Omloop Het Nieuwsblad, la strana vigilia di Longo Borghini

23.02.2024
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«Ci vediamo poco, come al solito. E’ sempre al lavoro, non viene mai a casa e non mi porta con lui a vedere la partita». Elisa Longo Borghini ride. L’umore è buono e scherza così sulla vita da sposati. Jacopo è al UAE Tour e ieri mattina è partita anche lei, in direzione della Omloop Het Nieuwsblad che domani aprirà la stagione del Nord.

Quelle sono le sue corse, per le quali sente aumentare la temperatura del sangue nelle vene. E anche se l’effetto è lo stesso, quest’anno la campionessa italiana sa che le gambe non seguiranno il tempo dei battiti del cuore. In questo correre frenetico da un traguardo all’altro si tende a dimenticare ciò che Elisa ha vissuto lo scorso anno al Tour o comunque non se ne è colta la portata.

«Quando sono rientrata al Tour de Romandie – scherza ancora – è venuta a parlarmi Marlene Reusser. E mi ha detto, col suo accento da svizzera: “Elisa, se ti fosse successo 50 anni fa, saresti morta!”. L’ho ringraziata facendo gli scongiuri, ma in fondo aveva ragione. La setticemia non è una cosa con cui scherzare e devo dire grazie ai medici che hanno capito subito e sono intervenuti. La squadra mi ha mi ha supportata e mi ha mandato a casa. L’operazione è stata fatta in tempo zero e poi anche la guarigione è stata perfetta. Non ho avuto nessun tipo di intoppo, c’era solo da aspettare che tutto fosse a posto».

Per questo la sua ripartenza è stata più cauta del solito. Slongo non ha voluto sentire storie e in accordo coi medici le ha letteralmente tolto la bici, costringendola a pensare soltanto al matrimonio con Jacopo Mosca, celebrato il 28 ottobre e seguito da una lunga e provvidenziale vacanza. Anche se tenere ferma Elisa non è impresa facile. La sua stagione è ripartita con il UAE Tour Women, chiuso in settima posizione: quanto basta per sentire le gambe spingere e capire il da farsi.

E quindi arriviamo in Belgio con quali sensazioni?

Devo dire che male non sto, ma non sono al top della mia condizione, come deve essere secondo Slongo. Poi è chiaro che ad Elisa Longo Borghini, che vorrebbe essere sempre al top e sempre rampante, un pochino magari le scatole girano. Però questo è un percorso che sto affrontando e siamo nel punto in cui volevamo essere. Quindi non sarò l’Elisa che avete sempre visto nelle primissime classiche del Nord. Anche se, a dirla tutta, negli ultimi anni non ho combinato niente, pur andando forte…

E’ qualcosa legato alla programmazione oppure ai problemi della scorsa stagione?

C’è da aprire una parentesi molto più ampia. Sono tornata a correre in UAE dopo sette mesi di inattività. Dopo la setticemia del Tour de France, non si può dire che io abbia ripreso al 100 per cento gli allenamenti. O meglio, li ho ripresi ma non ero in salute, quindi ho perso veramente tanto. Ho perso molta base e ho dovuto ricominciare da zero, quindi siamo ancora in fase di ricostruzione. Poi è ovvio che c’è una programmazione e stiamo puntando ad avere il primo picco di forma ad aprile per le Ardenne. Però prima di tutto questo c’è la necessità di ricostruire l’atleta.

Forse il tanto tempo passato ha fatto perdere di vista la gravità del problema.

Non è stata una cosa da niente, devo dire la verità. Non mi piace piangermi addosso e non sono neanche una che fa grandi comunicati, però è stata una cosa veramente violenta e seria. E quando poi ho ricominciato a pedalare, nella speranza che le cose andassero bene, ho capito che quando succedono queste cose a livello sistemico, è sempre difficile uscirne. Non sono mai rientrata in competizione. Ho provato a ricominciare al Romandia, ma non ero per niente a posto e da lì abbiamo deciso con la squadra che era il caso di fermarsi. Da settembre in poi ho fatto solo qualche sgambata e un po’ di ore in bici, un po’ di corsa a piedi solo per tenere il corpo in movimento. E da lì c’è stato uno stacco, che non avevo mai fatto così lungo in tutta la mia vita.

Stacco completo?

Non facevo niente e potete capire quanto mi sia costato stare ferma. Slongo mi ha mandato in vacanza, in viaggio di nozze. Per cui potete capire da quello che vi ho detto che quando sono ripartita ero veramente a zero. Quindi ora sto facendo un percorso che mi riporterà ai miei livelli, ma ci vorranno tempo e tanta santa pazienza.

Diciamo che la stagione è così ricca che anche andando in forma ad aprile, gli obiettivi non mancheranno…

Il calendario è fitto, da aprile in poi, ma è fitto anche subito. C’è il Giro, ci sono le Olimpiadi, c’è tanta carne da mettere al fuoco. Guardandola in quest’ottica, non mi dispero. Ma io come atleta vorrei sempre andare forte. Ora si lavora per fare un vero e proprio picco di forma, invece che essere sempre lì davanti senza concludere. Ma io so che sto lavorando per tornare ai miei livelli, per essere l’Elisa di sempre. Non sempre le cose vanno come da programmi e questo l’ho imparato sulla mia pelle. E adesso sto lavorando duro, cercando di fare le cose al meglio.

Longo Borghini con coach Slongo: è stato Paolo a imporle il lungo stacco per poi ripartire gradualmente
Longo Borghini con coach Slongo: è stato Paolo a imporle il lungo stacco per poi ripartire gradualmente
La salute come va adesso?

Fortunatamente i problemi fisici sono tutti superati. Sono sana. Ogni tanto ci ripenso e mi dico che sono stata anche tanto fortunata. Poteva succedere qualcosa di peggio.

La Longo si ricostruisce, intanto il resto della squadra cresce e sembra sempre più solida…

C’è gente che è cresciuta come Shirin Van Anrooij e gente che è ritornata, come Lizzie Deignan. L’ho vista forte al training camp, secondo me sarà una di quelle che magari sai nessuno considera perché ha fatto un 2023 solo a lavorare, invece potrebbe sorprendere. E poi abbiamo delle ragazzine giovani che secondo me sono molto promettenti.

Ti chiediamo un parere tecnico. Ancora una volta in questo inizio di stagione Gaia Realini ha avuto qualche problemino in discesa: sai dirci come stanno lavorando su questo aspetto?

Abbiamo la fortuna di lavorare con Oscar Sainz, un signore spagnolo che da quest’anno è sotto contratto con Lidl-Trek che si occupa proprio di questo. Cioè insegna tanto la tecnica di discesa. Non so Gaia quanto lavorerà vicino a lui, però credo che sarà un ottimo punto di riferimento.

Elisa Longo Borghini, classe 1991, è elite dal 2011: nel gruppo Trek dal 2019 (foto Lidl-Trek)
Elisa Longo Borghini, classe 1991, è elite dal 2011: nel gruppo Trek dal 2019 (foto Lidl-Trek)
Hai detto che non hai ancora le sensazioni della solilta Elisa: cosa ti manca?

In questo momento mi manca il fuori giri. Ho fatto tantissima base questo inverno e ho lavorato poco sulla parte alta. Mi manca questo e devo dire la verità: non è semplice ritornare a correre dopo che hai fatto un anno praticamente out. Manca anche un po’ la consapevolezza di andare forte. Non so ancora bene dove sono. E’ stato bello al UAE Tour avere un primo test sulla salita, infatti ringrazio la squadra perché mi hanno lasciato fare la corsa, in modo da capire a che punto fossi, da che parte ero girata. Ma una cosa è certa, a questi livelli non ti inventi nulla…

Coordinare altura e corse: i segreti di Slongo

27.12.2023
4 min
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«Non so che tipo di vantaggio otterrò, non so se non facendolo sarei a un livello più basso. Però stavamo cercando un posto per provare e abbiamo trovato la coincidenza con il Tour Colombia. L’accoppiata fra ritiro (in altura, ndr) e corsa potrebbe funzionare bene».

Lette con calma queste parole di Mark Cavendish ci hanno portato alla domanda: come si gestisce l’accoppiata tra altura e corsa? Il velocista dell’Isola di Man ha anche detto, proprio qualche riga sopra, di non essere mai andato in altura in passato. 

Il Parador de las Canadas del Teide di Tenerife sorge a quota 2.200 metri: da gennaio sarà pieno di atleti
Il Parador de las Canadas del Teide di Tenerife sorge a quota 2.200 metri: da gennaio sarà pieno di atleti

Il lavoro in quota

Ci siamo così recati virtualmente da Paolo Slongo, preparatore della Lidl-Trek. Il quale in passato ha lavorato tanto con Vincenzo Nibali anche in questo campo: coordinare altura e corsa

«Partirei – dice Slongo –  nello spiegare rapidamente in cosa consiste l’altura. Serve per due motivi: il primo è fisiologico. Normalmente si va in altura per migliorare i valori ematici, questo grazie a carichi di lavoro intensi. Si trovano facilmente molte salite e il carico di lavoro diventa molto intenso. Cosa importante soprattutto all’inizio della stagione. Anche noi in Lidl-Trek andiamo in altura a febbraio. Con Nibali, ad esempio, andavamo sul Teide».

«L’altura – continua il preparatore – prevede un adattamento del corpo alla pressione atmosferica. Il periodo di adattamento c’è anche quando si torna al livello del mare, ma questa è più una cosa individuale. Per esempio Rodriguez (Purito, ndr) non ne aveva bisogno».

Nibali sul Teide con Slongo, suo fratello Antonio e Mosca, per preparare il Giro
Sul Teide con Slongo, suo fratello Antonio e Mosca, per preparare il Giro
Qual è il rischio se una volta tornati si va subito in corsa e non si è pronti?

Quando si torna dal ritiro in quota i battiti sono più alti, si ha una buona fase aerobica, ma non anaerobica. Se si va subito in gara il rischio è di non essere performanti e di pagarla a caro prezzo. Praticamente perdi tutto il lavoro fatto e ci si deve fermare per riequilibrare il corpo. Con Nibali, ad esempio, avevamo trovato il giusto equilibrio in vista del Giro d’Italia.

Ovvero?

Si tornava dall’altura, che come detto si faceva al Teide. Faceva il periodo di adattamento e poi andava al Tour of the Alps (così hanno fatto nel 2013 e nel 2016 in occasione delle due vittorie al Giro di Vincenzo, ndr). In Trentino non era al massimo delle prestazioni, ma sapevamo che sarebbe arrivato al Giro pronto. 

Dopo l’Amstel Gold Race, chi va al Giro di solito torna in altura
Dopo l’Amstel Gold Race, chi va al Giro di solito torna in altura
Al Giro di Colombia, dove dovrebbe andare Cavendish, si aggiunge la gara, che avviene già in quota. In quel caso l’equilibrio come si trova?

A mio modo di vedere l’Astana andrà in Colombia due o tre settimane prima della gara. Si parte sempre da una fase di adattamento, quindi i classici quattro giorni. Poi ci si allena, ma senza esagerare nei carichi, perché poi si deve affrontare la gara. 

Nella fase di adattamento, che sembra essere la più importante, che dati si guardano?

La frequenza cardiaca, che è un valore fisiologico e aiuta a capire meglio in che stato è il fisico dell’atleta. Quando arrivi in altura i battiti tendono a non salire. Noi preparatori, per lo meno la maggior parte, utilizziamo anche il saturimetro, per capire il livello di ossigenazione del sangue. L’adattamento, prima di una corsa in quota come il Giro di Colombia diventa ancor più fondamentale.

Come mai?

Un periodo troppo breve prima della corsa non permette l’adattamento, in gara si fanno sforzi troppo grandi e li si pagano una volta tornati a casa. Per questo dico che serve andare lì due o tre settimane prima della gara. 

Cavendish ha iniziato la preparazione nel ritiro di Altea. Il debutto in Colombia sarà preceduto da un altro ritiro (foto Astana Qazaqstan Team)
Cavendish ha iniziato la preparazione nel ritiro di Altea. Il debutto in Colombia sarà preceduto da un altro ritiro (foto Astana Qazaqstan Team)
In allenamento però la fatica si può gestire, in corsa no. Questo può provocare dei problemi?

No, se il fisico è pronto a reggere determinati sforzi. L’altura insieme alla gara può portare dei vantaggi. Da un lato è meglio del ritiro, perché si fanno sforzi elevati che portano dei benefici nel lungo periodo. 

Per un velocista come Cavendish che vantaggi può portare l’altura?

Un lavoro grossissimo al livello aerobico che non pesa sulla testa dell’atleta. In altura prendi una salita di 10-15 chilometri e sai che hai un’ora o più di Z2. A casa non riesci a trovare tratti così lunghi e costanti. Si possono fare tranquillamente anche lavori dedicati ai velocisti, come lavori intermittenti o sprint.

Tre performance 2023 e tre coach. Spuntano VdP e Groves

06.11.2023
5 min
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Tre performance che abbiano colpito tre preparatori nella stagione appena archiviata. Molti hanno in mente i duelli fra Pogacar o Vingegaard sulle vette del Tour de France. Chi c’è stato ricorda il giorno memorabile del trionfo al Giro d’Italia di Roglic sul Lussari davanti alla sua gente, ma i coach guardano altro. Guardano i numeri, è vero, ma non si fermano alle emozioni di determinate azioni.

A Paolo Slongo, Giacomo Notari e Pino Toni abbiamo chiesto quale performance li avesse più colpiti. Sul piatto abbiamo anche messo diversi momenti clou dell’anno. Per esempio, la crono di Vingegaard al Tour, esaltata per valori e preparazione al dettaglio. La Liegi di Remco o le sue cavalcate in Spagna. Le volate in rimonta di Milan. La Roubaix di Van der Poel… Ma loro avevano già le idee chiare. 

Ai mondiali di Glasgow, Mathieu Van der Poel scatta a 23 chilometri dal traguardo e distrugge dei super campioni
Ai mondiali di Glasgow, Mathieu Van der Poel scatta a 23 chilometri dal traguardo e distrugge dei super campioni

Toni: VdP a Glasgow 

Partiamo da Pino Toni. Il tecnico toscano non ha avuto dubbi: la sua performance preferita? Il mondiale di Van der Poel, ci ha detto immediatamente. 

«Al di là che c’erano tutti e tutti erano al top e volevano vincere – spiega Toni – l’olandese ci è arrivato benissimo. In una corsa di un giorno tutti sono al massimo. Questo vale anche per i grandi Giri, ma è diverso. Mathieu mi ha stupito soprattutto per la facilità con cui ha fatto quei 5′ “a blocco” in cui ha staccato tutti. Ed era lontano dal traguardo, 23 chilometri se ben ricordo. E dietro aveva quattro corridori fortissimi, tutti con caratteristiche diverse: chi era più esplosivo, chi per le salite lunghe, chi velocista… segno che si trattava di un mondiale duro. Per quel calibro di motori mancava solo Ganna, ma lui forse ha una mentalità diversa».

Per Toni quei 23 chilometri sono stati un mix di tattica, potenza e preparazione azzeccata. Ha rifilato oltre un minuto e mezzo a Van Aert, Pogacar e Pedersen, il più veloce in teoria, ma poi il più stanco nel finale. E quasi 4′ al quinto, Kung.

«Non conosco di preciso i suoi numeri. Uno sguardo gliel’ho dato, ma il file reale è un’altra cosa e sarebbe bello averlo! Ma di certo sono stati valori fuori dal comune».

Sembra una volata di gruppo, in realtà Ganna (a sinistra) e Groves (al centro) erano i “reduci” della fuga a Madrid, finale della Vuelta
Sembra una volata di gruppo, in realtà Ganna (a sinistra) e Groves (a destra) erano i “reduci” della fuga a Madrid, finale della Vuelta

Notari: Groves a Madrid

Giacomo Notari, preparatore dell’Astana Qazaqstan  ci stupisce, ma poi ripensandoci, neanche troppo, e la sua perla è la vittoria di Kaden Groves a Madrid, nell’ultima tappa della Vuelta. Vale la pena ricordare che di solito la frazione finale di un grande Giro è una passerella, quel giorno invece per “colpa” di Evenepoel le cose non sono andate così.

«Vedere un velocista andare in fuga con dei campioni, dei cronoman come Ganna ed Evenepoel è stato particolarissimo. E sì che stando in gruppo – spiega Notari – lui avrebbe vinto al 99 per cento, perché non era “un velocista”… Era il velocista più forte della Vuelta».

Groves aveva già dimostrato in altre occasioni di essere più di un velocista, ma con altri andamenti tattici. E infatti anche sul Montjuic aveva fatto secondo, ma stando coperto in gruppo. Uscire allo scoperto è stato davvero insolito per uno come lui.

«Io quel giorno ero in ammiraglia. Sono andati talmente forte che la gente si staccava dal gruppo. Il circuito di Madrid poi non è piattissimo, anzi…. Groves in volata ha numeri importantissimi, sta sui 1.600-1.700 watt e tutto sommato visto che in fuga erano in sei, quei 10”-15” di trenata riusciva a digerirli bene, fisicamente. Ma se si pensa che hanno fatto oltre 50 di media e nel finale è riuscito ugualmente a sprintare, per me è la performance dell’anno».

Van der Poel ha attaccato nella seconda parte del Poggio, gli altri (si notano sullo sfondo) erano in riserva lui no
Van der Poel ha attaccato nella seconda parte del Poggio, gli altri (si notano sullo sfondo) erano in riserva lui no

Slongo: Vdp sul Poggio

Chiudiamo quindi con coach Paolo Slongo, in forza alla Lidl-Trek. Paolo “torna in Italia” e lo fa con Van der Poel anche lui, ma alla Sanremo.

«Di episodi interessanti ce ne sono stati tanti in questa stagione – dice Slongo – ma le performance che più mi sono piaciute sono state quelle di Van der Poel, perché quel che ha dichiarato è poi riuscito a vincere. Dai mondiali di cross a quelli su strada».

In ballo con il mondiale anche lui, alla fine Slongo ci ha parlato della Sanremo. E del Poggio in particolare. Ci è arrivato con una preparazione al millimetro.

«Era qualche anno che non si vedeva un numero del genere sul Poggio. E’ stato un numero di forza: Mathieu è riuscito a fare la differenza quando tutti erano stanchi, ha avuto una sparata in più. Ed questa la prestazione. Vero, c’era vento e Pogacar ha tirato molto, ma Pedersen, Van Aert… non sono riusciti a dare la botta ulteriore.

«Per fare quell’azione sul Poggio significa che ci arriva spendendo meno degli altri. Oltre ad avere un’enorme soglia aerobica, questo implica che ha anche una grande efficienza: il suo motore consuma poco. Se è frutto di un allenamento sui 20”-40”? Non lo alleno io e questo non lo so, ma di certo VdP tiene bene i 40”, anche 45” di attacco a tutta… anche dopo tantissime ore».

Fine stagione, il preparatore stila il report e inizia le sue analisi

20.10.2023
5 min
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Stagione alle spalle – resta giusto qualche gara in Estremo Oriente – ma di fatto molti corridori si sono appena fermati, mentre altri lo sono da un po’ più tempo. E poi ci sono gli allenatori, i quali però non vanno del tutto in vacanza, specie in questi giorni. Paolo Slongo per esempio, preparatore della Lidl-Trek, è negli Stati Uniti con grandissima parte del team, sia maschile che femminile, per delle riunioni, per scoprire i nuovi materiali (in apertura immagine Training Peaks)…

Ma se un coach non sta fermo, cosa fa dunque? Come gestisce questa sua fase dell’anno? Ne abbiamo parlato appunto con Slongo, che ci ha risposto da Chicago, dove ormai da tre anni la squadra si ritrova in autunno.

Paolo Slongo, coach della Lidl-Trek, ci ha spiegato il fine stagione del preparatore
Paolo Slongo, coach della Lidl-Trek, ci ha spiegato il fine stagione del preparatore
Paolo, oggi con tutte le piattaforme che ci sono, immaginiamo che il preparatore abbia accumulato una lunga serie di dati durante l’anno. Cosa ne fa?

Vero, abbiamo molti dati. Io per esempio, stilo un’analisi mensile degli atleti e delle atlete che seguo, e a fine anno faccio un report per ognuno di loro. E lo faccio secondo un programma che avevo messo a punto personalmente qualche anno fa.

Cosa c’è in questo report?

Quanti chilometri, quante ore ha passato in quella determinata zona, la critical power… e li confronto con gli anni precedenti. Per esempio, ormai sono parecchi anni che lavoro con Elisa Longo Borghini e di lei posso fare lunghi confronti. In base a questi inizio a pensare dove posso migliorare ancora, se ho sbagliato qualcosa… incrociando il dato numerico, ma anche ciò che mi ha detto l’atleta. Perché poi il confronto numerico resta importante, ma non vanno dimenticate le sensazioni del corridore. Per esempio nell’analisi generale c’è scritto anche se quell’atleta paga più o meno il fuso orario. In questo caso si cerca di non farlo allontanare troppo dall’Europa. O se soffre di sinusiti o raffreddori frequentemente, allora gli consigliamo di allenarsi maggiormente al caldo.

Voi per esempio siete in ritiro, e così altri team, è il cosiddetto ritiro senza bici: a cosa serve? E perché è importante farlo? E come ci “s’incastra” il lavoro del preparatore?

Il report e il ritiro sono importanti perché con la fine della stagione inevitabilmente si è già proiettati con la testa verso l’anno nuovo. E poi è un ciclismo veloce quello attuale, a gennaio si va a correre. Quindi s’imposta anche la preparazione, almeno i macrocicli, di carico e scarico, in base ai grandi obiettivi, tanto più che nel 2024 ci saranno anche le Olimpiadi. C’è un planning da individuare.

Incrociare i dati oggi è più facile da una parte, ma più difficile dall’altra, vista la mole d’informazioni che si accumula con i nuovi software
Incrociare i dati oggi è più facile da una parte, ma più difficile dall’altra vista la mole d’informazioni che si accumula con i nuovi software
Da cosa vedi i miglioramenti dei tuoi atleti?

Innanzitutto dai risultati e dalle prestazioni in gara: ciò che più conta. Poi dai dati legati principalmente alla soglia, alla forza… Ma c’è anche la valutazione tattica: come si è affrontata la corsa, se si è più o meno tranquilli, se si sono commessi errori.

Prima, Paolo, hai detto che stili un report, nel tuo caso va a finire “sulla scrivania” di Guercilena, il team manager, o comunque alla dirigenza?

No, il report è più una cosa mia personale, figlia di un mio metodo di lavoro affinato negli anni. Non è la squadra che me lo richiede. Poi chiaramente se individuo qualche aspetto o qualche dato particolare, lo condivido sia con l’atleta che con il capo della performance, Josu Larrazabal, e da lì con gli altri coach.

L’altro giorno parlando tra le righe con Michele Bartoli, anche lui preparatore, ci aveva detto che stava preparando le “schede dei consigli” per atleti per affrontare questo periodo di stacco. Anche per te è così?

Noi, anche se non abbiamo ancora tutto il calendario, sappiamo già chi correrà a gennaio. Ed è importante saperlo ora. Di solito questi atleti sono quelli che hanno smesso prima e pertanto faranno un percorso diverso. Magari lo stacco lo hanno già fatto e tutto s’imposta diversamente. Questo per dire che i consigli si danno, ma individualmente. Riprendo l’esempio della Longo, con tutto quello che le è successo quest’anno, abbiamo deciso di farle osservare uno stop un po’ più lungo per consentirle di recuperare meglio.

E cosa riguardano questi consigli? 

Sono consigli generali che riguardano soprattutto l’alimentazione e la gestione dell’attività. Lo stacco è importante soprattutto di testa. Quindi okay le attività alternative, ma senza stress. Non solo, ma gli consigliamo di fare eventuali interventi in questi giorni. Per esempio, se qualcuno deve fare qualche intervento ai denti, al naso… cose da non fare in corso d’opera per non perdere tempo prezioso. C’è ancora un’altra cosa sulla quale batto molto: la posizione in bici più dettagliata.

Nella progettazione delle lunghe trasferte vengono prese in considerazione anche le reazioni al fuso orario, qui la Lidl-Trek in Giappone
Nella progettazione delle lunghe trasferte vengono prese in considerazione anche le reazioni al fuso orario
Cioè?

Con i nuovi o se ho un atleta che aveva un problema più evidente, insisto perché si attivino nel fare i vari test biomeccanici, tanto più che il peso è ancora buono e la muscolatura è ben definita. Questo vale anche per il vestiario. Le misure per un body da crono meglio prenderle adesso che non fra due mesi quando magari il corridore ha due o tre chili in più.

Come condividi il tuo report?

Invio un’email all’atleta, ma preferisco accompagnarla da un colloquio, meglio ancora se di persona. Per esempio, prima di venire qui negli States mi sono appuntato alcune cose per parlare con alcuni atleti e gli do queste indicazioni.

Restiamo sul report: su quale aspetto si sofferma il preparatore? C’è un dato in particolare che analizza?

Un dato solo non c’è, ma se guardo un dato metto in relazione le critical power tra un anno e l’altro, tra mese e mese… E tra i periodi che m’interessano. A quel punto vedo se siamo arrivati all’appuntamento “X” con la forma giusta. Perché se i massimi valori sono stati espressi durante l’obiettivo, va bene. Ma se un mese prima i valori erano più alti che in gara, allora vuol dire che si poteva fare meglio. A quel punto, come dicevo prima, inizio a pensare: “Qui mancava questo”. “Qui potrei fare così”… e di conseguenza immagino come fare, che poi a me piace cambiare. Okay, alcuni concetti base sono intoccabili, ma poi mi piace dare nuovi stimoli: è importante sia per l’atleta che per me come preparatore.

Donne, chilometri e categorie confuse: bell’intrigo

07.07.2023
5 min
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Parte tutto da una frase di Paolo Sangalli, cittì delle donne. «Tra i professionisti esiste la soglia dei 200 chilometri, fra le donne c’è da considerare il limite dei 150». Per questo il campionato italiano si è corso su quella distanza: affinché andando al mondiale, le ragazze siano avvezze a una distanza più importante di quelle che affrontano di solito.

Il mondiale vinto lo scorso anno da Annemiek Van Vleuten misurava 164,3 chilometri. Per contro il campionato europeo di Monaco, vinto da Lorena Wiebes, si fermava a 128,3.

Longo Borghini e le sue eredi Barale, Ciabocco e Realini. Fra la tricolore e le altre c’è differenza per solidità, esperienza, capacità di prestazione
Longo Borghini e le sue eredi Barale, Ciabocco e Realini. Fra la tricolore e le altre c’è differenza per solidità, esperienza, capacità di prestazione

Natura e lavoro

E’ davvero così? Lo abbiamo chiesto a Paolo Slongo, che attualmente è proprio al Giro Donne, allena da anni Elisa Longo Borghini e in carriera ha lavorato con fior di professionisti.

«Si dice che negli uomini – inizia Paolo – i 200 chilometri siano un gradino e poi dopo i 250 ce n’è un’altro. Ci sono atleti che magari sono performanti sotto i 200, chi intorno ai 200 e poi c’è un’ulteriore selezione sopra i 250. Dipende dalla capacità aerobica, dalla resistenza e l’efficienza del loro corpo. Spendono meno di altri e quindi alla fine sono più performanti. Sono qualità legate alla genetica, però sono allenabili. Se uno ha la predisposizione di fibre rosse e il peso adeguato, può migliorare. Non è indispensabile essere magri, un corridore che fa il Fiandre può essere anche 70-75 chili e ugualmente può essere performante su percorsi duri. Guardiamo Van Aert…».

Fem Van Empel ha 20 anni, Marianne Vos ne ha 36: esigenze diverse e differenti fisiologie da allenare
Fem Van Empel ha 20 anni, Marianne Vos ne ha 36: esigenze diverse e differenti fisiologie da allenare
Le nuove conoscenze in campo alimentare aiutano?

Tante volte alimentandosi bene, si decade di meno oltre certe soglie di chilometraggio. Però secondo me, vale di più l’allenamento. Se di base non c’è un’elevata efficienza su cui hai lavorato, puoi alimentarti bene, ma non ti sposta il limite in modo significativo. Adesso va di moda qualcosa che esiste da vent’anni. Si legge di Pogacar e del suo allenatore che parlano di allenamenti in Z2. E’ il famoso medio basso, il lavoro a frequenze che spingono il corpo a diventare sempre più efficiente, quindi a usare sempre più i grassi come carburante.

E ora veniamo alle donne, che corrono su distanze basse rispetto all’evoluzione delle prestazioni. Come mai, secondo te?

Il ciclismo femminile è cambiato in modo repentino. Con l’arrivo del Tour c’è stato uno sviluppo che però non ha riguardato la lunghezza delle gare. Chiaramente non c’è da fare paragoni con gli uomini che fanno la Sanremo di 290 chilometri, però donne ben allenate possono fare chilometraggi più alti di quelli che fanno attualmente.

Secondo Sangalli esiste il limite dei 150 chilometri, ma forse è anche poco non credi?

Credo che se per le classiche e i mondiali le ragazze facessero gare di 180 chilometri, si vedrebbe ancora di più la differenza tra atlete di maggior fondo. Penso a un’atleta come Longo Borghini, che per certi versi è com’era Nibali. Forse anche per merito dell’allenamento, Elisa va meglio se la gara è più lunga e impegnativa. Nel senso che lei rimane nel suo standard alto, mentre altre calano alla distanza. Probabilmente non si allena come la Van Vleuten che fa 6-7 ore (in apertura a Livigno, foto Instagram), ma sta regolarmente sulle 5 ore, 5 ore e mezza, per cui un allungamento delle corse le farebbe bene.

Gaia Realini, 22 anni, sta battagliando al Giro con Van Vleuten che ne ha 40. Dei fuori giri su cui ragionare
Gaia Realini, 22 anni, sta battagliando al Giro con Van Vleuten che ne ha 40. Dei fuori giri su cui ragionare
Non sarà che le distanze restano basse perché nello stesso gruppo si ritrovano atlete solide come Van Vleuten e Longo Borghini e ragazzine di primo anno?

Sicuramente questo è un punto importante. Le categorie non sono ancora ben distinte come negli uomini e quindi nel professionismo ti trovi anche delle juniores appena passate, ragazzine di 18 anni. Quindi devi trovare un compromesso tra i due mondi, tenendo conto che anche fra le grandi ci sono differenze abissali. Quando accelerano quelle buone, al primo scatto restano in 20-30 e al secondo le conti sulle dita di una mano. Per cui, in effetti, allungando le corse, per quelle ragazzine e le ragazze che corrono nei team continental la situazione diventerebbe insostenibile.

Come allenatore avresti qualche dubbio ad allenare una diciottenne per farla stare al pari delle grandi oppure sei per la gradualità?

La progressività ci vuole sempre, si deve crescere per step. Sarebbe sbagliato affrettare i tempi o saltare dei passaggi, perché rischieresti di bruciarle o di non costruirle nel modo giusto. Nei professionisti è rarissimo vedere un neopro’ nel grande Giro, qui è la regola, ma solo perché manca la categoria di mezzo e magari non ci sono i numeri per farla. Se nel gruppo ci sono differenze di livello troppo marcate, poi magari finisce che te li ritrovi attaccati alle macchine…

Paolo Slongo ha seguito la preparazione al Giro d’Italia Donne della Lidl-Trek
Paolo Slongo ha seguito la preparazione al Giro d’Italia Donne della Lidl-Trek
Van Vleuten che domina così è conseguenza del tanto lavoro o di una sua natura superiore?

Secondo me di entrambe le cose. Le atlete di alto livello sostengono volumi di lavoro importanti e se questo poggia su una predisposizione così evidente, è chiaro che le differenze si vedono. E piuttosto aprirei la porta sulla mentalità del lavoro, che vedo in giro fra le ragazze e anche fra i corridori giovani. Hanno quasi paura di faticare, perché pensano di finirsi, senza rendersi conto che i loro colleghi e colleghe che vanno forte affrontano carichi di lavoro ben più sostanziosi. 

Slongo su Realini: dalla Vuelta Femenina tante certezze

21.05.2023
5 min
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Una paio di settimane fa Gaia Realini concludeva al terzo posto la sua Vuelta Femenina. Dopo le belle prestazioni d’inizio stagione e nelle classiche delle Ardenne ancora un traguardo di successo per la portacolori della Trek-Segafredo. Ormai Gaia è una realtà a tutti gli effetti del nostro ciclismo femminile. 

E della Vuelta e non solo vogliamo parlare con Paolo Slongo suo direttore sportivo, e preparatore di lungo corso. Paolo non segue direttamente Gaia, ma ha l’occhio dell’allenatore e comunque ha accesso a dati e tabelle. Partendo da questa Vuelta facciamo un punto con lui.

Paolo Slongo (classe 1972) è uno dei diesse della Trek-Segafredo. Qui con la con la mental coach, Elisabetta Borgia
Paolo Slongo (classe 1972) è uno dei diesse della Trek-Segafredo. Qui con la con la mental coach, Elisabetta Borgia
Paolo, ti aspettavi una Realini già a questo livello al suo primo anno di WorldTour? Ha disputato una grande Vuelta…

Sicuramente Gaia ha dalla sua la carta d’identità. E’ giovane. Noi l’avevamo notata due anni fa al Giro Donne quando si faceva tappa su Matajur e lei ottenne un ottimo piazzamento (fu 11ª, ndr) nonostante fosse una ragazzina e corresse in un team più piccolo. Guercilena la volle prendere subito e la lasciò poi un altro anno a maturare in quella squadra. Che dire, è una bella persona e un’atleta molto determinata. Non ha paura del lavoro ed è predisposta ad imparare. Lavorarci insieme è piacevole.

E delle sue doti? Già in parte te lo avevamo chiesto dopo la super prestazione al UAE Tour Women…

E’ senza dubbio un’ottima scalatrice e con queste sue doti potrà portare a casa tanto. Io l’ho diretta al UAE Tour, come detto, al Trofeo Oro, alla Vuelta e presto anche al Giro. Vedo che sta imparando tanto. Anche col vento e nel muoversi in gruppo.

A proposito di gruppo: come la vedi? Non era facile entrare in un team, di grandi campionesse. Nelle Ardenne dopo gli arrivi abbiamo notato grandi abbracci…

Gaia si è ben integrata e adesso sempre di più col fatto che capisce e parla meglio l’inglese. Poi è simpatica, è piccolina… insomma si fa voler bene. E’ entrata in pieno nelle dinamiche del team e questo credo le dia ancora più forza.

Gaia Realini (terza da sinistra) si è ben integrata nel team. L’abruzzese ha solo 21 anni (foto Instagram)
Gaia Realini (terza da sinistra) si è ben integrata nel team. L’abruzzese ha solo 21 anni (foto Instagram)
Alla Vuelta era partita da capitana?

Le leader erano lei e Amanda Spratt. Poi Amanda è stata sfortunata nel giorno dei ventagli. Quando il gruppo si era spezzato, nel primo gruppo ne avevamo tre, tra cui le due leader appunto. Ma Amanda ha forato nel momento clou. A quel punto senza compagne Gaia è scivolata in coda al gruppo e poi si è staccata. Se non fosse successo tutto ciò avrebbe potuto vincere la Vuelta.

Beh, detto da te, che ne hai viste di storie, è una dichiarazione importante e che fa ben sperare in ottica futura…

E’ un bel bagaglio di esperienza. Chiaramente con le sue caratteristiche fisiche Gaia soffre certi ritmi e certe situazioni in pianura. Comunque dopo che anche lei si è staccata a quel punto ho fermato l’unica atleta che ci era rimasta davanti per limitare i danni. Quel giorno abbiamo perso 2’41”.

Una bella batosta.

Esatto. Il giorno dopo sul bus, ho prima fatto i complimenti alle ragazze per l’impegno che ci avevano messo. Ho detto loro che si era trattato solo di sfortuna ma che in vista del finale della Vuelta c’era spazio per recuperare. «Possiamo fare una top 5», dissi. Tutte mi guardavano con incredulità. Ma io conoscevo bene l’ultima salita, quella dei Lagos di Covadonga, l’avevo fatta ai tempi di Nibali e mettendo insieme tutte le cose tra quella tappa e la penultima – anch’essa frazione dura – si poteva fare bene.

Nei ventagli di La Roda (terza tappa) Realini perde 2’41” da Van Vleuten, l’esatto distacco avuto poi nella generale a fine Vuelta Feminina
Nei ventagli di La Roda (terza tappa) Realini perde 2’41” da Van Vleuten, l’esatto distacco avuto poi nella generale a fine Vuelta Feminina
E infatti Gaia ha vinto a Laredo e ha fatto seconda ai Lagos… Quindi che motore ha? E’ pronta per i grandissimi appuntamenti?

Beh, è giusto dire che la allena Matteo Azzolini, io l’ho diretta in corsa. Certo che si è visto come su certi percorsi abbia combattuto alla pari con Van Vleuten e le altre che hanno espresso valori assoluti. Valori che di solito si esprimono d’estate nel clou della stagione, parlo di roba da Giro e Tour. Lei è lì e con un certo margine per il futuro.

E dove lo può pescare questo margine? 

Per lei è tutto nuovo. E’ importante che l’atleta prenda consapevolezza di quanto fatto. Capire che anche nei grandi Giri puoi competere con Van Vleuten e Vollering vuol dire molto. Più passa il tempo e meno avrà paura. Senza contare che poi certe corse ti portano ad una crescita fisiologica.

E ora, Giro d’Italia Donne?

Tra qualche giorno la porterò con le altre ragazze al San Pellegrino. Ci resteremo fino all’11 giugno. L’idea è di preparare il Giro, il Tour e l’italiano. Spero solo che questa pioggia sia alle spalle per quei giorni! 

In questa stagione, e ancora di più in questa Vuelta Feminina, Realini ha acquisito consapevolezza. Eccola con Vollering e Van Vleuten
In questa stagione, e ancora di più in questa Vuelta Feminina, Realini ha acquisito consapevolezza. Eccola con Vollering e Van Vleuten
Per Gaia è il ritiro in quota? Anche questo contribuisce al margine di cui dicevamo…

Sicuramente è il suo primo ritiro in quota di squadra. Per lei sono tutte cose nuove che fanno parte del ritrovarsi in un team grande. Anche solo fare i massaggi ogni giorno lassù non è poco, ti dice del salto di qualità. E stare con atlete di livello come Longo Borghini, Chapman o Spratt è stimolante.

Come lavorerete? Tanta endurance?

Tanta endurance, ma anche sui volumi. Mi spiego: essendoci lassù delle salite lunghe le ragazze possono stare per tempi più lunghi su determinate zone d’intensità. Poi inserirò anche qualche seduta più spinta e con il mio storico scooter le farò fare anche del dietro motore per il lavoro a crono, pensando al prologo del Giro.

Viaggio tra le alture italiane: Sestriere, Etna e San Pellegrino

16.05.2023
6 min
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Tre alture, tre luoghi magnifici. L’Italia tra i suoi innumerevoli patrimoni naturalistici vanta anche posti come Sestriere, Etna e Passo San Pellegrino. Mete preziose per i ciclisti che si arrampicano su queste pendici per dormirci su durante i periodi di stacco tra una corsa e l’altra. Lassù gli atleti ci vanno per curare animo e corpo, da soli o con la squadra. 

Ci siamo affidati a tre allenatori, preparatori, tecnici… chiamateli come volete, che su queste alture ogni anno portano corridori a ricaricare le pile o a preparare eventi importanti. Marino Amadori per il Sestriere, Paolo Alberati per l’Etna e infine Paolo Slongo per il Passo San Pellegrino. Iniziamo questo nostro Giro d’Italia tra le altura da nord a sud del nostro stivale. 

Sestriere: meta azzurra

Oltre ad aver riempito pagine di storia ciclistica con tappe e arrivi epici, Sestriere ogni anno nel periodo estivo è meta di pellegrinaggio da parte di ciclisti e amatori. Il motivo? I suoi 2035 metri e l’alto numero di salite e strade ideali per i corridori. Quassù ogni anno il cittì Marino Amadori porta la sua nazionale U23 ad allenarsi in preparazione agli appuntamenti più importanti.

«L’ho imparato a conoscere – racconta Amadori – perché vado su con i ragazzi da circa dieci anni. E’ una località che si trova più in alto rispetto ad un Livigno, nel senso proprio che siamo sui 2000 metri. Le zone d’allenamento sono ottime, con questa doppia scalata dalla parte di Cesana, una di 10 km, una di 6 km e poi arrivi giù ai 1.000/1.200 m dove puoi lavorare tranquillamente al 100 per cento anche in pianura. Come clima si trova sempre un po’ di fresco prezioso perché ovviamente ci si va nei mesi estivi essendo sulle Alpi. 

«Ritengo che sia una bellissima zona – dice il cittì – c’è anche poco traffico. Per il cicloturismo è una zona che si presta molto. Ci si può spostare anche nella zona di Pinerolo, sul Colle delle Finestre per trovare anche dello sterrato. In cima ci sono solo degli alberghi e servizi. E’ ben attrezzata. Una cosa preziosa quando andiamo su noi è che non c’è una vita sociale così attiva e distrattiva per i ciclisti. La scelta di questi luoghi viene fatta anche per questi motivi. 

«Nel 2019 e nel 2021 – ricorda Amadori – abbiamo preparato il mondiale che abbiamo vinto con Baroncini, ma anche il Tour de l’Avenir di Aleotti e Zana. Questo è sintomo che si lavora bene e il Sestriere è un’ottima palestra naturale».

Etna: come non innamorarsi

Anno dopo anno abbiamo imparato a conoscere il Teide e i suoi innumerevoli pregi. Basta guardare i profili Instagram dei pro’ e si nota che questo luogo è una delle loro mete preferite. Non ultimo Evenepoel che è sceso da lassù per andare a vincere la Liegi-Bastogne-Liegi. Non tutti però sanno che un vulcano con quelle caratteristiche (e con qualcosa in più) ce lo abbiamo anche noi. Si chiama Etna. Mastodontico, affascinate e immerso nella magnifica Sicilia. Paolo Alberati ce lo ha raccontato…

«L’Etna è un luogo magico. Purtroppo – dice – non è mai stato preso in considerazione più di tanto dai ciclisti. Da corridore andavo anche io sulle alture classiche. Ma l’Etna è differente perché qui a marzo a differenza degli altri luoghi puoi venire a pedalare con temperature ideali. Si dorme a quota 2.000 metri e si può pedalare fino a 2.900 con una gravel o mtb. A queste altitudini, io da preparatore lo consiglio, si può andare su con una e-bike per ossigenarsi e non affaticare il fisico.

«Ad oggi abbiamo – spiega Alberati – attivi 7 versanti pedalabili, il più lungo è 21 chilometri mentre il più corto è di 14. Sul nostro sito è possibile vederli tutti e programmarsi un itinerario per farli anche tutti insieme. Per questo abbiamo anche istituito un brevetto che attesta quante di queste salite hai conquistato. La cosa che ci ha convinti a creare questo progetto è stata anche la sicurezza che queste strade offrono. L’asfalto è sempre rifatto e il traffico è ridotto.

«E’ un luogo ideale – conclude – oltre per il cicloturismo e per gli appassionati, anche per preparare grandi appuntamenti. Ha un vantaggio che, tanto per fare un paragone, il Teide non ha. É possibile infatti scendere al livello del mare e trovare la pianura per allenarsi al meglio. A Tenerife questo non è possibile farlo perché è un continuo sali e scendi. Tra i più recenti nomi che sono venuti quassù prima del Giro, posso dire Aurélien Paret-Peintre, oppure Oldani, Baroncini. Chi viene, torna sempre, come Cadel Evans che è un frequentatore. L’Etna è una montagna magnetica, in continuo mutamento la senti che borbotta e respira».

San Pellegrino: prima dei Giri

Un passo situato nel cuore delle Dolomiti immerso in un contesto naturale rigorosamente protetto dall’UNESCO. Il San Pellegrino lo abbiamo visto tutti almeno una volta in TV in una tappa del Giro d’Italia tra una salita e l’altra oppure con l’arrivo in grembo. Scopriamolo attraverso le parole di Paolo Slongo.

«Il Passo San Pellegrino – dice – lo conosco da sempre. Ho iniziato a frequentarlo con le squadre da quando ero in Liquigas perché era un nostro sponsor. Da aprile, maggio in poi si andava su, si faceva anche il ritiro di dicembre invernale con tutta la squadra. Come detto, non è distante da casa mia e per un allenatore è importante conoscere la “palestra” dove ci si allena. 

«Il San Pellegrino – spiega – ha tutto quello che serve. E’ in altura, ha molte strutture adibite ad accogliere i ciclisti e soprattutto è possibile scendere comodamente a valle per alternare i percorsi. E’ infatti un luogo ideale, per i velocisti o per preparare le cronometro. Allo stesso tempo si hanno le Dolomiti, ma anche i percorsi piatti e ondulati nelle valli che ti permettono di poter far tutto l’allenamento a 360 gradi. Mi ricordo che per questo motivo venivano spesso a prepararsi anche Sagan e Viviani. 

«Le strade – conclude Slongo – sono perfette. Oltre a esserci ciclabili, che magari noi professionisti non frequentiamo, ci si può muovere in tranquillità ovunque. C’è una cultura per la bicicletta totale e ti senti anche tutelato mentre pedali. A livello di salite c’è l’imbarazzo della scelta. Il San Pellegrino è nel cuore delle Dolomiti. Per esempio quando si scende a Canazei che sei a 30 chilometri dal Passo, ti trovi un bivio, dove puoi fare Marmolada, Pordoi o Sella e da lì poi si apre tutto uno scenario di itinerari infinito. Da Ivan Basso compreso in poi, tutte le vittorie dei grandi giri sono state preparate lassù. Con Vincenzo Nibali ci piaceva molto andare nel periodo estivo, come lui anche Aru, Landa e tanti altri. Diciamo che andare al San Pellegrino era una garanzia per preparare un appuntamento importante».

Tra uomini e donne, una differenza di 100 watt

18.02.2023
4 min
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Ora che il ciclismo femminile è sempre più al passo di quello maschile, iniziano ad esserci dei paragoni. Paragoni che in qualche caso riguardano anche le prestazioni e i numeri. A rilanciare questo dibattito è stata la prestazione super di Gaia Realini, ma anche di Elisa Longo Borghini, al UAE Tour Women. Le due portacolori della Trek-Segafredo, verso Jebel Hafeet hanno staccato tutte e lo hanno fatto con numeri importanti. Per la Realini si è parlato di 4,75 watt/chilo. Numeri che tra gli uomini e per giunta su una salita finale, non sarebbero degni di nota. A parità di durata di sforzo avrebbero fatto registrare oltre i 6 watt/chilo.

E proprio per questo vogliamo saperne di più. E lo facciamo con l’aiuto di Paolo Slongo, coach della Trek-Segafredo. Va precisato che non abbiamo scelto il coach veneto perché segue le due atlete in questione, ma perché è abituato a lavorare, da anni, sia con campioni di primissimo piano che con campionesse… di primissimo piano.

Paolo Slongo con Elisa Longo Borghini. Il coach veneto ha sempre lavorato con grandi campioni, uno su tutti: Nibali
Paolo Slongo con Elisa Longo Borghini. Il coach veneto ha sempre lavorato con grandi campioni, uno su tutti: Nibali
Paolo, una bella differenza si è notata tra uomini e donne, almeno ad una prima analisi…

Partiamo dal presupposto che i numeri tra uomini e donne sono poco confrontabili. Chiaro che in fisiologia la componente della forza per le donne è minore e certi valori sono distanti. Ma il ciclismo femminile è in evoluzione. Le atlete crescono grazie a staff sempre più importanti, con preparatori, nutrizionisti, materiali… Il livello femminile si sta alzando e così i suoi numeri.

Quindi non si può dire che i 4,5 watt/chilo delle donne corrispondano ai 7 watt/chilo degli uomini?

Non è un paragone corretto. Più che parlare di watt/chilo posso dire che tra i top rider di uomini e donne c’è una differenza di 100 watt. Un corridore che primeggia in una tappa del Giro d’Italia ha 410-420 watt alla soglia, una donna che fa le stesse cose al Giro Donne ne ha 310-320.

Hai parlato di soglia, staccandoci per un attimo dal discorso dei watt, sul piano fisiologico le capacità aerobiche tra uomini e donne sono le stesse?

La capacità aerobica è la stessa e idem le zone di riferimento: medio, soglia… semmai quel che è diverso è la capacità aerobica di base che nel ciclismo femminile è meno allenata. E questo è un errore a parer mio.

Uomini e donne a confronto. Per Slongo la differenza è di circa 100 watt (foto Sam Needham)
Uomini e donne a confronto. Per Slongo la differenza è di circa 100 watt (foto Sam Needham)
E perché è meno allenata?

Perché qualcuno sostiene che ce n’è meno bisogno, in quanto le donne fanno tappe e corse più corte, quasi mai superiori alle 4 ore. Però le cose stanno cambiando. Adesso iniziano ad esserci Giri di 10 giorni e corse come la Liegi, la Roubaix o la Strade Bianche che richiedono un consumo energetico molto importante. E in questo caso chi ci lavora ha qualcosa in più sul piano aerobico.

E invece parlando sempre di capacità fisiologiche, i valori di smaltimento e accumulo dell’acido lattico sono differenti?

Sarebbe un discorso molto ampio, ma da quel che ho visto io, posso dire che sono uguali o molto, molto simili. Poi ogni atleta, a prescindere dal genere, ha le sue caratteristiche, ma di base non ci si discosta molto. Alla fine che si spinga a tutta per 3′ o per 20′, la forbice resta di quei 100 watt che dicevamo prima. Questo margine cresce un po’ in volata. In uno sprint, al termine delle frazioni, una donna arriva a 1.150 watt e un uomo a 1.450-1.500.

Gaia Realini con Longo Borghini a ruota verso Jebel Hafeet. L’abruzzese viaggiava sul filo dei 210-220 watt
Gaia Realini con Longo Borghini a ruota verso Jebel Hafeet. L’abruzzese viaggiava sul filo dei 210-220 watt
Tornando ai 4,75 watt/chilo della Realini è un valore di livello assoluto tra le donne, un po’ come i 7,3 watt chilo di Geoghegan Hart alla Valenciana, oppure è un dato “normale”?

E’ sicuramente un ottimo valore, ma quando Van Vleuten ha staccato tutte in quella tappa dello scorso Tour de France, ha fatto 6 watt/chilo sui 10′-12′ di sforzo, mentre quel valore medio di Gaia era riferito ad una salita la cui durata è stata di circa 34′.

E’ chiaro, l’aspetto della durata va considerato. I numeri snocciolati vanno presi con le molle e solo voi avete quelli certi, tanto che secondo alcuni Gaia avrebbe superato i 5 watt/chilo…

Quella che ha fatto è comunque un’ottima prestazione.

Sei stato chiarissimo, Paolo. Chiudiamo con un giudizio proprio su questa giovane scalatrice.

Non la conosco ancora moltissimo. E’ stata una gran bella sorpresa. Ma se devo dirla tutta lo è stata non tanto per la salita, perché lo sapevamo che lì andava forte, ma per come si è comportata in pianura all’UAE Tour. Lei è davvero piccola (150 centimetri, ndr) ed è rimasta, e bene, davanti. Si è mostrata a suo agio con i ventagli. Ha dei bei margini e di certo è una scalatrice pura.

Elisa e Gaia regine a Jebel Hafeet. Un piano ben riuscito

12.02.2023
5 min
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«Questo è il modo di vincere che ognuna di noi sogna di fare». Elisa Longo Borghini taglia il traguardo di Jebel Hafeet tenendo per mano Gaia Realini ed indicandola qualche metro dopo. E’ il trionfo della coppia della Trek-Segafredo in vetta alla montagna totem del UAE Tour Women nella terza tappa, nella quale Silvia Persico completa un podio tutto italiano.

Elisa rende merito a Gaia appena dopo l’arrivo e fa bene. Intanto perché con questa vittoria la 31enne di Ornavasso ipoteca anche il successo nella generale (le due compagne sono divise da soli 7”). Poi perché l’abruzzese ha dimostrato subito di essersi calata nella parte di perfetta donna-squadra al servizio della propria capitana durante quegli ultimi 10,8 chilometri di salita, in cui ogni avversaria ha dovuto alzare bandiera bianca.

Elisa prende per mano Gaia per il meritato arrivo in parata
Elisa prende per mano Gaia per il meritato arrivo in parata

Tattica rispettata

Dopo aver aperto la stagione coi due secondi posti di Amanda Spratt al Tour Down Under e alla Cadel Evans Great Ocean Race, era facilmente intuibile che la Trek-Segafredo fosse volata negli Emirati per puntare alla generale, possibilmente con una vittoria di tappa, nella terza corsa del calendario WorldTour. E a quel punto che volesse fare la gara nella frazione regina era evidente da tante cose.

Nelle due precedenti frazioni per velociste sembrava che la formazione guidata da Paolo Slongo avesse fatto le prove generali coi ventagli. La recita vera e propria è andata in scena ieri. Backstedt, Hanson e Sanguineti hanno menato in pianura, specie quando hanno saputo che nella rete dei ventagli erano finiti pesci grossi.

Sanguineti è stata preziosa nei ventagli e nella tattica prevista da Slongo
Sanguineti è stata preziosa nei ventagli e nella tattica prevista da Slongo

«Durante la riunione mattutina – spiega Slongo – avevamo detto che nei punti in cui c’era il vento dovevamo essere davanti e attenti. Se poi qualche squadra avesse promosso anche un’azione degna di nota, dovevamo contribuire dando continuità. E così è stato. Quando abbiamo visto che si era staccata la Cavalli con tutta la Fdj-Suez e successivamente anche la Lippert con la sua Movistar, abbiamo dato ancora più forza a questa azione.

«La salita è andata come volevamo – continua il tecnico trevigiano – anche se le cose non vanno sempre come le progetti. Volevamo lasciar fare il passo agli altri e se avessero fatto un ritmo troppo basso, avremmo preso in mano noi la situazione. Ad un certo punto Elisa ha deciso che il passo doveva essere più alto e Gaia si è messa davanti. Quando sono rimaste da sole hanno dato tutto per guadagnare il più possibile fino all’arrivo. A pochi metri dal traguardo ho dato l’ordine via radio alle ragazze che si parlassero e decidessero fra loro. Elisa voleva che vincesse Gaia però alla fine è andata come avete visto tutti».

Longo Borghini con la maglia di leader della generale che guida con 7″ su Realini e 1’18” su Persico
Longo Borghini con la maglia di leader della generale che guida con 7″ su Realini e 1’18” su Persico

Vittoria da sogno

Tra Longo Borghini e Realini ci sono dieci anni esatti di differenza. Sono il presente ed il futuro del movimento italiano, oltre che della Trek-Segafredo, cui hanno aggiornato pure una statistica. Elisa e Gaia hanno messo a segno una doppietta che al team statunitense mancava dal 22 giugno 2021. All’epoca, vittoria di Van Dijk davanti a Backstedt nel prologo del Lotto Belgium Tour, ma il primo-secondo in cima a Jebel Hafeet vale molto di più.

«Oggi – racconta Longo Borghini – dobbiamo molto a Gaia Realini. Per me è stata l’MVP della giornata (Most Valuable Player, cioè l’atleta più importante, ndr). E’ stata semplicemente incredibile, imponendo un forcing serrato. All’improvviso ci siamo ritrovate io e lei. Ci siamo dette che dovevamo continuare così e poi festeggiare insieme al traguardo. Sì, è vero, abbiamo parlato per la vittoria di tappa ma confrontandoci ancora con Paolo (Slongo, ndr) e facendo dei calcoli abbiamo deciso di arrivare così».

«Con Gaia c’è stata sintonia sin dall’inizio – prosegue Elisa mentre è in pullman verso l’hotel – è una ragazza frizzante e giocherellona alla quale è impossibile non voler bene. Pensate che ad un paio di chilometri dal traguardo mi ha detto “mi viene da piangere” in pescarese. Mi ha fatto morire dal ridere. Non vedo l’ora di restituirle questa vittoria.

«Oltre a Gaia – conclude Longo Borghini – devo dire un grande grazie al resto della squadra. Ilaria, Elynor e Lauretta sono state fortissime e hanno corso nel vento per me. Ho accanto a me quattro campionesse».

Felicità Realini

Una di queste è proprio la giovane Realini, prelevata dalla Isolmant. Ha aperto il 2023 cogliendo il suo primo podio, ma non si scompone troppo. Abbiamo imparato a conoscerla come una ragazza pragmatica. Poche parole, alcune dette nel suo dialetto per smorzare la tensione. Sorride infatti anche lei mentre ci fa rivivere quel simpatico momento. E fa eco alla sua capitana relativamente ai ringraziamenti alle sue compagne.

«Sapevamo che oggi – dice Gaia – potevamo dire la nostra fin dalle prime battute in pianura. Abbiamo lavorato come un team unito. Poi in salita Elisa ed io eravamo consapevoli dei nostri mezzi. Abbiamo lavorato bene e portato a casa il classico “tappa e maglia”. Personalmente sono ancora incredula di questa situazione e penso che mi ci vorrà ancora un po’ di tempo prima di realizzare il tutto. Voglio godermi tutto questo giorno per giorno senza pressioni».