Altre lacrime, altre spallate. E intanto arriva Dainese

03.07.2022
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Groenewegen, Van Aert, Philipsen e Sagan. Settimo Dainese. La terza tappa del Tour si è snodata in una cornice di pubblico pazzesca, ma già stasera i corridori hanno lasciato la Danimarca alla volta della Francia. In lacrime davanti ai giornalisti, il vincitore di giornata si racconta così.

«E’ stata una lunga strada – dice Groenewegen, il giorno dopo parole simili di Jakobsen – voglio ringraziare la mia squadra, la mia famiglia e i miei amici per avermi riportato al Tour in buona forma. Fisicamente il ritorno non è stato difficile, mentalmente potete immaginarlo. Questa vittoria è per mia moglie e mio figlio, con cui ho passato il tempo dopo tutto quello che è successo. Questo successo significa molto per me».

La Danimarca saluta il Tour con una folla pazzesca: questa è vera passione
La Danimarca saluta il Tour con una folla pazzesca: questa è vera passione

Il gruppo compressore

Fatto salvo Magnus Cort in fuga per tutto il giorno, il gruppo prima ha lasciato fare e poi si è messo a divorare chilometri, largo come un rullo compressore, occupando tutta la strada. Modo cervellotico e rischioso di avanzare. Basta una sbandata e si cade, cosa che puntualmente accade. Questa volta a 7 chilometri dall’arrivo ne hanno fatto le spese con 39 secondi di passivo Jack Haig, Guillaume Martin e Uran. Ma nessun leader vuole rimanere senza compagni attorno e così la testa del plotone si allarga e non molla un centimetro. Quello più smaliziato è Pogacar, che magari capisce l’inutilità di formare gruppi nel gruppo e finora se l’è sempre cavata da solo.

Lo show (inutile) di Van der Poel

Poi a circa tre chilometri dalla fine, fuoco e fiamme. Comincia Van der Poel, che mette in mostra i muscoli a fondo perduto. Nel senso che strina il gruppo per 700 metri e poi si sposta, lasciando i compagni a vedersela con la maggior solidità della Quick Step. Solo che questa volta Morkov è solo e deve spostarsi, lasciando via libera a Van Aert, Sagan, Groenewegen e Philipsen, bravo a rimanere a galla. E poi settimo, a margine degli… scambi di vedute fra Sagan a Van Aert, arriva Dainese, debuttante del Tour. E questa, dopo il nono posto di Mozzato nella tappa di ieri, è una notizia.

Ieri Dainese era rimasto coinvolto nella caduta a 25 chilometri dall’arrivo. Oggi ha corso con le botte addosso.
Ieri Dainese era rimasto coinvolto nella caduta a 25 chilometri dall’arrivo. Oggi ha corso con le botte addosso.

Dainese cresce

Ieri era caduto assieme a Mozzato sul ponte a 25 chilometri dall’arrivo, ma a lui era andata peggio rispetto al vicentino. Figurarsi, sono entrambi del 1998 e dopo una carriera spalla a spalla nelle categorie giovanili, ritrovarsi al Tour, a condividere il debutto e i rischi della corsa, è qualcosa di speciale.

«Di 200 chilometri ce ne saranno stati 20 senza pubblico – sorride – mentre lo stress per tenere le posizioni non è mai venuto meno. E’ stata una giornata un po’ più rilassata rispetto a ieri, ma in finale è tornato il caos. Eravamo insieme a tutta la squadra e i ragazzi hanno corso molto bene. Negli ultimi chilometri siamo stati sempre davanti ed abbiamo evitato le cadute, quindi è stato un buon lavoro. Bardet, Degenkolb ed Eekhoff mi hanno portato in una buona posizione nell’ultima curva.

Il periodo nero è alle spalle. e dopo Jakobsen, il Tour premia Groenewegen
Il periodo nero è alle spalle. e dopo Jakobsen, il Tour premia Groenewegen

«Poi ho aspettato un po’ troppo dietro Jakobsen – precisa – ma siamo rimasti chiusi a destra. Così non ho potuto realmente fare il mio sprint. Ma le sensazioni sono state buone, considerano le botte di ieri. Peccato per gli ultimi 200 metri, ma la prossima volta cercherò un risultato migliore. La volata davanti? Van Aert ha deviato un pochino, ma nei limiti…».

Sagan-Van Aert, déjà vu

Non è la prima volta che Sagan e Van Aert si scontrano al Tour de France. Nell’undicesima tappa del Tour 2020, a Poitiers, Van Aert fu toccato da Sagan, che poi venne declassato. La tappa andò a Caleb Ewan e quella volta fu il belga a… celebrare lo slovacco, ma con il dito medio.

«Ero in una posizione molto buona – dice questa volta Sagan – ma sono stato fermato. Quei movimenti di Van Aert sono stati brutti. Quel dito era destinato anche a lui, lo sa bene. Dopo non c’è stato tempo per parlargli. Alla fine sono arrivato quarto, per adesso va bene».

Van Aert, per la terza volta consecutiva secondo, dice di non essersi reso conto di aver danneggiato Sagan e delle sue rimostranze.

«No, non mi sono sentito – dice la maglia gialla – come se stessi facendo qualcosa di sbagliato. Ho visto Peter superarmi dopo lo sprint. Ho visto che provava a dire qualcosa, ma a causa del rumore non sono riuscito a capirlo. Non mi ero accorto che si stesse lamentando. Non so cosa sia successo».

Qualcosa ci dice che la rivincita se la prenderanno nella tappa del pavé. Gli uomini del Nord ci stanno arrivando con il coltello fra i denti. Ma noi per oggi ci teniamo stretto il piazzamento di Dainese, come ieri quello di Mozzato. Le nuove leve avanzano. Magari un giorno diremo che bastava semplicemente aspettarli.

Sagan, il ritorno e il Covid che non fa più paura

28.06.2022
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Dopo la vittoria al Giro di Svizzera, per Sagan è arrivato il campionato nazionale slovacco e nel mezzo è venuta anche un’altra dose di Covid. Il virus cambia forma e di riflesso varia anche l’atteggiamento delle squadre. In altri tempi, la squadra avrebbe fermato Peter, tenendolo a casa dal Tour. Oggi, fatte le necessarie verifiche, il programma va avanti. Le direttive UCI sono identiche, è cambiato l’atteggiamento.

Sagan ha raccontato questi giorni al belga Het Nieuwsblad, proprio lasciando intuire il diverso approccio con quel che gli è capitato. E la leggerezza del contagio.

Sagan ha dovuto abbandonare la primavera per le notevoli difficoltà fisiche che accusava
Sagan ha dovuto abbandonare la primavera per le notevoli difficoltà fisiche che accusava
Peter Sagan, stai di nuovo bene?

Sì, il contagio al Giro della Svizzera è stato un altro conto da pagare, un’altra gara che non ho potuto finire. Per fortuna questa volta non ho avuto nessun sintomo, una grande differenza rispetto alle volte precedenti. Ho potuto correre il campionato slovacco senza problemi.

Diversamente dalla tua catastrofica primavera, perché hai staccato la spina prima del Giro delle Fiandre?

Molto difficili. Non riuscivo a venirne a capo. Non ho capito neanche io cosa mi è successo. La mia forma era pessima, mi sentivo stanco, non funzionava niente… Alla lunga non riuscivo nemmeno a finire le gare più facili. Non era normale.

Hai parlato di un dolore alle gambe che non avevi mai provato.

Non era tanto il dolore, quello sulla bici lo sento ogni giorno. Era proprio il momento in cui iniziavo a pedalare. Se stai pedalando a 400 watt, il mal di gambe ci può stare. Ma io stavo già male quando pedalavo a malapena a 250 watt. Questa era la cosa strana.

La vittoria di tappa in Svizzera è stato per Sagan il primo modo per ripagare la nuova squadra
La vittoria di tappa in Svizzera è stato per Sagan il primo modo per ripagare la nuova squadra
Eri sicuro che fosse correlato alle conseguenze del Covid di gennaio?

Così mi hanno detto i dottori. Ho fatto un esame medico dopo l’altro. Ovunque il risultato è stato lo stesso: post-Covid. Mi stava bene, avevo solo bisogno di tempo e pazienza. Lo so: molte persone pensano che sia una scusa, ma ognuno reagisce in modo diverso. Per alcuni è un grosso problema, per altri no. A quanto pare appartengo alla prima categoria. Inoltre, la maggior parte delle persone, torna al lavoro dopo due settimane. Sono un po’ stanchi, ma è tutto ciò che si può vedere. E’ diverso se, come me, hai bisogno del tuo corpo per lavorare. Le polemiche non cambiano quello che ho sentito io. Nessuno può guardare dentro il mio corpo.

Eri preoccupato che le cose non sarebbero mai andate bene?

Non proprio. Lo sapete, non mi preoccupo mai delle cose che non posso cambiare. Nemmeno adesso. Ero felice di qualsiasi progresso. Ma se non fosse stato così… Devi prendere la vita come viene: non preoccuparti troppo del futuro, meglio vivere nel presente.

Anche Vlasov ha preso il Covid al Giro di Svizzera, ma come Sagan anche lui correrà il Tour
Anche Vlasov ha preso il Covid al Giro di Svizzera, ma come Sagan anche lui correrà il Tour
Quando hai sentito il cambiamento?

Durante il mio ritiro in quota a maggio, in America. Lì ho notato che gradualmente tutto sembrava di nuovo normale. Il mio corpo reagiva come al solito, recuperavo dopo uno sforzo, mi sono sentito di nuovo bene… Poi era solo questione di tempo. E la dimostrazione c’è stata in Svizzera. Non ho intenzione di dire che sono completamente tornato, ma quella vittoria di tappa è stata bella.

Basterà per essere protagonista al Tour?

Vedremo, ma sono decisamente pronto. Una volta iniziato, vivrò giorno per giorno. Puoi pianificare quanto vuoi, ma dopo il primo giorno, tutto può essere diverso da quello che avevi in mente.

Van Aert punta decisamente alla maglia verde. Tu sai cosa significa…

Non è una cosa che puoi programmare. Ho vinto alcune maglie verdi. In certi anni non ero al meglio e l’ho vinta facilmente. Altri anni ero al top della forma e ho dovuto lottare fino all’ultimo giorno. Possono succedere tante cose in 21 giorni. Ma una cosa è certa. Van Aert è al top della forma. Se pedala come sta facendo da mesi, può vincerla davvero. Può vincere gli sprint, può andare forte in montagna… Può fare tutto. Non ci sono molti corridori di quel calibro. Van Aert, Van der Poel… Non vedo proprio nessun altro.

Non Sagan?

Vedremo. Proverò sicuramente. Ma la pressione stavolta non è su di me.

Corri il Tour per la prima volta con Total Energies, una squadra francese. Una grande differenza?

Non proprio. Per loro è la competizione più grande e importante del mondo. Ma non è così per ogni squadra? Spero solo di poter restituire qualcosa. In tutto quello che mi è successo in primavera, la squadra mi ha sempre supportato al cento per cento.

Il viaggio di Oss e Sagan: gravel negli States, vittoria in Svizzera

15.06.2022
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Dalla polvere all’asfalto. Da momenti difficili, alla gioia della vittoria. Ancora una volta Daniel Oss e Peter Sagan sono andati a segno. Ieri lo slovacco ha vinto al Giro di Svizzera, lasciandosi alle spalle uno dei momenti più duri della sua carriera.

Lui e Oss, ormai amici inseparabili, erano stati negli Stati Uniti per allenarsi. Ma prima di rientrare in Europa hanno preso parte al Unbound Gravel, evento importantissimo Oltreoceano. 

I due portacolori della TotalEnergies hanno pedalato su una Specialized Crux
I due portacolori della TotalEnergies hanno pedalato su una Specialized Crux

Oss: parola mantenuta

Quello delle “altre attività” era un discorso che Oss e Sagan avevano messo sul piatto nel momento in cui erano approdati alla TotalEnergies. «Vogliamo divertirci e provare nuove esperienze», ci aveva detto Oss lo scorso autunno. Sono stati di parola.

«Eh sì – racconta Daniel – siamo riusciti a farlo. L’Unbound Gravel ha coinciso con il ritiro in altura nello Utah. Poi era nell’aria. La data coincideva con il termine del training camp, Specialized ha preso l’iniziativa e quindi abbiamo detto: andiamo! Ed è stato figo.

«La nostra idea era di “non fare la gara”. Nel senso che non partecipavamo per vincere, ma per stare con la gente. Per divertirci e anche per capire come funzionasse davvero, anche in ottica futura. Io per esempio sto vedendo la Transicnusa, in Sardegna. Dei ragazzi mi hanno contattato ed è interessante. Sui social ho seguito la Bam! che c’è stata a Mantova…».

Oss e Sagan impegnati all’Unbound Gravel. Nel finale la pioggia ha trasformato la polvere in fango (foto Instagram)
Oss e Sagan impegnati all’Unbound Gravel. Nel finale la pioggia ha trasformato la polvere in fango (foto Instagram)

A studiare…

Ad Emporia, sede dell’evento nel Kansas, questo grande circus ha visto la presenza di migliaia di appassionati provenienti da tutto il mondo. Oss ci ha detto che al momento è l’evento ciclistico più grande degli States.

«C’erano cinque percorsi – riprende Oss – da 25, 50, 100, 200 miglia e quello XL da 350 miglia, che si faceva in un paio di giorni. Noi abbiamo preso parte a quello da 100 miglia, che sono circa 160 chilometri. 

«Il loro spirito è totalmente diverso. C’è il concetto di challenge, di sfida con se stessi. Di avventura in questo territorio così vasto. Per esempio il percorso non era molto frecciato. Bisognava arrangiarsi con il Gps e con la mappa. Al centro non c’era la prestazione. 

«La gente che vi prende parte non si allena tutti i giorni. Anche quando siamo partiti, l’andatura non è stata forte. Non cera cattiveria in gruppo».

«Io e Peter non sapendo come funzionasse, all’inizio siamo partiti davanti. Anche per una questione di sicurezza. Ma non si andava a 50 all’ora. Si andava sui 30-35. Poi dopo il primo “zampellotto”, poco più di un cavalcavia, siamo rimasti in 20 o poco più.

«Nei punti dove c’era l’acqua o l’assistenza ci siamo fermati. Abbiamo fatto selfie con la gente. Abbiamo parlato con loro. Peter ha anche avuto un problemino col manubrio e lo ha sistemato. Abbiamo preso il caffè e fatto rifornimento. Insomma è stato figo. Se dovessi rifarlo da ciclista semplice con gli amici, mi organizzerei con lo zaino. Uno porta il cibo, l’altro le camere d’aria e gli attrezzi, un altro ancora l’acqua…

«E comunque alla fine è stato un buon allenamento. Venivamo, come detto, dall’altura ed è stato un buon intermezzo».

Quasi quattro settimane di altura per Oss e Sagan a Park City, località sulle Rocky Mountains statunitensi (foto Instagram)
Quasi quattro settimane di altura per Oss e Sagan a Park City, località sulle Rocky Mountains statunitensi (foto Instagram)

Dalla polvere all’asfalto

Oss era dunque con Sagan in ritiro in altura. Erano ai 2.200 metri di Park City, nota località della Coppa del mondo di sci alpino. E ci sono stati per un bel po’.

«Quasi quattro settimane – spiega Oss – Dormivamo a 2.200 metri e ci allenavamo tra i 1.800 e i 3.000 metri. In pratica con una salita arrivavi su Plutone! E si sentiva tutta la quota… E’ servito un bell’adattamento.

«Poi Peter che è un fenomeno l’ha assorbita subito, io ci sto mettendo un po’ di più, ma sento di essere sulla buona strada. Manca un po’ il ritmo corsa. Passare dalla Mtb (in ritiro hanno usato anche la ruote grasse, ndr) alle gare non è facilissimo per me. Peter ci è più abituato».

Ieri a Grenchen, Sagan ha ottenuto la prima vittoria con la TotalEnergies. Felicità per tutto il clan francese
Ieri a Grenchen, Sagan ha ottenuto la prima vittoria con la TotalEnergies. Felicità per tutto il clan francese

Vittoria importante

E la vittoria di ieri a Grenchen è stata più importante di quel che si possa pensare. Oss racconta i momenti difficili del campione slovacco.

«Sono, anzi siamo, veramente contenti del successo di ieri – spiega Oss – Peter si è impegnato tanto per riprendersi. Ha lavorato un sacco. Ha sofferto tanto per il Covid, è stato fortemente messo in discussione e non è stato facile mettere tutto da parte. Per questo è stata una vittoria importante.

«Ieri ho visto tutti volti felici al ritorno sul bus. C’era Paul Ourselin che ha tirato tutto il giorno che aveva un sorriso da orecchio ad orecchio. E anche io sono rimasto molto soddisfatto del lavoro fatto da tutto il team».

«Una liberazione dalle pressioni? Mah, la squadra non ci ha messo poi tanta pressione. Era più per Peter proprio, per il suo morale. Si è ritrovato dall’andare forte al pedalare col dolore ai polmoni.

«E poi quando vince il capitano, va sempre bene. Va bene per tutta la squadra.

«Adesso guardiamo al Tour de France con tranquillità. Possiamo fare bene. Non abbiamo visto nessuna tappa, neanche quella del pavé, perché con Peter non si guarda mai prima. Si va e si scopre il percorso giorno per giorno!».

Due parole con Ralph Denk prima della sbornia rosa

30.05.2022
4 min
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In barba a ogni possibile scaramanzia e rendendoci conto che avrebbe preferito parlare a giochi chiusi, alla partenza della crono di Verona abbiamo intercettato Ralph Denk, capo della Bora-Hansgrohe, classe 1973 e un passato da atleta.

Addio a Sagan

L’uomo coi baffi a un certo punto, scaduto il contratto di Sagan e del suo gruppo, ha deciso di voltare pagina e nel giro di pochi mesi ha cambiato completamente faccia alla squadra. Via gli uomini da classiche, porte aperte agli scalatori. Unica eccezione, il ritorno di Sam Bennett, dopo la turbolenta avventura alla Quick Step. Sono arrivati fra gli altri Vlasov, Hindley e Higuita che, sommati a corridori come Kelderman, Buchman, Fabbro e Aleotti hanno composto la spina dorsale di un gruppo votato ai grandi Giri.

Sull’ammiraglia sono arrivati Rolf Aldag dalla Bahrain Victorious ed Enrico Gasparotto, pescato con grande intuito dopo un anno alla Nippo-Provence di Robert Hunter e Marcello Albasini, vivaio della Ef Procycling.

Alla partenza del Tour 2019, Sagan con Schachmann, Sagan, Buchman e Konrad
Alla partenza del Tour 2019, Sagan con Schachmann, Sagan, Buchman e Konrad

«Penso che non tutti nel mondo del ciclismo o tra i fans – spiega Denk a bocca stretta – abbiano capito quello che abbiamo fatto e qualcuno non ha capito perché abbiamo lasciato andare Peter Sagan. Ma alla fine avevamo un piano chiaro, una chiara strategia. Tanta gente attorno al team ha una grande passione e una grande motivazione per questo progetto ed è molto bello vede come il piano abbia funzionato dopo neanche mezza stagione».

Il progetto Giri

Certe cose non si fanno per caso o perché il capo s’è stancato del team per com’era. Attuando un semplice gioco di squadra e tracciato il bilancio ormai insoddisfacente degli ultimi tempi, si è spostata l’attenzione sulle gare a tappe.

«Abbiamo valutato, parlando con i nostri main sponsor – spiega Denk – che i grandi Giri e le corse a tappe hanno un valore commerciale superiore rispetto alle classiche, specialmente in Germania. Non abbiamo una cultura ciclistica come in Italia o in Belgio. Se chiedi a qualunque tifoso tedesco, non sa cosa sia la Liegi-Bastogne-Liegi, ma conoscono molto bene il Giro d’Italia e conoscono molto bene il Tour de France. E questo è il motivo per cui ci siamo concentrati su queste grandi corse, pur sapendo che è molto più difficile vincerle nell’arco di tre settimane, ma con i nostri sponsor abbiamo deciso di provarci».

Isolato davanti al pullman, Denk ha atteso fra telefonate e religioso silenzio la fine della crono
Isolato davanti al pullman, Denk ha atteso fra telefonate e religioso silenzio la fine della crono

Il talento di Hindley

In barba a ogni possibile scaramanzia, si diceva. Avendo intuito la poca voglia di sbilanciarsi, abbiamo portato il discorso su Hindley, rilanciato senza esitazione dopo il brutto 2021.

«Prima di ieri (tappa del Fedaia, ndr) – dice – avrei detto che le chance erano 50 e 50. Carapaz è un corridore forte, ha già vinto il Giro. Ma dopo la tappa le cose sono cambiate. Ho invitato la squadra a stare calma e restare concentrata. Vedremo intorno alle 17,30 quale sarà il risultato. Noi credevamo in Jai avendo visto il suo potenziale nel 2020 nella tappa dello Stelvio al Giro. Ha avuto problemi di salute e l’anno scorso abbiamo cercato il modo per averlo con noi, risolvere i problemi e riportarlo al top. Questo era il nostro obiettivo. Sapevamo da prima quanto sia talentuoso e questo è il motivo per cui abbiamo trovato un accordo».

Denk ammette di aver creduto subito nelle potenziaità di Hindley
Denk ammette di aver creduto subito nelle potenziaità di Hindley

La scelta Gasparotto

E se l’orgoglio tedesco affiora e il suo inglese ha le durezze tipiche di lassù, è bello fargli notare che alla guida del suo progetto-Giri ci sia stato un tecnico italiano giovane e ambizioso come Gasparotto.

«Enrico – sorride questa volta Denk –  è uno degli uomini del nostro team che ha vera passione e vive il ciclismo 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana. E’ il tipo di uomini di cui avevamo ed abbiamo bisogno. Ed è il motivo per cui lo abbiamo ingaggiato e gli abbiamo offerto questa possibilità. Non era mai stato prima direttore sportivo, ma qui ha portato un piano molto chiaro e si è dimostrato un vero uomo squadra. Siamo contenti di averlo con noi».

Nella tappa di Torino, l’attacco di squadra che ha scosso il Giro d’Italia
Nella tappa di Torino, l’attacco di squadra che ha scosso il Giro d’Italia

Tour con Vlasov e Bennett

In attesa di vedere come sarebbe finito il Giro (nelle foto sul podio dell’Arena, in apertura, Denk mollerà finalmente ogni indugio), una piccola anticipazione sul Tour svela che per la Francia i piani sono alti. Serve crescere ancora per sfidare i giganti della maglia gialla.

«Al Tour abbiamo Alexander Vlasov per la classifica – ammette Denk – ma abbiamo anche una strategia ben precisa per vincere qualche tappa con Sam Bennett. In Francia faremo una corsa completamente diversa. Sappiamo essere ragionevoli».

Bomber Jersey di Sportful: scelta anche dai pro’

30.04.2022
3 min
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Sportful allarga la propria famiglia delle Bomber jersey, ora con colori nuovi e alcune fra le massime performance per una maglia racing, tanto da essere utilizzata anche dal team del tre volte campione del mondo Peter Sagan: la Total Energies

Anche la Total Energie usa la Bomber jersey, qui la versione di Peter Sagan, con la bandiera slovacca e l’iride sulle maniche e sul colletto
Qui la versione di Peter Sagan, con la bandiera slovacca e l’iride sulle maniche e sul colletto

Una maglia senza compromessi

Quello di Sportful è un prodotto pensato e studiato per ottenere il massimo in ogni condizione di corsa. Per tutti gli atleti che, quando salgono in bici, cercano il massimo del comfort e della prestazione. Un prodotto altamente tecnico e studiato fin nei minimi dettagli per essere altamente performante. 

Il tessuto principale è composto per il 90% da poliestere e per il restante 10% da elastan. Il colletto è confezionato al 100% in poliestere, così come la parte della schiena, le tasche, invece una maggiore quantità di tessuto elastan (15%). Le tasche posteriori sono sempre tre, aperte e con tessuto a “soffietto” per una maggiore capienza

Le caratteristiche tecniche

La zip, che attraversa tutta la maglia, è YKK Camlock, resistente ma allo stesso tempo facile da aprire con una sola mano.

La maglia Bomber è estremamente traspirante, questo la rende adatta per essere utilizzata nel periodo caldo dell’anno. Ha anche degli inserti rifrangenti per rendere il ciclista più visibile anche in condizioni di luminosità limitata.

I colori disponibili sono: Black & Galaxy Blue, Chili Red & Cayenna, Cedar Marsala ed infine Ice Gray & Ash Grey. Le taglie vanno dalla S alla XXXL

Il prezzo, invece, ammonta a 109,90 euro.

Sportful

Turgis, l’anno giusto per capire quanto vale

21.03.2022
4 min
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«Eravamo venuti per vincere – ha detto Anthony Turgis prima di salire sul pullman della TotalEnergiesquando vedi che la vittoria è a portata di mano e nelle gambe, è un po’ frustrante lasciarla andare. E’ stata anche una giornata molto buona, non bisogna vedere solo il negativo. Questo fa ben sperare per il futuro. La corsa è andata molto velocemente, in cima alla Cipressa eravamo più di quaranta corridori, sapevo che sarebbe stata molto dura. Avevo due compagni con me, perché sapevamo che il posizionamento era molto importante. Quando ho visto Mohoric attaccare, ho pensato che gli altri non avrebbero lasciato troppo spazio. Invece ai piedi della discesa erano un po’ fermi…».

Sul podio un Turgis affranto, rivedendo il finale e cosa avrebbe potuto fare in modo diverso
Sul podio un Turgis affranto, rivedendo il finale e cosa avrebbe potuto fare in modo diverso

Sagan, pro e contro

Eterno secondo oppure eterna promessa? Il francese della TotalEnergies non è nuovo al gesto del pugno sul manubrio, come già accaduto alla Sanremo. Nel 2019 celebrò così il piazzamento dietro Van der Poel alla Dwars door Vlaanderen, in una lunga lista di risultati a un passo dalla gloria. A 27 anni tutto può ancora cambiare, ma forse così vicino al grande risultato come in via Roma non c’era mai arrivato.

Chi è dunque il compagno di Sagan che ha conquistato il secondo posto alla Sanremo? Quando lo slovacco si è fermato per un problema meccanico prima dell’attacco della Cipressa, chi avrebbe immaginato che la squadra avesse qualcun altro su cui puntare?

Invece l’aria che si respirava nella zona dei pullman era più vicina alla delusione che alla sorpresa. Dopo il quarto posto nel Fiandre del 2020, battuto da Kristoff nella volata per il podio alle spalle Van der Poel e Van Aert, il secondo posto di Sanremo brucia molto di più, ma forse dà la misura del talento e indicherà la strada.

«Quando ho saputo che Sagan avrebbe firmato con noi – racconta Turgis – ho fatto l’elenco dei pro e i contro e ho subito visto che avevo molti vantaggi da trarne. La sua esperienza. Le Specialized che fanno davvero la differenza. E ho capito di dover smettere di porre barriere fra me e certi risultati. Si può provare, almeno…».

Turgis assieme a Sagan, Boasson Hagen e Bonifazio durante il ritiro di gennaio (foto TotalEnergies)
Turgis assieme a Sagan durante il ritiro di gennaio (foto TotalEnergies)

A portata di mano

Il pugno sul manubrio dopo il traguardo è stato la risposta a questa nuova consapevolezza. Va bene esultare per il secondo posto, ma la sensazione è che il capolavoro di Mohoric, oltre alla discesa da kamikaze, sia stato quello di aver scelto il tempo in modo che i contendenti dovessero scegliere fra vincere e perdere. Sapendo che chiunque avesse tirato per chiudere sullo sloveno, avrebbe consegnato la vittoria a un altro.

«Negli ultimi metri – ha confermato Turgis – ho visto la vittoria da vicino, più vicino che mai in effetti e ho avuto quel moto di rabbia perché ho capito che davvero avrei potuto vincere. Ancora una volta la Cipressa è stata fondamentale ed ha eliminato buona parte dei velocisti. Lo scenario si è messo come avevamo programmato venerdì sera. Sul Poggio ci sarebbe stata tanta gente, tutti i big, ma questo non doveva essere un problema come l’anno scorso, quando mi trovai con le gambe bloccate. Alla fine, ho aspettato il più a lungo possibile per uscire dal gruppo, non potevo muovermi prima senza che venissero a prendermi. E quando Mohoric ha tagliato il traguardo, stavo per prenderlo. Non mancava niente…».

Turgis sa bene cosa significhi arrivare a un passo dalla vittoria. Qui alla Dwars door Vlaanderen 2019 con Van der Poel
Turgis sa bene cosa significhi arrivare a un passo dalla vittoria. Qui alla Dwars door Vlaanderen 2019 con Van der Poel

Il quinto assalto

Anche per lui, che ha 27 anni e non vince dal 2019 (da under 23 si era portato a casa la Liegi-Bastogne-Liegi), l’avvicinamento non è stato dei migliori.

«Mi ero ritirato dalla Parigi-Nizza il venerdì sera – ha raccontato – a causa di problemi digestivi e bronchite, il virus che nelle ultime settimane ha causato tanti abbandoni. Ho passato dei giorni complicati, con l’impressione di non avere gambe, che le mie forze stessero andando via. Ho fatto la prima uscita mercoledì, cinque ore in bicicletta intorno a casa mia e sono tornato esausto. Solo venerdì ho sentito che le cose stavano migliorando. Era la mia quinta Milano-Sanremo, sapevo che si sarebbe giocata negli ultimi 30-40 chilometri e che avrei resistito».

Forse tornerà e riuscirà a vincerla, forse non la vincerà mai: l’elenco dei corridori che sono arrivati a sfiorarla è lunghissimo. La sfida è rinviata al prossimo anno, il suo diesse Lebreton ha raccontato a L’Equipe che Turgis ha finalmente smesso di porsi limiti. Ma se alla fine del viaggio via Roma non lo vedrà sul gradino più alto, il racconto di questo secondo posto cambierà sapore e col tempo acquisterà dolcezza.

Sagan è in ritardo: «Ma dalla Tirreno sarà un’altra musica»

27.02.2022
4 min
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Si parlava con Daniel Oss, giusto ieri alla partenza della Het Nieuwsblad, quando alle sue spalle è arrivato Sagan, reduce da un’altra raffica di interviste.

«Bello – stava dicendo il trentino – è la prima volta che entro nel velodromo di Gand. Con Liquigas, BMC e Bora, siamo sempre stati fuori. Nelle prime corse quassù c’è sempre quell’ansietta da prima gara. Per quanto possano essere andate bene le prime, questa è quella in cui tiri la linea. Che vuol dire tutto e anche niente. Se va bene o male, cambia poco. Ma se va bene, parti con più morale. Il materiale è lo stesso dell’anno scorso, ricognizioni non servono granché. Ne abbiamo fatta una in Francia sul pavé del Tour e qualche test per i nuovi tubeless, per le pressioni principalmente».

Poi Daniel s’è voltato e, avendo visto Peter, l’ha apostrofato sul suo avere sempre fretta. Poi ridendo è sparito verso il pullman. Mancava mezz’ora alla partenza, bello poter fare tutto con calma. Sagan intanto si guardava intorno. Col senno di poi possiamo dire che la corsa non sia andata un granché. Ma avendo ripreso il Covid e perso il secondo ritiro, con il solo Tour du Haut Var nelle gambe, sarebbe stato ingeneroso aspettarsi di più. Una cosa è certa: Peter è super esigente con se stesso, le sconfitte non gli vanno proprio giù…

Assieme a Oss all’Haut Var: i due corrono insieme da anni
Assieme a Oss all’Haut Var: i due corrono insieme da anni
Come stai?

Bene

Torni sulle tue strade…

E’ buono essere qui e ricordarsi le strade, perché tutto il Belgio corriamo in questi posti.

Che cosa ti è parso della presentazione con tanto pubblico?

Passi quei due minuti sul palco (sorride, ndr), ma per noi non è importante quello.

Ti stai abituando alla nuova squadra?

E’ un buon gruppo di persone, la squadra funziona bene. E avendo attorno le persone giuste, è comodo, prendi i ritmi subito.

Che cosa significa che funziona bene?

All’Haut Var ho visto che tutto è organizzato professionalmente, allo stesso livello del WorldTour. E’ un bel gruppo, peccato che non ho potuto passare molto tempo con i compagni di squadra.

Dopo la presentazione dei team, il canonico giro delle interviste
Dopo la presentazione dei team, il canonico giro delle interviste
E’ stato pesante il Covid stavolta?

Molto meglio della prima volta. Ho un po’ penato per tre giorni e dopo una decina ero di nuovo in sella. Però ero indietro, così sono andato con mio fratello a Gran Canaria e abbiamo fatto il nostro ritiro.

Le persone giuste attorno a te…

Oss, Bodnar, mio fratello. Il meccanico e il massaggiatore. Il direttore sportivo. L’addetto stampa (dice ammiccando verso Gabriele Uboldi, ndr). Si fa prima ad adattarsi. Servono anni per creare fiducia l’uno con l’altro. Ed è bello avere un gruppo fisso di persone intorno a te, anche quando cambi squadra. Ti aiutano a integrarti in un nuovo gruppo.

E’ vero che la Quick Step non ti ha voluto proprio a causa del gruppo?

Lefevere ha iniziato a parlare del “gruppo di Peter”. Ma non è il mio gruppo, non possiedo le persone, le voglio solo intorno a me. Penso che sia importante avere il proprio massaggiatore e il meccanico. Negli anni, alcuni hanno provato a cambiare la mia posizione in bici e ogni volta è stato uno stress. Adesso sono sette anni che non la tocco e questo è un grande passo avanti. E poi le persone del mio gruppo non lavorano solo con me e per me. Fanno quello che chiede loro la squadra. Come era alla Bora, così è alla TotalEnergies.

Sul Muur, Ssgan era in ritardo, ma già prima aveva avuto qualche problema tecnico
Sul Muur, Ssgan era in ritardo, ma già prima aveva avuto qualche problema tecnico
Però il tuo protetto Martin Svrcek, che ora corre alla Biesse Carrera, andrà alla Quick Step.

Gli ho consigliato io di firmare, per il cacciatore di classiche che può diventare. Sono contento che lo abbiano preso. Quando videro me per la prima volta, da junior, mi dissero che mi avrebbero seguito e invece sparirono. Forse perché mi chiamavo già Peter Sagan, ma non ero ancora Peter Sagan.

Sei sempre molto esigente con te stesso?

Chi te lo ha detto?

Non sembri uno che si accontenta…

Bisogna, dipende dai momenti. Per andare forte si deve fare così…

Com’è la gamba?

Buona, devo crescere. La mia vera stagione comincerà dalla Tirreno. E poi da lì le corse saranno tutte importanti…

Allocchio 2021

Tappe più lunghe nei grandi Giri? Sentiamo Allocchio…

04.12.2021
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Ogni volta che viene annunciato il percorso di un grande Giro, partono le discussioni sulla lunghezza delle tappe, sulla loro spettacolarità. E’ un prezzo che gli organizzatori sanno di dover pagare, ma il discorso non è peregrino e va affrontato in maniera compiuta. Anche per capire il recinto nel quale essi, che siano italiani o esteri, devono agire.

Già, perché la lunghezza di Giro, Tour o Vuelta non è scelta a caso, l’Uci ha messo mano ormai molto tempo fa ai regolamenti stabilendo restrizioni molto chiare, come testimonia Stefano Allocchio, ormai da 25 anni direttore di corsa alla RCS dopo essere stato un velocista di vaglia: «I grandi Giri hanno un tetto di chilometraggio pari a 3.500. Sono ammesse piccole deroghe, se in una tappa accade qualche interruzione, una frana o altro si può cambiare, ma c’è un limite di tre interventi. Un’altra regola è che è possibile inserire una tappa di montagna lunga fino a 240 chilometri, ma a condizione che l’arrivo sia in salita».

Queste regole da quando sono in vigore?

Almeno dalla fine del secolo scorso e dire così fa strano, mi fa sentire davvero vecchio… (Allocchio ride considerando i suoi 59 anni, ndr). Il ciclismo che ho vissuto io da corridore era ben diverso, bisogna considerare che si andava anche oltre i 4.500 chilometri. Addirittura ricordo che quando guardavo il Giro d’Italia da bambino, c’era un traguardo speciale ogni 1.000 chilometri di corsa. Erano altri tempi.

Allocchio Cipollini 2012
Allocchio insieme a Mario Cipollini: da quando gareggiavano, il ciclismo è profondamente cambiato
Allocchio Cipollini 2012
Allocchio e Cipollini: da quando gareggiavano, il ciclismo è profondamente cambiato
Tu hai vissuto da corridore un’epoca ciclistica molto delicata, nella quale il nostro sport era nell’occhio del ciclone per le vicende di doping e al tempo si discuteva molto se per combattere questa piaga non sarebbe stato necessario ridurre non solo i chilometraggi, ma le stesse giornate di gara dei grandi Giri. E’ una teoria che si sente ancora affermare nell’ambiente?

No, è un’idea che progressivamente è andata scomparendo. Ricordo che tempo fa ancora c’era chi pensava di lasciare il Tour a 3 settimane e ridurre Giro e Vuelta a 2, ma chiaramente non è mai stata presa in considerazione questa eventualità. Diminuire i giorni di gara dei grandi Giri non influirebbe, la vera battaglia contro il doping si combatte per altre strade. Bisogna dire che i tempi sono profondamente cambiati da questo punto di vista perché tutto il mondo del ciclismo, in tutte le sue componenti, ha lavorato per questo.

Tu sei stato vicepresidente dell’Associazione Corridori: qual è la posizione degli atleti a proposito della lunghezza delle tappe?

Più che su di essa, l’opinione comune era che si dovesse lavorare sui giorni di gara, come effettivamente è stato fatto nell’arco dell’intero anno, non delle singole gare a tappe. Non possiamo nasconderci che nelle epoche a me precedenti, il doping era uso comune, la piaga la si è combattuta proprio trovando una regolamentazione condivisa da tutti. Ora è difficile barare, per questo quando avviene fa ancora più scandalo. Ma a questo proposito c’è una vicenda recente che ritengo esemplare.

Sagan Dubai 2021
Sagan vincitore al Criterium di Dubai davanti a Bernal in maglia rosa. Per lo slovacco trasferta con fuori programma…
Sagan Dubai 2021
Sagan vincitore al Criterium di Dubai davanti a Bernal in maglia rosa. Per lo slovacco trasferta con fuori programma…
Quale?

Il 6 novembre eravamo a Dubai per il criterium. Arrivati sul posto gli organizzatori locali ci hanno avvertito dell’inserimento nel programma, per il giorno prima, di una pedalata per le vie del centro, chiuso appositamente al traffico, cosa che non avviene praticamente mai, perché lo sceicco aveva piacere di partecipare. La partenza era fissata per le 6 di mattina: Peter Sagan appena saputo si è messo in allarme, perché ha dato la sua reperibilità per i controlli ogni giorno dell’anno fra le 6 e le 8 ed ha dovuto subito avvertire e cambiare gli orari per quel giorno. I corridori ci tengono in maniera particolare e spesso non si tiene conto che questo influisce anche sulle loro vite di persone comuni.

Affrontiamo il tema della lunghezza da un’altra prospettiva, quella dello spettacolo: siamo sicuri che tappe meno lunghe siano davvero più spettacolari?

Dipende, lo spettacolo lo fa la corsa, la sua evoluzione. Normalmente si pensa che tappe di montagna meno lunghe permettano alle squadre di dare maggiore battaglia, ma abbiamo visto come spesso i “tapponi” siano densi di sorprese, colpi di scena, incertezza fino alla fine. Il nostro compito è costruire corse equilibrate, sapendo che qualcuno sarà sempre scontento e non parlo solo dei corridori o dei team.

Marmolada 2021
Il passaggio del Giro davanti alla Marmolada: quest’anno l’esperienza si ripeterà nella 20ª tappa
Marmolada 2021
Il passaggio del Giro davanti alla Marmolada: quest’anno l’esperienza si ripeterà nella 20ª tappa
A chi ti riferisci allora?

L’Italia è lunga, ha 20 regioni, con 3.500 chilometri a disposizione non puoi certo accontentare tutti. Ci saranno sempre realtà che resteranno fuori: da tempo ad esempio vorremmo andare in Sardegna, ma bisogna tenere conto delle difficoltà legate anche ai giorni di riposo che sono praticamente bloccati. Noi vorremmo realizzare davvero un Giro d’Italia passando dappertutto, ma è impossibile.

Nella costruzione delle tappe, nella riduzione dei chilometraggi, influiscono anche le esigenze televisive, che purtroppo stanno svilendo molti sport piegati a concentrare ogni evento negli spazi che la TV concede?

Non è il nostro caso. Noi abbiamo un accordo molto chiaro con la Rai, il nostro broadcaster, perché le tappe arrivino sempre intorno alle 17,15. Anche a Dubai sapevamo che la corsa doveva concludersi intorno alle 16, che sarebbero state per fuso orario le 13 in Europa per permettere la sua teletrasmissione. Il nostro compito è far sì che, per quanto possibile, si arrivi in orario. Dalle Tv non ci sono mai arrivate altre richieste, considerando anche le dirette integrali e sappiamo che è così anche per le altre gare in Italia e all’estero.

C’è possibilità che questa regolamentazione internazionale cambi?

Ne parleremo venerdì al consueto seminario indetto dall’Uci con tutte le realtà: squadre, organizzatori, associazioni di corridori, federazioni ma non ci sono spinte in tal senso. Se poi qualcosa cambierà, ci adegueremo.

Sportful, 10 anni con Sagan: amicizia, famiglia e buoni affari

03.12.2021
6 min
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Dieci anni di contratto tra Sportful e Peter Sagan. Quando mai si è visto un accordo di sponsorizzazione così lungo? Qualcuno pensa che fra dieci anni Peter sarà ancora in sella? Decisamente no, la data del ritiro pare sia stata già stabilita e non è così lontana. Il discorso va spostato davvero sulla sfera dell’amicizia, come si legge nel comunicato attraverso le parole di Dario Cremonese e quelle che abbiamo raccolto di suo fratello Alessio?

«Il rapporto con Peter è sempre stato prima umano e poi professionale – dice Dario Cremonese – legarci a lui è un passo importante ma del tutto naturale per chi sa che tipo di relazione Peter ha con l’azienda, tanto con la proprietà quanto con i suoi dipendenti. E’ sempre un piacere accoglierlo fra di noi e sapere che potremo farlo per i prossimi dieci anni è un orgoglio e un privilegio».

«Peter – gli fa eco Alessio, Ceo dell’azienda – sta rappresentando ed ha rappresentato un modo di vivere il ciclismo dove si può essere vincenti pure quando non si è vinto. Questo lo ha fatto arrivare sia al pubblico del ciclo, ma anche ai meno vicini al nostro mondo. Credo che anche una volta sceso dalla bici, possa continuare a mandare questo bellissimo messaggio».

Un po’ di storia

Sportful come pure Castelli fanno capo alla Manifattura Valcismon, di proprietà della famiglia Cremonese. Un po’ di storia non guasta. Il gruppo nasce nel 1946 dall’idea di Olindo e Irma Cremonese, che partono dai filati di lana per approdare negli anni alla produzione di intimo di qualità. Nel 1972 la prima svolta. Giordano Cremonese, figlio dei fondatori, prende in mano l’azienda ed essendo appassionato di sci di fondo, ma non avendo l’abbigliamento giusto, crea una tenuta elasticizzata che supera gli standard di comfort e prestazione dei capi in lana. Il marchio Sportful nasce proprio così e già l’anno successivo viene messa a punto una linea di abbigliamento per lo sci di fondo. La prima disegnata appositamente per il ciclismo è invece datata 1985. L’acquisizione del marchio Castelli è più recente ed è datata 2003.

L’azienda, in cui nel 2019 è entrato al 40 per cento il fondo Equinox, è oggi gestita e amministrata dai quattro figli di Giordano Cremonese – Alessio, Alberto, Dario e Gioia – e nonostante numeri da prima della classe ha mantenuto al centro la crucialità dei rapporti umani. Per capirci, pare che alla base della chiusura della collaborazione fra Castelli e il Team Ineos, che negli anni ha dato vita a risultati importanti di cui ha beneficiato anche la nazionale italiana, ci sia stata proprio la scarsa empatia fra i vertici del team britannico e l’azienda-famiglia.

Sagan presta da anni la sua immagine al brand, che ne ha colto la credibilità (foto Sportful)
Sagan presta da anni la sua immagine al brand, che ne ha colto la credibilità (foto Sportful)

Visite in azienda

Alla luce di questo, è credibile che dietro la scelta di legarsi a Sagan per così tanto tempo ci sia davvero l’affinità personale. Eravamo presenti a Feltre quando venne lanciata la linea di abbigliamento intitolata allo slovacco ed era evidente che Peter fosse davvero nel suo ambiente. E non stentiamo a credere che amicizia e solidarietà siano valori importanti per dirigenti che nel periodo del lockdown hanno raccolto circa 200 mila euro dalle risorse personali, intervenendo così in appoggio ai dipendenti.

«Quando abbiamo fatto l’accordo – spiega Federico Mele, Head of Global Marketing dell’azienda – non abbiamo guardato agli affari. Non si va avanti soltanto con i numeri, ma anche guardando il lato umano. Peter era già un nostro testimonial, ma soprattutto fa ormai parte della famiglia. Quando viene in azienda si ferma a parlare con tutti, con i Cremonese ma anche con i dipendenti. Vive momenti molto familiari. Il suo contributo inoltre è anche tecnico. I suoi feedback sono importanti. Uno che ha vinto tre mondiali, un Fiandre e la Roubaix sa quali indicazioni dare».

Concluso il contratto con la Bora, Sagan si sposta con bici e abbigliamento alla TotalEnergies (foto Sportful)
Concluso il contratto con la Bora, Sagan si sposta con bici e abbigliamento alla TotalEnergies (foto Sportful)

Sagan e sponsor

L’aspetto più interessante e singolare della vicenda è tuttavia legato alle sponsorizzazioni di squadra. Prendere Sagan ha un costo. Si paga il suo ingaggio, si prendono gli uomini del suo entourage e poi ci sono i suoi sponsor. Il passaggio alla Team TotalEnergies ha visto lo spostamento contemporaneo delle bici Specialized e ovviamente di Sportful. Ma cosa succede se ad esempio la nuova squadra ha già un contratto in essere con un fornitore di abbigliamento?

«Peter ha un contratto con Sportful – spiega Federico Mele – per cui la squadra che lo vuole sa che dovrà prendere anche il suo sponsor. Nel ciclismo i contratti di sponsorizzazione tecnica durano di solito un paio di stagioni, non sono mai lunghissimi. Ma è chiaro che se vogliono Sagan e hanno un contratto in essere, starà alla squadra trovare il modo di risolverlo o comunque gestire la situazione».

Una situazione ben strana, a pensarci bene, che ribalta i rapporti tecnici all’interno delle squadre. Non è più il corridore a doversi adattare ai materiali offerti dal team, ma il team e tutti i suoi atleti a passare su quelli portati in dote dal nuovo corridore.

Colpo d’occhio alternativo per la Roubaix vinta nel 2018. Anche Sportful sul podio
Colpo d’occhio alternativo per la Roubaix vinta nel 2018. Anche Sportful sul podio

Come Contador e Cancellara

La singolarità del contratto Sportful-Sagan, si diceva, sta anche e soprattutto nella durata decennale.

«Non abbiamo alcun rapporto così lungo – aggiunge Federico Mele – anche se con alcuni, come Paolo Bettini l’azienda ha una relazione che si protrae da anni. C’è una bella amicizia anche con Daniel Oss. Allo stesso modo, nello sci di fondo c’è un rapporto molto importante con Dorothea Wierer e con Federico Pellegrino. Ci teniamo molto a tenerli vicini, perché sono portatori degli stessi valori in cui crediamo come azienda. E tornando a Peter, i dieci anni sono una dimostrazione di fiducia e la conferma che non si guarda solo al lato della prestazione sportiva, ma anche e soprattutto al lato emozionale dello sport. Ci sono campioni che non passano mai, come Contador e Cancellara, che hanno smesso ma hanno ancora una voce potente. Crediamo che Peter sia uno di loro».

Così nel 2019 ha festeggiato la settima maglia verde del Tour (foto Sportful)
Così nel 2019 ha festeggiato la settima maglia verde del Tour (foto Sportful)

Lo sbarco in Francia

E poi c’è l’aspetto legato al marketing, perché si tratta pur sempre del rapporto fra un’azienda e un testimonial, il cui ruolo è diffonderne il nome grazie alla sua popolarità.

«Ma non abbiamo scritto l’elenco dei suoi impegni – chiarisce subito Federico Mele – non abbiamo la necessità di farlo, vista la disponibilità che ha sempre dimostrato. Tolto il periodo del Covid in cui gli atleti erano irraggiungibili, nell’ultimo mese ci siamo visti tre volte, poi inizieranno le corse e rispetteremo i suoi tempi. Sbarcare con lui in Francia significa entrare in uno dei cinque mercati per noi più interessanti, dove dobbiamo e possiamo crescere. Il team francese, che peraltro ha anche interessi in Spagna, è un’opportunità, dopo essere stati con lui in uno tedesco. Ma ripeto, dietro questo accordo c’è la voglia di avere Peter con noi a prescindere da quello che ci potrà dare. Sembrerà anche strano, ma quando si è proposto di fare questa cosa, lo scopo era ed è ancora esattamente questo».