permette di avere un quadro completo di quello che andiamo a consigliare all’atleta e avere subito una previsione di TSS (training stress score), IF (intensity factor), NP (normalized power) tutti termini comuni anche nel dialogare con gli atleti.
Con il coach Pino Toni, si chiacchiera delle immense possibilità di Tadej Pogacar circa la sua eventuale tripletta (Giro, Tour e Vuelta). Cosa serve per riuscire in questa sfida unica?
Cinque anni di Colbrelli. Dal ragazzo di 27 anni arrivato nel WorldTour dopo ben cinque anni alla Bardiani, al campione che nell’ultimo anno è riuscito a conquistare la maglia tricolore, il campionato europeo e da ultima la Parigi-Roubaix. Che cosa ha capito Paolo Artuso, che con Sonny lavora sin dal suo arrivo nell’attuale Team Bahrain Victorious, del bresciano? E quali margini pensa che possa avere? Si riduce tutto al chilo e mezzo messo via negli ultimi mesi?
«In realtà è tutto un insieme – risponde da casa – non è che gli altri anni prima fosse grosso, ma certo ha limato quel chiletto. Abbiamo lavorato di più sui lavori di forza, distribuito diversamente i carichi. Quindi magari carichi molto più grossi, con periodi di recupero più lunghi. Così facendo siamo riusciti ad avere dei picchi elevati. A ciò si aggiunga che è maturato. Il fatto secondo me è che ci siamo abituati a vedere dei fenomeni, tipo Pogacar, Van der Poel e Van Aert stesso, che così giovani hanno raggiunto risultati eccezionali. In realtà loro sono dei fuoriclasse, mentre a tanti altri servono anni di lavoro di maturazione fisica e mentale. E Sonny ci sta arrivando proprio ora».
Nel 2018 vince la Tre Valli. E’ più esile, meno strutturato fisicamente
A Trento la stessa esultanza, ma un’altra struttura fisica: guardate il torace
Nel 2018 vince la Tre Valli. E’ più esile, meno strutturato fisicamente
A Trento la stessa esultanza, ma un’altra struttura fisica: guardate il torace
Un processo lungo, ma evidente?
Provate a guardare la foto di quando ha vinto la Tre Valli Varesine nell’ultimo anno alla Bardiani. E’ maturato tanto a livello muscolare, è molto più asciutto, ma non è più leggero. E’ più atleta, è più maturo.
Testa e corpo in che proporzioni?
Secondo me è un insieme di cose. Sono cinque anni che lavoriamo bene, sia dal punto di vista dell’allenamento, del calendario gare, dell’alimentazione, del recupero stesso. Siamo una squadra WorldTour, abbiamo una struttura che riesce a tirar fuori il meglio. In più si sta lavorando tanto sui materiali… La performance è un insieme di cose, a Sonny lo dico sempre. L’allenamento è la base, se non ti alleni non vai forte. Però per passare da forte a fortissimo, devi aggiungere la nutrizione, l’aerodinamica, il vestiario, la parte mentale… Tutte queste aggiunte sono importanti se alla base hai la voglia di lavorare. In questi cinque anni abbiamo perfezionato tutto l’insieme, che si basa su un fatto da cui non si può prescindere. E cioè che Sonny ha un motore veramente grande.
Quanto conta la convinzione?
Dopo domenica, adesso c’è la consapevolezza che può vincere qualsiasi classica. Che può lottare per un Fiandre o la Sanremo. E’ maturato. Se prima era solamente un dirsi “secondo me ce la puoi fare, i numeri ci dicono che ce la puoi fare”, adesso abbiamo dimostrato che quello che pensavamo è fattibile.
La Roubaix gli ha dato la convinzione di poter vincere le grandi classicheLa Roubaix gli ha dato la convinzione di poter vincere le grandi classiche
Sonny è di quelli che scende dall’altura e va subito forte…
Non so come lavorino gli altri. Quando in altura ci andiamo noi, abbiamo sempre un un bel periodo di adattamento iniziale. Poi si lavora diversamente rispetto al periodo. A febbraio siamo più prudenti. E’ la prima altura dell’anno, arrivi dallo stacco invernale e dal ritiro di gennaio, meglio essere cauti. Ad aprile-maggio vai a per preparare il Tour e arrivi in montagna dopo uno stacco relativo, una settimana-dieci giorni di riposo. Quindi stai già bene e si può aumentare l’intensità. Poi c’è da valutare la singola esperienza.
Cioè?
Ci sono fisici che vanno subito forte, quelli che ci mettono un po’ di più e quelli che è meglio che in altura non vengano. Con Sonny lavoriamo tanto, ce lo siamo detti anche l’ultima volta. Per essere un corridore di 72-73 chili, fa tanta salita e poi ci mettiamo sempre la palestra. Non la molliamo mai, la facciamo il pomeriggio. La giornata è inquadrata bene. Risveglio muscolare al mattino, poi andiamo a colazione, quindi l’allenamento e il pomeriggio i massaggi oppure la palestra. Si lavora tanto. Quando poi scendi, non vai diretto in corsa. Bisogna recuperare il carico di lavoro in quei 5-6 giorni a casa. E quando arrivi in corsa, sei già prestante.
Al Benelux Tour ha ottenuto i “numeri” migliori, ma con margini minimi rispetto a oggiAl Benelux Tour ha ottenuto i “numeri” migliori, ma con margini minimi rispetto a oggi
Perché tanta salita?
Quando andiamo al Teide abbiamo due punti fermi. Il primo è che ci alleniamo sempre in basso, quindi riusciamo a simulare e a mantenere velocità veramente elevate. E poi torniamo sempre su in bici. Per cui finiamo sempre la giornata con metri di dislivello fatti forte.
Hai detto che lavorate in basso, perché?
Di solito li faccio lavorare forte fino a un massimo di 1.000 metri, mai sopra. A meno che non siano lavori veramente brevi. E tutta la salita che fai, per quanto fatta piano, sono stimoli di forza. Vai su sempre con una cadenza anche non elevatissima e quindi la forza che imprimi sui pedali c’è sempre. Senza accorgersene, si fanno sempre lavori di forza. In base alla cadenza, sono stimoli differenti. E lui salendo riesce a ottimizzare i lavori di forza che poi farà in palestra.
Risale in cima sempre in bici?
In due settimane di Teide, sempre. Ho memoria che una volta sola non l’ho fatto salire, ma perché avevamo allungato sotto. Di solito preferisce tornare in bici, a meno che non abbia una giornata storta.
Il tanto lavoro in salita lo ha aiutato nel tenere testa a Evenepoel agli europei di TrentoIl tanto lavoro in salita lo ha aiutato nel tenere testa a Evenepoel agli europei di Trento
Il Colbrelli di Roubaix ha i numeri del Tour o è cresciuto ancora?
Ha avuto i test power migliori al Benelux, ma parliamo di differenze dell’1-2 per cento. Veramente dettagli minimi che possono essere imputati anche a una differenza di lettura della macchina, perché il potenziometro sulla bici non è sempre perfetto. Al Tour invece aveva fatto quelle due tappe forti in fuga e aveva fatto dei numeri, dei peak power sui 30, 40 e 60 minuti. Comunque nelle ultime corse era sullo stesso livello del Tour. Il vantaggio del Benelux è che arrivava da quattro settimane a Livigno e aveva mezzo chilo meno che al Tour. Quando sei in allenamento puoi anche permetterti di restringere a livello calorico, mentre in corsa devi mangiare. Se si inizia a calare in corsa c’è qualcosa che non va.
Che inverno pensi che farà?
Non andrei a cambiare il lavoro che ha fatto negli anni scorsi. Sicuramente deve recuperare, fare almeno una ventina di giorni di riposo e poi una ripresa graduale. Faremo sicuramente un ritiro a dicembre che però sarà più organizzativo. Poi uno a gennaio più importante, come ogni anno, dove si farà più volume possibile. Insomma, ci diciamo tutti che adesso è il momento di riposare. Ma se guardo l’agenda, mi accorgo che è quasi il momento di ricominciare.
Colbrelli è a casa con un defibrillatore sotto cute. Mentre speriamo che torni presto, cerchiamo di capire cosa sia e come funzioni quel piccolo device
Abbiamo chiesto a Paolo Slongo di leggere per noi la preparazione di Lenny Martinez. I volumi sono in linea con gli juniores, ma usa metodi troppo avanzati
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Letto come si allena Lenny Martinez, abbiamo sottolineato alcuni passaggi che più di altri ci hanno colpito e ci siamo rivolti a Paolo Slongo. Il veneto, che oggi è uno degli allenatori della Trek-Segafredo, ha lavorato per anni nella nazionale juniores e ha chiaro il lavoro che si chiede oggi a uno junior di alto livello.
«Quando correvo io e negli anni dopo – dice – come volumi non si faceva poi tanto di meno. Su quello che fa non c’è tanta differenza rispetto agli italiani. Però avere le tabelle dei dietologi, oppure l’uso del potenziometro, le ripetute che fa… Fa già lavori che fanno i professionisti. E questo forse è la prima anomalia».
Prima corsa del 2021 a marzo nel Gp Saint Etienne per Martinez, in Coppa di Francia (foto Instagram)Prima corsa del 2021 a marzo nel Gp Saint Etienne per Martinez, in Coppa di Francia (foto Instagram)
E’ sbagliato?
Non in sé, oppure fisiologicamente, però bisogna essere consapevoli che così si bruciano le tappe. Secondo me il nocciolo della questione è questo. Anche la Francia nel professionismo ha buoni corridori come noi, ma nessuno che vince un grande Giro. Come mai? Io non voglio più lavorare con allievi e juniores, perché se gli dico che devono divertirsi senza magari guardare i chili in più, se gli dico che va bene sbagliare, mi guardano male. La categoria secondo me deve tornare quella che era. Cioè per andare avanti quasi bisogna tornare indietro alle vecchie abitudini.
Cosa pensi del fatto che Martinez usi rapporti più lunghi? Ha senso tenere quella regola?
Alcuni studi dicono che comunque già da allievo puoi lavorare sulla forza senza danneggiare lo sviluppo. Cioè possono comunque allenarla, ma anche in questo io vorrei tornare alla scuola vecchia, per cui a quell’età si devono curare più le abilità che le prestazioni.
In che senso?
Faccio sempre l’esempio di Ivan Basso, che da professionista magari non era un drago in discesa, perché magari quando aveva 15 anni non ha lavorato abbastanza su questo. Faccio anche l’esempio di Sagan, che per il freddo faceva ciclocross o mountain bike. Sono cose che da giovani si imparano meglio, perché non hai la componente paura e ti viene tutto automatico. E poi ci sarebbe da parlare delle dotazioni.
Paolo Slongo è stato il preparatore di Nibali di tutta la carriera, dalla Liquigas all’Astana, dal Bahrain alla Trek SegafredoPaolo Slongo è stato il preparatore di Nibali di tutta la carriera, dalla Liquigas all’Astana, dal Bahrain alla Trek Segafredo
Cioè?
Sempre quando correva la mia generazione, c’era la regola per cui ti davano ruote con 36 o 32 raggi e basso profilo. Adesso invece l’allievo ha le stesse ruote di Nibali, quindi non c’è una progressione di miglioramento. In più il discorso delle ruote anche per noi era soprattutto per non creare differenze fra classi sociali diverse, così il figlio del contadino aveva le stesse ruote del figlio dell’industriale. Leggo i vostri articoli, per ritrovare i talenti bisogna ritornare alla multidisciplina e al mettere i piedi per terra.
Cosa pensi dei 170 chilometri in allenamento?
Sono un po’ tanti, come sono tante le 4-5 ore. Anche i 177 chilometri in gara forse li ha fatti partecipando con la nazionale a qualche corsa di under 23 se in Francia gli danno questa possibilità. Ma più che le distanze, mi concentrerei sugli strumenti e il tipo di lavori.
Che tolgono margini?
Margini e stimoli, che tolgono importanza alla gavetta. Se da allievo corri con il Chorus, sogno di diventare dilettante o professionista per avere il Record.
Sul podio di Ortonovo, Martinez con il trofeo di vincitore del Giro della LunigianaSul podio di Ortonovo, Martinez con il trofeo di vincitore del Giro della Lunigiana
La sensazione è che si ragioni per averli professionisti a 20 anni.
Magari ci sarà un ciclismo in cui ottieni tutto entro i 25 anni e poi smetti. Come Pogacar, che ha raggiunto risultati che un tempo avremmo detto impossibili. Magari il nuovo orizzonte sarà pieno di corridori che fanno 6-7 anni ad alto livello e poi mollano. E tutto sommato il vero nodo è proprio questo. Che cosa si chiede a questi ragazzi e dove vogliamo portarli.
Il tema della precocità degli juniores, effettiva oppure indotta, non si può mollare così e speriamo che anche la Federazione lo metta al centro di un bel ragionamento, fra norme da aggiornare e tecnici da formare. Però intanto, dopo aver sentito ieri Fabrizio Tacchino che con il Centro studi ha lavorato alla formazione dei direttori sportivi, oggi ci siamo rivolti nuovamente ad Andrea Morelli, direttore del ciclismo al Centro Mapei. Furono loro i primi a far passare professionista uno junior, Filippo Pozzato, e sono anche in possesso degli strumenti per dire che cosa accade se con i ragazzini si spinge troppo sul gas. Tanti degli juniores del Lunigiana mostravano una notevole definizione muscolare e prestazioni da professionisti e questo è la spia di lavori forse troppo evoluti.
«C’è stato un avanzamento sul piano tecnico- dice Morelli – sia per quanto riguarda il mezzo meccanico, sia la possibilità di raccogliere informazioni sugli atleti mediante l’uso del misuratore di potenza in età in cui le priorità dovrebbero essere altre. A quell’età non devono concentrarsi sui numeri, devono imparare a leggere le informazioni che gli vengono dal corpo, magari imparando a usare il cardiofrequenzimetro per capire la reazione del cuore agli stimoli e alla fatica».
Alessandro Romele, campione italiano, con una dotazione tecnica da capogiro (foto Scanferla)Alessandro Romele, campione italiano, con una dotazione tecnica da capogiro (foto Scanferla)
Che cosa succede scalando tutto così indietro?
Intervieni sui carichi di lavoro, proponi da subito il raffronto dei watt, magari intervieni anche sull’alimentazione… Crei la situazione di stress che dei ragazzi così giovani non sono attrezzati a fronteggiare. Se cominci a martellarli da allievi, perché questo è quello che sta succedendo, causi dei problemi psicologici che magari portano all’abbandono. Io credo sia sbagliato gestirli per cercare la prestazione assoluta in età di sviluppo. La precocità ha più rischi che vantaggi.
Esempio?
Mi hanno raccontato che prima del Lunigiana, una squadra di qui ha fatto una gara di rodaggio e il giorno dopo il tecnico ha voluto che facessero una distanza. Purtroppo le squadre sono molto focalizzate sul numero di vittorie, che portano più sponsor. E’ tutto a scalare. Le U23 vogliono diventare continental per avere più visibilità e ti ritrovi anche con gli allievi che già hanno il procuratore. Il figlio di un mio amico ha iniziato giocando con la Mtb. Poi da allievo è passato su strada, si è piazzato subito e una l’ha vinta. Mi racconta il padre che sono pieni di società che gli offrono la bici per prenderlo. Con lui ci parlo io, ma altri genitori si ritrovano in mezzo a scelte fatte da pseudo manager, in un’età in cui al centro dello sport devono esserci il divertimento e la formazione.
Il livello dei team juniores si è alzato a dismisura negli ultimi 5 anni, la precocità atletica è una costante (foto Scanferla)Il livello dei team juniores si è alzato a dismisura negli ultimi 5 anni, la precocità atletica è una costante (foto Scanferla)
Invece a 17 anni abbiamo già dei piccoli professionisti…
Arrivare a fare il professionista dovrebbe essere il punto di partenza, ma se hai già sfruttato tutto, quali sono i tuoi margini? E non parlo tanto dal punto di vista fisico, che si può gestire, ma psicologico. Il professionista mette in atto sistemi tampone con cui si difende dalla pressione, penso a Nibali che è ancora capace di addormentarsi dovunque. Da giovani non è così semplice. E’ facile che entri in un tunnel e poi salti per aria.
Sul piano fisico si gestisce davvero?
In parte sì, anche se ci sono tappe della crescita in cui si sviluppano determinate qualità e quelle andrebbero rispettate. Se cominci a fare le Sfr e le partenze da fermo al secondo anno da allievo, vai a sbattere contro il periodo dello sviluppo ormonale. A quelle età dovrebbero lavorare sull’abilità, l’agilità e la coordinazione, non sulla forza. Però molto dipende da quello che si vuole ottenere.
Alberto Bruttomesso prende la borraccia, un “giochino” non sempre semplice (foto Scanferla)Alberto Bruttomesso prende la borraccia, un “giochino” non sempre semplice (foto Scanferla)
Parli di risultati?
Se devi puntare a grandi appuntamenti, ti trovi davanti Paesi che fanno altri ragionamenti. Vedi le ginnaste prodigiose a 12 anni o vedi gli juniores con fisici da adulti. Se l’obiettivo è vincere il mondiale juniores, devi per forza confrontarti con quegli atleti. E poi mi chiedo, se lo scopo dell’Uci è tutelare gli juniores, ha senso fare mondiali da 120 chilometri, se la distanza di gara di tutto l’anno è sui 90? Chiaro che poi si allenino su distanze superiori…
E si ritrovano uomini fatti con largo anticipo.
Così li trovi nelle continental a correre in mezzo ad atleti con strutture fisiche superiori senza essere pronti e senza avere le abilità tecniche necessarie. La precocità fisica non va di pari passo con l’esperienza. Saper fare una doppia fila, tirare la volata, prendere il rifornimento. Sono cose che impari da piccolo. Se guardi solo ai dati, il resto passa in secondo piano.
Federico De Paolis del Team Ballerini: una delle società più evolute (foto Scanferla)Federico De Paolis del Team Ballerini: una delle società più evolute (foto Scanferla)
Voi siete quelli che fecero passare Pozzato…
E anche Cancellara. Non era un discorso di precocità, ci eravamo accorti che avessero delle doti non comuni e li inserimmo in una struttura che faceva attività su misura. Perciò c’è il confronto fra realtà che lavorano per la crescita graduale e altre che prendono ragazzi di 22-23 anni e li portano a fare le corse a tappe di tre settimane. Quando Ganna veniva a fare i suoi test da junior, si vedeva che fosse un campione, ma per fortuna ha avuto un processo di crescita graduale e adesso è ai livelli che ben vediamo. La componente genetica ha il suo peso, ma l’ambiente di sviluppo è altrettanto importante.
E poi ci sono quelli che allenano gli juniores con il 53×11 e non il 52×14…
Certe regole nascono da un ragionamento. Per cui se si vuole abolirle, occorre farne un altro. Ogni eccezione è semplice rincorsa alla prestazione e non verso la giusta crescita. In mountain bike questo discorso dei rapporti non c’è, ma si tratta di un lavoro completamente diverso. Su strada eviterei di allungare i rapporti quando non si può. Che necessità hanno di farlo?
Ancora non si ferma l’onda lunga del Lunigiana, ma più in generale dell’effetto giovani. Abbiamo visto ritmi pazzeschi, numeri da pro’, comportamenti da campioni navigati, ma al tempo stesso grosse lacune (vedi i famosi fondamentali). Come da nostra abitudine cerchiamo di saperne di più e lo facciamo con Fabrizio Tacchino.
Fabrizio ha una lunghissima esperienza nel campo della preparazione e della formazione rivolta anche ai tecnici. Dopo le sue esperienze in bici, le qualifiche come diesse e la laurea in scienze motorie l’aspetto pedagogico è in primo piano per lui.
Fabrizio Tacchino durante uno dei suoi corsi di formazioneFabrizio Tacchino durante uno dei suoi corsi di formazione
Partiamo dai rapporti
In questo Lunigiana abbiamo assistito a performance importanti con ben dieci ragazzi che hanno siglato tempi migliori di Pogacar sulla salita di Fosdinovo. Si è sentito parlare di rapporti spinti in allenamento che vanno ben oltre il 52×14 del regolamento imposto in gara per la categoria. Cosa succede quindi?
«Io – spiega Tacchino – non sono così orientato nel dire che i ragazzi facciano dei carichi eccessivi. Piuttosto mi chiederei che tipo di gare fanno? Cosa richiedono le loro competizioni? Quella dei rapporti è una regola degli anni ’60 fatta per tutelare i ragazzi perché se c’era qualcuno che era meno sviluppato di un altro non sarebbe riuscito a tirare i rapporti più duri. Ed era giusta. Ma i tempi cambiano. E andiamo ad analizzare cosa dice l’Uci. In pista e in Mtb per esempio non ci sono limiti di rapporti e oggi uno juniores che in certe gare, vedi il quartetto, non spinge il 56 non risponde al modello di prestazione di quella specialità. Sono stati recentemente abbattuti diversi record del mondo, ma questo è successo non perché si allenino di più o vadano più forte, ma perché girano rapporti che consentono di fare velocità più alte.
«Detto questo, ha senso allenarsi con rapporti più duri, purché sia fatto in modo progressivo e in base a ciò che richiedono le gare. Quindi ben venga ancora il limite del 52×14 in gara altrimenti ci sarebbe una netta svolta verso la forza nella preparazione».
Alcuni juniores sono meno sviluppati di altri e per loro il rischio di restare dietro è altissimo (foto Valerio Bianco)Alcuni juniores sono meno sviluppati di altri e per loro il rischio di restare dietro è altissimo (foto Valerio Bianco)
Cambio generazionale netto
Che si sta assistendo ad un cambio generazionale lo abbiamo detto più volte, ma che tale cambio sia così repentino e così marcato fa riflettere. Perché? Da cosa dipende?
«E’ migliorata la tipologia degli allenamenti – dice Tacchino – si spinge un dente più duro sulle salite e si fanno tempi impensabili fino a pochi anni fa. E questo per me dipende anche dalla multidisciplinarietà che li stimola molto. In pista vince chi ha la capacità di spingere un dente in più. Ma questo non vuol dire che i ragazzi siano sfruttati oltre le loro possibilità e che si facciano dei danni. Se le cose sono fatte bene, in modo progressivo, non ci sono controindicazioni».
Il dubbio però resta. Siamo sicuri che non si vada oltre? Cosa chiedono i diesse nei corsi di aggiornamento? Alla fine si rischia che, volenti o nolenti, ci sia questa sorta di “fame di successo”.
«Nei corsi spieghiamo il modello prestazionale richiesto dalla gara di quella categoria: quanto dura, la tipologia di sforzo che sono chiamati a fare i ragazzi, la capacità lattacida richiesta… e su questo modello si costruisce la preparazione. Poi c’è chi recepisce e chi no… Ma ci sono delle tappe da rispettare. Ci sono dei ragazzi più propensi e altri meno, nel senso che hanno sviluppato meno.
«Però non bisogna neanche esagerare nel senso opposto, in quello pedagogico. Non è vero che non bisogna fare dei lavori di forza o senza pesi. Come ripeto, l’importante è farlo con i tempi giusti. Partire dai carichi naturali e poi impostare dei lavori con i bilancieri. Per questo diciamo sempre ai diesse di affidarsi a persone esperte e affidabili. Di fatto noi mettiamo a disposizione delle squadre le metodologie sviluppate con le nazionali e i diesse le devono adeguare ai propri atleti».
Ritmi elevatissimi al Lunigiana. Tenere le ruote in salita non era facile. E lì c’erano i migliori…Ritmi elevatissimi al Lunigiana. Tenere le ruote in salita non era facile. E lì c’erano i migliori…
Evoluzione delle metodologie
«Da noi il ciclismo – continua Tacchino – è un po’ esasperato. Abbiamo una tradizione ciclistica di lungo corso. Oggi si fanno troppe discipline. Da juniores non puoi più fare troppo: il tempo richiesto per allenarti è grande. C’è una ricerca importante del mio collega Paolo Menaspà, ex Centro Mapei Sport, che mette in evidenza come il livello tra gli juniores sia così elevato che le qualità che esprime un atleta in quella categoria se le porta poi dietro per il resto della carriera. In pratica chi è uno scalatore da juniores molto probabilmente lo sarà anche da under 23 e da professionista. E sta a noi tecnici individuare queste caratteristiche.
«Ci sono dieci ragazzini che vanno più forte di Pogacar? E’ l’evoluzione della preparazione e una maggiore consapevolezza nei metodi di lavoro. Il che può essere letto in due modi: l’esasperazione o una maturazione tranquilla. Nel primo caso succede che molti abbandonano in modo precoce perché gli tirano fuori tutto. Oggi a 20-21 anni sei vecchio se non passi e le squadre dei pro’ preferiscono prendere un atleta meno maturo e investire su di lui. Senza contare che dietro c’è anche la spinta dei procuratori. Nel secondo caso, invece, c’è chi vive il ciclismo in modo più divertente, più ludico, ma di contro rischia di non arrivare e di non essere preso in considerazione».
Spesso per i ragazzi non è facile sopportare certi livelli di stressSpesso per i ragazzi non è facile sopportare certi livelli di stress
Il mercato dei giovani
E qui si apre un capitolo molto importante: il mercato dei giovani, il ruolo dei procuratori, la carenza di squadre… il che inevitabilmente porta ad alzare l’asticella. E’ la legge della domanda e dell’offerta.
«Oggi – riprende Tacchino – se non vai forte da allievo rischi di non trovare squadra da juniores. Da juniores di non trovarla tra gli U23 e così via.. perché ci sono pochi posti in base alle squadre rimaste. Non è più come una volta. In Mtb vediamo dei campionati nazionali con 200 partenti tra gli juniores e 50 tra gli under 23: perché non ci sono squadre in grado di supportare un’attività nazionale.
«Di conseguenza con meno posti si cerca di fare di più. E uno juniores che va forte è già sul taccuino dei procuratori. Al tempo stesso ci sono metodologie migliori di allenamento che bene o male fanno rendere di più. Ma poi si ripercuotono non tanto sul fisico quanto sull’aspetto mentale. Oggi un ragazzo di 19 anni deve essere pronto a fare la vita da pro’. Se deve andare ad una corsa deve prendere un treno, spostarsi da solo… A 25 anni è più maturo, prende la macchina e va: è tutto più facile per lui. In questo contesto è importante anche l’ambiente familiare».
L’effetto Evenepoel è stata una vera rivoluzione, una scossa nel mondo giovanile e juniores in particolareL’effetto Evenepoel è stata una vera rivoluzione, una scossa nel mondo giovanile e juniores in particolare
Quei fondamentali perduti
Diceva Gianluca Geremia del fatto che oggi i ragazzi vanno forte, ma mancano di fondamentali. Non sanno fare un treno o prendere il rifornimento quando si va più veloce. Nei corsi di formazione o comunque in seno a queste categorie giovanili si curano ancora questi aspetti?
«Faccio un esempio – conclude Tacchino – io sono di Ovada. Ai miei tempi come in ogni altra cittadina c’era una squadra che aveva come minimo 10-15 tesserati, di tutte le età. Una volta non cerano gli Under 23 e magari un dilettante aveva quasi 40 anni. Ebbene questi corridori più vecchi nelle uscite di squadra facevano scuola ai più giovani. Certe dinamiche di gruppo erano apprese in modo naturale. Oggi col fatto che ci sono poche squadre e che magari un tesserato abita a 100 chilometri dall’altro è difficile fare questi allenamenti collegiali. Di contro, non si possono valutare solo i watt. Sento tanti amatori che vincono le granfondo dire: coi miei watt potrei fare il professionista. Non è così. Lì sei in un contesto in cui sei il più forte e vai. Qui invece hai anche un confronto tecnico che ti toglie energie. Mi riferisco allo stare in gruppo, al nervosismo, a prendere una salita dopo aver speso molto di più.
«Piuttosto c’è il rischio che la nuova generazione di diesse non abbia esperienza ciclistica sul campo, ma solo dall’ammiraglia. Finché può il diesse dovrebbe andare in bici coi propri ragazzi. Tra gli U23 certe cose si danno per assodato, tra gli junior qualcosa devi ancora imparare, da esordiente e allievo ci devi lavorare. Noi lo diciamo nei corsi, ma non è facile. Sarebbe bello fare dei corsi pratici perché un conto è spiegare a parole un ventaglio e un conto è farlo su strada. Ma ci sono anche delle esigenze sulla sicurezza che vanno prese in considerazione quando si fa un corso».
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Il ciclismo femminile è in rapida ascesa. Abbiamo imparato a conoscere le numerose atlete che si scontrano lungo le strade di tutto il mondo. L’ultimo grande palcoscenico su cui si è visto battagliare queste atlete sono le Olimpiadi, nella cronometro ha brillato il talento cristallino di Annemiek Van Vleuten. La neocampionessa olimpica in questi giorni è sulle montagne ad allenarsi ed ha fatto un incontro particolare, con Luca Chirico.
Anche il corridore dell’Androni-Sidermec si sta allenando da quelle parti e i due ne hanno approfittato per fare una pedalata insieme. Il lombardo è in una buona condizione di forma. Ha colto un ottavo posto al Giro dell’Appennino e al Savoie Mont Blanc è stato decisivo nell’aiutare Umba e Cepeda nei successi di tappa e nella generale. Da lui ci facciamo raccontare qualche curiosità sulla ciclista olandese.
La Canyon della campionessa olandese sul FoscagnoLa Canyon della campionessa olandese sul Foscagno
Come mai vi siete incontrati?
Eravamo vicini. Stavamo allenandoci tutti e due ed abbiamo deciso di fare una pedalata insieme. Io sto preparando l’ultima parte di stagione (correrà in Francia prima di riprendere le gare in Italia, ndr). Lei era sul Foscagno mentre io sono a Livigno, ci siamo incontrati a Trepalle, sopra Livigno. E da lì siamo partiti.
Che giro avete fatto?
Siamo andati verso il Bernina, poi passo Albula, ed ancora Bernina per tornare verso Livigno, lei arrivando da Foscagno si è fatta anche Forcola all’andata e Foscagno per tornare a casa.
Un gran bel giro! Quanto siete stati fuori?
Contate che io dovevo fare dei lavori in salita, avevo previsto di fare più o meno 3.000 metri di dislivello, lei ne avrà fatti 3.500 se consideriamo anche la strada per arrivare al punto di ritrovo Trepalle, appunto. Il giro fatto insieme complessivamente è durato poco più di 5 ore.
Va forte…
Urca! Direi proprio di sì, visto il tipo di allenamento che dovevo fare in salita la staccavo, lei andava su del suo passo, ma non l’ho mai aspettata più di 5 minuti.
Per la Van Vleuten in allenamento come in gara sempre tanta grintaPer la Van Vleuten in allenamento come in gara sempre tanta grinta
Le gare femminili però durano molto meno, come mai questa sua scelta: te lo ha detto?
A lei piace allenarsi in quello che è l’endurance in questo modo, preferisce fare tante ore, senza lavori specifici per abituare il corpo allo sforzo.
Ed il percorso così duro?
Mi ha confidato che ama molto il Giro d’Italia Donne perché il percorso è duro e ci sono molte salite toste, preferisce gare impegnative piuttosto che percorsi pianeggianti con una sola salita nel finale. Direi che le piacciono le gare ad eliminazione – dice Chirico, ridendo -.
Hai notato qualche particolarità nella sua bici o nei suoi accessori?
Non ci ho fatto molto caso ad essere sincero, ma direi di no altrimenti mi sarebbero saltati subito all’occhio. Probabilmente ha qualche dente in più nel pacco pignoni, ma giusto un paio.
Cosa ci fa qui dalle tue parti?
E’ in una fase di recupero o comunque di allenamenti più leggeri, anche se così non sembrerebbe, due giorni fa, si è fatta il Giro dell’Umbrail, che sono altre 6 ore buone.
Tra ritiri e gare (qui lo Stelvio al Giro 2020) queste montagne sono una seconda casa per ChiricoTra ritiri e gare (qui lo Stelvio al Giro 2020) queste montagne sono una seconda casa per Chirico
Come ti spieghi questa suo incredibile caparbietà?
Sicuramente è una questione mentale. E’ abituata a fare quel qualcosa in più per emergere, per vincere.
Cosa pensi del mondo del ciclismo femminile?
Sono cresciute molto, far parte di una squadra World Tour permette alle atlete di essere seguite con la stessa attenzione e meticolosità dei colleghi uomini.
Ti ha detto quali saranno i suoi prossimi impegni?
Il 12 settembre farà gli europei, questo è poco ma sicuro, poi il mondiale è un’altra data cerchiata in rosso sul suo calendario. Prima dovrebbe andare alla Vuelta, che poi è una piccola corsa a tappe che affianca gli ultimi giorni di gara degli uomini.
Il pendolino di Tokyo, la locomotiva azzurra, TopGanna, chiamatelo come volete, ma la stagione di Filippo Ganna non è finita certo alle Olimpiadi. Il piemontese è chiamato ad altre gare e soprattutto ad altre sfide. Ma come si potrà sfruttare questa superba condizione raggiunta per l’appuntamento olimpico?
«Per ora abbiamo ancora un programma di massima per lui – dice Dario David Cioni tecnico e preparatore di Pippo – ma i prossimi appuntamenti sono i mondiali su strada, prima, e quelli su pista, poi… E su strada intendo la crono soprattutto, ma magari anche la prova in linea. Però è da vedere…». E, aggiungiamo noi, visto il percorso di Leuven una sua sparata ci potrebbe stare molto bene, specie se dovesse essere potente come i tre giri finali di Tokyo.
Ganna nella crono di Tokyo. Pippo ha chiuso al 5° posto a 1’06” da RoglicGanna nella crono di Tokyo. Pippo ha chiuso al 5° posto a 1’06” da Roglic
Condizione al top
Noi, e immaginiamo anche Pippo, adesso siamo tutti ancora euforici per il successo del quartetto, ma se riavvolgiamo il nastro al post cronometro di Tokyo tutti eravamo più incerti. E qualcuno già aveva spianato il fucile circa la sua preparazione. Salvo poi ricredersi esattamente come era avvenuto per il prologo del Giro a Torino. Stravinto.
«Sapete – spiega Cioni – in quanto campione del mondo c’è la crono alle Olimpiadi e ci provi. Non hai scampo. Non puoi arrenderti e scegliere una via più facile, come sarebbe stato fare solo la pista. Da parte nostra abbiamo fatto una preparazione che lo rendesse competitivo su entrambi i fronti. Alla fine la medaglia nella crono non è arrivata per un paio di secondi. Ma era pronto e lo si è visto col fatto che ha sfiorato il podio in una gara di quasi un’ora e poi ha vinto una prova che sfiorava i 4′. Segno che era in condizione.
«Certo – continua Cioni – quando lo ha provato si è reso conto che il percorso della crono di Tokyo era duro, ma che ci fossero oltre 800 metri di dislivello lo sapeva da tempo. La dovete vedere così: due anni fa, senza il mondiale, questa crono nella sua testa neanche ci sarebbe stata. Troppo difficile».
«Se dopo la crono aveva timore di non essere al top? Io dico che lui si è sempre fatto trovare pronto al momento giusto. L’anno scorso dopo il Giro ha fatto immediatamente delle prove su pista proprio per capire come reagiva il corpo dopo certi sforzi. Un qualcosa già in ottica Olimpiadi. Sarebbe dovuto andare anche agli europei, ma poi ha preso il Covid e il piano è saltato. Ma per come stava, posso garantirvi che rischiava davvero di abbattere i 4′ nell’inseguimento individuale. Poi il rischio c’è sempre, ma sono proprio queste sfide che motivano Pippo. Una spinta ulteriore per superare certi limiti».
Pippo e i ragazzi del quartetto in festa a Casa Italia. Il piemontese dopo i successi è sempre riuscito a ritrovare bene la concentrazionePippo e i ragazzi del quartetto a Casa Italia. Dopo i successi Ganna è sempre riuscito a ritrovare la concentrazione
Dalla strada alla pista
I giorni di Tokyo sono stati brevi ma molto intensi. Appena chiuso il capitolo strada, Ganna si è dovuto catapultare con il corpo e con la testa sulla pista. Non ha di fatto neanche avuto il tempo per ripensare alla sua gara (e magari è stato bene).
«In quei 4-5 giorni tra i due impegni, Ganna ha svolto prima un recupero attivo, ma si è subito aggregato con i compagni della pista. Si è dovuto adattare alla pista. Di fatto era da prima della Settimana Internazionale Italiana che non girava sul parquet. Di buono c’è che lui si adatta facilmente al passaggio».
Con la testa: Ganna sa gestire bene i momenti di stressCon la testa: Ganna sa gestire bene i momenti di stress
Ganna in Norvegia
Ma come detto all’inizio, come si sfrutta questa super condizione? Cosa sta facendo adesso e cosa farà, Ganna nelle prossime settimane?
«Pippo ha fatto un piccolo stacco, soprattutto mentale. Una settimana meno intensa, iniziata già a Tokyo di fatto tra il post gara e il viaggio di ritorno. Poi riprende con una settimana di allenamento tranquillo e rientrerà in corsa al Giro di Norvegia (19-22 agosto, ndr), poi farà gare di un giorno. Sfruttare la velocità della pista non credo, perché sul parquet non tornerà che prima dei mondiali. Prima ci sarà da fare la crono iridata e prima ancora quella europea che arriva nove giorni prima.
E’ passato meno di un anno (ma due Giri) dall’impresa di Ganna a Camigliatello Silano, in una tappa da scalatori puriE’ passato meno di un anno (ma due Giri) dall’impresa di Ganna a Camigliatello Silano, in una tappa da scalatori puri
Pippo? Un mastino
«Non credo ci sia un rischio di sbornia da vittoria – racconta Cioni – Sì, torna a casa con una medaglia d’oro e un record del mondo e potrebbe perdere un po’ il “focus”, ma non mi sembra il suo caso. Non ci siamo sentiti sempre vista la lontananza, ma so che era molto contento. Col fatto che era dall’altra parte del mondo e con la nazionale, i contatti erano limitati. E poi, sinceramente, non c’era molto da dire. Pippo sapeva bene cosa doveva fare.
«Senza il live timing di Tissot era difficile capire in realtà quanto stesse andando forte, però era chiaro che quando passava avanti faceva la differenza. Poi quando ho rivisto tutti gli intertempi stampati… tutto è stato più chiaro. La cosa che mi ha impressionato è che ogni giro andava più forte, ma in questo è stato fondamentale il supporto dei compagni. E sapete perché? Perché se tu Filippo lo porti allo scontro diretto, in questo i tre giri alla fine, lui si sente ancora più motivato e tira fuori quell’extra che gli fa fare delle prestazioni super».
Eppure Ganna non sembra un “mastino da bava alla bocca”. Anche quando ha vinto a Camigliatello Silano, sembrava avesse ragionato molto, dosato le energie… «Altroché – conclude Cioni – in gara Pippo si trasforma. Basta vedere le gare che ha vinto su strada. Gioca bene tatticamente e sa come muoversi
Ma come fa un pro’ a prepararsi d’estate con il caldo e il solleone che martellano sulla testa e sulla schiena? Spesso abbiamo parlato di alimentazione, ma poi il tutto come si traduce in soldoni? Un esempio può essere l’esperienza di Alberto Dainese, giovane della Dsm che di certo questa estate non ha “pedalicchiato”… visto che sta preparando la Vuelta.
In questi giorni Alberto è impegnato nella Vuelta a Burgos. Ha anche sfiorato la vittoria nella seconda frazione. La gamba è buona. Frutto di allenamenti specifici fatti anche proprio in ottica caldo.
Una sauna finlandese come quelle utilizzate dalla DsmUna sauna finlandese come quelle utilizzate dalla Dsm
Alberto, come la mettiamo con il caldo?
Diciamo che mi piace. O almeno meglio il caldo che il freddo.
Stai preparando la Vuelta, quindi hai dovuto spingere…
Ho fatto dei lavori proprio pensando alla Vuelta cercando il caldo. Sono stato per quattro settimane a Livigno e lì al massimo fa 20°. Poi con il team siamo stati in Austria e anche lì era abbastanza fresco e così per abituarmi al caldo sono tornato a casa, a Padova, per allenarmi con ben altre temperature. Non solo, ma per abituarmi sono uscito nelle ore più calde. Lo scorso 30 luglio mi sono allenato con 39°.
Caspita…
In Austria con il team, al termine delle uscite sempre per abituarci a queste temperature, a fine allenamento facevamo delle sedute in sauna finlandese. Siamo arrivati a fare anche 3 volte 10′. Di buono c’era che era rilassante! Ci hanno detto che a Burgos ci saremmo dovuto aspettare 40° in realtà non è stato proprio così.
Le maglia moderne estive sono molto sottili: traspirano bene sì, ma lasciano passare molto i raggi solariLe maglia moderne estive sono molto sottili: traspirano bene sì, ma lasciano passare molto i raggi solari
Ma di solito esci sempre nelle ore centrali?
No, io generalmente mi alzo molto presto. Quindi se non avessi avuto questi impegni ci sta che sarei uscito anche alle 7 del mattino.
Riguardo all’alimentazione cambi qualcosa?
Non molto. Io prendo il porridge e poi del pane con un uovo strapazzato o sodo. Evito la caffeina che con le temperature elevate mi dà un senso di calore. Inoltre, non so se sia dimostrato scientificamente, ma a me il caffè fa venire i crampi. Semmai cerco di bere un po’ di più prima di uscire. In squadra abbiamo un protocollo.
Un protocollo? Spiegaci meglio…
Sì, quando ci sono più di 25°-27° dobbiamo prendere dei sali in più. Quando andiamo in ammiraglia per esempio c’è sempre una borraccia con dei sali.
E questo vale anche per l’allenamento?
Di solito esco con due borracce: una di malto e una di acqua. Le borracce di malto contengono 30 grammi di carboidrati e integrano un po’. In questo modo mangio un po’ meno cibo solido, meno barrette per intenderci… il che è meglio con il caldo. Poi i sali o te li porti dietro e li metti nella borraccia quando ti fermi alle fontane o altrimenti vai di acqua e basta.
L’anguria uno dei frutti migliori per il caldo estremo
Protezione 50+ per Dainese
L’anguria uno dei frutti migliori per il caldo estremo
Protezione 50+ per Dainese
Mentre con l’alimentazione varia qualcosa?
Ho la fortuna che mi piace molto la frutta acquosa tipo melone e anguria. Cerco di bere un po’ di più nell’arco della giornata e non rinuncio ad un buon gelatino, magari a merenda.
Usi anche delle creme protettive?
Sempre. Io ho una carnagione chiara e la protezione 50+ è immancabile. Anche perché le nuove maglie estive sono talmente sottili che quando sono “stese” passa tutto. E si rischia di avere anche quella “fantastica” abbronzatura con il segno delle bretelle, della fascia del cardio…
E sulla bici fai degli interventi?
Abbiamo due oli: uno invernale che serve più per lo sporco e uno per l’estate che è meno “denso”. E poi gonfio un po’ di più le gomme. D’inverno le lascio un po’ più basse se magari ci sono delle zone di umido o del bagnato.
Lo abbiamo (ri)visto anche in queste Olimpiadi: la preparazione è fondamentale. Il nostro quartetto, per esempio, è stato perfetto in tutto. Condizione, alimentazione, dettagli, materiali, idratazione, massaggi… Si parla di atleti fatti al computer: magari non è proprio così, ma essere aggiornati, anzi avanti, è sempre più importante. E allora ci si domanda il preparatore moderno a cosa faccia riferimento per la crescita dei suoi atleti. A Pino Toni, coach toscano sempre all’avanguardia, abbiamo chiesto i tre “strumenti” principali su cui basa il proprio lavoro. E come sempre la sua risposta è stata molto chiara.
«I tre strumenti, chiamiamoli così – dice Toni – sono il potenziometro, il misuratore del lattato e il misuratore della glicemia. Con essi si misura-monitoria rispettivamente: la parte del “motore, la parte da cui estrapolare i valori su cui lavorare e la parte dell’alimentazione».
Il computerino di un misuratore di potenza fornisce moltissimi dati, non solo i watt. E’ il primo fra gli strumenti…Il computerino di un misuratore di potenza fornisce moltissimi dati, non solo i watt
Potenziometro e computerino
«Per misuratore di potenza – dice Toni – intendo anche il computerino nella sua “completezza”, per dire che non si fa riferimento solo ai watt, ma ci si leggono anche le capacità prestative dell’atleta: quanto riesce a spingere, come… Un dato importante che si ha per esempio è la cadenza. Questa ci dice come sviluppa la potenza quel ragazzo e analizzi il suo gesto atletico».
Questo è chiaramente lo strumento base. Quello che ci dice i dati più importanti, immediati e facilmente comprensibili, anche per svolgere dei lavori. Ma chiaramente nel ciclismo elitario di oggi non basta più.
Pino Toni esegue un test del lattatoPino Toni esegue un test del lattato
Lattato e Inscyd
Il misuratore del lattato invece serve per individuare le zone di lavoro che serviranno per i successivi allenamenti. Da qui puoi tirare fuori moltissimi dati, come i vari metabolismi che stai stimolando. In pratica puoi capire quanti grassi o carboidrati stai consumando.
«Tra questi test il più conosciuto è quello di Sebastian Weber. E da qui, in modo più approfondito, ne deriva l’Inscyd».
E’ un po’ una libreria: che indirizza molto bene il preparatore e che aiuta il corridore a conoscersi. E’ utile sia nel breve periodo che nel lungo. Se per esempio sei in gara o magari a gennaio per non fare dei fuorigiri inutili. E’ qualcosa che va ad analizzare più il corpo, “la centralina” e non tanto i suoi effetti cioè i valori espressi (watt, battiti, velocità…).
Il rilevatore Supersapiens, che controlla la glicemia in tempo realeIl rilevatore Supersapiens, che controlla la glicemia in tempo reale
Glicemia sotto controllo
E la glicemia la puoi vedere anche in tempo reale. Si può anche condividere su un altro dispositivo, semmai c’è qualcuno che ti segue in allenamento o in gara. Quello che è importante è che puoi vederci i picchi glicemici o quando sei troppo vuoto. E’ un po’ come la lancetta del serbatoio della benzina».
Che poi è il famoso dispositivo (Supersapiens, ndr) che è stato utilizzato e contestato alla Jumbo-Visma.
«Beh, loro – commenta Toni – per me sono stati dei furbacchioni. Sono stati loro stessi a chiedere all’Uci se lo potevano usare in gara. E chiaramente l’Uci ha detto di no. Ma perché lo hanno fatto? Perché ormai lo utilizzavano anche gli altri, solo che loro avevano già tutti i dati. Gliel’ho visto (di persona) utilizzare per la prima volta all’inizio del 2019».
Mai restare a secco: l’obiettivo del corridore moderno. Per farlo possono andare bene gel, malto, barrette e cibi tradizionaliMai restare a secco: l’obiettivo del corridore moderno. Per farlo possono andare bene gel, malto, barrette e cibi tradizionali
L’importanza dell’alimentazione
E su questo ultimo “strumento”, ammesso si possa chiamare così, Toni si sofferma. In base alla sua esperienza e alla sua capacità di essere un innovatore il preparatore toscano fa molto riferimento alle curve glicemiche.
«In questo momento – spiega Toni – con un atleta di vertice si ricorre a delle analisi che indicano la sua capacità di mantenere la potenza dopo determinati step di consumo energetico, per esempio dopo 1000 kj (chilojoule, cioè l’unità di misura adottata per indicare l’energia spesa. Ogni chilocaloria (kcal) equivale a 4,186 chilojoule, ndr), dopo 1.500 kj o 2.000 kj. Studi le curve di potenza espresse col passare delle spesa energetica. Faccio un esempio, dopo 1.500 kj, generalmente circa 2 ore di gara (me è un dato variabile), sui 20′ la tua curva di potenza è scesa del 10%. Questo ti dice i tuoi valori di resistenza.
«Se dopo 2000 kj ha perso solo l’1-2% di potenza sai che quell’atleta è in condizione e ha anche ottimizzato l’alimentazione. Ma la cosa molto interessante riguarda proprio l’alimentazione. Se sai che quell’atleta è in condizione ma perde molta potenza, evidentemente è perché non si è alimentato bene. A quel punto si raccolgono i dati e si analizzano anche con il nutrizionista.
«Oggi, ragazzi, tutti si allenano bene, la differenza la fai nelle piccole cose, che poi non sono piccole, come quelle che riguardano l’alimentazione – conclude Toni – Chi sta avanti è perché è avanti con l’alimentazione. E ne sa interpretare i dati. Noi siamo quello che mangiamo… soprattutto in corsa. Il corridore che va forte è quello che non è mai vuoto».