Pinotti e Zana, un mese in altura prima del Giro

05.06.2023
6 min
Salva

Uno l’ha ringraziato più volte durante il Giro d’Italia. L’altro aveva espresso degli apprezzamenti nei suoi confronti. Parliamo di Filippo Zana e Marco Pinotti, atleta e coach.

La coppia della Jayco-AlUla ha iniziato col piede giusto la sua storia lavorativa. Pinotti ci racconta proprio di questo viaggio e come è intervenuto con il corridore veneto. «Ma lo dico subito – spiega Pinotti – il merito è anche dello staff. Penso a Laura Martinelli per esempio. Ogni giorno, ogni allenamento, di ogni camp o altura, era calibrato al meglio per quanto riguarda l’alimentazione. E questo ti consente di lavorare al top».

Marco Pinotti, ex corridore, è oggi uno dei preparatori della Jayco-AlUla. Segue direttamente Zana
Marco Pinotti, ex corridore, è oggi uno dei preparatori della Jayco-AlUla. Segue direttamente Zana
Marco, un bel Giro da parte di Zana: te l’aspettavi?

Un po’ sì. Speravo in una vittoria di tappa, visto come era uscito dall’ultima settimana del camp che avevamo fatto in altura. Ne ho avuto conferma immediata già al Romandia. C’era un livello di partenti di tutto rispetto e Filippo era andato forte. Di contro avevo pensato che ci fossero quelli che arrivavano stanchi dalle classiche di aprile e che invece Zana fosse fresco. Ma al Giro no…

Al Giro ha trovato concorrenti che avevano preparato il Giro…

E giorno per giorno Filippo dava segni di ottima condizione. L’unico dubbio era l’ultima settimana, visto che andava forte proprio dal Romandia. Invece ha continuato a migliorare. Ma questo era un dubbio più mio che suo, perché la preparazione era stata fatta per arrivare bene a inizio Giro. E invece lo ha finito forse meglio di come l’aveva iniziato.

Andava in fuga, tirava per i compagni, spingeva il rapporto…

Filippo ha preso le fughe che doveva, che poi sono quelle andate via di forza. Sinceramente, persa l’opportunità di Bergamo, pensavo fosse davvero difficile vincere una tappa… E invece ne ha vinta una ancora più bella, per di più contro gente difficile, basta pensare a Pinot. E il giorno dopo sulle Tre Cime si è confermato nonostante venisse da una tappa in cui aveva speso tanto.

Sul Lussari l’abbiamo visto arrivare stremato…

Ha fatto molto forte la parte in salita. Una sorta di test per il futuro.

Tanto lavoro con la squadra per il tricolore Zana (qui con Colleoni) tra i due training camp e le due alture
Tanto lavoro con la squadra per il tricolore Zana (qui con Colleoni) tra i due training camp e le due alture
E a proposito di futuro, può essere un uomo da corse a tappe, Zana?

Non ho la sfera di cristallo, ma credo che lui già sia da corse a tappe. Ha chiuso 18° nelle generale: magari quest’anno ne ha avuti tre o quattro in più che sono andati a casa, ma succede sempre che alcuni big abbandonino. E poi non dimentichiamo che Filippo ha già fatto terzo ad un Tour de l’Avenir: vieni considerato di default da corse a tappe. Magari potrà iniziare a lavorarci puntando a quelle di una settimana. Per certi aspetti mi ricorda un po’ Caruso. Damiano ha iniziato ad andare veramente forte nei Giri quando aveva 26-27 anni.

Può arrivare in alto, ma in modo progressivo insomma: è così?

Esatto. Quando un corridore tira per il capitano e nel finale restano in dieci, vuol dire che i numeri li ha anche lui.

Marco, come hai lavorato invece con Zana? Che corridore hai trovato?

Ho trovato un corridore abituato a lavorare tanto. In qualche caso l’ho dovuto tenere a freno. Nel ritiro di dicembre abbiamo fatto un bel lavoro sul volume ed ero già soddisfatto. Poi a gennaio è arrivato magro, molto magro. Dovevamo fare dell’intensità in salita, ma negli ultimi giorni gli ho detto: “Filippo non farle al massimo perché non vorrei esagerare”. E lui: “No, no Marco sto bene”. Ha fatto gli allenamenti tirati e due giorni dopo era morto. Quindi non ha finito al meglio quel ritiro. Ne è uscito stanco e questo ci ha un po’ condizionato l’inverno. 

La prima parte di stagione però non era andata bene: tanta fatica e pochi risultati (foto Instagram)…
La prima parte di stagione però non era andata bene: tanta fatica e pochi risultati (foto Instagram)
Chiaro…

Io credo anche perché col fatto della maglia tricolore a novembre, tra cene, premiazioni… non aveva potuto lavorare al meglio. Così abbiamo un po’ cambiato i piani. Abbiamo fatto qualcosa che per lui era nuovo: una doppia altura. Abbiamo fatto una dozzina di giorni dopo l’Andalusia. Subito dopo la gara non è tornato a casa, ma è andato in macchina a Sierra Nevada. 

Lui come stava?

Era un po’ deluso. Team nuovo, anno nuovo, tricolore sulle spalle… voleva andare meglio. Ricordo che dopo l’Andalucia e l’altura abbiamo fatto delle corse di un giorno in Francia e c’erano 5/7 della squadra del Giro. “Corsacce”, nel senso che erano dure, faceva freddo. Il primo giorno Filippo ha fatto benino. Il secondo giorno era a pezzi e si è ritirato. Ha preso una bella batosta. Tutti mi chiedevano spiegazioni, ma io dicevo: «Aspettiamo prima di giudicare questi ragazzi. Hanno lavorato tanto». E dalla Strade Bianche le cose sono migliorate. Filippo ha corso bene. La squadra era contenta. Poi al Catalunya ha beccato un paio di belle fughe. A quel punto gli ho detto: «Adesso resettiamo. Hai fatto la prima parte di stagione, la condizione è salita. Prepariamoci al blocco importante di altura». 

Dove?

Siamo andati quasi tre settimane ad Andora e quella è stata la chiave di volta. Però se guardo indietro mi chiedo: sarebbe stato lo stesso senza quei 12 giorni in altura a febbraio? Secondo me, no. Quindi alla fine anche quello che sembrava un training camp andato male, nel suo insieme ha funzionato: 12 giorni più 18, un mese di altura prima del Giro. 

Ma poi la condizione è andata in crescendo e al Giro il veneto è arrivato alla vittoria. Fugato dunque ogni dubbio
Ma poi la condizione è andata in crescendo e al Giro il veneto è arrivato alla vittoria. Fugato dunque ogni dubbio
Tutta questa altura era nuova per Zana?

Alla fine sono venuti fuori i benefici. Filippo ha risposto bene a ogni carico. Nella seconda altura io ero presente. E anche per me è stato più facile. Potevo vedere Filippo e gli altri ragazzi in faccia, parlarci in cima alle salite, analizzare e commentare i dati, vedere i parametri al mattino… Abbiamo fatto due allenamenti veramente tosti e da come ha recuperato ero sicuro che sarebbe andato forte.

Riguardo ai lavori: cosa avete fatto? Base in altura e qualità con le gare?

No, no, abbiamo lavorato anche sull’intensità. Qualcosa già a gennaio nel camp, che però non era in altura. Nel primo ritiro in quota abbiamo fatto meno specifico: era la prima altura e ci sarebbe stata la corsa subito dopo. Ma nel secondo camp in quota abbiamo fatto di più. 

Marco, hai parlato di specifici, in cosa hai dovuto lavorare di più con Zana? In cosa era più carente?

Carente in nulla, però possiamo dire che abbiamo lavorato un po’ di più sull’alta intensità: fuorisoglia, accelerazioni… Nel secondo ritiro in quota abbiamo dedicato due giorni a questo tipo di sedute. Mentre ai grandi volumi ci era già abituato.

Slongo su Realini: dalla Vuelta Femenina tante certezze

21.05.2023
5 min
Salva

Una paio di settimane fa Gaia Realini concludeva al terzo posto la sua Vuelta Femenina. Dopo le belle prestazioni d’inizio stagione e nelle classiche delle Ardenne ancora un traguardo di successo per la portacolori della Trek-Segafredo. Ormai Gaia è una realtà a tutti gli effetti del nostro ciclismo femminile. 

E della Vuelta e non solo vogliamo parlare con Paolo Slongo suo direttore sportivo, e preparatore di lungo corso. Paolo non segue direttamente Gaia, ma ha l’occhio dell’allenatore e comunque ha accesso a dati e tabelle. Partendo da questa Vuelta facciamo un punto con lui.

Paolo Slongo (classe 1972) è uno dei diesse della Trek-Segafredo. Qui con la con la mental coach, Elisabetta Borgia
Paolo Slongo (classe 1972) è uno dei diesse della Trek-Segafredo. Qui con la con la mental coach, Elisabetta Borgia
Paolo, ti aspettavi una Realini già a questo livello al suo primo anno di WorldTour? Ha disputato una grande Vuelta…

Sicuramente Gaia ha dalla sua la carta d’identità. E’ giovane. Noi l’avevamo notata due anni fa al Giro Donne quando si faceva tappa su Matajur e lei ottenne un ottimo piazzamento (fu 11ª, ndr) nonostante fosse una ragazzina e corresse in un team più piccolo. Guercilena la volle prendere subito e la lasciò poi un altro anno a maturare in quella squadra. Che dire, è una bella persona e un’atleta molto determinata. Non ha paura del lavoro ed è predisposta ad imparare. Lavorarci insieme è piacevole.

E delle sue doti? Già in parte te lo avevamo chiesto dopo la super prestazione al UAE Tour Women…

E’ senza dubbio un’ottima scalatrice e con queste sue doti potrà portare a casa tanto. Io l’ho diretta al UAE Tour, come detto, al Trofeo Oro, alla Vuelta e presto anche al Giro. Vedo che sta imparando tanto. Anche col vento e nel muoversi in gruppo.

A proposito di gruppo: come la vedi? Non era facile entrare in un team, di grandi campionesse. Nelle Ardenne dopo gli arrivi abbiamo notato grandi abbracci…

Gaia si è ben integrata e adesso sempre di più col fatto che capisce e parla meglio l’inglese. Poi è simpatica, è piccolina… insomma si fa voler bene. E’ entrata in pieno nelle dinamiche del team e questo credo le dia ancora più forza.

Gaia Realini (terza da sinistra) si è ben integrata nel team. L’abruzzese ha solo 21 anni (foto Instagram)
Gaia Realini (terza da sinistra) si è ben integrata nel team. L’abruzzese ha solo 21 anni (foto Instagram)
Alla Vuelta era partita da capitana?

Le leader erano lei e Amanda Spratt. Poi Amanda è stata sfortunata nel giorno dei ventagli. Quando il gruppo si era spezzato, nel primo gruppo ne avevamo tre, tra cui le due leader appunto. Ma Amanda ha forato nel momento clou. A quel punto senza compagne Gaia è scivolata in coda al gruppo e poi si è staccata. Se non fosse successo tutto ciò avrebbe potuto vincere la Vuelta.

Beh, detto da te, che ne hai viste di storie, è una dichiarazione importante e che fa ben sperare in ottica futura…

E’ un bel bagaglio di esperienza. Chiaramente con le sue caratteristiche fisiche Gaia soffre certi ritmi e certe situazioni in pianura. Comunque dopo che anche lei si è staccata a quel punto ho fermato l’unica atleta che ci era rimasta davanti per limitare i danni. Quel giorno abbiamo perso 2’41”.

Una bella batosta.

Esatto. Il giorno dopo sul bus, ho prima fatto i complimenti alle ragazze per l’impegno che ci avevano messo. Ho detto loro che si era trattato solo di sfortuna ma che in vista del finale della Vuelta c’era spazio per recuperare. «Possiamo fare una top 5», dissi. Tutte mi guardavano con incredulità. Ma io conoscevo bene l’ultima salita, quella dei Lagos di Covadonga, l’avevo fatta ai tempi di Nibali e mettendo insieme tutte le cose tra quella tappa e la penultima – anch’essa frazione dura – si poteva fare bene.

Nei ventagli di La Roda (terza tappa) Realini perde 2’41” da Van Vleuten, l’esatto distacco avuto poi nella generale a fine Vuelta Feminina
Nei ventagli di La Roda (terza tappa) Realini perde 2’41” da Van Vleuten, l’esatto distacco avuto poi nella generale a fine Vuelta Feminina
E infatti Gaia ha vinto a Laredo e ha fatto seconda ai Lagos… Quindi che motore ha? E’ pronta per i grandissimi appuntamenti?

Beh, è giusto dire che la allena Matteo Azzolini, io l’ho diretta in corsa. Certo che si è visto come su certi percorsi abbia combattuto alla pari con Van Vleuten e le altre che hanno espresso valori assoluti. Valori che di solito si esprimono d’estate nel clou della stagione, parlo di roba da Giro e Tour. Lei è lì e con un certo margine per il futuro.

E dove lo può pescare questo margine? 

Per lei è tutto nuovo. E’ importante che l’atleta prenda consapevolezza di quanto fatto. Capire che anche nei grandi Giri puoi competere con Van Vleuten e Vollering vuol dire molto. Più passa il tempo e meno avrà paura. Senza contare che poi certe corse ti portano ad una crescita fisiologica.

E ora, Giro d’Italia Donne?

Tra qualche giorno la porterò con le altre ragazze al San Pellegrino. Ci resteremo fino all’11 giugno. L’idea è di preparare il Giro, il Tour e l’italiano. Spero solo che questa pioggia sia alle spalle per quei giorni! 

In questa stagione, e ancora di più in questa Vuelta Feminina, Realini ha acquisito consapevolezza. Eccola con Vollering e Van Vleuten
In questa stagione, e ancora di più in questa Vuelta Feminina, Realini ha acquisito consapevolezza. Eccola con Vollering e Van Vleuten
Per Gaia è il ritiro in quota? Anche questo contribuisce al margine di cui dicevamo…

Sicuramente è il suo primo ritiro in quota di squadra. Per lei sono tutte cose nuove che fanno parte del ritrovarsi in un team grande. Anche solo fare i massaggi ogni giorno lassù non è poco, ti dice del salto di qualità. E stare con atlete di livello come Longo Borghini, Chapman o Spratt è stimolante.

Come lavorerete? Tanta endurance?

Tanta endurance, ma anche sui volumi. Mi spiego: essendoci lassù delle salite lunghe le ragazze possono stare per tempi più lunghi su determinate zone d’intensità. Poi inserirò anche qualche seduta più spinta e con il mio storico scooter le farò fare anche del dietro motore per il lavoro a crono, pensando al prologo del Giro.

Velocisti magri al Giro: sei domande a Bragato

11.05.2023
4 min
Salva

Che il velocista stia cambiando è argomento che abbiamo trattato in passato. Stavolta però vogliamo partire da un fatto concreto. In questi primi giorni di Giro d’Italia, abbiamo notato che i velocisti sono davvero magri. Molto più del solito. Anche quelli più potenti. Ci hanno colpito Gaviria, Consonni, Bonifazio… E corridori storicamente più “fisicati” vedi Pedersen, Matthews (di spalle in apertura, ndr) o Ackermann ci sono parsi più “tirati” di altre volte. 

Come mai? La nostra sensazione ha trovato conferma anche in ciò che ci hanno risposto alcuni tecnici, vedi Damiani per quel che riguarda Consonni, e gli stessi atleti.

Perché quindi questo peso minore? Mozzato qualche giorno fa ci ha detto che di volate al Giro ce ne sono parecchie, ma molte di queste il velocista se le deve guadagnare perché a ridosso dell’arrivo o durante la tappa le salite ci sono e lo sprint di gruppo non è scontato. Che siano dimagriti appositamente per questo Giro?

Abbiamo proposto i nostri dubbi a Diego Bragato, allenatore della nazionale della pista e “preparatore dei preparatori”, che tra l’altro ben conosce Simone Consonni. Con i suoi test e i suoi database Bragato conosce bene i numeri e la fisiologia di ciò che succede in gruppo.

Simone Consonni si è presentato al via del Giro tirato come mai in precedenza
Simone Consonni si è presentato al via del Giro tirato come mai in precedenza

Diego, dicevamo di velocisti molto magri in questo Giro: perché?

E’ il ciclismo moderno che lo richiede. Negli ultimi dieci anni si è vista un’evoluzione enorme del velocista. Oggi lo sprinter deve arrivare a fare delle volate che il più delle volte arrivano al termine di tappe con dislivelli importanti. Quindi di fatto non c’è più il velocista puro al 100%. Quello alla Guardini, alla Quaranta che vincevano le tappe piatte al Giro d’Italia. Adesso ci vogliono velocisti che hanno un aspetto metabolico molto importante e non solo la potenza. E’ importante che passino le salite per bene e che arrivino a fare le volate pur mantenendo dei wattaggi notevoli.

Si dimagrisce appositamente per un determinato percorso, in questo caso quello del Giro? Si lima il peso ad hoc? Nel senso: vado al Giro a 65 chili anziché 66?

Io non credo che sia un discorso ad hoc per il Giro e per le tappe che propone. Prendiamo Consonni: se vuole avere qualche chance di vittoria in più, deve poter arrivare con il primo gruppo, anche in tappe meno facili. Deve arrivare dove magari il vecchio velocista puro non arriverebbe. E questo vale per il Giro, ma non solo.

E’ una tendenza più generale, dunque…

E uno sprinter come Consonni lo può fare, perché ha degli ottimi valori metabolici e di potenza, come dicevo prima. Vado un po’ indietro nel tempo e penso a Viviani, una sorta di pioniere in tal senso. Elia è un atleta che negli anni d’oro è stato il corridore che ha vinto di più al mondo: 18-20 gare in una stagione. Quando ha conquistato l’oro a Rio 2016 in pista veniva da un anno pieno di qualità in allenamento. Nelle stagioni successive quei lavori di qualità gli hanno permesso di emergere e vincere così tante gare anche su strada. Limando un po’ sul peso ha potuto vincere anche un campionato europeo e un campionato italiano su percorsi piuttosto duri.

Bonifazio a crono. La sua silhouette fa pensare più a quella di uno scalatore che a quella di uno sprinter
Bonifazio a crono. La sua silhouette fa pensare più a quella di uno scalatore che a quella di uno sprinter
Insomma è dimagrito un po’, ma gli è rimasta addosso la qualità delle stagioni precedenti…

Esatto, riducendo un po’ il peso, ma non troppo la forza, è stato più efficiente con la forza di gravità.

Ma c’è un limite preciso a questo punto per cui un velocista da puro, diventa un velocista che tiene?

Dobbiamo assolutamente stare attenti a guardare il peso fine a se stesso. Con i professionisti non serve neanche dirla questa cosa, loro lo sanno molto bene, ma negli atleti in evoluzione è importante ribadirlo. Il peso non basta, bisogna vedere che tipo di peso hai, perché quando gli atleti parlano di perdere peso – soprattutto i velocisti – non devono perdere massa muscolare. In quanto perdere massa muscolare vuole dire perdere forza. Bisogna perdere solo massa grassa, cioè zavorra. Bisogna salvaguardare la massa magra, perché è quella che permette di applicare forza e potenza in bici.

Chiarissimo Diego, ma dalle vostre tabelle, dalle vostre statistiche c’è un “limite”, una percentuale di grasso che fa un po’ da spartiacque? Diciamo numeri a caso: fino al 7% di massa grassa sei un velocista puro, al di sotto fai anche le volate ristrette…

In realtà no, perché molto dipende dalla genetica della persona e dal punto di partenza che ha. Soprattutto oggi che è tutto personalizzato. Gli staff attuali con coach, nutrizionisti e medici, riescono veramente a individualizzare il peso ideale per ogni tipo di atleta. Quindi non c’è una percentuale di massa grassa che possa andar bene per tutti.

Maggio senza Giro. Andrea Bagioli tra paesini e tv

08.05.2023
4 min
Salva

Maggio è il mese del Giro d’Italia, ma non tutti sono immersi nella corsa. C’è anche il maggio di chi è a casa per ricaricare le pile in vista di appuntamenti futuro. Uno di questi atleti è Andrea Bagioli.

Il giovane corridore della Soudal-Quick Step ha chiuso la sua campagna del Nord con la Liegi. Ma forse sarebbe meglio dire che ha chiuso la sua prima parte di stagione. Andrea ha messo nel sacco 23 giorni di corsa. Ha iniziato con le gare majorchine di fine gennaio. Poi dei buoni piazzamenti, su tutti il secondo posto in una tappa dei Paesi Baschi.

Ai Baschi Baschi Andrea si è messo a disposizione dei compagni, ma ha avuto anche carta bianca
Ai Baschi Baschi Andrea si è messo a disposizione dei compagni, ma ha avuto anche carta bianca
Andrea come va questo tuo maggio?

Dopo la Liegi ho fatto una settimana di riposo totale. Niente bici. Sono andato in Toscana con la mia ragazza nella zona di Montalcino… dalle parti della Strade Bianche insomma! Un tour rilassante ed enogastronomico… E dallo scorso lunedì ho ripreso a pedalare.

Com’è guardare il Giro da casa? Ammesso che tu lo guardi…

Lo guardo eccome! E’ un po’ strano perché in un certo senso vorrei essere lì anche io, ma so che nei programmi – anche se non è ancora ufficiale – c’è il Tour de France, quindi sono tranquillo. Però mi piacerebbe farlo, dopo quattro anni che sono professionista non l’ho mai fatto.

Com’è vedere invece i tuoi compagni in corsa e per di più vederli vincere, prendere la maglia rosa?

Bello! Ed è anche uno stimolo in più per me. Vedenre che sono forti e vanno bene ti dà qualcosa in più.

E poi tu stando dentro la squadra, fosse anche da una chat di gruppo, vedi cose che gli altri non vedono, conosci i retroscena…

Quello è vero. Sappiamo come gira tutto, cosa fanno prima di una crono. Vedi una cosa in televisione, un movimento e sai perché lo fanno. Per esempio quando nella crono ho visto che Mattia (Cattaneo, ndr) utilizzava la ruota alta, ho capito che l’avrebbe montata anche Remco.

Bagioli (classe 1999) è arrivato 6° all’Amstel Gold Race (in foto)
Bagioli (classe 1999) è arrivato 6° all’Amstel Gold Race (in foto)
Per quanto riguarda il tuo maggio a casa cosa farai? Hai detto che hai ripreso e poi?

Per ora sto facendo solo endurance e pochi lavori. Poi da giovedì andrò in altura con la squadra a Sierra Nevada e ci resteremo due settimane e mezzo. Poi scenderemo. Starò ancora una settimana a casa e quindi partirò per il Delfinato.

Nello specifico cosa stai facendo? Per esempio fai anche dei richiami in palestra?

No, richiami in palestra adesso no. Magari farò qualcosa in ritiro in altura, anche con dei pesi, ma leggeri. Mentre gli esercizi a corpo libero quelli li faccio, due o tre volte a settimana, come del resto tutto l’anno. Li faccio dopo gli allenamenti, nel pomeriggio-sera.

Prima hai parlato di endurance. Cosa intendevi?

Uscite di 3-4 ore, ma senza finirmi. Bisognava riprendere a fare ore. Dalla prossima settimana inserirò dei lavori più specifici. Ma più sulla forza e non cose ad alta intensità. Questa fase va considerata un po’ come fosse una sorta d’inverno. Poi man mano che ci avviciniamo alle gare inserirò anche quella. E credo che già in altura faremo questo tipo di lavori: soglia e fuorisoglia. 

Quindi non nella settimana tra altura e Delfinato?

Più in ritiro. In quella settimana quando torno a casa farò alcuni giorni di scarico e poi due, massimo tre giorni – con dei lavoretti più intensi… giusto per riportare a regime il motore in vista della gara. Per adesso l’obiettivo è non sfinirsi in allenamento, perché per arrivare al campionato italiano e al Tour, se lo farò, la strada è ancora lunga.

Gaggio Monastero, uno dei paesini in Valtellina “scoperti” da Bagioli in questi giorni di uscite meno intense
Gaggio Monastero, uno dei paesini in Valtellina “scoperti” da Bagioli in questi giorni di uscite meno intense
Visto che adesso devi solo fare ore si sella, in questa fase ti capita di fare percorsi diversi? Di andare a scoprire quel paesino fuori mano?

Sì, sì… Molto spesso. Quando abbiamo i lavori abbiamo i nostri percorsi e le nostre salite. So che quella salita ha la pendenza necessaria e che per scalarla impiego quel “tot” di tempo, per cui vado lì. Quindi alla fine fai sempre quelle due o tre salite. Quando invece si presentano delle uscite in cui devo andare “a spasso” ne approfitto per scoprire posti nuovi, paesini, strade.

L’ultimo che hai scoperto?

Si chiama Gaggio Monastero e sta in Valtellina. E’ una salita molto dura, infatti penso che in futuro non la farò molto spesso! Ma è stata davvero una bella salita e un bel panorama.

Regoli gli orari dei tuoi allenamenti in base alle tappe del Giro?

Non proprio, non è che cambio le mie abitudini, però cerco di regolarmi per essere sicuro di vedere almeno gli ultimi chilometri e magari parto un po’ prima la mattina. 

Andrea, si va al Tour per…

Per vincere una tappa! Qualcosa ho visto… Ripeto, non è ancora certo che ci sarò ma vediamo di fare il meglio possibile.

Piccolo, Ardenne alle spalle: «Ora aspetto il caldo»

02.05.2023
4 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Andrea Piccolo era sorridente quando alla vigilia della Liegi-Bastogne-Liegi è venuto a parlare con noi. Il giovane lombardo della EF Educational-Easy Post era pronto per la sua prima Doyenne. Sapeva che avrebbe dovuto lavorare per Ben Healy, considerato il terzo incomodo in quello che doveva essere il duello tra Evenepoel e Pogacar.

Piccolo ha vissuto una primavera altalenante tra qualche buon piazzamento e qualche acciacco di troppo. Alla fine ha chiuso la prima parte di stagione con 21 giorni di corsa, un bel po’ sotto la media che si attesta su 29-30 giorni. La tanto auspicata costanza per ora non c’è stata, ma è anche vero che il caldo deve arrivare e che la stagione è davvero lunga.

Andrea Piccolo (classe 2001) alla vigilia della Liegi
Andrea Piccolo (classe 2001) alla vigilia della Liegi
Andrea, come stai?

Sto abbastanza bene. Sono uscito dalla Freccia nella quale ho aiutato i miei compagni, ma sinceramente ho avuto buone sensazioni.

Com’è andata questa primavera? Che bilancio tracci?

Alla Parigi-Nizza ho avuto un virus intestinale che mi ha debilitato parecchio, non sono stato bene. La squadra ha preferito mandarmi a casa per farmi recuperare bene e riprendermi. Sono stato per cinque giorni senza bici e per questo motivo ho saltato purtroppo la corsa di casa alla quale tenevo tantissimo: la Sanremo. A quel punto abbiamo deciso di rivedere un po’ i piani.

Cosa avete deciso?

Di prenderci 15 giorni. Un paio di settimane tranquille, senza gare. Sono andato in altura, al Sestriere, per prepararmi pensando di fare bene in queste corse. L’idea era di ritrovare il colpo di pedale giusto. E’ stato un mese di preparazione per la squadra e con la squadra che mi ha seguito.

Questa è stata la tua prima campagna del Nord. Dai primi “assaggi” cosa ti sembra?

Sicuramente sono corse diverse. Essendo alla mia prima esperienza tutto è da scoprire. Ma mi piacciono perché sono gare in cui oltre alle gambe bisogna saper correre. E anche se sei in condizione, non è facile.

Andrea ha spesso aiutato i compagni. Ma all’Etoile de Besseges (a febbraio) aveva colto un buon 5° posto nella prima tappa
Andrea ha spesso aiutato i compagni. Ma all’Etoile de Besseges (a febbraio) aveva colto un buon 5° posto nella prima tappa
Adesso quali sono i tuoi programmi?

Finita questa trasferta nelle Ardenne correrò a Francoforte il primo maggio (proprio durante la Liegi Andrea ha preso la febbre. Altro stop e niente gara in Germania, ndr) a quel punto inizierò un mese dedicato totalmente alla preparazione. Mi preparerò con la squadra e andrò anche in altura.

Niente Giro d’Italia dunque…

No, niente Giro d’Italia. Ma questo era già stato escluso ad inizio anno. Abbiamo deciso di procedere per gradi. Voglio, vogliamo prepararci bene per la seconda parte di stagione.

Seconda parte di stagione: hai già previsto un picco principale di forma? Hai obiettivi specifici?

Diciamo che con la squadra abbiamo capito ciò di cui ho bisogno. A me serve del tempo per trovare la marcia giusta. Comunque io sono uno che col caldo esce fuori di più. Non sono un corridore da clima tanto freddo. E’ chiaro che il meteo non si può cambiare e si prende quello che c’è, ma se sei in forma si sente sicuramente meno. E il mio obiettivo è trovare una buona forma.

Col caldo Piccolo dà il meglio. Come dice Wegelius è un talento e va aspettato (foto Instagram)
Col caldo Piccolo dà il meglio. Come dice Wegelius è un talento e va aspettato (foto Instagram)

Piccolo e il caldo

Piccolo è un talento: lo ha detto Ellena che lo ha avuto lo scorso anno per qualche mese e lo ha ribadito Wegelius. Andrea deve trovare la sua continuità, ma questa fa parte del processo di crescita. Non dimentichiamo che è al primo anno di WorldTour e che viene da una stagione, il 2022, molto particolare.

Fanno bene Wegelius e la squadra a tutelarlo. E anche il fatto che Piccolo spinga molto sulla preparazione ci parla di un atleta moderno. A maggio se ne andrà sulle alture francesi di Font Romeu sui Pirenei francesi, per farsi trovare super pronto.

Niente Giro – anche se ci dispiace – però quando Piccolo parla di preparazione per la seconda parte di stagione, magari si può pensare che possa fare bene al campionato italiano o nelle classiche estive. E se tutto dovesse andare bene, magari potrebbe esordire alla Vuelta. Nel suo clan nessuno ha scartato questa ipotesi.

Quella mezza maratona di Wurf dopo la Roubaix…

21.04.2023
5 min
Salva

Si è parlato non poco del post Roubaix di Cameron Wurf. E giustamente ci verrebbe da dire! Il corridore della Ineos Grenadiers infatti dopo essersi sciroppato 256 chilometri (di cui 55 sul pavé) ha pensato bene di aggiungere alla sua attività sportiva una mezza maratona. Qualcuno gli ha dato del folle, in realtà è stato molto meno folle di quel si possa pensare. Vediamo perché.

Anzi non una “mezza”, ma 400 metri di più per essere precisi. L’australiano infatti ha corso a piedi per 21,6 chilometri. Ma perché? Wurf è (anche) un triatleta. Tempo fa aveva smesso di essere un pro’. Al termine della stagione 2014, per sei anni è stato un triatleta a tutti gli effetti. Ha ripreso a correre nel 2020. Nel 2016 ha disputato il suo primo Ironman e non a caso è rientrato con la Ineos Grenadiers, squadra che da sempre cura molto la cronometro.

La doppia attività di Wurf postata su Strava: prima la Roubaix, poi la mezza maratona a piedi (passo 4’06” al chilometro)
La doppia attività di Wurf postata su Strava: prima la Roubaix, poi la mezza maratona a piedi (passo 4’06” al chilometro)

Wurf e l’Ironman

Ma facciamo però chiarezza sul tema dell’essere triatleta. Cameron infatti è uno dei migliori nell’IronMan, vale a dire il triathlon originario: quello che ha dato il via a questa disciplina, 3,8 chilometri di nuoto, 180 in bici e la maratona (42,195 metri) di corsa. E solitamente chi primeggia in questo tipo di triathlon non fa parte di coloro che puntano alle Olimpiadi (1,5 chilometri di nuoto, 40 in bici, 10 di corsa). Quello è un altro mondo. Un po’ come le marathon e il cross country in mtb.

«Sto cercando di migliorare la mia condizione in vista dei mondiali di Ironman – ha detto Wurf a Sporza – dopo la Roubaix avrei voluto correre un po’ di più, ma ormai si era fatto buio».

Wurf, ironicamente, aveva poi commentato sui suoi canali social: “Ora ho fame”. E poi aveva pubblicato su Strava la sua “mezza”.

Buon nuotatore, super ciclista (è suo il record della frazione in bici dell’Ironman), Cameron è anche un ottimo podista (foto Instagram)
Buon nuotatore, super ciclista (è suo il record della frazione in bici dell’Ironman), Cameron è anche un ottimo podista (foto Instagram)

Professionalità massima

Qualcuno ha criticato questa impresa istrionica. L’accusa? Poteva fare di più per Ganna. Se finisce una Roubaix e poi ha la forza di correre evidentemente non ha dato tutto.

In realtà lo stesso Wurf ha spiegato che prima di tutto ha corso per Pippo. Ha cercato di proteggerlo e di portarlo avanti. Poi quando la corsa è esplosa e Ganna era al sicuro, davanti con i big, Cameron ha iniziato la sua Roubaix.

«Negli ultimi 80 chilometri – ha continuato Wurf – ho iniziato a pensare al mio allenamento a piedi. Dopo la Foresta di Arenberg il mio compito era finito. Senza contare che proprio davanti a me c’è stata la caduta di Wright e Van Baarle. Da lì sarei stato comunque tagliato fuori. Arrivare al velodromo non dico che sia stata una passeggiata, ma neanche ho dovuto forzare al massimo».

Alla fine il trentanovenne della Tasmania, dove il triathlon è qualcosa di “sacro”, ha chiuso la Parigi-Roubaix nelle retrovie a 22’44” da VdP.

Obiettivo Nizza

Cosa può davvero ottenere Wurf all’Ironman iridato di Nizza del prossimo 10 settembre? Cameron viene da un undicesimo posto. Il suo obiettivo è migliorare, ma nel triathlon come il ciclismo l’asticella si è alzata parecchio. Americani, sudafricani e molti suoi connazionali appartengono a team semiprofessionistici. O meglio, grazie a degli sponsor personali riescono ad allestirsi degli staff per fare la vita da atleti a tempo pieno ed essere di fatto dei pro’.

«Lo scorso anno – ha detto Wurf – sono stato al di sotto delle mie aspettative e per questo cerco di fare questo tipo di allenamenti estremi. Voglio alzare il mio livello. Il mio obiettivo è quello di centrare una top cinque. E quanto fatto la domenica della Roubaix è abbastanza simile ad un Ironman».

Tra gara e mezza maratona in allenamento, Cameron è stato in attività per circa sette ore e mezzo. La durata media di un Ironman per un atleta del suo livello è di circa otto ore, molto dipende poi dalle condizioni meteo, del mare, dalle caratteristiche del percorso (specie in bici)… Per questo possono esserci anche differenze di 20’, in più o in meno per atleta, a parità di condizioni fisiche dello stesso.

A conti fatti dunque Wurf e la Ineos – ricordiamolo che in tempi di marketing nulla è vano – non sono stati poi così folli.

Dal Fiandre all’Inferno, la “settimana santa” di Pasqualon

09.04.2023
5 min
Salva

La settimana che va dal Giro delle Fiandre alla Parigi-Roubaix è detta “settimana santa” e quest’anno con la Pasqua di mezzo lo è nel vero senso della parola! Ma come vengono gestiti questi questi sette giorni che separano i due monumenti del pavè? A darci un’idea di come vadano le cose è Andrea Pasqualon.

Il corridore della Bahrain-Victorious ci ha raccontato il suo andirivieni tra Belgio e Italia. Della necessità di recuperare, ma anche di riportare su di giri il motore.

Pasqualon (classe 1988) impegnato al Fiandre di domenica scorsa. Il veneto lo ha chiuso al 36° correndo in appoggio a Mohoric e Wright
Pasqualon (classe 1988) impegnato al Fiandre di domenica scorsa. Il veneto lo ha chiuso al 36° correndo in appoggio a Mohoric e Wright
Andrea, tra Fiandre e Roubaix: come hai gestito questa settimana? Partiamo dal post gara di domenica scorsa…

Ho preso il volo per l’Italia la sera stessa dopo la corsa. Volevo tornare a casa per staccare un po’, stare in famiglia e uscire davvero in tranquillità nei giorni successivi.

Cosa hai fatto dunque il lunedì e il martedì?

Lunedì riposo totale. Ed era proprio quello che mi serviva, perché domenica scorsa è stata proprio dura, dura… Corse come il Fiandre sono super stressanti. Poi si è visto che velocità abbiamo fatto, le cadute… E i volti degli altri a fine corsa la dicevano lunga. Lunedì ho passato gran parte del tempo sul divano. Il martedì ho fatto due ore e mezza molto easy. Mi sono reso conto di essere ancora stanco, tanto che stavo vedendo un film con mia figlia e mi sono addormentato sul divano di nuovo. E questo la dice lunga.

Mercoledì?

Sono tornato in Belgio. Mi sono allenato quassù. E ho fatto un’uscita non troppo lunga con piccoli lavori di riattivazione. Sessioni di 10′-15′. Mi sono voluto allenare anche per fare il massaggio. Mi massaggia Pierluigi Marchioro e con lui, veneto come me, si parla di in dialetto, si scherza, si stacca in qualche modo. Ma nei due giorni a casa, essendo caduto, sono andato anche dall’osteopata. Per questo, ripeto, sono tornato in Belgio il mercoledì di buon ora.

Pasqualon con il massaggiatore Marchioro, conosciuto ai tempi della nazionale U23
Pasqualon con il massaggiatore Marchioro, conosciuto ai tempi della nazionale U23
Giovedì ricognizione? In questi casi avete una tabella di lavoro? Come si fa?

Esatto: ricognizione. Abbiamo provato gli ultimi 120 chilometri della Roubaix. Non c’è una tabella vera e propria ma si cerca di fare i segmenti in pavè di buon passo, ma sempre in sicurezza (si veda il caso Guazzini con il bacino rotto nella recon, ndr). E’ importante fare la ricognizione per individuare le pressioni ideali, i rapporti e per individuare le linee più sicure, capire dove c’è un po’ d’erba e dove invece si può stare sulla “schiena d’asino”. E poi io durante la ricognizione ho il compito di parlare molto con i ragazzi e di comunicare con l’ammiraglia affinché scrivano il più possibile, prendano appunti.

Un ruolo di responsabilità…

E’ molto importante conoscere ogni insidia. Poi è chiaro che in corsa non riesci a passare sulla linea migliore o che pensavi di fare, però hai idea delle condizioni che ti aspettano in quel tratto di pavè.

Quando avete fatto il briefing tecnico?

Tra venerdì e sabato soprattutto. Se ne è parlato anche prima, ma il venerdì abbiamo rivisto i filmati delle passate edizioni, c’era più relax e si parlava con tranquillità.

La recon di giovedì scorso. Momento cruciale della “settimana santa” (foto Instagram)
La recon di giovedì scorso. Momento cruciale della “settimana santa” (foto Instagram)
Andiamo avanti con la preparazione: venerdì cosa hai fatto?

Una girata tranquilla, un paio d’ore. Dal venerdì soprattutto l’obiettivo principale è diventato il recupero. Alcuni compagni hanno fatto riposo assoluto. Io lo avevo fatto lunedì e quindi una sgambata l’ho fatta.

Ieri, sabato?

Più o meno la stessa cosa. Un’oretta e mezza con pausa caffè.

Fronte alimentazione: come hai gestito questa settimana?

Nei primi due giorni post Fiandre ho fatto lo scarico di carboidrati. Quindi ne ho mangiati molti in meno, a vantaggio di proteine e verdure. Verdure che servono soprattutto per riempire la pancia, per ovviare al senso di sazietà. Poi dal mercoledì sera, anche in vista della “recon” impegnativa del giovedì abbiamo iniziato a rimangiare i carboidrati. Serve la gamba piena.

E nei giorni successivi?

I carboidrati sono andati ad aumentare, sempre di più. Mentre calavano le verdure. In particolare il sabato: tanti carboidrati sin dal mattino. Io mangio anche 500 grammi di pasta in bianco. Dopo tanti anni di riso in bianco e pollo, preferisco non utilizzare troppo i condimenti, sono diventato un po’ delicato di stomaco, diciamo così. Comunque si arriva alla mattina del via con un bel carico glicemico, perché c’è da spendere moltissimo.

Pasqualon ha ribadito l’importanza di individuare la linea migliore tra “erba” e schiena d’asino
Pasqualon ha ribadito l’importanza di individuare la linea migliore tra “erba” e schiena d’asino
E gli integratori?

Diciamo che i sali minerali ancora non si usano molto, tanto più che quassù siamo sui 10°-12°. Ho utilizzato le proteine post gara o allenamento e gli aminoacidi essenziali, sempre prima e dopo gli allenamenti. Ma va detto che ormai questi sono contenuti nelle proteine e da soli non si prendono più molto spesso.

Abbiamo parlato di preparazione e alimentazione: e i pensieri tra Fiandre e Roubaix, Andrea?

Bisogna cercare di staccare tra questi due super monumenti. Queste corse esigono una concentrazione massima, neanche paragonale ad una tappa di un grande Giro. Anche la mente deve essere libera. Ogni istante, ogni elemento come il vento, una curva, uno spartitraffico può essere decisivo. E per questo aspetto, ma in generale direi, è molto importante dormire bene e tanto.

Tu a che ora vai a dormire in queste situazioni?

Verso le 22. Passo una mezz’oretta al telefono. Ma proprio in questa settimana ho letto il libro di Sonny Colbrelli (Con il cuore nel fango, ndr), della sua Roubaix. E’ stato bello rivivere le sue emozioni, quel che ha vissuto in carriera e in quei giorni. Oggi fa un po’ effetto vederlo a bordo strada a darci le borracce. Mi sarebbe piaciuto molto lavorare anche per lui. Essere il suo gregario di lusso, tanto più che in passato siamo stati compagni di squadra. 

Caro Bartoli, Pogacar può davvero vincere il Fiandre?

31.03.2023
5 min
Salva

Anche all’interno della nostra redazione si scatenano le discussioni “da bar”. Che poi da bar mica tanto… Sono sempre analisi tecniche e ponderate (e guai se non lo fossero). E così tra chi diceva che Pogacar non avrebbe potuto vincere un Fiandre finché ci saranno di mezzo quei due bestioni di Van Aert e Van der Poel, e chi sosteneva il contrario, abbiamo deciso di mettere un giudice super partes, ma anche super preparato: Michele Bartoli.

Michele il Fiandre lo ha vinto nel 1996. I suoi numeri di allora sono assolutamente paragonabili a quelli di un Pogacar: 176 centimetri per 66 chili lo sloveno; 179 centimetri e 65 chili il toscano. Ma soprattutto Bartoli ha le capacità e le esperienze dirette per affrontare questo tema, che riguarda non solo il peso, ma anche i watt, la guida, la tattica…

Michele Bartoli (classe 1970) conquista il Giro delle Fiandre 1996. Il toscano era super magro
Michele Bartoli (classe 1970) conquista il Giro delle Fiandre 1996. Il toscano era super magro
Michele, partiamo con la domanda delle domande: Tadej Pogacar può vincere un Fiandre con Van Aert e VdP di mezzo?

Non sono mica tanto convinto che sia impossibile, anzi… Se guardiamo come è andata ad Harelbeke, Pogacar ha dimostrato di essere il più forte di tutti, specialmente sull’ultimo strappo e l’ultimo strappo del Fiandre è 60 chilometri dopo quello di Harelbeke. Io sono convinto che se si farà una corsa dura, Pogacar potrà vincere il Fiandre.

Però Tadej non ha la stessa potenza di quei due. Lui ha un ottimo rapporto peso/potenza, ma i muri sono troppo brevi perché questo rapporto sia più efficace della forza pura di quei due…

Questo è vero, ma non è solo questione di potenza pura o di rapporto peso/potenza: è questione di resistenza agli sforzi. E su questo aspetto Pogacar mi sembra più avanti di Van Aert e Van der Poel. Dopo il quarto o quinto sforzo massimale gli altri due perdono efficienza, Pogacar no. O comunque ne perde molta meno.

Lo scorso anno infatti se ci fossero stati solo 50 metri in più di Paterberg, Pogacar avrebbe vinto il Fiandre. VdP era oltre il limite. Non sarebbe rientrato…

Esatto e torna il discorso della resistenza. Se andiamo a rivedere le immagini, all’inizio del Paterberg a soffrire di più era Pogacar e non VdP. Poi ad un certo punto, e lo si nota chiaramente, la situazione s’inverte. In più lo scorso anno Van der Poel era al 100%, in giornata super… Se non dovesse esserlo di nuovo, le cose potrebbero andare diversamente.

L’altro giorno, ad Harlebeke, sul Paterberg sono passati a lungo sulla canalina laterale in cemento (e quindi liscia) e non sul pavè: questo ha agevolato l’affondo dello sloveno?

Il pavè in pianura può metterlo in difficoltà, ma sui muri non credo che possa essere decisivo. Alla fine, proprio per il discorso fatto sulla resistenza, se ti rimane più benzina nelle gambe, se hai più energia quella differenza si assottiglia e anche sul pavé uno come Pogacar può fare la differenza. Inoltre ricordo che gli sforzi dopo i 200 chilometri sono tutt’altra cosa rispetto a quelli sotto i 200.

Giro delle Fiandre 2022, sul Paterberg l’azione di Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel
Giro delle Fiandre 2022, sul Paterberg l’azione di Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel
Numeri alla mano, almeno su carta, tu avevi quasi lo stesso peso di Pogacar (65 chili tu, 66 lui): non credi che questo possa svantaggiarlo nei confronti di quei due? Oppure le soluzioni tecniche attuali, tra telai, ruote e coperture più larghe e più sgonfie lo agevolano?

In realtà io ero più leggero di quel peso! Ho vinto il Fiandre a 63 chili, quindi come vedete si può fare al netto delle soluzioni tecniche.

Messa così, Michele, allora Pogacar ha più chance di vincere un Fiandre che una Sanremo…

Per me sì. E’ davvero difficile fare la differenza sul Poggio. Casualmente dovrebbe trovare quei due entrambi in giornata no. Ed entrambi la vedo dura. Alle velocità con cui viene oggi affrontato il Poggio, in scia si sta bene. Per toglierli di ruota devi essere due gradini al sopra di loro. E due gradini al di sopra di Van Aert e Van der Poel è impossibile. Con gli altri ce la può anche fare, ma con loro due no. A meno che, ripeto, non li becchi entrambi con “una gamba su e una gamba giù”.

Abbiamo parlato di peso, di potenza, resta la guida. Van Aert e VdP ci sono cresciuti su quelle strade, Pogacar le ha scoperte dopo: quanto conta il feeling di guida?

Certamente è un valore importante, che resta e resterà per sempre. A parità di forza tra uno bravo e uno non bravo, il risultato è che quello bravo non si stacca. Ma Pogacar ha mostrato di trovarsi bene anche in quelle condizioni e soprattutto di trovarcisi bene anche sotto sforzo. E poi uno come lui anche se dovesse perdere un pizzico di terreno su un tratto in pavé ha talmente tanta forza e tanta resistenza che appena finisce rientrerebbe subito su asfalto.

Per contrastare i picchi di forza di Van Aert e Van der Poel, Pogacar dovrà fare corsa dura secondo Bartoli
Per contrastare i picchi di forza di Van Aert e Van der Poel, Pogacar dovrà fare corsa dura secondo Bartoli
Tatticamente invece cosa dovrebbe fare Pogacar?

Come ho detto: corsa dura. Se aspetta gli ultimi 20 chilometri (la sequenza Oude Kwaremont-Pateberg, ndr) è troppo tardi. Con due pesi massimi come loro si rischia di fare come ad Harelbeke.

La corsa dura taglia fuori tutti gli altri? E’ un discorso a tre?

Sì, con la corsa dura outsider e sorprese si eliminano. L’unica cosa che posso appuntare a Pogacar è quella di essere un po’ meno presuntuoso, o di essere più scaltro…

Cioè?

Quando attacca come ha fatto sul Poggio e non li stacca, non può fare altri 600-700 metri in quel modo con loro dietro pensando di toglierli di ruota. Non può pensare di staccarli. Se pensa così sbaglia, perché alla fine “s’impicca” anche lui. Invece ti rialzi, chiedi un cambio… Poi magari va allo stesso modo. Van der Poel attacca, ma di certo lo fa con meno efficienza e tu hai le gambe per provare ad inseguirlo

I blocchi di lavoro, Cioni, Ganna e la Roubaix

26.03.2023
4 min
Salva

Dopo la mega prestazione della Sanremo, gli scenari per la Campagna del Nord di Filippo Ganna assumono tutt’altro contorno. Il fenomeno della Ineos Grenadiers è in Belgio e viaggia verso la Roubaix con altre aspettative. Lui l’ha vinta tra gli U23 nel 2016. Ma l’era del “fare esperienza” è ufficialmente terminata.

E’ vero che di fatto tra impegni di pista, Covid e salvaguardia della salute, Ganna non ha corso moltissimo lassù, ma sognare è lecito. Noi vorremmo sognare anche pensando al Giro delle Fiandre, ma partiamo dalla Roubaix, che è l’obiettivo più concreto messo nel mirino. Pippo e il suo direttore sportivo e preparatore, Dario David Cioni, la stanno preparando con dovizia certosina. E lo dimostra anche la buona prestazione nella splendida sfida di Harelbeke dell’altro ieri: Ganna se l’è cavata con un decimo posto che dà fiducia.

Dario Cioni, coach e diesse della Ineos Grenadiers, segue Ganna da diversi anni ormai
Dario Cioni, coach e diesse della Ineos Grenadiers, segue Ganna da diversi anni ormai

Sanremo “inaspettata”

«Siamo in pieno periodo di corse – spiega Cioni – e l’obiettivo principale è quello di recuperare. Dopo la Sanremo si è pensato soprattutto ad una fase di recupero, anche in vista dei primi impegni in Belgio».

Prima della Tirreno e della Sanremo, parlando con lo staff della Ineos Grenadiers, erano emersi due misteriosi blocchi di lavoro che l’asso piemontese aveva fatto sotto la guida attenta di Cioni.

«Li avevamo fatti in avvicinamento alla Tirreno, ma erano già in ottica Parigi-Roubaix. Poi eravamo andati altri due giorni in pista, sempre in ottica Roubaix, ma anche pensando alla crono di Follonica. Poi è chiaro che cercando di rendere l’atleta più forte in generale, si ottengono miglioramenti non solo per la Roubaix, ma anche per la Sanremo».

Come a dire che la prestazione emersa alla Classicissima quasi non era prevista.

Ganna impegnato l’altroieri alla E3 di Harelbeke. Una grande fatica, ma anche un buon lavoro sul pavé
Ganna impegnato l’altroieri alla E3 di Harelbeke. Una grande fatica, ma anche un buon lavoro sul pavé

Due blocchi più uno

Quei due blocchi fanno sognare gli appassionati, destano curiosità. Cosa avrà fatto mai Filippo Ganna? E in effetti un pizzico di mistero resta, Cioni scopre solo parzialmente le carte.

«Quando con Pippo si parla di blocchi, si tratta di sessioni di tre giorni, con in mezzo un giorno di scarico: questa è la nostra struttura standard. Cosa facciamo? Posso dire che non sono mai blocchi uguali, cerchiamo sempre di variare lavori, intensità e durate delle ripetute. Cambiano in base agli obiettivi che si avvicinano».

Si potrebbe pensare che Ganna, passista, che lavora per la Roubaix, divori chilometri di pianura e invece non è così.

«Preferiamo lavorare in salita, tanto più che quando li abbiamo fatti eravamo in Svizzera e lì le strade più tranquille non sono certo in pianura. Abbiamo lavorato tenendo conto che nel carico di lavoro c’erano l’Algarve (prima) e la Tirreno (poi).

«Però abbiamo lavorato anche sulla velocità. Ma questa non l’abbiamo fatta su strada, bensì in pista. Sul parquet Filippo ci è andato poco prima della Tirreno. Ed è stato un terzo blocco se vogliamo, ma di due giorni anziché tre. Anche perché veniva dall’Algarve, come detto, e quindi c’era bisogno di fare un minor volume alle alte intensità».

Verso la Roubaix, dopo queste prime corse in Belgio, Pippo andrà in avanscoperta del pavè (foto Instagram)
Verso la Roubaix, dopo queste prime corse in Belgio, Pippo andrà in avanscoperta del pavè (foto Instagram)

Muri no, pavé sì

E adesso si guarda avanti. Dopo Algarve, blocchi di lavoro, Tirreno, Sanremo si tratta “solo” di recuperare. Anzi, di correre e recuperare, un po’ come ci aveva detto Davide Ballerini qualche giorno fa.

«Il grosso del lavoro ormai è stato fatto – dice Cioni – si tratta di correre e smaltire bene le fatiche. Si faranno solo dei brevi lavori che simulino in parte gli sforzi della Roubaix. Ma una corsa intera non puoi simularla: primo, perché comunque non c’è il pavè. Secondo, perché un allenamento non sarà mai una gara».

Ganna ha preso parte alla E3 Saxo Classic dell’altro ieri, sta correndo oggi la Gand-Wevelgem, poi prenderà parte alla Dwars door Vlaanderen mentre non farà il Fiandre, troppo rischioso e troppo dispendioso. Tra la “Attraverso le Fiandre” e la Roubaix ballano dieci giorni. Ci sarà tempo per un quarto blocco?

«Meglio concentrarsi su qualche sopralluogo tecnico sulle strade della Roubaix – ha chiarito Cioni – ci arriviamo come volevamo, sapendo di aver fatto un buon lavoro. E una cosa è certa: quella prestazione alla Sanremo gli dà morale. Conferma a Filippo che abbiamo lavorato bene. Anche i super campioni hanno bisogno di conferme. Se le conferme sono importanti anche per i coach? L’importante è che le abbiano gli atleti».