Pioggia di watt. Le migliori prestazioni dell’anno dai 20′ in su

29.10.2022
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Quella appena terminata può essere archiviata come la stagione dei record. Si è assistito, ancora una volta, a prestazioni incredibili. Prestazioni che la maggior parte di noi tende a “fotografare” nel momento in cui Jonas Vingegaard stacca Tadej Pogacar sul Col du Granon al Tour de France. Ma anche nelle volate dei due atleti alla Planche des Belles Filles o a Peyragudes (nella foto di apertura). “Chissà quanti watt finivano su quelle pedivelle?”, ci si chiede…

Eppure quella del Granon non è stata la miglior prestazione dell’anno. Lo scettro spetta, o forse sarebbe meglio dire spetterebbe, ancora a Pogacar. Noi abbiamo preso in considerazione gli sforzi dai 20′ in su. Tadej ha sviluppato 6,5 watt/kilo sul Carpegna, durante la Tirreno-Adriatico.

Altre super prestazioni sono sempre firmate da Pogacar e Vingegaard i quali proprio alla Planche des Belles Filles hanno fatto un qualcosa come 6,6 watt/kilo, però quella scalata era più breve e soprattutto c’era stato molto gioco di squadra prima del chilometro finale. Al terzo posto ecco Remco Evenepoel che sulla Fancuya, alla Vuelta, avrebbe espresso 6,4 watt/chilo. E per di più per oltre 25’.

Pogacar sul Carpegna. Con un paio di gradi sopra lo zero e un abbigliamento più pesante questa prestazione assume ancora più valore
Pogacar sul Carpegna. Con un paio di gradi sopra lo zero e un abbigliamento più pesante questa prestazione assume ancora più valore

Il parere di Toni

Noi ci siamo divertiti a spulciare sul web, nelle varie piattaforme dedicate, questi numeri. Ma presto ci siamo accorti che c’erano delle discrepanze. I valori erano un po’ ballerini a seconda di chi e come erano riportati. Come da nostra abitudine ci siamo rivolti ad un esperto. E chi meglio del preparatore Pino Toni? E infatti il coach toscano ci ha un po’ messo sul chi va là.

«I numeri – spiega Toni – sono numeri in quanto precisi. E’ difficile stabilire realmente i valori espressi di quelle prestazioni. E per quei dati non basta solo il peso del corridore. Ci sono in ballo molti altri fattori, come la scorrevolezza, la lavorazione dei cuscinetti per quella corsa, la pressione delle gomme, se aveva o no la borraccia, se e quanto quell’atleta è stato a ruota…

«E’ importante valutare il peso nel suo totale, cioè anche quello della bici e degli altri materiali, perché nel ciclismo di oggi uno scarto di 0,2-0,3 punti fa la differenza tra una prestazione alta e una stratosferica».

«Chiaramente un Vingegaard che nel finale del Granon fa 6,1 watt/chilo è un campione. E lo è perché ha fatto quella prestazione al termine di una lunga tappa di montagna.

«Poi ormai è un dato di fatto che si va più forte. Gli juniores viaggiano sul filo dei 6 watt/chilo. Ci sono ragazzi che pesano 69 chili e sviluppano 460-470 watt».

La prestazione di uno, i valori di squadra. Specialmente su certe salite, il lavoro si squadra incide moltissimo sul computo dei dati
La prestazione di uno, i valori di squadra. Specialmente su certe salite, il lavoro si squadra incide moltissimo sul computo dei dati

Più sorprese che watt

Il dato preciso di certe prestazioni è solo nei computerini degli atleti e nei calcoli dei loro coach che li seguono e sanno come erano “settati” quel giorno in quel momento. Per questo Toni preferisce parlare di prestazioni super in quanto “sorprese”.

«Piuttosto – riprende Toni – io sono stato colpito da tre prestazioni, tre personaggi. E sono Girmay, Vingegaard appunto, e Ganna.

«Vingegaard è andato forte. Ha staccato un buon Pogacar. Ma quel che mi ha colpito più di tutto non è stata la sua singola prestazione, ma la sua costanza. Non mi aspettavo la sua continuità a quel livello. Anche il suo compagno Kuss va forte, per dire, ma Vingegaard è andato forte per tutto il Tour. Per questo lo metto sul podio.

«Quelli che avete snocciolato sono numeri importanti, ma la valutazione deve essere fatta in un’altra maniera. E ritorno al discorso del peso complessivo (bici + atleta, ndr), della scorrevolezza…». 

«Vero, a conti fatti quell’atleta è salito a 6,5 watt/chilo. Ma quello è un valore di squadra, specie al Tour dove le salite sono più pedalabili, si fanno a 25 all’ora, e quasi sempre con passo regolare imposto appunto dai team. E quindi analizziamolo quel dato.

«Magari nei primi 5 chilometri era stato in quarta ruota e aveva risparmiato 30 watt. Nei successivi 5 chilometri era stato in terza ruota e aveva risparmiato altri 20 watt… almeno. Poi ancora era stato in seconda posizione e ha continuato a mettere altri 20 watt nel taschino. Fin quando negli ultimi 3-4 chilometri è rimasto da solo ed effettivamente è andato a 6,5 watt chilo. Il totale della scalata risulta 6,5 watt/chilo, ma per 10-11 chilometri ha espresso valori più bassi».

Girmay e Ganna

Ci sono poi Girmay e Ganna. Le altre due “sorprese” che Pino Toni mette sul podio. Prestazioni che non si distinguono per i watt espressi (o almeno non solo per quelli), ma nel complesso della performance, della crescita complessiva, dello spessore psicofisico dell’impresa.

«Girmay – dice Toni – è cresciuto molto. Mi ha colpito. Ha vinto la Gand battendo fior di campioni e soprattutto ha vinto la tappa al Giro davanti al miglior Mathieu Van der Poel della stagione. Non sono numeri banali in ogni senso».

«Ganna invece va magnificato. Va elogiato per la forza espressa durante Record dell’Ora, una determinazione pazzesca nonostante per lui non fosse un anno super. Io non so chi e quando potrà avvicinare quel tempo. Serviranno una grande convinzione e uno staff super. Ganna aveva quanto di meglio a disposizione tra Ineos-Grenadiers e nazionale italiana. Il top del mondo».

Toni spiega come con tutta quella cura, non solo della preparazione del corridore, ma anche dei materiali il fisico può rendere meglio. Non che il “motore del corridore” aumenti, ma riesce a sviluppare al meglio i propri valori e a farlo per un tempo maggiore.

«Se tu hai 450 watt nelle gambe non ne sviluppi di più, però ne arrivano di più alla ruota: ed è quello che conta».

Lucca: la scommessa della Bardiani (e di Pino Toni)

03.09.2022
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Si può ancora passare professionisti a 25 anni? La risposta è sì, basta chiedere a Riccardo Lucca, che dal prossimo anno correrà con la Bardiani CSF Faizanè. La squadra guidata da Bruno Reverberi ha creduto nel ragazzo trentino, quest’anno in forza alla Work Service, ed in questi giorni impegnato a correre al Giro del Friuli. 

Nonostante il mondo del ciclismo corra sempre più veloce, dove la pazienza sembra una virtù ormai persa ,Lucca non ha demorso. Quest’anno, all’Adriatica Ionica Race, aveva colto la sua prima vittoria in una gara professionistica, ammettendo che nessuna squadra lo avesse ancora contattato. 

Quest’anno la vittoria all’Adriatica Ionica Race, nella tappa di Asolo, una bel biglietto da visita per il 25enne trentino
Quest’anno la vittoria all’Adriatica Ionica Race, nella tappa di Asolo, una bel biglietto da visita per il 25enne trentino

Ecco la Bardiani

Alla fine qualcuno ha bussato alla porta del corridore trentino, ed aveva la maglia viola, bianca e verde della Bardiani. Nel 2023 Lucca passerà professionista ed allora, curiosi di questa scelta un po’ controcorrente, abbiamo chiesto a Mirko Rossato il perché.

«Lucca, bene o male, è da tempo che lo seguiamo – ci racconta dal Belgio, dove segue gli under 23 al Flanders Tomorrow Tour – ha avuto un percorso travagliato a causa di tanti problemi fisici, tra cui anche il Covid. Fino a due anni fa tutti ne dicevano bene, ne parlavo con Giorgio Furlan e mi diceva che il ragazzo era forte, dotato di un gran motore. Lo stesso Zoccarato, nostro corridore, ci ha sempre detto che tra i dilettanti il punto di riferimento per le fughe, e non solo, era Lucca. Avevamo già provato a prenderlo nel 2021 ma non si era riusciti a concretizzare la cosa, quest’anno, invece, è andata per il verso giusto. Poi ha fatto un test da Pino Toni, e lui ha garantito per le sue grandi qualità».

Nel 2022 Riccardo era ripartito dalla Work Service, un’ultima occasione per conquistare il ciclismo dei grandi (foto Scanferla)
Nel 2022 Riccardo era ripartito dalla Work Service, un’ultima occasione per conquistare il ciclismo dei grandi (foto Scanferla)

Già pronto

Arrivare tra i professionisti quando si ha un’età superiore alla media è sinonimo di tenacia. Anche davanti alle mille difficoltà Lucca non ha mai rinunciato, anzi era ripartito proprio dalla Work Service per riscattarsi. Piano riuscito, ed ora, sembrano tutti curiosi di vederlo all’opera, Bardiani in primis. 

«La nostra non la definirei una mossa in controtendenza – spiega Rossato – siamo una squadra che dà la possibilità ai corridori di provare ad essere dei professionisti. Abbiamo preso anche Fiorelli quando era un po’ più grande degli altri e guardate che bella stagione che sta facendo. Era giusto dare una chance a Lucca, sono contento per lui e convinto che potrà fare bene. La sua età gli permette di essere già pronto magari per delle gare importanti, non mi sorprenderei se fosse alla partenza del Giro d’Italia nel 2023».

Lucca insieme a Ilario Contessa, i due sono stati insieme anche nella prima esperienza del trentino in maglia Work Service
Lucca insieme a Ilario Contessa, i due sono stati insieme anche nella prima esperienza del trentino in maglia Work Service

Parola a Pino Toni

Allora, se è vero che Lucca ha fatto dei test dal preparatore della Bardiani Pino Toni bisogna chiedere a lui che tipo di corridore ha trovato.

«La mia opinione potete immaginarla – esordisce Pino Toni – se alla Bardiani prendiamo un corridore vuol dire che va bene. Lucca è uno che i numeri li ha, li ha sempre avuti, ma ha corso in squadre poco organizzate, o che non ne facevano risaltare le qualità. Alla fine, quando sei in una squadra dove si vince tanto tutti guardano ai numeri di vittorie e non alle qualità dei corridori, il mercato va verso chi vince. Dopo aver visto i test di Lucca ho alzato il telefono ed ho chiamato Bruno (Reverberi, ndr) e gli ho detto che un corridore così è da prendere. E’ un ragazzo molto intelligente che sta facendo degli studi inerenti allo sport ed alla preparazione. Ha curato anche i minimi dettagli, togliendo quei due o tre chili di troppo ed ora si vede. Ha tanto motore, le corse che ha vinto sono tutte simili: circuito in pianura e poi salita finale, anche lunga, di 11 o 12 chilometri. In pianura a 45 all’ora ci va con un filo di gas, in scioltezza, e poi anche in salita rende molto».

Per Lucca sei vittorie anche nel 2021 in maglia General Store, ma nessuna chiamata (foto Scanferla)
Per Lucca sei vittorie anche nel 2021 in maglia General Store, ma nessuna chiamata (foto Scanferla)

Uno come pochi

A giudicare dalle parole di Rossato e di Pino Toni sembra che uno come Lucca sia un corridore che capiti davvero di rado nel ciclismo. Eppure, fino a giugno, non era neanche sicuro di trovare un posto, ed alla fine della scorsa stagione aveva continuato perché motivato da altri e non perché ci credesse fino in fondo. 

«Questo è un corridore con dei numeri – si riaggancia Toni – non è stato apprezzato per quello che sono i numeri, la gente non guarda alle capacità ma alle vittorie, secondo me se lui è motivato va forte. Faccio test dal 1996 e li ho sempre fatti con il misuratore di potenza, ho visto davvero pochi corridori come lui, uno su tutti Politt, che ha fatto secondo ad una Parigi-Roubaix. Assomiglia molto al tedesco, in più, ha una migliore aerodinamicità ed un rapporto peso potenza più alto. Anche perché Lucca è un metro e 84 per 74 chili. Io faccio test, non la campagna acquisti, quindi mi intrometto poco, però non si poteva lasciare in giro un corridore come questo, soprattutto in una squadra come la nostra.

«Spero possa avere una bella carriera in Bardiani, ma per me ci dura poco. Nel senso che ha tanti sbocchi interessanti di crescita professionale, potrebbe ambire in poco tempo ad una WorldTour. Se fosse nato in Belgio, Lucca sarebbe già alla Quick Step da almeno tre anni. Se dovessi paragonarlo ad un corridore lo avvicino a De Gendt. Un corridore che nel portare a spasso un gruppetto ci va a mezzo gas e poi ha anche la forza di andargli via. Potenzialità ne ha, poi deve imparare a gestirsi, dovrà essere il più “economico” possibile, la cilindrata ce l’ha, non deve finire la benzina».

Il corridore completo? Un mito da sfatare…

08.08.2022
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Parlando con i vari ragazzi italiani che, settimana dopo settimana, si mettono in evidenza fra juniores e under 23, abbiamo notato un comune denominatore che li unisce praticamente tutti. Ognuno di loro, chiamato a definirsi dal punto di vista tecnico, afferma di essere un corridore completo. Va bene su salite fino a 5-6 chilometri, si difende bene sul passo senza essere un cronoman, è abbastanza veloce per un arrivo ristretto, non per una volata di gruppo. Insomma, un corridore adatto a ogni tipo di situazione, ma senza un elemento nel quale eccelle.

La cosa non poteva passare inosservata: possibile che siamo di fronte a una generazione di corridori che non si distinguono in ambiti specifici, che non si specializzano?

Il tema è delicato, forse è una delle basi del difficile momento che il ciclismo maschile nostrano sta vivendo. Anche perché, fossero solo gli junior a dirlo potrebbe anche essere plausibile, ma colpisce il fatto che lo stesso avvenga fra gli under 23, atleti ormai prossimi all’approdo fra i pro’.

Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana
Pino Toni dirige il centro Cycling Project Italia in Toscana

Togliamo il limitatore

Per Pino Toni, preparatore atletico tra i più conosciuti, una risposta del genere non è casuale.

«Per gli juniores è normale – dice Toni – visto che siamo rimasti uno dei pochi Paese ad aver mantenuto l’assurda regola del limitatore di rapporti (limitazione che decadrà a partire dal 2023, ndr). Questa impedisce ai ragazzi di prendere confidenza con i rapporti più duri. Se hai solo il 14, sarà difficile vedere differenze. Se puoi scegliere ci sarà chi butta giù il rapporto e riesce a spingere, chi non ce la fa, chi fatica all’inizio ma poi riesce a migliorare. Bisogna poter lavorare durante l’anno con rapporti più duri per “poterli sentire”».

E’ un problema solo di rapporti?

No, anche di gare, di percorsi. La stragrande maggioranza delle gare sono circuiti. Ora io capisco le esigenze dell’organizzatore che deve fare i conti con permessi e budget limitati, ma tecnicamente quelle italiane sono spesso gare che non ti danno nulla. Corse a tappe e gare realmente in linea, con una località di partenza e una di arrivo, con un’altimetria ben fatta, ne trovi davvero pochine e così non si cresce. Soprattutto mentalmente perché secondo me il problema è anche d’impostazione mentale dei nostri ragazzi.

Giro U23 2022
Il podio tutto straniero del Giro U23. Puntare su corridori completi ma senza eccellenze non paga (foto Extragiro)
Giro U23 2022
Il podio tutto straniero del Giro U23. Puntare su corridori completi ma senza eccellenze non paga (foto Extragiro)
Tutto ciò riguarda però prevalentemente gli juniores, perché fra gli under 23 le risposte sono pressoché identiche?

Perché il problema è di vecchia data e quei ragazzi sono cresciuti così. Poi ci si differenzia, ma per farlo serve tempo, anche per conoscere se ci sono caratteristiche che prendono il sopravvento su altre elevandoti da quella situazione di “faccio tutto benino ma non spicco in nulla”. Per farlo, ad esempio, servirebbero più corse a tappe, anche semplici: una frazione piatta, una di collina, una di montagna, una a cronometro. Ecco che hai tutte le modalità per confrontarti, con te stesso e contro gli altri.

Non è un caso quindi se la maggior parte dei corridori, alla richiesta di quale gara vorrebbe correre e magari vincere, cita la Liegi-Bastogne-Liegi…

No, anche se poi parlano molto per quello che vedono in tv. Quando vai a farla e ti accorgi che ha 5.000 metri di dislivello, il discorso cambia…

E’ un problema irreversibile?

Non credo, il gap che abbiamo con gli altri Paesi c’è, è reale ma si recupererebbe in breve tempo. E’ chiaro però che qualcosa vada cambiato. Intanto con la regola dei rapporti, ma attenzione: non è che liberalizzando hai risolto tutto. Serve ad esempio che le società si attrezzino meglio, che pensino alla crescita dei corridori con programmi di allenamento appositi, tenendo conto che l’età performante si è abbassata tantissimo. Serve soprattutto che la Federazione guardi più alla tecnica e allo sviluppo sportivo e non tanto alla politica, ai piccoli accordi per accontentare questa o quella società. La riforma del calendario dovrebbe partire da questo.

Balducci Mastromarco
Gabriele Balducci, diesse alla Mastromarco-Sensi, pro’ dal 1997 al 2008 e per anni nello staff azzurro
Balducci Mastromarco
Gabriele Balducci, diesse alla Mastromarco-Sensi, pro’ dal 1997 al 2008 e per anni nello staff azzurro

La coperta corta

Il tema è scottante e Toni ha posto l’accento anche con il suo sanguigno carattere toscano. Il pensiero però è comune e viene testimoniato anche da Gabriele Balducci, diesse alla Mastromarco con un passato ultradecennale da corridore pro’.

«Il ciclismo attuale – spiega Balducci – porta a livellare tutto, ma così è come tirare la coperta. Il ragazzo veloce viene allenato per farlo migliorare in salita e così perderà un po’ di quello spunto, viceversa chi va forte in salita deve migliorare in velocità così perderà dall’altra parte. L’obiettivo del corridore completo ha l’unico risultato di produrre corridori-fotocopia. Il problema però secondo me è un altro».

Quale?

Si pensa che l’approdo al professionismo sia il punto di arrivo, invece è quello di partenza. I nostri ragazzi vogliono assolutamente ottenere quel contratto con una squadra, ma non si chiedono per fare cosa. Così non faremo altro che produrre buoni corridori che saranno presi come gregari, ma nessuno spiccherà. Serve ambizione, serve voglia di differenziarsi, serve tempo. Questa situazione di un ciclismo nel quale non ti danno il tempo per lavorare mi fa paura, perché non diamo la possibilità ai ragazzi di crescere e maturare.

Ayuso Getxo
Ayuso, vincitore al Circuito de Getxo davanti a Piccolo. Le doti di scalatore sono amplificate
Ayuso Getxo
Ayuso, vincitore al Circuito de Getxo davanti a Piccolo. Le doti di scalatore sono amplificate
Questo sistema va contro la specializzazione, ma le squadre preferiscono il corridore completo o lo specialista?

Quest’ultimo senza alcun dubbio, lo cercano come il pane, lo scalatore puro come anche il velocista o il passista. E’ quello che fa la differenza, ma la colpa è anche di noi dirigenti, che dovremmo guardare meno alla ricerca della vittoria a ogni costo per pensare di più allo sviluppo dei talenti che abbiamo in mano.

Sei quindi contrario alla scelta secondo cui i corridori devono migliorare un po’ in tutto…

Assolutamente. Guardiamo che cosa gli ha dato madre natura e puntiamo innanzitutto a elevare allo zenit quelle caratteristiche, a lavorare su quelle. Alla lunga i corridori ne saranno premiati e le squadre anche. Io ad esempio non credo che la cancellazione del limitatore di rapporti cambierà molto la situazione, dobbiamo essere noi diesse a capire come far lavorare meglio i ragazzi pensando al loro futuro.

EDITORIALE / La tappa della discordia e il ciclismo che cambia

27.06.2022
6 min
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Ha ragione Marco Selleri. La terza tappa del Giro d’Italia U23, da Pinzolo a Santa Caterina Valfurva, ha scatenato un processo degno di uno studio televisivo. Distanza di 177 chilometri, dislivello di 5.000 metri con Tonale, Aprica e Mortirolo. Ha vinto Leo Hayter in 5 ore 10’49” alla media di 34,186 (in apertura, foto ExtraGiro-Isolapress), come era previsto della tabella di marcia che indicava un range fra 33 e 37 orari.

E’ chiaro che, a fronte del tempo di Hayter, vada annotato anche quello dell’ultimo: Christian Danilo Pase della Work Service, all’arrivo in 6 ore 14’57” (distacco di un’ora 04’08”). Dato che tutti hanno dovuto sobbarcarsi anche un trasferimento di 50 minuti, è chiaro che le ore di sella siano state oggettivamente tante.

La tappa di Santa Caterina Valfurva ha evidenziato enormi differenze in gruppo (foto ExtraGiro – Isolapress)
La tappa di Santa Caterina Valfurva ha evidenziato enormi differenze in gruppo (foto ExtraGiro – Isolapress)

Italiani cercasi

Dei corridori italiani si sono perse le tracce. Per trovare i primi tre bisogna andare alla 14ª posizione con Piganzoli (Eolo) a 9’27” poi alla 19ª, dove si incontrano Meris (Colpack), Raccani (Zalf) e Germani (Fdj) che però in precedenza aveva tirato per i compagni Gregoire e Martinez all’attacco. Il loro distacco è stato di 13’45”.

E qui è scattata la discussione. Sul posto, per chi c’era. Sui social, per gli altri. Non è semplice interpretare la disfatta, perché di base hanno ragione tutti. Ciascuno ha il suo punto di vista, anche se non tutti i punti di vista sono condivisibili. E qui si innesca il corto circuito.

La coppia francese in fuga dalla partenza: hanno osato troppo ma dato spettacolo (foto ExtraGiro – Isolapress)
La coppia francese in fuga dalla partenza: hanno osato troppo ma dato spettacolo (foto ExtraGiro – Isolapress)

Dibattito acceso

Davide Cassani osserva che le squadre italiane non vanno a confrontarsi all’estero, come le altre. Ma invece di fare autocritica, preferiscono puntare il dito sull’organizzatore che ha proposto una tappa troppo dura. 

Pino Toni, preparatore della Bardiani U23, sostiene che non si possa proporre una corsa così dura a un parterre come quello italiano, abituato ad altre difficoltà. E che se anche la tappa avesse avuto 3.500 metri di dislivello, il risultato finale non sarebbe cambiato. 

Il Giro d’Italia U23 non è una gara italiana, come l’Avenir non è una corsa francese. Sono prove internazionali di altissimo prestigio: le vincono i più forti e non strizzano gli occhi a nessuno. Il tempo in cui per avvantaggiare i corridori di casa si modificavano i percorsi è finito da un pezzo: aspettarsi che accada è un altro sintomo del problema.

E’ probabilmente un errore invece portare ragazzi di primo anno a corse così dure. Se rischia di esserlo per Gregoire e Martinez (abituati a un’attività superiore sin da juniores, che da tempo corrono senza la limitazione dei rapporti e che comunque si sono inchinati alla solidità dei rivali), figurarsi per gli italiani.

La direzione di corsa, a sinistra Fabio Vegni, sapeva di andare incontro a un giorno duro (foto ExtraGiro – Isolapress)
La direzione di corsa, a sinistra Fabio Vegni, sapeva di andare incontro a un giorno duro (foto ExtraGiro – Isolapress)

Declino invisibile

L’Italia è la culla del ciclismo, così come lo è dell’arte e della cultura. Poi vai all’estero e ti accorgi che hanno la metà del nostro patrimonio, ma lo valorizzano meglio. Siamo talmente pieni delle nostre certezze, da non accorgerci del declino.

Nel 2004 eravamo così convinti che il WorldTour non sarebbe mai nato, che ci misero dentro per il rotto della cuffia. Poi iniziammo a lamentarci perché ai mondiali U23 vincevano ragazzi abituati al professionismo e siamo ancora lì a parlarne. E adesso che la svolta continental ha impresso un cambio di marcia, come accade in tutti gli sport di elite in cui si accede al professionismo nella tarda adolescenza (non a caso l’UCI ha abolito la limitazione dei rapporti fra gli juniores), il tema è una tappa troppo dura. 

E’ giusto? E’ sbagliato? Questi ragazzi dureranno meno? Le domande sono tutte legittime, ma non essendoci risposte facilmente raggiungibilli, non è facendo finta di niente che si possa gestire la situazione.

Felix Engelhardt della continental KTM, 6° finale e 10° a Santa Caterina a 6’57” (foto ExtraGiro – Isolapress)
Felix Engelhardt della continental KTM, 6° finale e 10° a Santa Caterina a 6’57” (foto ExtraGiro – Isolapress)

Il mondo del lavoro

Le squadre di dilettanti, in cui i ragazzi vengono seguiti come figli, avrebbero ancora senso se ci fossero dei grandi team italiani per dare continuità al lavoro. La continental deve preparare al mondo del lavoro ed essere agganciata a una WorldTour: se non accade, c’è un problema.

L’Italia del ciclismo è come una vecchia casa gloriosa, con i muri pieni di affreschi che raccontano storie bellissime. E’ la Reggia di Caserta, più imponente di Versailles ma tenuta peggio, che nessuno si sognerebbe di modificare per ospitarvi uffici che abbiano bisogno di tecnologia e modernità. Invece siamo lì a pensarci. Aggiungiamo piani. Ampliamo stanze. Sfondiamo pareti. Cambiamo destinazioni d’uso, senza renderci conto da un lato di essere bloccati per mille vincoli e dall’altro di comprometterne la solidità.

La fortuna di altri Paesi, che non hanno mai avuto tanta ricchezza, è aver costruito tutto dal nuovo. Senza vincoli, mettendo dentro solo quello che effettivamente serve.

Dopo le fatiche del Giro e un 2022 correndo in tutta Europa, Germani ha raccolto i frutti al campionato italiano (foto Benati)
Dopo le fatiche del Giro e un 2022 correndo in tutta Europa, Germani ha raccolto i frutti al campionato italiano (foto Benati)

L’esempio di Germani

Tredici continental sono troppe, soprattutto perché non fanno un’attività all’altezza. Un invito alla Coppi e Bartali e alla Adriatica Ionica Race, quando va bene al Giro di Sicilia e poi? E poi le solite corse. Quanti ragazzi delle continental a fine anno saranno andati all’estero contro i pari età stranieri? Si contano sulle dita di mezza mano. Poi arriva il Giro e speriamo di brillare? Non è realistico.

Lorenzo Germani, fresco campione italiano U23, quest’anno ha corso in Francia, Belgio, Repubblica Ceca e in Italia. Ha preso schiaffi, ma al momento giusto ne ha dati.

Si può fare attività U23 senza essere continental? Si può fare. Per scovare e lanciare i talenti migliori, anche se alla fine ne godranno altri. Senza contare le vittorie e senza promettere la luna agli sponsor, sacrificando ad essa il futuro dei ragazzi. Servirebbe un tavolo di lavoro condiviso, con la Federazione a tirare le file, per incastrare al meglio le esigenze di tutti, sgombrando il campo dalle pretese meno realistiche.

Il nostro giardino

La nostra ricchezza non merita di essere svilita dall’assenza di visione. Però bisogna che tutti facciano la loro parte. Occorre una più ampia partecipazione alla vita federale e a quella internazionale, quando vengono prese le decisioni più importanti, altrimenti è inutile lamentarsi. Invece si guarda spesso al proprio giardino senza sapere cosa ci sia fuori. Come nella vita di tutti i giorni, in cui a decidere sono quelli che nella politica hanno trovato un mestiere. Gli altri si lamentano, ma non vanno neanche a votare. E se qualcosa non va, la colpa è degli altri.

Quanto incidono due chili? Ne parliamo con Pino Toni

23.06.2022
5 min
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Due chili. Sono tanti? Sono pochi? E nel ciclismo dei marginal gains sono da considerarsi ancora margini appunto, o sono qualcosa di fondamentale? Tutto nasce da un’intervista fatta con Paolo Slongo, preparatore della Trek-Segafredo e di Elisa Longo Borghini, il quale ci aveva detto tra le altre cose che la sua atleta aveva vinto perché era scesa di due chili. 

E allora con un altro preparatore molto attento agli aspetti tecnici, Pino Toni, andiamo a vedere quanto incidono davvero due chili. Un discorso che con il toscano si fa subito interessante.

Dopo l’ottimo lavoro in altura, Elisa Longo Borghini ha limato il suo peso e ha vinto in salita (per di più allo sprint)
Dopo l’ottimo lavoro in altura, Elisa Longo Borghini ha limato il suo peso e ha vinto in salita (per di più allo sprint)

La testa conta

«I chili in più e in meno – spiega Toni – vanno sempre valutati per ogni ragazzo e ogni ragazza. Per qualcuno possono incidere più di altri. Chiaro, il rapporto potenza/peso resta centrale per tutti, ma su alcuni soggetti non puoi “limare” troppo».

«Per un atleta forte come la Longo, ma più in generale per le donne direi, da una parte me ne frego del peso. Lo dico sempre anche a Marta Bastianelli (che il coach segue da anni, ndr): se tu sei forte, stai bene e hai lavorato correttamente sei vincente lo stesso. Chiaramente in relazione ad un peso non ottimale ma pur sempre nei limiti.

«Il problema semmai è che quei due chili in più possono incidere sulla determinazione, sulla testa dell’atleta».

«Faccio un esempio pratico e molto semplice. Tante volte, e per le donne vale ancora di più, il corridore vede la sua gamba meno definita ed è meno convinto. Poi basta che un uomo si veda una vena nell’interno coscia o una donna veda più definita la zona della rotula, che all’improvviso entrambi si sentono bene con il loro corpo. E capita spesso».

«Nel caso specifico, non conosco Elisa Longo Borghini, ma vedo che è potente e che non ha paura di correre, di attaccare. Magari quei due chili la limitavano un po’ nelle salite lunghe e, ripeto, anche nella testa. Ma direi che nel complesso è andata forte perché stava bene. E quando si sta bene il peso va via da solo».

Aspetto, quest’ultimo, che lo stesso Slongo ha confermato in quell’articolo. «Elisa ha perso due chili senza fare chissà cosa», aveva confidato il tecnico veneto.

Quando un’atleta sta bene, è cosciente del suo senso di autoefficacia, come direbbe la psicologa Elisabetta Borgia, anche il peso scende “da solo” o più facilmente. In pratica s’innesca un circolo virtuoso.

Kittel, mostro di potenza, per lui due chili incidevano meno rispetto ad uno scalatore
Kittel, mostro di potenza, per lui due chili incidevano meno rispetto ad uno scalatore

Quei 7 watt 

Ma staccandoci dall’esempio relativo alla Longo, quanto incidono due chili? Roglic sarebbe Roglic con due chili in più? Probabilmente no.

«Dipende che chili sono – dice Toni – e di quale soggetto parliamo. Sono chili sugli arti superiori? Quanto è grande l’atleta? Che tipo di corridore è? In un uomo variano molto per il tipo di corsa che deve fare. Un Kristoff o un Kittel, che superano i 1.600 watt contano meno, tanto al primo “cavalcavia” si staccano. Per un Roglic non è così».

In uno scalatore, che in partenza pesa meno di uno sprinter, due chili si sentono sicuramente di più. E poi non è facile dimagrire e non perdere neanche un briciolo di massa magra, cioè di muscoli. Non a caso tante volte lo sprinter rinuncia ad essere super tirato. Lo stesso Petacchi ci disse che volutamente non scendeva al di sotto di un certo peso per essere efficiente in volata.

«Sulla classica salita ipotetica di 10 chilometri al 10% ogni chilo in più influisce il 6% in termini di  tempo di scalata – riprende Toni – Un chilo in più sul corpo corrisponde a circa 7 watt in meno (due chili, 14 watt, ndr). Ho specificato sul corpo perché se si parla di masse rotanti il tutto va moltiplicato per quattro.

«Se, infatti, il telaio di una bici pesa un chilo di più, è più o meno come avere un chilo in più addosso. Mentre per perdere la stessa energia basta che una ruota pesi 250 grammi in più».

Gli africani sono più leggeri degli europei (Kipchoge, maglia bianca, nel test Ineos per la maratona sotto le 2 ore)
Gli africani sono più leggeri degli europei (Kipchoge, maglia bianca, nel test Ineos per la maratona sotto le 2 ore)

Saper limare

«La reazione alla perdita di peso, varia da atleta ad atleta. Sostanzialmente c’è un bilancio tra forza motrice e zavorra.

«In fisiologia si fanno dei test di biompedenziometria. Ci sono bilance che specificano ogni aspetto del peso: quantità di acqua, muscoli, ossa… Pensate che oggi si analizza la densità ossea. E valutando questa densità puoi capire con più precisione quanto puoi “limare” sul quel soggetto, perché già una piccola differenza nell’insieme dello scheletro incide».

«Lo scheletro è quasi il 20% del peso del corpo umano. Una percentuale importante. Conoscendone l’esatto peso si sa quanto si può far dimagrire quell’atleta. Per esempio, se si prendono un uomo caucasico e un uomo kenyano con le stesse misure antropometriche quello kenyano pesa circa 3 chili in meno. Non è poco a certi livelli».

«Il corpo umano è una macchina perfetta e nella sua formazione incide ogni aspetto, ogni fattore. E uno di questi fattori è l’altura. Chi vive in quota ha una densità ossea leggermente inferiore, perché deve sopportare una colonna d’aria minore. Pertanto il suo scheletro ha una rigidità ottimale per quel peso dell’aria. 

«Ma se si si porta un corridore colombiano, che di solito vive in quota, al livello del mare, alla lunga la sua densità ossea diventerà come quella di un caucasico che già ci vive».

Due chili quindi contano, ma conta di più sapere che chili sono: soggetto, struttura ossea, tipologia del corridore, bilancio muscolare fra arti superiori e inferiori, velocità con cui si è perso peso…

Bardiani a Livigno per preparare il Giro under: vediamo come

23.05.2022
5 min
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Mentre i professionisti si preparano per affrontare l’ultima settimana del Giro e oggi si godranno il secondo giorno di riposo, gli under 23 si preparano al Giro d’Italia di categoria. Quest’anno la corsa partirà l’11 giugno da Riccione e si concluderà il 18 a Pinerolo. Abbiamo così voluto andare a spiare il lavoro di una delle squadre che parteciperanno al Giro Under 23. Bussiamo in casa Bardiani-CSF-Faizanè, ad aprire la porta c’è Pino Toni, coach che sta lavorando con il team di Rossato.

Toni 2022
Pino Toni sta seguendo i corridori della Bardiani under 23 verso il Giro d’Italia di categoria
Toni 2022
Pino Toni sta seguendo i corridori della Bardiani under 23 verso il Giro d’Italia di categoria

Parola d’ordine: programmazione

«I nostri under sono in altura a Livigno ormai da qualche giorno – dice Pino – alcuni in precedenza sono stati anche sull’Etna. Con il fatto che gli under in Bardiani possono fare solamente gare internazionali abbiamo preferito optare per fare dei carichi di lavoro. La differenza con i pro’ è che correndo meno, possono essere gestiti meglio e quindi programmare i lavori. Questo ci permette di poter far crescere i ragazzi con calma ma soprattutto di averli sempre sotto osservazione».

I corridori della Bardiani hanno corso molte più gare a tappe per migliorare il rendimento, in foto Marcellusi al Tour of Antalya
I corridori della Bardiani hanno corso molte più gare a tappe per migliorare il rendimento. Qui Marcellusi al Tour of Antalya

Un calendario differente

Una domanda che potrebbe sorgere spontanea è quanto differisca l’attività che gli under fanno in Bardiani rispetto a quella di una squadra under 23…

«Non serve correre tutte le domeniche per crescere e migliorare di condizione – riprende il coach – anzi. Quello che fa davvero la differenza è il calendario che siamo riusciti a costruire per questi ragazzi: tante corse a tappe e periodi di due settimane senza corse per avere il tempo giusto per lavorare in allenamento. Se si corre tutte le domeniche non si lavora mai in settimana e questo non permette di fare tutto quel che c’è da fare. 

«Vi faccio l’esempio di Marcellusi: lui la differenza l’ha fatta quest’anno perché ha avuto un salto di qualità anche nelle corse che è andato a fare. Ha gareggiato all’Antalya, all’Istrian Trophy ed alla Carpathian Race, tutte corse a tappe all’estero. Fare tanti giorni di corse a tappe ti permette di creare la condizione, di adattarsi allo sforzo. In gara i corridori trovano motivazione, hanno condizioni psicologiche differenti rispetto all’allenamento. L’adrenalina è il più grande antidolorifico che esista, ti permette di spingere oltre i tuoi limiti, cosa che non riesci a fare in allenamento. Tra correre una volta a settimana o fare 4 giorni di corsa cambia anche il valore del TSS (Training Stress Score) perché tiene conto anche della vicinanza degli sforzi».

La squadra di Reverberi ha corso anche nel Nord, qui Martinelli alla Freccia del Brabante
La squadra di Reverberi ha corso anche nel Nord, qui Martinelli alla Freccia del Brabante

L’allenamento specifico

Come detto i corridori della Bardiani, guidati da Rossato, sono a Livigno per prepararsi al Giro Under 23. Alla luce di queste considerazioni cosa cambia nell’allenamento e nell’avvicinamento alla gara?

«In questi giorni – racconta Pino – si sta lavorando in altura, i ragazzi fanno allenamenti specifici sulla forza, parametro che in gara tendono a perdere leggermente. Si fanno dei lavori sulla resistenza ma con meno ore, si fanno dei volumi un po’ inferiori di allenamento. In una giornata tranquilla si fanno al massimo 5 ore, in una più dura con dislivello sui 3.000 metri se ne fanno 3 di ore. La media di dislivello sui 10 giorni è 22.000 metri, si fanno pochi fuorigiri, quelli si fanno in corsa. Fondamentalmente in questi giorni si tratta di fare un richiamo di preparazione. Questi giorni servono principalmente ai ragazzi per capire a che livello sono rispetto ai propri compagni così da vedere da soli quali potranno essere le priorità all’interno della squadra durante il Giro».

«Una volta scesi – riprende – faranno qualche gara per mettere il ritmo corsa nelle gambe, se si lavora bene ne bastano un paio. Andranno al De Gasperi e alle Strade Bianche di Romagna».

L’ultima gara disputata dal gruppo giovani della Bardiani è stato il “Gran Premio Industrie del Marmo” vinto da Martinelli
L’ultima gara disputata dal gruppo giovani della Bardiani è stato il “Gran Premio Industrie del Marmo” vinto da Martinelli

Un Giro bello tosto

La scelta di andare a prepararsi a Livigno da parte della Bardiani non è casuale, infatti i ragazzi guidati da Rossato hanno approfittato per visionare la tappa numero 3, e le considerazioni non sono mancate.

«Rossato mi ha chiamato, è andato a vedere la tappa con partenza da Pinzolo e arrivo a Santa Caterina Valfurva». Il tono del coach si fa più serio. «Non mi sembra normale fare una tappa così dura. Si parla di fare corse rapportate alla preparazione del ragazzo e con la loro maturazione e poi metti una tappa da quasi 5.000 metri di dislivello? E’ un Giro molto duro, nel fare la squadra siamo un po’ “impiccati” perché i corridori da schierare sono 5 e noi ne abbiamo 6. Uno dei due primi anni, probabilmente Pinarello, lo farà. Sinceramente, se avessimo avuto ancora Trainini, Pinarello lo avremmo lasciato a casa.

«Una volta – racconta – quando si chiamava Giro Bio i primi anni non lo facevano nemmeno. Abbiamo corso tanto all’estero, ma una tappa con tanto dislivello non l’avevamo ancora trovata. E’ anche una questione di rispetto verso tutte le squadre che partecipano, tanto chi vince una tappa del genere la vince anche con 1.000 metri di meno…».

Alessandro Pinarello qui al Trofeo Piva potrebbe essere l’unico “primo anno” della Bardiani a partecipare al Giro Under 23
Alessandro Pinarello qui al Trofeo Piva potrebbe essere l’unico “primo anno” della Bardiani a partecipare al Giro Under 23

La squadra c’è

«Andremo al Giro con le migliori intenzioni, i corridori li abbiamo e punteremo a fare bene, Marcellusi potrà puntare a qualche tappa. Abbiamo ambizioni di classifica: c’è Martinelli, Nieri sta crescendo, avremo il velocista spagnolo. Ci sarà anche uno dei primi anni, come detto più Pinarello che Pellizzari. Sarà comunque una buona esperienza per loro. I due stanno crescendo bene, hanno corso con i pro’ e nelle gare 1.2. Il ritmo in corsa non sarà tanto differente rispetto a quando ci sono le squadre continental straniere o le development dei vari team WT. Sarà un bel banco di prova, vedremo poi chi ci sarà. Le convocazioni spettano a Rossato e Bruno Reverberi».

Sella più bassa? Comanda la ricerca (disperata) di forza

10.05.2022
5 min
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Vi ricordate, eravamo partiti da Thibaut Pinot e quanto pedalasse basso. Il francese aveva catturato la nostra attenzione al Tour of the Alps. In quei giorni lo avevamo visto dal vivo, sia nelle fasi di corsa che in quelle di contorno, come andare e tornare al foglio firma. E in effetti ci sembrava davvero basso di sella. Teoria rincarata da Adriano Malori.

Per non parlare poi di quella sua posizione tanto raccolta anche in termini di lunghezza. 

Qualcosa però che a ben analizzare non riguarda solo il corridore della Groupama-Fdj. In tanti pedalano qualche millimetro al di sotto dei canoni biomeccanici. Ma a questo punto ci siamo domandati se questi canoni siano ancora esatti. Ancora attuali. 

Posizione iper raccolta e bassa per Pinot, ma va detto che il francese da anni combatte col mal di schiena
Posizione iper raccolta e bassa per Pinot, ma va detto che il francese da anni combatte col mal di schiena

Parola a Mariano 

Alessandro Mariano è uno degli esperti in materia. Con lui già avevamo parlato qualche mese di argomenti simili, come per esempio la sella in avanti. E adesso torniamo a battere il chiodo sul discorso dell’altezza.

«La vostra sensazione – spiega Mariano – è corretta. Avevamo già parlato più o meno di questo discorso, che infatti è strettamente legato all’avanzamento della sella stessa.

«C’è questa tendenza di abbassare la sella perché sono cambiate le strategie di allenamento. Poi Pinot lo fa in modo esagerato, ma anche altri l’hanno abbassata. Mediamente, almeno guardando i mei corridori si è scesi di 3-5 millimetri, ma c’è anche chi è arrivato ad 8».

«Portare la sella in avanti o abbassarla implica un maggior lavoro del quadricipite. Oggi sono molto sviluppati. Questo perché? Perché si va a prendere la forza dove c’è… Di riflesso è qualcosa che vogliono anche gli amatori, ma gli si fa del male. Perché questa posizione va a sovraccaricare ginocchia e tendine rotuleo. Il che, in teoria, non va bene neanche per un pro’. A loro però una vittoria cambia la vita, la ricerca della prestazione è centrale. E poi non lo devono fare per tutta la vita».

Senza contare, aggiungiamo, che sono seguiti da staff medici.

Anche VdP pedala piuttosto basso di sella. La ricerca della forza vale anche per lui
Anche VdP pedala piuttosto basso di sella. La ricerca della forza vale anche per lui

Parola a Toni

Mariano tira in ballo la preparazione e allora abbiamo ascoltato anche un preparatore. E uno dei più attenti al discorso legato alla biomeccanica è Pino Toni.

La cosa bella è che i due tecnici, seppur di settori differenti, parlano esattamente la stessa lingua. Toni conferma quel che sostiene Mariano.

«Personalmente – spiega Toni – non ho mai consigliato di abbassare la sella, ma c’è chi lo ha fatto. Per quel che mi riguarda accade maggiormente nei biker. Io seguo anche Josè Dias, un biker potente. Lui ha abbassato la sella e ha anche cambiato preparazione e qualche crampo lo ha avvertito. Questo perché quando i muscoli sono fortemente sollecitati, si accorciano. Pertanto ci sta che abbassino la sella per ridurre queste estensioni».

Ma in cosa è cambiata la preparazione? Si è detto che oggi i corridori vanno più agili: è in questa direzione che è cambiata? E sempre per questa motivazione si è ridotta l’altezza della sella? Anche in questo caso Toni fa chiarezza: la questione dell’agilità è marginale.

«Oggi – spiega il tecnico toscano – serve più potenza, più energia. Per fare un esempio, oggi un corridore di 65 chili che fa 400 watt alla soglia non dico che non va da nessuna parte, ma è uno dei tanti. Sono i numeri che lo dicono. Per forza di cose, andando a cercare la forza là dove ce n’è di più (sul quadricipite, ndr) mi devo abbassare, devo creare più energia, più efficienza muscolare».

«Poi il discorso dell’agilità a me in quanto preparatore paradossalmente riguarda fino ad un certo punto (nell’ambito di questo discorso, ndr). Non si tratta di andare agili o duri, si tratta di fare forza, di sviluppare energia. Se poi lo si fa con l’alta o bassa cadenza non cambia».

Esercizi come i balzi contribuiscono alla forza esplosiva, quella di cui c’è più bisogno e che più accorcia la muscolatura
Esercizi come i balzi contribuiscono alla forza esplosiva, quella di cui c’è più bisogno e che più accorcia la muscolatura

Comanda la forza

Sia Toni sia Mariano pertanto dicono che alla base c’è la ricerca della forza. Non si abbassa quindi la sella perché si va più agili, ma perché si deve sviluppare più forza. E i muscoli che si sviluppano di più sono i quadricipiti.

Anche per questo motivo Mariano aggiunge una nota molto interessante. «L’abbassamento della sella riguarda soprattutto i corridori potenti, i passisti veloci, quelli da classiche. Sono loro che spingono di più, che sviluppano più forza e chiamano in causa i quadricipiti. Ma si vede ad occhio nudo. La muscolatura dello scalatore è più allungata, lavora di più col bicipite femorale e anche col polpaccio».

«Già 25 anni fa in Telekom – conclude Toni – dicevano, quando si parlava di biomeccanica, che non si trattava solo di misure degli arti, ma anche d’intersezione dei tendini (altro cavallo di battaglia anche di Mariano, ndr). Una biomeccanica fisiologica dell’atleta, se così possiamo dire. Non è detto infatti che due corridori che hanno la stessa lunghezza di femore abbiano gli stessi attacchi tendinei.

«Questo per dire che alcune caratteristiche poi non possono essere cambiate: chi va duro, va duro. E chi va agile, va agile. Sì, ci si può lavorare, ma non si può stravolgere». 

Tolio paga cara la Strade Bianche, ma prenota una grande estate

05.05.2022
4 min
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Parlando con Marco Selleri dei corridori ammessi al prossimo Giro d’Italia U23, avuta la certezza che probabilmente avremo al via la superba accoppiata francese GregoireMartinez, è stato con una certa sorpresa che abbiamo accolto una defezione, quella di Alex Tolio, sottolineata dallo stesso organizzatore della corsa.

«Per quelli che sono già professionisti – ha detto – conta solo che non abbiano partecipato a gare WorldTour. I due francesi non lo hanno fatto, invece Tolio, che l’anno scorso fu il migliore della Zalf, lo hanno portato alla Strade Bianche, quindi il Giro non potrà farlo».

Nel 2021, Tolio ha chiuso il Giro U23 in 11ª posizione ad appena un secondo dal 10° posto (foto Scanferla)
Nel 2021, Tolio ha chiuso il Giro U23 in 11ª posizione ad appena un secondo dal 10° posto (foto Scanferla)

Una brutta sorpresa

Memori della conversazione con Cassani di qualche settimana fa sull’importanza di fare certe corse più di una volta per mettersi alla prova, siamo andati dritti dal corridore vicentino della Bardiani-CSF per sapere come vadano le cose e come abbia preso la notizia.

«Non sapevo che correndo la Strade Bianche – ammette – non avrei fatto il Giro. Ci sono rimasto un po’ male, perché il mio obiettivo era trovare la condizione proprio per quel periodo. Ma l’obiettivo resta invariato, non ci perderò il sonno. La mia strada va avanti a prescindere. Perciò domenica correrò il GP Industrie del Marmo, poi il 12 maggio andrò per quindici giorni a Livigno con la squadra, preparando la seconda parte di stagione».

Nel 2021, Tolio ha vinto la Piccola Sanremo di Sovizzo (foto) e la Strade Bianche di Romagna (foto Scanferla)
Nel 2021, Tolio ha vinto la Piccola Sanremo di Sovizzo (foto) e la Strade Bianche di Romagna (foto Scanferla)
Non sei ancora in vacanza, insomma…

No, no, sono a casa e svolgo allenamenti regolari (ride, ndr). Devo ammettere che ho avuto un inizio di stagione più difficoltoso. Non ho avuto particolari problemi, è andato tutto liscio. Ugualmente sono stato sotto tono, ma ultimamente sto migliorando corsa dopo corsa.

Come sta andando il debutto nel nuovo team?

Finora ho avuto la possibilità di fare belle esperienze. Mi sono divertito e ho fatto tanta fatica. Soprattutto alla Coppi e Bartali dove, a detta di corridori ben più esperti, abbiamo trovato un dislivello importante. Mi sono fermato come previsto l’ultimo giorno, perché la domenica dovevo correre a San Vendemiano e volevamo arrivarci avendo recuperato un po’.

Come ti trovi con Rossato in ammiraglia?

Ha una grande passione e non ci mette pressione, scusate il gioco di parole. A tavola si scherza, poi però in corsa siamo tutti con grande motivazione. Si vede che Mirco ci sa fare con i giovani, capisce bene la nostra età. Ma insieme si vede che è abituato anche a lavorare nel professionismo.

Il 2021 ha visto la Zalf di Faresin, a sinistra, vincere anche il tricolore con Benedetti
Il 2021 ha visto la Zalf di Faresin, a sinistra, vincere anche il tricolore con Benedetti
Cosa è cambiato rispetto allo scorso anno?

La prima differenza grande è stata la preparazione invernale. Dopo anni a lavorare nella zona di casa, dovendomi adattare al freddo e cercando di sfuggire alla pioggia, ho fatto due bei blocchi di lavoro in Spagna. La stessa preparazione è stata gestita in modo diverso, perché le condizioni meteo favorevoli ci hanno permesso di fare salite e lavori che in Italia non sarebbero stati possibili.

Sei passato dalla preparazione di Faresin a quella di Pino Toni?

Esatto, è un anno nuovo, sto cambiando i miei riferimenti. Con Faresin avevo ed ho ancora un ottimo rapporto. Ho fatto tre anni da U23 e si è creato un bel legame, non solo a livello tecnico e agonistico. A Gianni mi potevo appoggiare, è uno di famiglia, passavamo tanto tempo insieme e i risultati sono sempre venuti. Sa cosa vuol dire andare in bici e secondo me fa una grande differenza.

Nel 2022 Tolio ha corso parecchio tra i pro’: Antalya, Coppi e Bartali, Gran Camino, Laigueglia, Freccia del Brabante
Nel 2022 Tolio ha corso parecchio tra i pro’: Antalya, Coppi e Bartali, Gran Camino, Laigueglia, Freccia del Brabante
Invece con Pino?

La prima differenza che vedo è che nei tre anni da U23 lavoravo molto sul fondo, lavoro lungo e tanto medio. Ora invece si fa più specifico e più intensità, anche se non mancano uscite più lunghe. Può darsi anche che l’inizio un po’ faticoso sia dovuto al fatto che il mio fisico usciva da tre anni a un certo modo e si è dovuto adattare al nuovo metodo di lavoro. All’inizio è stato impattante, mentre già al Liberazione ho percepito il cambiamento.

In che termini?

Di brillantezza. Non ho mai avuto problemi di fondo, ma ogni volta che si apriva la corsa, a me mancava qualcosa. Invece a Roma ho notato che riuscivo ad accelerare e a starci dentro. Per questo vediamo come va domenica al Marmo e poi non vedo l’ora di ripartire dall’altura. Giro o non Giro, ho tanta strada da fare.

Per vincere bisogna cogliere il picco di forma. E non è facile…

26.02.2022
6 min
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Con l’Omloop Het Nieuwsblad inizia oggi la stagione delle classiche. Da Gent sede della Omloop, appunto, a Liegi saranno due mesi intensi. Un’altalena fra monumenti, grandi corse e corse di un giorno meno importanti che comunque danno prestigio… e gamba. Già, la gamba. Ne servirà tanta. Ma come ci si prepara? Stare in condizione per due mesi non è facile. Non è facile mantenere il famoso picco di forma.

E quest’anno con lo slittamento della Parigi-Roubaix più avanti è ancora più difficile. Gli altri anni di solito, nella prima parte andavano di scena i bestioni da pavé e poi toccava agli assi delle “cotes”. Davide Ballerini che lo scorso anno vinse proprio l’Het Nieuwsblad ha detto che entrerà in gara un po’ più tardi proprio per non perdere energie in vista della Roubaix. La vuole centrare in pieno.

Pino Toni da quest’anno segue la preparazione della Bardiani Csf Faizanè
Pino Toni da quest’anno segue la preparazione della Bardiani Csf Faizanè

Bisogna allora concentrarsi sul picco di forma. Che nel ciclismo moderno è sempre più importante per fare la differenza. Una differenza sempre più sottile e complicata da cogliere. E lo facciamo con Pino Toni, coach di lungo corso e oggi coordinatore dei preparatori della Bardiani Csf Faizanè.

Pino, prima di tutto: cos’è il picco di forma?

Il picco di forma è quello che ti permette di raggiungere il massimo delle tue prestazioni. Ma dipende da moltissime cose, come l’obiettivo per cui lo si vuol raggiungere. Se è per una prestazione secca, per un giorno… è difficilissimo da cogliere. Tu puoi stilare il tuo programma di avvicinamento, le tue tabelle, ma poi bastano “mezza malattia”, cinque giorni di pioggia che non ti consentono di allenarti al meglio e già si mette tutto in discussione. Quindi non dipende totalmente dal corridore.

E se invece si punta ad un grande Giro?

E’ un po’ più “facile”. Volendo puoi programmare il tuo picco anche durante quelle tre settimane. Puoi costruire la tua condizione durante la corsa. E puoi scegliere: puoi decidere di presentarti alla prima tappa già al top o cercare di arrivare con più energie all’ultima settimana, che solitamente è la più dura e la più decisiva.

Davide Ballerini re dell’Omloop Het Nieuwsblad dello scorso anno vuol dosare al meglio le energie per essere super alla Roubaix
Ballerini re dell’Het Nieuwsblad dello scorso anno vuol dosare al meglio le energie per essere super alla Roubaix
Però abbiamo visto che in questi ultimi anni a decidere è stata la seconda settimana e non l’ultima. Nella terza spesso i valori sono più livellati. Guardiamo Bernal e Pogacar lo scorso anno…

Perché nella terza controlli: cambiano le tattiche, anche di testa se non ne hai bisogno ti poni in altro modo. E poi se c’è l’occasione di attaccare la devi cogliere, anche se è alla seconda settimana.

Quanto dura la finestra temporale del picco?

Di base direi una settimana o poco più, ma dipende da tante cose. Quanto stai correndo? E’ una corsa a tappe? Perché puoi puntare ad aver un picco super o anche un picco di forma che miri a limitare l’accumulo di fatica. Faccio un esempio: lo scorso anno Damiano Caruso al Giro d’Italia alla terza settimana non era più forte che all’inizio, ma erano gli altri che erano calati. Lui aveva recuperato meglio.

Quindi nel caso di Ballerini tra Fiandre e Roubaix, o per altri corridori magari che puntano alle Ardenne si può essere al top per tutto il periodo che gli interessa?

Sì. Ci sono stati corridori che in otto giorni, da domenica a domenica, hanno vinto grandi classiche. Diciamo che alternando corse di un giorno e il recupero si può arrivare a 15 giorni. In un grande Giro invece, punti ad avere un altro tipo di picco. Un picco che più che alla prestazione miri al recupero. Per esempio imposti una preparazione che prevede una grande base aerobica. Magari hai punte di prestazione leggermente inferiori, ma recuperi meglio. E il recupero è il “Sacro Graal” per chi mira alle corse a tappe.

Gilbert, come Rebellin qualche anno prima, nel 2011 ha vinto Amstel, Freccia (in foto) e Liegi in una settimana
Gilbert, come Rebellin qualche anno prima, nel 2011 ha vinto Amstel, Freccia (in foto) e Liegi in una settimana
La tecnologia consente di arrivare al meglio più facilmente oggi…

Sì, ma per me incidono molto anche le motivazioni nel discorso del picco di forma. Alcuni corridori dicono prima del via: questa è la mia corsa. Per tanti motivi: economici, per aspettative del team, per motivi personali… Ricordo nella Vuelta del 2012 che Contador fece fare delle magliette con su scritto: “E’ la mia Vuelta”. E le fece fare all’inizio, non a Madrid. Alberto rientrava dalla squalifica. Era super convinto e motivato. Andò a fare l’Eneco Tour… vi rendete conto: Contador all’Eneco, una corsa in cui non ci azzecca niente…  E sì che aveva di fronte il miglior Purito Rodriguez di tutti i tempi.

Quanti picchi si possono fare in una stagione?

Oggi direi non più di due. Ma anche in questo caso dipende da tanti fattori: motivazioni, capacità di recupero, calendario. Se tu, come Ballerini, prevedi un picco in primavera, poi diventa più difficile trovare le stesse motivazioni per il resto della stagione. Pensateci: finiscono le classiche e poi stacchi. E cosa c’è? Il Giro, Il Tour… Non fai il picco per il Lombardia. Il Lombardia non si programma. Al Lombardia si arriva con le energie al lumicino. Poteva programmarlo Bartoli, ma perché aveva grandi motivazioni. 

Il secondo picco per il cacciatore di classiche dipende molto dalle caratteristiche del mondiale…

Sì, ma nel mezzo se non ha ambizioni di classifica nei grandi Giri come trovi le motivazioni giuste per lavorare? Perché per raggiungere il picco devi lavorare duramente. Le motivazioni, ripeto, sono fondamentali, soprattutto se nel primo picco hai raccolto i risultati.

Lo scorso anno Caruso emerse nella terza settimana perché era meno affaticato di tanti altri
Lo scorso anno Caruso emerse nella terza settimana perché era meno affaticato di tanti altri
Perché? Se non hai raccolto quanto pensavi non dovresti essere più motivato, più “arrabbiato”?

Se hai fatto bene sei più sicuro di te stesso e mentalmente al via ti poni in una fascia alta tra i pretendenti.

A livello di numeri qual è il picco che dà più watt?

Non si tratta solo di watt. Il picco è quello stato psicofisico che ti permette di staccare gli altri e non è sempre apprezzabile dagli strumenti. E’ un qualcosa di fisiologico. Da come si è capito, in quei giorni di ottima forma l’organismo reagisce meglio agli sforzi nel suo insieme. Tu, per esempio, puoi fare i tuoi migliori valori sui 20′ in un altro momento ma magari avevi solo svolto il riscaldamento e poi il test. Quando sei nel picco puoi farlo anche dopo 3-4 ore di gara, perché hai l’energia giusta.

Energia giusta…

Sì, perché il picco è una condizione fisiologica. E’ la tua chimica. E’ la tua chimica che ti permette di utilizzare al meglio gli zuccheri per le gambe e per il cervello, hai un’altra attenzione mentale, una certa sicurezza, ti senti forte… la tua chimica è perfetta.