Bettini e i Giochi: Nibali lo porterei, Alaphilippe sbaglia di grosso

22.06.2021
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Paolo Bettini è nel pieno della sua stagione di testimonial, tra la Sportful Dolomiti Race cui ha preso parte lo scorso weekend e la Maratona dles Dolomites che bussa alle porte. Parallelamente anche la stagione dei professionisti si avvia verso il momento più caldo, con il Tour de France che lancerà le Olimpiadi. E proprio per questo, tornando alla scelta di Alaphilippe di mettere da parte di Giochi in favore della sfida francese, siamo andati a scovarlo nel suo buen retiro toscano, con una serie di domande perfette per il toscano che è stato campione del mondo e campione olimpico e che poi ha guidato la nazionale italiana alla sfida di Londra 2012. Si parte dal commento di Argentin, raccolto nei giorni scorsi, per cui Alaphilippe farebbe bene a non andare alle Olimpiadi e puntare tutto sulla maglia gialla.

Lefevere può aver avuto la sua parte nella scelta di Alaphilippe
Lefevere può aver avuto la sua parte nella scelta di Alaphilippe

«Rispetto ad Argentin – comincia Bettini – io ho fatto le Olimpiadi e fossi Alaphilippe farei il Tour in funzione di Tokyo. Al Tour, se va bene fa quinto. A Tokyo, se va bene vince, oppure va sul podio e sempre di medaglie olimpiche parliamo. Le Olimpiadi non sono ciclismo, sono sport. Mi diverto ancora ad andare in giro con la mia medaglia, perché ti tira fuori dal solito mondo. Le relazioni che ci legano, con i vari Iuri Chechi, Aldo Montano, Antonio Rossi, Valentina Vezzali sono particolari. Ci vediamo poco, ma quando succede siamo come fratelli».

Questo è il messaggio che sembrava essersi affermato dopo la tua vittoria, forse però il Covid ha accentuato le esigenze degli sponsor…

Infatti il problema potrebbe essere proprio questo. Alaphilippe è ancora con Lefevere ed è comprensibile soprattutto in questo periodo che gli sponsor si facciano sentire. Ma nonostante questo, il fatto che lui punti al Tour è un azzardo. Vogliamo fare l’elenco di quelli che vivono per il Tour e che possono fare meglio di lui? Al contrario, sempre valutando bene il percorso, Tokyo si addice alla perfezione a un corridore come lui, più che a un Bettini…

Sul podio dei Giochi di Atene 2004 con Paulinho e Merckx, anche Bettini correva con la Quick Step
Sul podio dei Giochi di Atene 2004 con Paulinho e Merckx, anche Bettini correva con la Quick Step
Sicuro?

Se punta al Tour, vuol dire che sulle salite dure si sente forte. E se arriva in volata in una corsa come quella, a poterlo battere ne vedo pochi. Forse Pogacar, già su Roglic avrei delle riserve. La Liegi 2020 gliel’ha regalata lui alzando le braccia 20 metri prima della riga, credendo di essere da solo. Ce l’ha un po’ come abitudine, ma non è detto che ci ricadrebbe.

Non è strano è che Voeckler, cittì francese, non abbia detto nulla?

Bisogna vedere quanto sia importante il ciclismo ai Giochi per il comitato olimpico francese. Certo che se poi Alaphilippe al Tour dovesse fare flop, non ne uscirebbe benissimo. Voeckler magari se lo deve tenere buono per i mondiali, ma la sensazione è che il ciclismo non abbia colto appieno la portata delle Olimpiadi. Paulinho è un ciclista, ma sull’argento di Atene ci si è costruito la carriera.

Da Alaphilippe che rinuncia, si passa alla querelle su Nibali: come la vedi?

La verità bisogna conoscerla, sanno Vincenzo e Cassani che cosa si sono detti (i due sono insieme nella foto di apertura al Tour che lanciava i Giochi di Ri 2016, ndr). Le convocazioni olimpiche non hanno gli stessi meccanismi di un mondiale. Ci sono tempistiche diverse e i tecnici devono consegnare al Coni relazioni sugli atleti convocati e quelli esclusi. E’ un percorso lungo, tanto che quando prima di Londra esplose Moser, vincendo il Giro di Polonia, e tutti lo volevano alle Olimpiadi, non potei inserirlo un po’ perché non rientrava nel mio progetto e un po’ perché non faceva parte della lista dei Probabili Olimpici.

Relazioni sugli esclusi, come mai?

Sì, perché l’atleta può fare ricorso, per cui se lasci a casa qualcuno, devi motivarlo. Non è come negli altri sport, in cui la convocazione è personale.

Alaphilippe_Roglic_Hirschi_Liegi2020
Roglic infila Alaphilippe alla Liegi del 2020, ma il francese ha alzato le braccia troppo presto
Alaphilippe_Roglic_Hirschi_Liegi2020
Roglic infila Alaphilippe alla Liegi del 2020, ma il francese ha alzato le braccia troppo presto
Tu Nibali lo porteresti?

Lo metterei dentro a prescindere e poi mi prenderei tutto il tempo per valutare. Vincenzo ha fatto Pechino, Londra e Rio. Uno che ha fatto tre Olimpiadi ha un’esperienza rara. A Pechino era al debutto, fu convocato per fare la corsa dura ed eravamo ancora dentro la città quando attaccò sul primo cavalcavia e rimase fuori tutto il giorno. Ai Giochi di Londra lo portai per aiutare. Disse: «Per la maglia azzurra faccio qualsiasi cosa». Il percorso era quello che era e la federazione voleva dimostrare che si poteva puntare sulla multidisciplina e che Viviani poteva fare pista e strada, altrimenti si sarebbe potuto mettere dentro Moser e fare corsa dura con Vincenzo. Ma ci sono piani e impegni e andò così. E poi a Rio ha quasi vinto. Uno così è un riferimento tutta la vita, anche solo per le cose che potrebbe raccontare alla vigilia

Può essere un elemento di disturbo nei piani del tecnico?

A due settimane dai mondiali di Zolder mi capitò di battere in volata Cipollini. Si rischiava di rompere l’equilibrio, per cui Franco (Ballerini, ndr) venne a chiedermi se mi sarei messo di traverso, ma lo rassicurai dicendogli che sarei stato ai patti. Il corridore che dà la parola fa così. La stessa cosa poteva succedere proprio con Nibali a Geelong, il mio primo mondiale da tecnico…

Nibali debuttante a Pechino fece anche la crono
Nibali debuttante a Pechino fece anche la crono
Perché?

Stava vincendo la Vuelta. Avevo paura che avrebbe avuto un calo di tensione e che il viaggio intercontinentale lo avrebbe spompato, In più c’era da allenarsi in Australia per parecchio tempo prima della corsa. E così gli chiesi se non fosse meglio restare in Italia a godersi la Vuelta. Sapete cosa mi rispose: «Non preoccuparti di me, faccio quello che serve. La maglia azzurra è troppo importante». Per portarlo rimase fuori Bennati, che non la prese bene, ma questo è il ruolo del tecnico.

Martini diceva che il momento peggiore era comunicare le esclusioni.

E’ vero ed è il motivo per cui è fondamentale parlare tanto con gli atleti. Loro magari la interpretano come una cosa personale, poi però si rendono conto che ogni parola forma il piano della nazionale. L’ambizione dei singoli c’è e va mantenuta, ma devi far capire gradualmente che si va per un obiettivo superiore. Se poi capita l’occasione…

L’ottimo rapporto con Ballerini, portò a Paolo i Giochi del 2004 e 2 mondiali (2007-2007)
L’ottimo rapporto con Ballerini, portò a Paolo i Giochi del 2004 e 2 mondiali (2007-2007)
Porta socchiusa?

Il difensore della squadra di calcio sa che se ferma l’attaccante avversario e lancia la sua punta che fa goal, alla fine ha vinto anche lui. Nel ciclismo puoi tirare per tutto il giorno senza che nessuno ti veda e alla fine magari vincer Bettini. E c’è una bella differenza, sia psicologicamente sia materialmente.

Tu Nibali lo porteresti comunque…

Per quanto possa andare piano, ti fa 180 chilometri bene, per questo è una garanzia. Mentre non può essere portabandiera, come ha suggerito Cipollini, perché per farlo devi aver vinto una medaglia. Perciò, orgogliosi di Viviani e fieri di avere un riferimento come Nibali.

Giro alle spalle, Villa torna al lavoro con tanti grattacapi

31.05.2021
5 min
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Il Giro d’Italia è finito solo da poche ore e Marco Villa è già al lavoro con i suoi ragazzi. Il cittì della pista lo avevamo incrociato a Verona. Anche lui quel giorno aspettava Viviani. Era arrivato scortato dai suoi ragazzi, Scartezzini, Lamon… 

Marco ha seguito da vicino, molto vicino, la corsa rosa visto che ne facevano parte Viviani appunto, Ganna e Consonni, i suoi uomini che quasi certamente a luglio faranno rotta su Tokyo.

Marco Villa con Michele Scartezzini alla Coppi e Bartali
Marco Villa con Michele Scartezzini alla Coppi e Bartali
Marco, come escono i tuoi ragazzi dal Giro?

Direi bene. Mi dispiace che Elia non sia riuscito a vincere. Ci è andato vicino nella prima volata però è sempre stato lì, non si è staccato prima degli sprint. E’ stato presente anche in arrivi dove non credevo potesse esserci e quindi a mio modo di vedere dico che è andata bene. Poi sapete, se vinceva la prima volata magari ne azzeccava altre due. E poi bene e attivo Simone (Consonni, ndr) e idem Pippo (Ganna, ndr).

Tornando ad Elia però in alcune tappe per velocisti la sua Cofidis non ha tirato e ha lasciato andare via la fuga, segno di scarsa condizione? Di poca fiducia da parte del team?

Anche nella tappa dello Zoncolan, per esempio, chi doveva vincere non ha tirato e ha lasciato andare via la fuga, con tutto il rispetto per Fortunato, sia chiaro… Una sola squadra fa fatica a controllare la corsa e infatti in quelle occasioni la Cofidis ha mandato in fuga Consonni. Poi nel merito della tattiche dei team io non entro. Dopo che sono andati a casa Merlier, Nizzolo ed Ewan chi tirava? Sagan aveva interesse che andasse via la fuga per difendere la sua maglia.

Consonni ha fatto un bel Giro, ha mostrato grinta.

E’ un battagliero e anche quando è “morto” riesce a fare la volata. Ricordo che lui ha sfiorato un mondiale under 23. Consonni non l’ho scoperto a Stradella. Poi è anche un po’ sfortunato. In Argentina vinse una volata battendo gente come Sagan, il problema era che in fuga c’era Alaphilippe. Al Giro ha perso contro un ragazzo che ha vinto il Fiandre. Non è poco. In altre situazioni saremmo stati qui a parlare di vittorie.

Al Giro Consonni è stato quarto a Gorizia (in foto) e secondo a Stradella
Al Giro Consonni è stato quarto a Gorizia (in foto) e secondo a Stradella
E Ganna? Non è che Pippo ha spesso troppo?

E pensare che al Romandia era stato messo in discussione per il lavoro fatto, si diceva che non era competitivo. Invece ha mostrato a tutti che non aveva sottovalutato il Giro per fare bene alle Olimpiadi. E anche io prima del Giro non c’ero andato leggero (riferendosi ai lavori in pista, ndr). Adesso invece con il Giro nel sacco c’è tutto il tempo per recuperare in vista di Tokyo. Se poi abbia tirato tanto o meno ognuno ha il suo lavoro da fare. Però ieri ha vinto la crono e quindi sapevano che aveva ancora delle energie in tasca.

Quindi sei soddisfatto, ne escono bene…

Sì sì, il lavoro del Giro è stato fatto appieno, un grosso volume che ci permette di recuperare e che possiamo sfruttare per i lavori di specializzazione che ci aspettano. Quello che dovevano fare l’hanno fatto. Li sentivo con messaggi e telefonate. Erano tranquilli, quello che voleva più vincere era Elia, si sentiva che ne aveva voglia.

Dalla prossima settimana scatta il ritiro in altura.

In realtà qualcuno è già a Livigno. Elia ci andrà domani. Ganna farà una settimana a casa e poi andrà sullo Stelvio. Dopodiché inizieremo gli specifici in pista e valuteremo chi farà il campionato italiano a crono e su strada anche perché c’è da capire se verrà recuperato l’Europeo (erano previsti per fine giugno, ndr). Sto aspettando novità. Altrimenti dovrò riprogrammare per l’ennesima volta l’avvicinamento a Tokyo.

Cosa intendi?

Ci arrangieremo con allenamenti e simulazioni di gara. Dobbiamo affidarci all’allenamento, trovando quegli stimoli che ci sono in gara e ti portano a fare certi sforzi. E questo vale sia per chi fa parte del quartetto, che per chi correrà nella Madison e nell’Omnium. Ci sarà la Sei giorni di Fiorenzuola, ma gare su legno tra giugno e luglio non ce ne sono. Ci inventeremo qualcosa a Montichiari.

Però correrete al Giro di Sardegna…

Si dovrebbero portare sette atleti per squadra, Cassani mi ha già chiesto due o tre posti perché pensando alle Olimpiadi alcuni dei possibili convocati fanno poca attività. Milan già vi dico che dovrebbe correre con la sua Bahrain Victorious, così mi libera un posto. Cercherò di capire chi e che squadre ci saranno così farò le mie scelte e portare in gara almeno quei 4-5 sicuri.

Certo non è facile lavorare cosi, Marco…

Dalle Olimpiadi che mi aspettavo di preparare l’anno scorso è cambiato tanto. Difficile dire se in meglio o solo in peggio. Per esempio, Ganna campione del mondo a cronometro: se si fossero tenute l’estate scorsa com’era previsto, Pippo non avrebbe fatto la crono, non era nei programmi. Adesso invece la farà. Egoisticamente parlando per me era più semplice e invece è un grosso peso, nel senso dello spessore tecnico. Questo ragazzo ha vinto il mondiale, quattro crono al Giro, può aspirare ad una medaglia. E poi l’organizzazione, il Covid, le gare che saltano…

Filippo_Ganna_crono_Palermo_Giro2020
La prima uscita l’anno scorso del Ganna iridato a crono in quel di Palermo
Filippo_Ganna_crono_Palermo_Giro2020
La prima uscita l’anno scorso del Ganna iridato a crono in quel di Palermo
Gli altri ragazzi che non erano al Giro? Lamon, Scartezzini, Bertazzo, Plebani…

Hanno cercato di correre il più possibile su strada il sabato e la domenica e hanno lavorato di più su pista. Adesso sono a Livigno, per loro questa è una settimana di lavoro, chi esce dal Giro invece la sfrutta per riposarsi. Milan anche è su, ma scenderà prima perché correrà in Slovenia. Bertazzo aveva gareggiato in Ungheria… Insomma, si lavora così.

Di certo non ti annoi!

No, no…

Dopo Livigno andrete in altura sul Maniva facendo la spola con la pista di Montichiari…

Andremo lì dal 10 giugno in poi. Lì faremo dei blocchi di lavoro su pista. Tra Montichiari e il Maniva c’è circa un’ora di strada, spesso scenderanno in bici e anticiperanno il riscaldamento in pista. Mentre al ritorno andranno con il pullmino, anche perché immagino sarà abbastanza tardi la sera, verso l’ora di cena.

Quante ore passerete in velodromo?

Ci saranno dei giorni in cui si pedalerà anche su strada e ci si starà 3-4 ore, e altre volte in cui si farà la doppia seduta: 3-4 ore al mattino e altrettante al pomeriggio.

Paola Pezzo Olimpiadi Sidney 2000

La multidisciplinarietà secondo Paola Pezzo

25.05.2021
4 min
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Le Olimpiadi di Tokyo sono sempre più vicine e gli atleti si stanno preparando nonostante le difficoltà dovute al Covid-19. Difficoltà che non ha dovuto affrontare Paola Pezzo nei suoi successi di Atlanta 1996 e Sidney 2000. Abbiamo incontrato la due volte campionessa olimpica in occasione della Gran Fondo Squali-Trek, visto che è anche Ambassador di lusso del marchio americano. La nostra curiosità ha spaziato oltre le Olimpiadi e le risposte di Paola Pezzo sono state molto interessanti.

Paola Pezzo con Letizia Paternoster alla Gran Fondo Squali Trek
Paola Pezzo, a sinistra, con Letizia Paternoster
Paola Pezzo con Letizia Paternoster alla Gran Fondo Squali Trek
Paola Pezzo, a sinistra, con Letizia Paternoster alla partenza della Gran Fondo Squali-Trek
Siamo nell’anno dei Giochi Olimpici di Tokyo. Cosa ti suscitano le Olimpiadi, quando le rivedi a distanza di anni?

E’ sempre una grande emozione perché è il sogno di ogni atleta. Quando ti dedichi tanto allo sport che è la tua vita, il sogno è sempre quello di arrivare alle Olimpiadi, è l’evento più importante. Non è facile perché richiede tanto lavoro, tanto impegno. Preparare un’Olimpiade non si improvvisa, ma ci vogliono anni. Però devo dire che quando si raggiungono i risultati e si va a podio o addirittura si arriva alla medaglia d’oro, come è successo a me, si viene ripagati di tutti i sacrifici e le fatiche fatte.

Hai toccato un punto interessante che è quello della preparazione. Cosa pensi della multidisciplinarietà nel ciclismo. Tu sei stata una delle prime a seguire questa strada. Cosa è cambiato oggi rispetto agli anni 90?

Diciamo che oggi c’è molta tecnologia, c’è più scienza. Ai miei tempi invece si andava più a sensazione, che non era neanche male, perché poi quando vai in salita capire le proprie sensazioni non guardando sempre questi strumenti della scienza non è un male.

Saresti favorevole a meno tecnologia?

Ormai l’evoluzione è questa, però devo dire che sarei d’accordo nel tornare un po’ indietro perché quando c’eravamo noi si alternava. Si faceva ciclismo, ma quando arrivava novembre ci si riposava e poi si ricominciava con altri sport, soprattutto lo sci di fondo. Non era male perché comunque mantenevi sempre un buon fiato con allenamenti in cui si facevano 1.700/1.800 metri di dislivello.

Staccare e cambiare sport ti serviva a livello mentale?

Si, perché quando ricominciavo e dovevo andare in bici avevo proprio la voglia di ritornare, invece i corridori di oggi sono quasi tutto l’anno in bicicletta.

Paola Pezzo impegnata nei mondiali a cronometro del 1999
Paola Pezzo impegnata nei mondiali a cronometro del 1999
Paola Pezzo impegnata nei mondiali a cronometro del 1999
Paola Pezzo impegnata nei mondiali a cronometro del 1999
Oggi vediamo i successi di Van der Poel e Van Aert su tutti, che comunque corrono tutto l’anno in bici fra ciclocross, strada e anche mountain bike.

E’ vero, infatti dico che i ragazzini, fra cui anche mio figlio, devono puntare tanto sulla multidisciplinarietà, perché ti dà quelle abilità tecniche che servono in pista, in strada e fuori strada, basta vedere Van der Poel. Pensate anche a Sagan che arriva dalla mountain bike, e ai tanti atleti che arrivano da discipline diverse. E’ importante soprattutto farlo capire ai giovani e non iniziare solo con la strada. Bisogna dare l’opportunità ai ragazzi di acquisire tutte le abilità tecniche che un domani gli saranno utili.

Tu sei anche istruttrice di mountain bike. Ci puoi dire come instradare bene i giovani?

E’ un impegno perché ci vorrebbero tante biciclette in ogni famiglia, però basta mettersi d’accordo con le varie società. Magari la società della pista mette a disposizione le sue bici per quel determinato giorno che si va in pista e dopo si scambia. Magari la volta dopo loro vengono a fare mountain bike e si cerca di aiutarli. Trovare anche delle aziende che aiutano questi progetti con una serie di biciclette da mettere a disposizione dei ragazzi non sarebbe male, così si aiutano i genitori anche a livello economico.

La Pezzo in azione con la maglia di campionessa del mondo
La Pezzo in azione con la maglia di campionessa del mondo
La Pezzo in azione con la maglia di campionessa del mondo nel 1998 a Milano
La Pezzo in azione a Milano con la maglia di campionessa del mondo Mtb nel 1998
Parlando di ragazzini viene spontaneo chiederti il tuo pensiero sulla sicurezza stradale, visto che sei anche mamma di un corridore.

Mountain bike, pista e bmx sono un ambiente sicuro e i genitori li mandano più volentieri. Quando si va in strada è più problematico. Alcune società hanno i circuiti chiusi e sono fortunate. Pensare a degli esordienti che devono uscire su strada desta molta preoccupazione. Bisogna trovare la società che ha delle persone che hanno tempo con una moto per stargli vicino. Però mandarli da soli sulla strada è molto difficile perché hanno tutti una guida molto distratta.

Il problema è anche culturale e di educazione?

Bisognerebbe fare tanto sia nella scuola per educare i giovani e sia quando si prende la patente di guida per insegnargli che quando c’è un ciclista bisogna mantenere la distanza. Direi di puntare sull’educazione.

Letizia Paternoster partenza Gran Fondo Squali 2021

Paternoster, cresce la condizione e la fiducia

22.05.2021
3 min
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Le Olimpiadi di Tokyo si avvicinano e le gare che le precedono sono sempre meno, soprattutto per quel che riguarda la pista. Un’occasione per misurarsi sarà il Campionato Europeo di Minsk (23-27 giugno). E allora quale migliore occasione della Gran Fondo Squali-Trek (nella foto di apertura in griglia prima della partenza) per fare il punto sulla sua condizione con Letizia Paternoster, che per l’occasione è stata anche madrina dell’evento romagnolo.

 Letizia Paternoster al via della Schelderprijs
Letizia Paternoster al via della Schelderprijs
 Letizia Paternoster al via della Schelderprijs
Letizia Paternoster al via della Schelderprijs 2021
Come procede la preparazione alle Olimpiadi di Tokyo?

Tutto bene, sto lavorando duro e andrò altura in altura per iniziare il primo blocco di lavoro in quota. Adesso ci sto credendo tanto, sto dando tutta me stessa per tornare quello che ero, e centrare l’obiettivo.

A che punto senti di essere?

Ma sicuramente adesso i numeri stanno crescendo tanto, soprattutto in queste ultime settimane. Diciamo che inizialmente ero un po’ più lenta nel recuperare e tornare al mio livello. Ora invece si sta tutto accorciando. Questo mi rende davvero felice e serena. Manca ancora del tempo a Tokyo, quindi diciamo che andare troppo forte ora non sarebbe neanche una cosa giusta.

Che ruolo avrà la strada? Ti servirà come ultimo step per raggiungere la migliore condizione?

Per quanto riguarda la strada, in questo momento mi aiuta a migliorare la performance in pista, soprattutto in una specialità come l’Omnium dove devi avere un recupero alto, e facendo gare su strada aumenti sicuramente questa qualità. Dopo le Olimpiadi la mia testa sarà nuovamente concentrata al massimo proprio sulle gare strada.

Europei su pista a Minsk a fine giugno. Come li interpreterai tu e la nazionale?

Penso che tutta la nazionale lo interpreterà per fare esperienza soprattutto per la Madison e per il Quartetto. Saranno molto utili per riapprociarsi a quelle che sono le dinamiche di gara. Non so a che punto saranno le avversarie, sicuramente raggiungere una grande prestazione in quel momento non è giusto, specie se si punta ad avere il picco di forma ad agosto. Quindi penso che lo correremo in funzione delle Olimpiadi.

Wild Paternoster Gand 2021
La Wild con dietro la Paternoster (foto tratta da Facebook)
Wild paternoster Gand 2021
La Wild con dietro la Paternoster a Gand (foto tratta da Facebook)
L’ultima tua esperienza su pista è stata nel Meeting Internazionale a Gand a metà aprile, come ti sei ritrovata nel tuo ambiente?

Li sono tornata in pista dopo Berlino, dopo ben un anno e due mesi. Il primo giorno è stato un incubo, ho pensato “O mio Dio dove sono è un altro sport!”. Poi mi sono subito riambientata ai massimi livelli.

Hai avuto dei riferimenti utili?

Si, nella giornata conclusiva ho finito con un terzo posto nella corsa ad eliminazione e comunque dietro a Wild e Archibald e davanti a Laura Trott. Mi ritengo soddisfatta.

La Paternoster quest'anno sta usando la Trek Emonda
La Paternoster quest’anno sta usando la Trek Emonda
La Paternoster quest'anno sta usando la Trek Emonda
La Paternoster quest’anno è passata dalla Trek Madone alla Emonda
Ci puoi dire cosa cambia nel gesto della pedalata fra pista e strada?

Ma sicuramente in pista hai una frequenza molto più alta di quella che hai su strada, questo è sicuro. Direi che la grande differenza è questa.

Una curiosità sulla bici da strada, al momento cosa stai usando la Madone o l’Emonda?

Adesso sto usando l’Emonda, perché mi trovo molto bene. Lo scorso anno prediligevo la Madone, però con la nuova Emonda mi sono trovata subito molto bene. E’ più leggera rispetto alla Madone ma è reattiva quasi, se non allo stesso modo della Madone.

Bartalini Usa

Bartalini, un artista innamorato della bici

16.05.2021
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Se da una parte Marco Giovannetti ed Eros Poli sono comunque rimasti vicini al ciclismo, seppur con modalità molto diverse e lontane dalle luci della ribalta professionistica, Marcello Bartalini la sua bici ormai l’ha riposta in cantina, troppi i suoi impegni quotidiani che l’hanno portato lontano dalle due ruote, complice anche un forte sentimento di disillusione, che traspare dalle sue parole.

L’empolese, olimpionico a Los Angeles 1984 con la 100 Chilometri a squadre e per due stagioni professionista sul finire degli anni Ottanta, si occupa a tempo pieno di sistemistica e televendite, curando produzioni televisive quotidiane che lo portano nelle case di tutti gli italiani. La televisione è il suo mondo, per un certo periodo ha lavorato anche come autore di testi per personaggi come Fiorello, ora però tutto gira intorno ad algoritmi e sistemi per 10 e Lotto e Superenalotto: «Me ne occupo ormai da 34 anni e ho imparato che bisogna stare sempre sul pezzo, perché il mercato è come il virus…».

In che senso?

Nel senso che muta sempre, i prodotti passano di moda con enorme velocità. Guardate ad esempio i prodotti per la ginnastica in casa: tutti pensavano che con il lockdown ci sarebbe stato un boom, invece il mercato si è saturato presto e oggi non ha sbocchi.

Bartalini Olimpiadi 1984
Il gruppo olimpico ’84: da sx Poli, Bartalini, la riserva Manenti, Giovannetti e Vandelli
Bartalini Olimpiadi 1984
Parte del gruppo olimpico ’84: da sx Bartalini, la riserva Manenti, Giovannetti e Vandelli
Il tuo nome però è legato all’arte…

Quella è passione pura, che vorrei tanto diventasse la mia attività principale. Ho sempre dipinto, ma la svolta è arrivata quando correvo in America, alla Pepsi Cola-Fanini-Fnt tirando le volate a Roberto Gaggioli. Allora conobbi Sam Francis, un vero nume dell’espressionismo, con cui nacque una profonda amicizia, ero l’unico che poteva entrare nel suo atelier. Non posso però dire che sia un mio maestro: anch’io sono un astrattista, ma seguo altre strade, lui è più vicino alla visione di Pollock.

I tuoi quadri hanno più mercato di qua o di là dell’Atlantico?

Lo avrebbero da entrambe le parti, il problema sono i dazi. Il mio sogno, se riuscirò a dedicarmi all’arte, è trasferirmi negli Usa per almeno 6 mesi l’anno e poter curare lì i miei interessi artistici, sarebbe molto più semplice.

Bartalini oggi con uno dei suoi quadri, chiara la matrice espressionista
Bartalini oggi con uno dei suoi quadri, chiara la matrice espressionista
Perché ti sei allontanato dal ciclismo?

Quando correvo era un ambiente più vero, più rispettoso verso il campione. Non sopporto ad esempio di vedere uno come Nibali osannato finché vinceva e da molti considerato finito solo perché ora è più difficile emergere. Troppi corridori sono poco umili, personaggi da social più che da strada, molta apparenza e poco altro.

Perché la tua carriera professionistica è durata solo due anni?

Non mi piacque quel che vidi. Ebbi la ventura di passare con Fanini, un appassionato che aveva l’abitudine di parlar chiaro: «Soldi ce ne sono pochi, se vuoi correre devi portarmi uno sponsor…». Era una sua regola, necessaria per andare avanti, potevi accettare o meno, ma in tanti lo hanno denigrato per questo e non era giusto. Poi c’è anche altro…

Ossia?

Ho trovato un mondo diverso da quello che mi aspettavo: credevo che regnasse una grande professionalità, invece mi trovai in un ambiente ricco di personaggi squallidi, meccanici poco capaci, tanti profittatori, gente pronta solo a nascondere i propri sbagli e soprattutto la propria imperizia. Chi meritava davvero non trovava spazio. Io ho sempre pensato che nello sport dovessero emergere i più forti, i più bravi, ma ho capito che non sempre è così.

Bartalini Pepsi 1988
Due anni da pro’ per Bartalini: nel 1988 alla Pepsi Cola-Fanini e nell’89 alla Polli-Mobiexport
Bartalini Pepsi 1988
Due anni da pro’, nel 1988 alla Pepsi Cola-Fanini, nel 1989 alla Polli-Mobiexport
Che corridore eri?

Non certo un campione, ma sapevo correre, tanto che mi avevano soprannominato “Scienza” perché ero bravissimo nell’organizzare le strategie di corsa. La gara che però non potrò mai dimenticare è una prova da junior, la Coppa Adriana, la vinsi quando avevo appena lasciato il lavoro di fornaio: fu lì che imparai la parola sacrificio. Il fatto che nulla arriva se non t’impegni con tutto te stesso.

La medaglia olimpica ce l’hai ancora?

Certo, è un riferimento. Ancora oggi mi chiamano nelle scuole per spiegare che cosa significa vincere un’Olimpiade, quanto lavoro c’è dietro e vedo negli occhi dei ragazzi quella scintilla, quel sogno che avevamo noi. Questo non è cambiato, per fortuna…

E in bici ci vai?

Non quanto vorrei, anche perché alcuni anni fa subii un incidente di macchina andando a Lugano per una trasmissione Tv, che mi ha lasciato strascichi alla schiena e a una gamba. Pian piano però voglio riprovarci, perché la bici è il migliore dei farmaci…

Poli Tour 1994

Poli: «Ho domato il Ventoux quasi senza capirlo…»

25.04.2021
4 min
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La sveglia per il contatto via Skype arriva presto per Eros Poli: lo rintracciamo a Santa Barbara, in California, in uno dei tanti viaggi in bici per la sua azienda, per la quale lavora da oltre 10 anni, che cura escursioni ciclistiche un po’ in tutto il mondo. Un modo diverso di pedalare, questo è certo, ma soprattutto di mantenere in vita un amore che ha pervaso tutta la sua esistenza.

Eros Poli, per chi non lo ricordasse, è stato uno dei 4 componenti del quartetto olimpionico a Los Angeles 1984, con Bartalini, Giovannetti e Vandelli. Da professionista ha avuto una lunga carriera come gregario di campioni a cominciare da Mario Cipollini, per il quale era fondamentale componente del treno che lo pilotava nelle sue eccezionali volate. Eppure la sua storia ciclistica è ricordata soprattutto per una vittoria, l’unica da professionista, per certi versi assurda: la tappa del Tour 1994 che finiva a Carpentras dopo aver scalato il Mont Ventoux (nella foto di apertura).

Oggi Poli s’interessa poco del ciclismo agonistico: «Ho poco tempo, quando posso però guardo il Tour in tv, sono rimasto legato a quella corsa, non lo nego, mi appassiona ancora».

Poli Boonen 2009
L’ultima presenza di Poli al Tour, nel 2009, qui con Tom Boonen. Ora segue solo da lontano
Poli Boonen 2009
Al Tour del 2009, qui con Tom Boonen. Ora segue solo da lontano
Ripensandoci a distanza di anni che cosa ti è rimasto?

Sono passati 27 anni ma sembra ieri… Ogni anno organizziamo tra i viaggi anche un’escursione sul Ventoux e ogni volta mi chiedo come ho fatto a non essere ripreso dal gruppo degli scalatori, con Pantani scatenato alle mie spalle. Io avevo un fisico che non aveva nulla a che fare con le montagne, 84 chili per 1,94 di altezza.

Il momento più bello?

A 3 chilometri dall’arrivo, quando compresi che non potevano più prendermi. Pensai alla gioia della mia famiglia, mia moglie, la bimba che aveva tre anni all’epoca e che tra poco mi renderà nonno. Poi, a pensarci bene, mi torna in mente la conferenza stampa.

Perché?

Lì per lì non compresi quel che avevo fatto. Mi dicevano: «Hai vinto la tappa del Mont Ventoux» e io «Sì, bene, sono contento» quasi con disinteresse. «No, non hai capito, hai vinto la tappa del Mont Ventoux…». «Va bene, ho vinto la tappa del Ventoux, e allora?». Un dialogo surreale, a ripensarci adesso… Dopo capii che impresa era stata.

Poli 1997
Poli ha corso da pro dal 1991 al 1999, ha anche diretto la De Nardi dal 2000 al 2002
Poli 1997
Poli ha corso da pro dal 1991 al 1999, ha anche diretto la De Nardi dal 2000 al 2002
Anche perché le salite non erano il tuo pane…

Anzi, erano un vero calvario. Quando c’erano i tapponi alpini e pirenaici, la sera rimanevo sveglio a studiare la cartina, mi facevo i conti di quanto avrei perso a ogni salita, perché dovevo rimanere entro il tempo massimo e quel limite era un incubo. D’altronde considerate che con la bici e il mio peso, era più di un quintale da far salire fino in vetta.

Dieci anni prima avevi conquistato il titolo olimpico, una gloria sportiva concessa a pochi. Ti dispiace che la 100 chilometri a squadre non esista più?

Molto, perché era una gara che non s’improvvisava, era il frutto di un lavoro costante. Noi ci allenavamo tre volte al giorno, facevamo velocità e fondo, lavori su pista, una marea di test. Fummo i primi ad esempio a usare il cardiofrequenzimetro. Era una disciplina sportivo-scientifica, tutti i dettagli dovevano funzionare alla perfezione.

Poli 100 km 1987
Il quartetto iridato della 100 Km a squadre del 1987: Poli, Scirea, Vanzella e Fortunato
Poli Mondiali 1987
Il quartetto iridato della 100 Km a squadre del 1987: Poli, Scirea, Vanzella e Fortunato
Ognuno aveva compiti specifici?

No, non era questo, ma la difficoltà era che tutti e 4 dovevano essere al top della forma al momento giusto, perché se qualcuno andava meno forte, innescava variazioni di ritmo che sfaldavano il meccanismo. Ricordo ad esempio ai Mondiali di Treviso dell’85, noi difendevamo l’oro olimpico: all’inizio non andavo proprio, forse avevo sbagliato il riscaldamento e saltai alcuni cambi. Eravamo in ritardo. Pian piano cominciai a ingranare, entrai nel meccanismo e riuscimmo a prendere quantomeno la medaglia. 

C’erano differenze con le cronosquadre?

Tantissime, per questo sarebbe bello resuscitarla, perché serve allenamento specifico. Nella cronosquadre vai forte solo perché devi farlo, io ne ho corse al Tour, ad esempio quando avevamo Cipollini con noi, quando andava davanti dava delle trenate infernali e rischiavi di staccarti. A me è successo…

Che cosa ti manca del ciclismo professionistico?

L’adrenalina che scorreva a fiumi dentro di me a 3 chilometri dalla conclusione, quando a tutta velocità iniziavamo il lavoro per lanciare la volata. Io sono stato nei treni di Cipollini, O’Grady, Moncassin, era qualcosa di unico, indimenticabile.

Il cammino di Nibali verso Rio, Slongo ricorda…

13.04.2021
6 min
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Le vie della preparazione sono infinite. Spesso particolari, insolite, delicate. Altre volte sono molto più semplici e lineari. Di certo non fu semplice, né lineare quella che nel 2016 riguardò Vincenzo Nibali e il suo coach Paolo Slongo. 

Il tecnico veneto giocò le sue carte in modo impeccabile. E solo quella scivolata dello Squalo, che tutti noi ancora abbiamo negli occhi (purtroppo), pose la parola fine ad un’impresa storica. 

Paolo Slongo, oggi alla Trek Segafredo, per anni ha seguito la preparazione di Nibali
Paolo Slongo, oggi alla Trek Segafredo, per anni ha seguito la preparazione di Nibali

Far regredire la forma

«Bisogna fare un preambolo – racconta Slongo – che spiega perché si decise di utilizzare il Tour de France per preparare le Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016. Quell’inverno l’Astana, la squadra di Vincenzo all’epoca, aveva deciso di puntare su Nibali al Giro e su Aru al Tour. A quel punto nacque subito l’idea che la gara francese potesse essere l’avvicinamento ideale. Percorso consueto per arrivare al Giro (che Nibali vinse, ndr) e poi il Tour per trovare la condizione per Rio e dare una mano ad Aru.

«Subito dopo il Giro dovevamo far regredire la forma. Come? La settimana successiva Vincenzo uscì pochissimo, forse un paio di volte: due ore molto blande. Se non ricordo male, fece anche qualche giorno di vacanza con la famiglia, ma con la bici dietro. Poi iniziò a fare più ore, ma sempre in tranquillità. E lo stesso fece al San Pellegrino, nessun lavoro specifico. Giusto un po’ di medio. Quindi arrivò al Tour indietro, ma con il pieno di energie».

Slongo, Cassani e Nibali durante il secondo giorno di riposo di quel Tour
Slongo, Cassani e Nibali durante il secondo giorno di riposo di quel Tour

Quanta fatica

Una volta in Francia la stampa si aspettava, o forse sarebbe meglio dire voleva, un super Nibali. Era la maglia rosa, tutti lo volevano ancora sugli scudi, ma le cose chiaramente non andarono bene in corsa. Le critiche non mancarono e le certezze di Nibali vacillarono.

«Fu subito un Tour difficile – dice Slongo – A volte sul lettino dei massaggi di Pallini, Vincenzo diceva che voleva tornare a casa. “Faccio troppa fatica”, ripeteva. Non ci stava. Nella mia mente invece sapevo che uno come lui se usciva bene dal Giro avrebbe avuto la capacità di ritrovare la forma. Ma certo gli seccava restare indietro». 

Ci fu più di qualche battibecco, ma il buon colpo di pedale dell’ultima settimana calmò gli animi. Negli ultimi arrivi in salita lo Squalo teneva le ruote dei migliori. Vide la luce in fondo al tunnel, si tranquillizzò, riprese umore. «E tornò a sorridere», racconta Slongo.

Nibali e Aru in conferenza stampa al Tour 2016: il clima non era dei migliori
Nibali e Aru in conferenza stampa al Tour 2016: il clima non era dei migliori

La stampa contro

«Le critiche non furono poche – continua il tecnico – la stampa ci attaccò e Vincenzo ci restò male. Fu soprattutto Martinello a criticarci e qualcuno lo seguì. Silvio disse che un campione come Nibali non poteva andare al Tour per allenarsi, che era meglio se avesse fatto il Polonia e scelto altre vie. Eppure noi i nostri programmi li avevamo dichiarati già a fine novembre. L’Astana aveva deciso di puntare maggiormente su Aru, che era più giovane, ma in molti non ci credevano. E comunque tante critiche arrivarono perché oltre a Nibali l’Italia non aveva molto altro, quindi le attenzioni erano tutte su di noi. 

«E poi c’è un’altra cosa che alimentò le tensioni. Un conto è stilare, ed accettare, un programma a novembre magari davanti ad un caffé, un conto è portarlo avanti nel bel mezzo della stagione, con altre pressioni ed altri stress. Quell’anno feci un grande lavoro di supporto mentale. Ho sempre filtrato molto a Vincenzo per proteggerlo».

Nibali lavorò molto per la squadra al Tour 2016, anche per fare fatica
Nibali lavorò molto per la squadra al Tour 2016, anche per fare fatica

La gestione del Tour

Al Tour gli uomini di classifica volano. Nibali arranca. Non è facile in questa situazione. Slongo ha detto che tra Giro e Tour non programmò nessun allenamento specifico, ma allora come si sfruttò la gara, che accorgimenti vennero presi? Per esempio, come si può fare la forza in corsa? Non ti metti certo a fare le Sfr con numero sulla schiena (a parte Ullrich al Giro dell’Emilia!). Non è facile allenarsi in gara nel ciclismo di oggi.

«Paolo Bettini è stato un maestro in questo – riprende Slongo – Prendi la salita dietro, diceva, e rimonti il gruppo se vuoi allenarti in gara. Vincenzo in quel Tour venne spesso a prendere le borracce all’ammiraglia e vide, credo per l’unica volta in carriera, cosa succedeva in coda al gruppo, faceva appositamente fatica. Poi va considerata una cosa. Se tu sei davanti certe salite le fai ad una determinata cadenza, ma se sei dietro arranchi a 60 rpm. Fai una forza naturale. Insomma è la corsa che ti porta in forma, ma questo potevo farlo in un Tour con Nibali, che ha un certo motore, un altro lo avrei “ucciso”. Se fossimo andati al Polonia quella settimana centrale di buco non avrebbe poi portato alla condizione che Nibali aveva a Rio. Ha faticato tremendamente nelle prime dieci tappe, ma poi piano piano è migliorato. Ricordo che nel primo giorno di riposo neanche fece la sgambata, che solitamente si fa».

Ciò nonostante non era facile dire a Nibali di staccarsi. Accumulare distacco gli avrebbe consentito di prendere una fuga più facilmente. «Lui però si staccava e poi restava a 3′. Ma prendine 20′ dico io. Sei Nibali, con 3′ non ti lasciano spazio!».

Nibali
Nibali (a destra) a Rio 2016: ultimi istanti prima dell’attacco in cui staccò tutti
Nibali
Nibali a Rio: ultimi istanti prima dell’attacco in cui staccò tutti

E a Rio?

Questa storia merita una piccola appendice. Il Nibali di Rio era stellare. Slongo seguì Vincenzo a sue spese in Brasile. Prese un agriturismo giusto ai piedi della fatidica discesa. Voleva vedere da vicino come andavano le cose e dare supporto allo Squalo.

«Cassani agevolò molto la mia presenza. Addirittura un giorno sulla salita del circuito feci anche un test del lattato a tutti quanti. E sì che erano, o erano stati, quasi tutti miei atleti. C’erano Caruso, De Marchi, Agnoli, Rosa, Aru e Nibali. Stavano tutti molto bene, solo Aru aveva addosso ancora un po’ di fatica del Tour.

«Il giorno della gara facevo la spola tra la tv e il circuito per vederli passare. Così vidi l’attacco di Nibali in salita alla tv, poi scesi in strada. Ma passò Majka. Eppure mi sembrava il più stanco, pensai. Vincenzo invece continuava a non passare. Risalii in camera e lì capii tutto. Fu davvero un peccato. Sarebbe stata la ciliegina sulla torta, per l’Italia, per lui e per me. Anche perché poi Fuglsang che era con me sul San Pellegrino fece secondo ed Aru e Zeits (in Astana anche lui) entrarono nei dieci»

La storia di Giovannetti che un giorno disse basta…

11.04.2021
5 min
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Pochi giorni fa, Marco Giovannetti ha compiuto 59 anni: per lui il ciclismo ormai è qualcosa da guardare in televisione, con quella curiosità mista a nostalgia per un mondo vissuto da protagonista, che ora gli appare lontano.

C’è il suo hotel da curare, da oltre vent’anni la sua realtà lavorativa in quel di Altopascio (Lucca): «Da quest’anno avremo anche a disposizione le bici per le escursioni nella zona, avremo anche le e-Bike. Qui c’è tanto da vedere, è davvero il paradiso delle due ruote, ma non eravamo ancora riusciti a realizzare qualcosa del genere. Solo che siamo anche noi bloccati, come tutto il mondo, in attesa che questa tempesta passi…».

In carriera Giovannetti ha vinto poco (in apertura è sul Gavia nel celebre Giro del 1988: fu 5° di tappa e 6° finale), appena 6 corse da professionista, eppure il suo peso nella storia del ciclismo non solo italiano è notevole perché quelle vittorie sono tutte di alto pregio.

Giovannetti gestisce l’Hotel Le Cerbaie ad Altopascio, ma una pedalata se la concede spesso
Giovannetti gestisce l’Hotel Le Cerbaie ad Altopascio

Il toscano è stato ad esempio uno dei pochissimi capace di centrare il podio alla Vuelta e al Giro nello stesso anno (anzi, quella Vuelta del 1990, che si correva ancora in aprile, la vinse sfruttando al meglio una fuga da lontano nelle prime giornate di gara, contenendo poi il ritorno del famoso Pedro Delgado).

«Quell’anno poi le due gare erano ancora più ravvicinate per i Mondiali d’Italia ’90. Meno di una settimana d’intervallo, non feci in tempo a scendere dall’aereo per la Spagna che ero già nella carovana della corsa rosa…».

Come riuscisti in quell’impresa?

La mia dote migliore è sempre stata il recupero: ero un buon passista ma non tra i migliori, un buon scalatore ma non tra i migliori, però riuscivo a recuperare bene dai grandi sforzi. Alla Vuelta trovai la forma strada facendo e al Giro andai forte nella prima parte. Ricordo ad esempio la crono di Cuneo, finii quinto ed entrai in classifica. Nella settimana finale ero cotto, anche nella cronometro degli ultimi giorni soffrii tanto, ma alla fine riuscii a terminare terzo dietro Bugno e Mottet.

Marco con sua moglie Paola, con cui ha condiviso gioie e dolori della sua carriera
Marco con sua moglie Paola, con cui ha condiviso gioie e dolori della sua carriera
Il bello è che nello stesso anno andasti pure al Tour…

Sì, ma fu una presenza per onor di firma. Alla Seur avevano bisogno che fossi al via affinché la squadra fosse ammessa, ma non ne avevo più e infatti dopo 5 giornate mi ritirai.

Come mai pur andando forte a Giro e Vuelta, con il Tour non hai mai avuto feeling?

Non mi piaceva: in Francia dovevi limare per almeno 10 giorni, stando attento a non cadere, ai ventagli, a me quel modo di correre non andava a genio. Il Giro è sempre stato tecnicamente la corsa più avanti a tutte, lì mi esaltavo.

La vittoria che ti è più rimasta impressa?

Nel mio cuore c’è il successo nella tappa del Giro 1992 a Pian del Re, sul Monviso, la montagna più bella che ci sia. Ho sempre saputo che per vincere dovevo davvero staccare tutti, perché in volata ero fermo come un paracarro e quel giorno mi riuscì. D’altronde sono sempre state le tappe più dure quelle dove andavo meglio. Se però guardo al complesso della mia carriera, c’è un successo davvero speciale…

Immaginiamo sia quello olimpico, la 100 Chilometri a squadre di Los Angeles 1984.

Quell’avventura è ancora stampata nella mia mente, giorni di allenamento pesantissimo. Eppure ci divertivamo tutti e 5 perché insieme a Bartalini, Poli e Vandelli io considero anche Manenti, lui che fu la riserva. Il Ct Gregori ebbe l’accortezza di lasciarci liberi, di farci vivere la nostra gioventù senza tenerci reclusi a pensare solo agli allenamenti, certo poi voleva che si andasse forte, che facessimo il nostro dovere e l’abbiamo fatto fino in fondo.

Da pro’, 4 presenze in nazionale: qui con Volpi e Bombini al mondiale del 1990 in Giappone
Da pro’ 4 presenze in nazionale: qui con Volpi e Bombini nel ’90 in Giappone
Qual è stato invece il giorno più brutto?

Di crisi ne ho attraversate tante, ma sicuramente il peggiore fu al Giro del ‘94, quando in una caduta presi una botta terribile alla schiena. Affrontai Stelvio e Mortirolo con un dolore fortissimo, soprattutto quando i tifosi mi spingevano vedevo le stelle… Arrivai fuori tempo massimo, poi a casa feci le lastre e si vide che avevo una vertebra rotta. Avevo rischiato di rimanere paralizzato. Allora dissi basta…

Perché non sei rimasto nel mondo del ciclismo?

Tante ragioni. Intanto la brutta esperienza con la Eldor, mi ritrovai a piedi prima del Giro ’93 dopo che nei primi mesi dell’anno avevo dovuto pensare più all’organizzazione della squadra che ad allenarmi. Ci salvò la Mapei. Speravo in un futuro con loro dopo il ritiro, ma non fu così. Mi ritrovai fuori dal mondo, senza spazi, ma non mi dispiacque più di tanto. Il Ds ad esempio non avrei voluto farlo, troppi giorni lontano da casa.

Una capatina nel ciclismo però l’hai fatta…

Sì, quando Vegni ed Allocchio mi vollero al Giro come responsabile delle partenze. Ho scoperto cose che non sapevo del mio mondo, i corridori dovrebbero davvero sapere quanto è difficile allestire una corsa, forse allora tante proteste non ci sarebbero.

Giovannetti al Giro d’Italia del 2009, ma in una veste diversa…
Giovannetti al Giro d’Italia del 2009, ma in una veste diversa…
Se tornassi ragazzo, faresti ancora il corridore?

Bella domanda… Il ciclismo è cambiato molto rispetto ai miei temi. Noi in allenamento ci si ritrovava in una ventina, ci si fermava per un panino, si viveva tutto con molta più tranquillità. Oggi invece con i preparatori ogni allenamento è durissimo, ci si diverte molto meno. D’altro canto però è la società intera che è cambiata: penso che se fossi un giovane d’oggi, sì, ci riproverei.

VdP in Mtb a Tokyo. Quattro chiacchiere con Celestino

22.03.2021
5 min
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Van der Poel ha detto che non parteciperà alle Olimpiadi su strada per puntare tutto su quelle in Mtb. La sua scelta è ormai definita da un po’, ma cosa lascia l’olandese? E come dovrà avvicinarsi a questo evento? In fin dei conti non lo vediamo in azione sulla ruote grasse dalla gara di Coppa del mondo della scorsa estate. Ne abbiamo parlato con Mirko Celestino. Il tecnico della nazionale ci ha accolto nel suo negozio ad Andora. Lui meglio di altri può capire le sensazioni e alcuni comportamenti di Mathieu, visto che ha corso parecchi anni su strada, prima di passare alla Mtb.

Mirko, Van der Poel ha detto che non farà le Olimpiadi su strada, cosa ne pensi?

E’ una scelta molto importante. Probabilmente ai livelli a cui è arrivato sa bene cosa c’è in palio e che deve sacrificare qualcosa. Ha scelto di sacrificare la strada e da parte mia non posso che essere onorato perché dà importanza al mondo della Mtb, pur essendo molto pericoloso per i nostri. La sua presenza dà forza al movimento.

Mirko Celestino è il tecnico della nazionale di Mtb, sia cross country che marathon
Mirko Celestino è il tecnico della nazionale di Mtb, sia cross country che marathon
Secondo te ha scelto la Mtb perché ha più sicurezza di vittoria?

Secondo me sì, poi il percorso si adatta bene alle sue caratteristiche. Non so se lo abbia visto, perché nel test event dell’anno scorso non c’era. So che a maggio si potrà tornare a provarlo e magari ci andrà. Noi azzurri non andiamo: siamo già stati là, gli atleti sono nel pieno della stagione, c’è la Coppa del mondo, la trasferta è lunga e con molto fuso orario…

Van der Poel ha corso poco o niente in Mtb nell’ultimo anno però…

Qualcosa deve fare, infatti. Rispetto ai primi anni dal punto di vista tecnico ha avuto un miglioramento molto importante. All’inizio lo vedevi che sul tecnico era un po’ impacciato, che era meno fluido… Adesso invece ha la totale padronanza del mezzo anche in quelle situazioni.

In effetti è vero. Assistemmo dal vivo al duello con sua maestà Nino Schurter in Val di Sole. Mise lo svizzero sotto torchio in salita e lo bastonò in discesa…

Esatto, poi sapete una cosa: quando sei sereno e tranquillo fai tutto con più armonia e spensieratezza. Anche io ci sono passato da atleta. Se le cose non vanno non riesci a guidare bene. Certo, avrà tanta pressione addosso, ma vedo che la tiene bene.

Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert, Fiandre 2020
Van der Poel ha vinto il Fiandre 2020: l’olandese gestisce bene la pressione
Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert, Fiandre 2020
Van der Poel ha vinto il Fiandre 2020: l’olandese gestisce bene la pressione
Quale può essere un suo punto debole?

Ho notato che su strada non si sa alimentare bene – dice Celestino quasi sottovoce – Io ne ho prese a manciate di crisi di fame e so riconoscere certi campanelli d’allarme. In Mtb e nel ciclocross non ha di questi problemi, le gare durano un’ora e mezza al massimo. Mi ricordo al mondiale di due anni fa quando iniziò a voltarsi verso la ruota posteriore per verificare che i pattini non toccassero sulla ruota. Mi sono detto: vedrai che questo va in crisi di fame. E infatti poco dopo si è staccato. E la stessa cosa è successa sui muri alla Tirreno l’altro giorno. Addirittura lì ha mangiato una barretta quando mancavano pochissimi chilometri alla fine. In quel caso meglio un gel.

E un suo punto di forza?

La testa – dice secco Celestino – Mathieu è talmente convinto del suo potenziale che può fare tutto. Ha sotto controllo il percorso, la tecnica, il dislivello… sa che può dare delle “aperte” e che può ammazzare i suoi avversari con quelle sgasate.

Che avvicinamento dovrebbe fare per te? Si dice che non faccia il Tour de France (la corsa francese termina il 18 luglio e la gara olimpica di Mtb c’è il 26)…

Il Tour: fossi in lui ne farei solo una parte. Se ripenso alla mia carriera, quando dovevo puntare a gare di un giorno mi è stata data la possibilità di fare spezzoni di Giro o di Vuelta, secondo me va bene. 

Però okay che Vdp è forte, ma qualcosa davvero dovrà pur fare se vuole l’oro di Tokyo. Nino Schurter è sempre un “Dio”, il connazionale Forster cresce e il francese Sarrou è iridato in carica…

Senza dubbio qualcosa dovrà fare. Ne vedo pochi che non hanno paura di Van der Poel. Partono quasi tutti con la mentalità di correre per la seconda posizione. A me quelli forti gasavano, ma sembra non sia più così dai commenti che sento e da quel che vedo quando siamo alle corse. 

Mathieu in teoria non è messo benissimo nel ranking e quindi non dovrebbe partire molto avanti.

L’Uci dopo lo stop del covid l’anno scorso ha bloccato i punteggi e dato un’ultima possibilità con le prime due gare di Coppa del mondo di quest’anno, Albstadt e Nove Mesto, entrambe a maggio. Immagino che Van der Poel ci sarà. Anche perché se poi questo arriva senza correre da un anno, parte dietro e vince… qui è meglio che chiudiamo baracca e burattini! Ci saranno altre prove di Coppa a giugno, ma non assegneranno punteggi.

Schurter davanti e Van der Poel dietro, il duello che ha infiammato le ultime stagioni in Mtb
Schurter e Van der Poel: il duello che ha infiammato le ultime stagioni in Mtb
Sembra che a giugno, Van der Poel vada in ritiro a Livigno…

Anche noi ci andiamo con la nazionale.

A proposito, i nostri biker come stanno?

Kerschbaumer è cambiato parecchio. L’essere passato alla Specialized lo ha rivoluzionato. E’ diventato anche social! E’ andato in ritiro in Sud Africa e l’ho visto molto meno sofferente nelle prime gare d’inizio stagione. E’ più tranquillo e il fatto di avere più chilometri nelle gambe magari gli eviterà i suoi classici alti e bassi. E poi anche Luca Braidot ha un’ottima condizione. Conto molto anche su di lui.

Torniamo a Van der Poel, okay che la doppietta olimpica strada e Mtb è pressoché impossibile visto che tra le due prove ci sono appena 48 ore di differenza (prima la strada poi la Mtb), ma secondo te lui ci ha pensato?

Beh, è l’unico che su carta ha questa possibilità. Magari dentro di sé un pensierino ce lo ha fatto. Ne sono quasi certo…