La programmazione di una stagione è un processo complesso, soprattutto quando si ha come obiettivo un grande Giro. Preparare un atleta per una corsa di tre settimane richiede attenzione a ogni dettaglio, sia dal punto di vista fisico che mentale. Ed è un processo lungo mesi.
Paolo Slongo, storico preparatore di Vincenzo Nibali e da anni tecnico di Elisa Longo Borghini, ci aiuta a capire quanto influisca un grande Giro sulla preparazione di un corridore e quali siano le differenze tra puntare al Giro d’Italia, al Tour de France e alla Vuelta.
Paolo, quanto influisce la scelta di un Grande Giro sulla programmazione della stagione?
Influisce moltissimo. Se un atleta punta al Giro, tutta la preparazione invernale viene impostata in funzione di quell’obiettivo, con una progressione di carico che culmina in primavera. Chi punta al Tour, invece, spesso comincia la stagione più forte, con una pausa dopo le classiche delle Ardenne per poi ripartire in vista di luglio. Il ciclismo moderno ha reso ancora più complicata questa programmazione, perché il livello di competitività è molto alto fin dalle prime gare dell’anno.
Quali sono le principali differenze tra preparare il Giro e il Tour?
Il Giro arriva a maggio e richiede una crescita graduale, arrivando in forma al momento giusto. Si corre spesso in condizioni climatiche più variabili e la preparazione prevede una progressione più costante. Il Tour è un’altra cosa: chi lo punta sa che, se sbaglia, rischia di compromettere tutta la stagione. Il livello medio è altissimo e bisogna essere al top sin dalla prima settimana. Inoltre, il periodo di preparazione è diverso, con un focus maggiore sugli allenamenti ad alta quota e sulla resistenza alle alte temperature.
E fare due Grandi Giri nella stessa stagione per vincere è oggi un’opzione realistica? Togliamo Pogacar… chiaramente.
Dipende molto dall’atleta. Fare Giro e Vuelta è più gestibile rispetto a fare Giro e Tour o Tour e Vuelta, che sono più ravvicinati. Il problema è recuperare le energie e riuscire a ritrovare una condizione competitiva. Se un corridore sbaglia il primo Grande Giro della stagione, può arrivare meglio al secondo, ma il rischio è sempre quello di accumulare troppa fatica. Fare bene in entrambi è difficilissimo… e in pochi ci riescono.
Oggi la programmazione degli appuntamenti forse è diversa rispetto già a pochi anni fa: non si tratta solo del leader del team (ammesso che non sia un super leader) è così?
Sì, perché oggi le squadre programmano tutto nei minimi dettagli. In passato c’erano corridori sempre competitivi, mentre oggi le squadre preferiscono avere una rosa ampia con diversi capitani che puntano a obiettivi specifici. Questo ha alzato il livello in ogni corsa: non si può più arrivare al Giro dopo aver corso la Tirreno-Adriatico o le Ardenne a pieno gas, perché il rischio è di non essere al meglio quando conta davvero. Alla Tirreno di turno c’è chi porta quell’atleta (o anche più di uno) per vincere e che ha preparato quello specifico appuntamento.
E invece quanto conta l’aspetto mentale nella preparazione di un Grande Giro? Sapere che ha dicembre o gennaio quando inizia devi andare forte a maggio?
Conta tantissimo. Un atleta deve essere motivato e convinto dell’obiettivo, altrimenti rischia di arrivare scarico mentalmente. La preparazione a un grande Giro significa sacrificare tutto in funzione di quell’appuntamento, sapendo che lungo il cammino ci saranno gare in cui non si sarà competitivi al massimo.
Che poi un conto è essere pronti per il Giro e quindi a maggio e un conto è per il Tour. Devi aspettare un un ulteriore mese. Con un obiettivo così distante a livello temporale non è facile trovare la concentrazione forse…
Qui entra in gioco il ruolo del preparatore, che deve anche saper gestire l’aspetto psicologico, aiutando l’atleta a rimanere concentrato e a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Perché immagino che non sempre potrà andare forte. Devi essere sincero con lui o lei e parlare chiaramente.
Cioè?
Dirgli che non si aspettasse di andare forte in quella gara, che probabilmente soffrirà più del dovuto, che magari in qualche occasione dovrà persino mollare un po’. Se punta al Tour o anche al Giro, in alcune gare precedenti per forza di cose non sarà al top. Questo era un bel problema che avevo con Vincenzo: lui voleva andare sempre forte. Anche perché poi iniziavano le critiche…
Oggi conta più l’allenamento o la corsa per trovare la condizione?
Si fa un mix tra le due cose. Una volta si diceva che la condizione si trovava correndo, ma oggi l’allenamento è fondamentale. In corsa non si lavora sempre nelle zone di intensità ideali, mentre in allenamento si può programmare tutto con precisione. Il problema è che la gara dà stimoli diversi, perché lo sforzo è più reale e il fuori giri è più facile da sostenere. Per questo oggi si alternano periodi di ritiro con gare mirate, in modo da arrivare alla corsa obiettivo nella migliore condizione possibile. Ma non puoi presentarti alle gare di avvicinamento con una condizione bassa. Impossibile.
Chiaro…
Torniamo al discorso di prima, le squadre programmano bene, le rose sono ampie e in ogni gara c’è chi è al 100 per cento e punta. Di conseguenza il livello è sempre alto.