Casa Ineos, con Puccio nella notte maledetta del Lussari

02.06.2023
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Sabato sera, Monte Lussari alle spalle. Mentre nell’hotel della Jumbo-Visma si brinda alla rimonta di Roglic (leggere il racconto di Affini), in quello della Ineos Grenadiers l’atmosfera è meno allegra. Il sogno dei ragazzi di Tosatto si è sbriciolato contro la montagna friulana. Tre chilometri di difficoltà dopo tre settimane perfette e la maglia rosa di Thomas è svanita (in apertura il gallese in un’immagine da Instagram/Ineos Grenadiers).

Hanno lavorato più di quello che potevano. E se De Plus e Arensman hanno fatto gli straordinari in salita, Swift e Puccio si sono messi la squadra sulle spalle in pianura. E quando si staccavano in salita, poi si affrettavano a rientrare per aiutare nei tratti successivi. L’umbro racconta.

Salvatore Puccio è del 1989 e aveva già vinto tre Giri con la Ineos
Salvatore Puccio è del 1989 e aveva già vinto tre Giri con la Ineos
Che serata è stata?

Siamo arrivati all’hotel di Udine e abbiamo aspettato Thomas, perché era rimasto indietro per l’antidoping e le interviste. Quando è arrivato, non abbiamo fatto una cena da fine Giro. Non c’era nulla da festeggiare. C’era amarezza, abbiamo bevuto qualche birra, ma eravamo tutti dispiaciuti.

Non pensavate che Roglic potesse ribaltare la situazione?

Si era messa bene. Eravamo in cinque e abbiamo fatto l’ultima settimana dando l’anima. Ci siamo uniti anche di più. Il gruppo c’era dall’inizio, si era creato a Sierra Nevada. Quando poi siamo rimasti in cinque, ci siamo spezzati per aiutarci l’uno con l’altro. Swift e io abbiamo tirato fino alla morte per non lasciarli scoperti, ma quel giorno Roglic è stato più forte.

Forte Roglic oppure è calato Thomas?

Geraint non è andato piano, perché comunque ad Almeida ha dato lo stesso distacco di tutta la settimana. E’ stato Roglic che è andato fortissimo, ha fatto un cambiamento incredibile. Quando lo guardavamo in tivù, lui sembrava agile, mentre “G è sempre andato più duro. Nei primi intermedi erano lì, quasi con gli stessi distacchi. Invece dal momento in cui ha avuto quel problema, Roglic ha fatto qualcosa che non ci aspettavamo.

La maglia rosa di Thomas è volata via per 3 chilometri di fatica nel finale della cronoscalata
La maglia rosa di Thomas è volata via per 3 chilometri di fatica nel finale della cronoscalata
Anche lui ha raccontato di aver cambiato passo…

Si è visto subito che quando è ripartito aveva una pedalata pazzesca. E’ ripartito come quando uno non ha più nulla da perdere: «Ormai ho perso tutto, vado a tutta. E se salto, salto!». Secondo me quel problema meccanico in qualche modo l’ha aiutato.

Roglic ha aumentato e Thomas intanto calava. Sai se è riuscito a mangiare quel gel per il quale ha rischiato di cadere?

Lo ha mangiato, solo che quella salita era tanto dura per le sue caratteristiche. E poi col fatto che va sempre duro, su quel cemento a righe orizzontali, ha pagato pegno. Se fosse stato su asfalto, si sarebbe salvato. Ma su quelle righe sottili, se vai duro non rendi. Secondo me è stato anche quello.

E’ stato difficile gestire il Giro essendo soltanto in cinque?

Quando siamo rimasti in pochi, qualcuno un po’ emotivo ha iniziato ad agitarsi. Ma gli abbiamo detto: «Tranquilli ragazzi, perché ormai iniziano le varie dinamiche della gara». C’era chi attaccava e chi doveva difendere la posizione. Roglic non avrebbe mai attaccato da lontano. Sarebbe stato preoccupante se la Jumbo avesse avuto un uomo in classifica a due minuti.

Arensman e De Plus son stati due giganti sulle montagne per Thomas
Arensman e De Plus son stati due giganti sulle montagne per Thomas
Perché?

Perché quello ci avrebbe costretto a muoverci presto e Swift ed io saremmo saltati subito. Ma quando iniziano i meccanismi per coprire i vari piazzamenti, la corsa si guida quasi da sola.

Pensavi che De Plus e Arensman fossero così forti?

De Plus negli ultimi due anni ha avuto dei problemi, un virus se non sbaglio, per cui non riusciva neanche a finire le gare. Però quando era alla Jumbo e prima alla Quick Step, aveva questi numeri. E’ stato una bella riscoperta. Ha iniziato a mettersi in mostra dall’inizio, poi al Tour of the Alps è venuto fuori fortissimo. E’ un tipo che si butta giù, quindi appena ha visto i primi risultati positivi, ha preso fiducia. Al momento dei ritiro di Tao, ne avevamo cinque fra i primi dieci.

A te è toccato ancora il ruolo di regista?

L’ho condiviso con Swift. Io conosco un po’ meglio i percorsi in Italia, lui è più esperto. Il solo giovane era Arensman. Per il resto avevamo già corso diversi Giri e ognuno sapeva cosa fare. Le dinamiche sono quelle, c’è poco da dire. Se la gamba è buona, non ci sono problemi.

A Roma, la stretta di mano fra Thomas e Roglic: due buoni amici anche nella vita fuori dalla bici (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
A Roma, la stretta di mano fra Thomas e Roglic: due buoni amici anche nella vita fuori dalla bici (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Immaginavi che Thomas potesse giocarsi il Giro?

E’ stata una sorpresa, perché a inizio anno ha avuto dei problemi. Però ricordo che quando arrivò secondo nel Tour di Bernal, era sempre per terra nelle gare prima e non era riuscito a finirne una. Poi andò al Tour e arrivò secondo. Quando hai talento, è tutto più facile. Se io non mi alleno per qualche giorno, vado giù, a loro basta meno. Ci sono due categorie: i fenomeni e noi operai. I primi sono nati per andare in bici, gli altri devono soffrire per arrivare a un certo livello.

Anche il vostro è comunque un livello altissimo: ci sono varie gradazioni nell’essere fenomeni.

Ognuno ha il suo ruolo, la sua posizione, è vero. Le squadre piccole soffrono ancora di più, però poi ci sono questi 10 più forti, che corrono in un’altra categoria.

Quanto era giù Thomas?

Secondo me era dispiaciuto più per noi che per sé. Era triste, chiaramente, ma gli è dispiaciuto di non essere riuscito a farci un regalo dopo tutto il lavoro che ci ha visto fare. Ho avuto questa impressione e sicuramente se la porterà dentro.

Comunque sia finita, sono arrivati a Roma. Con il caldo che c’era, una birra ha riportato il sorriso (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Comunque sia finita, sono arrivati a Roma. Con il caldo che c’era, una birra ha riportato il sorriso (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Prima di finire, cosa pensi dell’aiuto dato da Thomas a Cavendish l’ultimo giorno?

Ha fatto tutto lui. Eravamo lì in fila, perché lo abbiamo scortato fino ai meno 3 dall’arrivo. “Cav” ogni giorno veniva da noi e ci motivava: «Mi raccomando – ci diceva – aiutatelo a vincere». Sono amici da una vita e forse Thomas a Roma si è accorto che Mark aveva un solo compagno, gli ha fatto cenno e poi ha fatto quella menata per rimanere davanti. E’ stato un bel gesto. In qualche modo gli ha permesso di viversi Roma da vincitore anche lui, su quel percorso bellissimo. Questa volta l’hanno disegnato davvero bene.

Roglic e Meznar, l’amico ritrovato sul ciglio della strada

30.05.2023
5 min
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«Che dici, Matevz, andiamo a vedere Rogla?». E’ mattina presto a casa di Mitja Meznar e l’idea ha fatto capolino appena sveglio. Chiama il suo amico Matevz Sparovec e gli suggerisce di fare quel tratto di strada, lungo ma neanche poi tanto, per andare a vedere Primoz Roglic, nel suo assalto alla maglia rosa sull’aspra salita del Monte Lussari.

Mitja è un tifoso di Roglic, ma non come gli altri. Perché lui lo conosce, lo conosce bene. Erano nella stessa squadra nazionale junior di salto con gli sci, quella che proprio poco lontano da Tarvisio, sede della penultima tappa del Giro d’Italia, conquistò il titolo mondiale di categoria. Era il 2007 (foto di apertura).

Al bar, il Tour aspetta…

Roglic, non andò oltre quel trionfo: prima l’infortunio, poi le sirene del ciclismo. Mitja no, lui ha continuato: è approdato nella nazionale maggiore, è andato alle Olimpiadi di Vancouver nel 2010 e ha chiuso quinto a squadre e 29° nell’individuale. Ma le loro strade si erano forzatamente divise.

Eppure erano amici, addirittura compagni di stanza. «Primoz era un saltatore molto determinato – ricorda Meznar – ma lo faceva quasi come un dovere. Non era quella la sua passione. Quand’eravamo in ritiro estivo per preparare la stagione, al pomeriggio mi trascinava fuori dalla camera, prendevamo le bici e cercavamo il bar più vicino perché doveva guardare il Tour de France. E mentre eravamo lì, ecco che tirava giù esempi, regole, tattiche, vita di gruppo. Era un fiume in piena, un fiume di passione».

Il ricordo del 2020

Poi la vita li aveva un po’ separati. Solo un po’, perché i contatti non si sono mai persi: troppe esperienze condivise. L’occasione di ritrovarlo, anche se solo per il breve battito di ciglia del suo passaggio sulla strada, era troppo ghiotta. Qualche ora di macchina e poi via a cercare un posto buono, per sé e per Matevz.

I due si separano, un paio di centinaia di metri, ognuno cerca la prospettiva migliore per scattare le foto con il proprio smartphone. Primoz arriva, le prime notizie dicono che sta già recuperando quei 26” di ritardo da Thomas. Si avvicina, si avvicina sempre più. Poi si ferma, scende di bici e comincia a smanettare: «No – grida Mitja – non un’altra volta». Il pensiero è a quella maledetta cronometro del Tour 2020, quella che ha lasciato fantasmi nell’animo di Primoz non del tutto dissolti neanche dalla conquista di ben tre Vuelta consecutive.

Mitja comincia a correre e vede che nel frattempo un meccanico è sceso dalla moto e ha riassestato la bici dello sloveno della Jumbo Visma. Lo spinge, ma non ha poi gran vigoria. L’amico di un tempo si mette dietro e cambia marcia. Non c’è bisogno di parole, Mitja ha un fisico possente, che risalta ancor di più in televisione per l’abbigliamento rosso e nero. Roglic riprende velocità e il suo amico gli grida dietro: «Vaiiii!».

Meznar in azione. Due volte oro mondiale junior, è stato alle Olimpiadi 2010
Meznar in azione. Due volte oro mondiale junior, è stato alle Olimpiadi 2010

Una fortunata coincidenza

Il tamtam dei social impazzisce e procede ancora più veloce di Roglic e della sua cavalcata ricominciata, di quel divario con Thomas che progressivamente si riduce fino a invertirsi. Ci vogliono pochissimi minuti per identificarlo: «Non ci credo, è come vincere cinque volte la lotteria – sentenzia Jens Voigt, commentatore di Eurosport – neanche a volerlo si poteva scrivere una sceneggiatura migliore».

Il gesto di Mitja assume contorni epici proprio perché sembra quel prezzo che il destino paga per compensare i tormenti francesi di tre anni prima. Tutti si riversano sul suo profilo Facebook, richieste su richieste. Ma lui si schermisce.

«Avrebbe vinto lo stesso – dice – non ho fatto nulla di trascendentale. In quel momento non sono stato tanto a pensare, ho fatto quel che sentivo e che so avrebbe fatto anche lui, perché lo conosco bene.

Roglic davanti ai Fori Imperiali. Il Trofeo senza Fine finalmente è suo
Roglic davanti ai Fori Imperiali. Il Trofeo senza Fine finalmente è suo

Una birra per riparlarne

«Se mi ha riconosciuto? Non penso proprio – ammette Meznar, anche se Roglic lo ha riconosciuto e ne ha parlato dopo la tappa di Roma – in quel momento l’ho guardato negli occhi ed era in trance agonistica, completamente concentrato su quel che doveva fare. Primoz se ne sarà accorto molto dopo, gli avranno fatto rivedere le immagini e magari un giorno ne rideremo insieme davanti a una birra».

Ne hanno parlato e ne hanno riso, Mitja e Matevz tornando a casa, oltreconfine: «Avrei voluto esserci il giorno della sua incoronazione a Roma ma avevo altri impegni. Quel che conta è che Rogla l’ha fatto, ora quella brutta pagina è finalmente nella storia e non ci si pensa più».

Resta però l’incredibile storia di un incontro lontano da casa, di due strade che si tornano a incrociare nel momento più importante. Certe volte si diventa semplici strumenti del fato e Mitja lo è stato, per pochi, interminabili secondi.

Thomas, un secondo posto che adesso fa solo male

27.05.2023
6 min
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MONTE LUSSARI – Per una di quelle coincidenze che sono più frequenti quando l’arrivo è in cima a una montagna e tutte le strutture devono stare concentrate in pochi metri quadri, nel momento in cui Primoz Roglic viene acclamato come nuovo titolare della maglia rosa, Geraint Thomas cerca di uscire dalla zona in cui sono stati fatti entrare i corridori e si trova davanti la curiosità degli inviati. Il mondo intorno ha i colori e i suoni della Slovenia, difficile ascoltare il pensiero del britannico. Infatti Thomas parla a bassa voce e probabilmente ne farebbe anche a meno.

«Se qualcuno me lo avesse detto a febbraio o marzo – dice – probabilmente gli avrei stretto la mano, ma ora sono devastato. Però penso che quando avrò capito, potrò essere orgoglioso di quello che abbiamo fatto in questi giorni. Quando sono arrivato a un chilometro e mezzo dall’arrivo, mi sono sentito vuoto. Avrei potuto distruggermi le gambe, potrei aver avuto un calo di carboidrati, ma non è per questo che ho perso. E’ meglio perdere per così tanto che per un paio di secondi, perché avrei cominciato a fare mille ipotesi. Alla fine della giornata, sono consapevole che non sarei potuto andare più veloce di 14 secondi. In più Primoz ha avuto anche un problema meccanico. Si merita la vittoria…».

Questa immagine è un emblema: l’ammiraglia Ineos inghiottita dai tifosi sloveni nella ricognizione del mattino
Questa immagine è un emblema: l’ammiraglia Ineos inghiottita dai tifosi sloveni nella ricognizione del mattino

Una crono rischiosa

Per Thomas o per Roglic: si era capito che Almeida non avrebbe potuto scalare i due gradini del podio. E così vivendo le due vigilie in parallelo, stamattina ci eravamo fermati a lungo nei pressi del pullman della Ineos Grenadiers. Il ragionamento era fin troppo facile: un team così abituato a giocarsi i Grandi Giri e un corridore che ha già vinto il Tour non cadranno in alcun tranello e non si lasceranno sfuggire la maglia rosa, specie se di mezzo c’è una crono. 

«Voglio essere onesto – diceva Rod Ellingworth, il grande capo, prima del via – conosco Geraint da quando era giovane, quindi non l’ho mai visto diverso mentalmente. E’ sempre stato forte come adesso. Anche quando era un ragazzo, era lo stesso. Ogni anno ha fatto dei progressi, non è rimasto fermo. Cerca sempre nuove sfide, nuove opportunità. La prima è sempre stata vincere il Tour, poi però c’era vincere il Giro. Questa crono è una sfida, ogni tappa è una sfida e devi studiarle e affrontarla. E’ lo stesso per tutti, no? Tutti dovranno fare esattamente la stessa cosa, noi ci proveremo nel miglior modo possibile».

Una crono diversa

Forse non si era considerato abbastanza che questa di Monte Lussari non sarebbe stata una crono come quelle che siamo stati abituati a vedere per anni. Tutti i ragionamenti sull’aerodinamica e il ritmo di pedalata erano destinati a infrangersi sulla brutalità di una salita senza troppi precedenti.

«Abbiamo preso un hotel a un chilometro da qui – spiegava Tosatto e non capivi quanto fosse davvero tranquillo – e così finita la ricognizione in macchina, i corridori sono tornati in camera tranquilli. Avremo due moto dietro il corridore, una col meccanico e una con il direttore e la radio, ma cosa ci sarà da dirgli su una pendenza come quella? Nei primi 9,5 chilometri, la strada è stretta. Sulla ciclabile ci sono 2-3 curve in cui fare attenzione, però la strada è molto veloce perché c’è il vento a favore. Poi sarà interessante il cambio bici, perché si arriva a più di 60 all’ora e poi si dovrà fare un chilometro e mezzo con la bici normale fino alla salita».

Difficile dire quanto sia durato il cambio bici di Thomas, ma certo la maglia rosa è parso fin troppo flemmatico, nell’avvicinarsi, scendere di sella, cambiare anche il casco e ripartire.

Rod Ellingworth è stato l’artefice di tutte le vittorie più grandi del Team Ineos, anche dai tempi di Sky
Rod Ellingworth è stato l’artefice di tutte le vittorie più grandi del Team Ineos, anche dai tempi di Sky

Tre chilometri all’arrivo

Non si è mai scomposto, ma forse nelle gambe di Thomas si è andata accumulando la fatica che quel rapportino così agile di Roglic ha invece tenuto alla larga. A un certo punto la sensazione che lo sloveno pedalasse a vuoto si è impossessata dei tifosi del britannico. E quando poi a Roglic è caduta la catena, sembrava che sul suo capo si fosse nuovamente abbattuto un destino blasfemo.

Solo che mentre Roglic reagiva rabbiosamente, Thomas ha iniziato a incurvarsi sempre di più. Ha rischiato di cadere cercando di mandare giù un gel e non s’è capito se ci sia riuscito. E mentre Primoz si è avventato sul traguardo con la furia di un diavolo, la maglia rosa sudata oltre ogni aspettativa, ha subito quell’ultima pendenza ed è finito dietro.

«Dopo il Tour Down Under – dice – mi sono ammalato. Dovevo fare Algarve e Tirreno-Adriatico, invece ho ripreso a correre in Catalunya solo a marzo. Sono rimasto forte mentalmente. Ho cercato di fare quello che dovevo fare e sono comunque riuscito ad arrivare qui buona forma. E’ arrivato un secondo posto, posso esserne orgoglioso, ma al momento fa solo male. E come ho detto, è meglio aver perso per 14 secondi che solo due».

In avvio, Thomas era ancora in vantaggio: il calo è iniziato negli ultimi 3 chilometri
In avvio, Thomas era ancora in vantaggio: il calo è iniziato negli ultimi 3 chilometri

Onore a Roglic

Il dopo ha un sapore amaro, la tranquillità se ne è andata e adesso davanti alle ruote c’è la lunga strada fino a Roma. I corridori scenderanno domattina in aereo, la carovana è già tutta in strada.

«Eravamo tranquilli – dice Tosatto – ma sapevamo che 25 secondi fossero pochi da difendere contro Roglic su un percorso che non si addiceva a Geraint. Negli ultimi 3 chilometri Roglic è volato, dopo il salto di catena ha davvero cambiato marcia. Invece mentre lui aumentava, noi siamo calati. Avevamo 7-8 secondi di ritardo rispetto alle tabelle che avevamo immaginato. Ma alla fine “G” ha fatto secondo su un percorso che non gli si addiceva. Per cui alla fine che cosa puoi dire? Onore a Roglic».

E lo sloveno ha dedicato poche parole anche al rivale, definendo un onore aver duellato così tanto con lui. Il Giro d’Italia resta un boccone amaro per Thomas. Nel 2017 una moto della Polizia gli franò addosso sul Block Haus quando era il più forte, nel 2020 scivolò su una borraccia e si ruppe il bacino. Questa volta sembrava che fosse tutto perfetto. Peccato per lui, ha trovato sulla sua strada un eroe che aveva da rifarsi su un destino per certi versi anche peggiore.

Da lassù sicuramente Enzo Cainero si sarà goduto lo spettacolo che certamente aveva immaginato così. Cos’altro dire, prima di ripartire verso Roma? Mandi, Enzo!

Boato Roglic. Conquista tappa, maglia e Slovenia

27.05.2023
6 min
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MONTE LUSSARI – Pazzesco. Paz-ze-sco… Neanche Agatha Christie avrebbe potuto scrivere un finale così intenso del Giro d’Italia. Merito suo e se vogliamo anche di Enzo Cainero che si è inventato questa scalata. Per Primoz Roglic: tappa e maglia rosa.

Il Lussari era una bolgia. Da Tarvisio al Monte era una fila continua di sloveni e di bandiere della Slovenia. Slovenia che è qui a poche centinaia di metri. Sulla bandiera spunta il Monte Tricorno. Vediamo la sua cima verso Est fare da sfondo al set di questa sfida. Capite che clima, anche mistico, che c’era?

Sulla bandiera slovena il profilo del Monte Tricorno, oggi un talismano
Sulla bandiera slovena il profilo del Monte Tricorno, oggi un talismano

Un conto col destino

Si dice che ogni sloveno nella vita dovrebbe scalare questa montagna. E’ un simbolo. E questo simbolo guardava Primoz scalare il Lussari. Non poteva andare come al Tour del 2020 un’altra volta, nella famosa crono della Planche. Dopo incidenti, cadute, fratture, la sorte non poteva metterci lo zampino di nuovo con quel guaio meccanico. Stavolta le cose dovevano andare nel verso giusto. 

Scrivere questo articolo, stando ancora quassù è una vera emozione. Fuori dalla sala stampa la gente inneggia a Roglic e persino a Sepp Kuss. Cantano l’inno. Non ci si può non far travolgere dall’entusiasmo. Ma dobbiamo mantenere i nervi saldi e raccontare le cose come sono andate. Quindi andiamo con ordine.

In mattinata sciolti i dubbi: Cervélo R5 con monocorona 42×44. Ma gomme (25 mm) più corpose rispetto alle Tre Cime, visto il cemento
In mattinata sciolti i dubbi: Cervélo R5 con monocorona 42×44. Ma gomme (25 mm) più corpose rispetto alle Tre Cime, visto il cemento

Sale la tensione

Questa mattina il capitano della Jumbo-Visma è stato l’unico a fare la scalata, parzialmente in bici. Ha percorso gli ultimi 1.500 metri. «Sono salito in bici quando era finito il pezzo duro», ha detto lo stesso Primoz. Mentre saliva vedeva già i suoi tifosi a bordo strada. Ma cercava di essere concentrato. Quando è ripassato qualche minuto dopo e si stava cambiando in auto li ha salutati.

Poi è tornato al bus. A Tarvisio. La riunione con il direttore sportivo Marc Reef e lo staff, per decidere il ritmo e la bici. Poi ancora via in una camera d’albergo nelle vicinanze affittata dal team per l’occasione. Poco dopo le 15 rieccolo al bus. Riscaldamento, rulli, partenza.

In mattinata lo staff giallonero non aveva voluto parlare. Bocche cucite sulle scelte tecniche a partire dalla monocorona. Clima tranquillo, ma concentrato… diciamo così.

Alle 17:11 scatta Roglic. La tensione è palpabile. Ma le birre e la gioia fanno superare tutto al pubblico, mentre Roglic è ben più teso.

«Nella prima parte – ha detto lo sloveno – sono stato tranquillo. Ho cercato di prendere il mio passo, di non fare dei fuorigiri. Poi è iniziata la scalata e pensavo solo a spingere bene. Mentre salivo avevo i brividi. E’ stato stupendo con tutti quei tifosi. Loro sarebbero stati contenti a prescindere dal risultato, ma per fortuna sono riuscito a ripagarli».

Brividi gialloneri

Intanto i suoi compagni si radunano davanti al podio. Persino Sepp Kuss che dovrebbe stare sulla sedia del leader, dietro le quinte. Fremono. Sono una squadra anche in questo caso. 

Primoz sta guadagnando terreno. E quando al secondo intermedio il vantaggio diventa netto ecco che gioiscono. Ma è una gioia effimera. L’immagine successiva vede Roglic fermo per un problema meccanico. 

Si alzano. Si mettono le mani nei capelli. Sembra tutto perso.

«In quel momento – spiega Roglic – ho cercato di ripartire subito. Poi però mi sono spaventato un po’ perché su quella pendenza non ci riuscivo. Per fortuna che sono intervenuti il mio meccanico e quel tifoso. Un tifoso grosso, che mi ha dato davvero una grande spinta! Lo ringrazio. Un po’ di questo successo è anche il suo.

«E’ stato un brutto momento, però devo ammettere che mi ha anche aiutato a recuperare un po’».

Quell’istante è stato quello del tutto o niente. Basta calcoli. Basta agilità da laboratorio. Primoz inizia a spingere forte. Quando si alza sui pedali stavolta fa velocità. E si vede.

Il Monte Lussari e il resto del percorso erano tutti per Roglic
Il Monte Lussari e il resto del percorso erano tutti per Roglic

Il Lussari esplode

Al terzo intermedio, nonostante tutto, Primoz è ancora davanti e Geraint Thomas non ha più la stessa pedalata. E’ di nuovo il boato. I volti dei Jumbo-Visma sotto al palco si riaccendono.

Primoz taglia il traguardo in testa. Ma c’è da attendere Thomas. Sono minuti interminabili. Poi il verdetto. Primoz Roglic è maglia rosa. Il Lussari esplode.

Kuss alza la bici al cielo. I tifosi inneggiano anche a lui. E’ stato un grande protagonista di questa corsa. 

«Sono senza parole – dice lo statunitense – Un finale da mangiarsi le unghie. Il momento dell’incidente è stato spaventoso, ma sapevo che Primoz avrebbe potuto superare le avversità. Non riesco a immaginare quanta pressione e quanto stress abbiano avuto, penso anche a Thomas. Una crono come questa, alla fine di tre settimane… incredibile».

«Io un leader di questa squadra? No, non sono un leader, sono solo un atleta molto felice del lavoro che riesce a fare. Aiutare ragazzi come Primoz mi rende contento». 

«E’ stato onore combattere con Thomas – ha concluso Roglic – Geraint è un grande atleta. Un corridore onesto. Io ho lavorato per arrivare al meglio a questo momento. Ho avuto paura dopo la caduta della seconda settimana. Avevo battuto l’anca e non ero al meglio. Ma ogni giorno miglioravo. Ora però pensiamo alla tappa di domani.

«Qualcosa è cambiato stamattina. Quando dopo la ricognizione scendendo a valle ho visto tanta gente ho capito quello che mi aspettava. Sarebbe stato bellissimo. Io mi volevo divertire. E mi sono divertito».

Monte Lussari: per Garzelli qualcosa di mai visto

27.05.2023
6 min
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E’ oggi che si decide il Giro d’Italia. E stavolta non si potrà rimandare a domani. La scalata del Monte Lussari è l’ultima vera fatica di questa edizione della corsa rosa. E tutto è ancora in ballo.

Con Stefano Garzelli si ragiona su chi potrà essere il vincitore finale. Questi ragionamenti si facevano ieri pomeriggio in attesa dell’arrivo della tappa delle Tre Cime di Lavaredo. «Attaccheranno oggi – ci si chiedeva – rimanderanno tutto a domani». E soprattutto chi vincerà il Giro?

Garzelli in avanscoperta sulle rampe del Lussari
Garzelli in avanscoperta sulle rampe del Lussari

Lussari, un muro

Sono bastate queste due domande e “Garzo” è partito.

«Non ho mai visto qualcosa di simile, di più duro – ha detto il varesino – l’altro giorno siamo andati a provarla Contador ed io. Alberto per Eurosport e io per la Rai. Il tratto centrale è qualcosa d’incredibile. La pendenza non scende mai sotto il 17 per cento, il 15 in qualche tratto ma con punte superiori al 20 in altri. E’ un muro. Ed è così per 5 chilometri».

«Tutto si potrà decidere perché se si va in crisi è finita. E’ tanto, tanto particolare. Strada strettissima. Fondo in cemento. Gli hanno fatto questa lingua di cemento in mezzo al bosco». 

Due moto per i leader

Garzelli ci parla con fascino di questa scalata, ma anche con i dubbi che può portare con sé una prova tanto particolare come lui stesso l’ha definita. E le incertezze che di conseguenza genera negli atleti. 

Per esempio, i capitani avranno due moto al seguito ma gli altri no. E questo significa correre anche senza radio, in quanto sulla moto c’è solo il meccanico con in spalla la bici di scorta.

«Questi ragazzi – va avanti Garzelli – oggi senza radio sono spersi. Non sanno come regolarsi bene. Però mi hanno detto che i leader avranno una seconda moto per il direttore sportivo. So che Baldato, per esempio, sarà in contatto con Almeida».

«E poi c’è il cambio bici. Svolti a destra e passi dalla bici da crono a quella da strada in un attimo e subito su una rampa al 17 per cento. Non solo la muscolatura si deve abituare, ma anche la testa… E ancora: come affronti la parte in pianura? La fai a tutta? Non è facile».

C’è tanta incertezza dunque. E forse non sarà solo una questione di gambe. Chiaramente quelle conteranno, ma gli altri fattori che ha messo sul piatto Garzelli non vanno sottovalutati.

Roglic o Thomas

Chi vincerà dunque? Resta questo il quesito principale. Sulla bilancia anche in questo caso ci sono diversi elementi. Da una parte le pendenze estreme dovrebbero favorire Primoz Roglic, dall’altra lo stesso sloveno potrebbe rivivere i fantasmi del 2020 al Tour quando perse il Tour nella crono della Planche des Belles Filles. Però questa volta il leader non è lui. 

Un Ineos-Grenadiers, Geraint Thomas, che perde un grande Giro a crono noi non lo vediamo, sinceramente. E tutto sommato anche Garzelli fa la nostra stessa analisi. Il tutto poi dando per scontato che Joao Almeida non faccia il numero.

«Vero – dice Stefano – sappiamo quanto in Ineos lavorino su questa disciplina e suona strano che uno esperto come Thomas perda un Giro a crono. Però questa non è una crono normale. E le salite del Giro, specie queste salite, non sono quelle del Tour. Certe pendenze Thomas potrebbe soffrirle.

«E quella sua posizione poi… Tutto in avanti. Penso anche al discorso del cambio di bici, alla sua muscolatura e al discorso fatto prima dell’abituarsi al cambio in pochissimi secondi».

Su pendenze dure, Roglic in teoria è favorito, ma Thomas ha dimostrato di essere in palla
Su pendenze dure, Roglic in teoria è favorito, ma Thomas ha dimostrato di essere in palla

Fattori da valutare

Tanti sono i punti di domanda. Il discorso della pendenza è vero. Su carta il gallese soffre queste pendenze, anche in virtù della sua pedalata più dura e del suo fisico che non è da scalatore, ma sin qui ha dimostrato di andare forte sulle rampe più dure. Anche ieri sulle Tre Cime ha risposto bene a Roglic, salvo poi “impiccarsi” da solo quando ha voluto scattare. Ha capito che non può permettersi tali fuorigi su certe pendenze.

«E quelle del Lussari oltre che dure, ripeto, sono anche rampe lunghe. Per darvi un’idea, io salivo a 4-5 chilometri orari. Loro potranno fare gli 8-9».

Tanti aspetti che non fanno che alimentare la sfida e l’attesa della sfida. Non ultimo la scelta della monocorona da parte di Roglic fatta ieri. Scelta che oggi potrebbe replicare. Noi, per esempio, non sono siamo certi che la mono abbia avvantaggiato Primoz sulle rampe delle Tre Cime. E tutto sommato, tornandoci brevemente dopo la tappa, anche Garzelli nutre qualche dubbio.

Dalle immagini in tv si vede chiaramente come in certi frangenti lo sloveno sia super agile e in altri piuttosto duro. La scala posteriore (10-44) fa salti di 3-4 denti per ingranaggio, non è progressiva. Tutto è da scrivere. 

Cronoscalata a fine Giro: Baldato, come si fa?

20.01.2023
6 min
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La tappa numero venti del Giro d’Italia di quest’anno sarà una cronoscalata, con partenza da Tarvisio ed arrivo in cima al Monte Lussari. Una frazione divisa in due parti: la prima prevede undici chilometri mossi prima di arrivare all’attacco della salita finale, che misura sette chilometri e fa venire il mal di gambe solo leggendo i numeri. Pendenze attorno al 12 per cento di media con i primi cinque chilometri al 15. Fu proprio una tappa simile a stravolgere il Tour de France del 2020 e a regalare a Pogacar la prima delle due maglie gialle conquistate finora. 

Memori di quell’impresa avvenuta sulla salita della Planche des Belles Filles ci siamo fatti raccontare come si prepara e si gestisce una tappa del genere. Soprattutto se la si colloca all’interno di una corsa dura come il Giro d’Italia. 

Il ricordo di Baldato

Fabio Baldato, diesse della UAE Emirates, ci racconta come si approccia ad una corsa del genere e come si gestiscono tutte le varie situazioni che si vengono a creare, o per lo meno, come si cerca di farlo

«Personalmente – racconta Baldato da casa – una situazione abbastanza simile l’ho vissuta sempre al Tour ma nel 2011, quando ero secondo diesse alla BMC. L’ultima tappa di quella Grande Boucle era una cronometro di 42 chilometri con partenza ed arrivo a Grenoble, con due salitelle impegnative. Evans si giocava la maglia gialla con Andy Schleck, nelle tappe precedenti il lussemburghese aveva guadagnato molto in salita. Arrivarono all’ultima tappa con un distacco di un minuto e mezzo in favore di Schleck, Evans nella cronometro gli rifilò tre minuti e vinse il Tour».

Baldato inizierà la stagione in ammiraglia dal Saudi Tour
Baldato inizierà la stagione in ammiraglia dal Saudi Tour

E’ tutto un equilibrio

Nel ciclismo ogni secondo conta ed ogni goccia di energia risparmiata può essere utile. Ma quando si corre in un Grande Giro è sempre difficile calcolare tutto: capire quando attaccare oppure risparmiare qualcosa in vista di un momento migliore. 

«Durante una corsa a tappe come il Giro – continua il diesse della UAE – è molto difficile andare al risparmio, devi calibrare sempre il modo di correre ma non puoi gettare al vento certe occasioni. E’ tutto un carpe diem. Pensate alla Bora al Giro d’Italia dello scorso anno, nella tappa di Torino fece saltare il banco, o comunque iniziò a minare le certezze degli avversari. Tolsero di mezzo molti avversari e tante formazioni che avevano due o tre punte si trovarono con un solo uomo, gestire la situazione in questi casi è più semplice».

20ª tappa: crono Tarvisio-Monte Lussari: km 18,6
20ª tappa: crono Tarvisio-Monte Lussari: km 18,6

La cronoscalata

La tappa numero venti del prossimo Giro d’Italia sarà una grande occasione per ribaltare la classifica. Ma come si prepara? Dove si possono andare a limare i secondi necessari?

«Queste – racconta Baldato – sono cronometro particolari, che bisogna provare e preparare al meglio. Molte squadre sono andate a vedere la salita. Sarà sicuramente previsto un cambio di bici perché prima c’è tanta pianura dove i passisti possono spingere molto. Un dettaglio da non sottovalutare, e nel quale fu molto bravo Pogacar al Tour del 2020, è il cambio di bici. In breve tempo si modifica la posizione in sella e bisogna tornare a spingere al massimo. Uno dei motivi che hanno contribuito al crollo di Roglic potrebbe essere proprio questo. Sembra una sciocchezza, ma è un dettaglio da curare ed allenare, in preparazione al Giro ci saranno un paio di giornate dedicate a questo. Dovete considerare che un corridore arriva dal tratto in pianura già alla massima capacità aerobica e quando sali sulla bici da strada rischi di sentirti imballato e di faticare a riprendere quell’intensità di sforzo».

La costanza di Almeida potrà essere una qualità su cui puntare durante la cronometro da Tarvisio alla cima del Monte Lussari
La costanza di Almeida potrà essere una qualità su cui puntare durante la cronometro da Tarvisio alla cima del Monte Lussari

Lo studio dei file

Abbiamo capito che per una tappa del genere bisogna prepararsi atleticamente e fisicamente, ma non bisogna escludere gli aspetti mentali. Quanto conta provare la salita in questione, avere dimestichezza con le curve e le pendenze?

«E’ importante ma non fondamentale – dice sicuro Baldato – con la tecnologia è facile replicare sui computerini tutti i dati e studiare la salita dai dispositivi elettronici. La cima del Monte Lussari ora è sommersa di neve e fino a marzo rischia di rimanere così. La finestra per provare una salita del genere è ad aprile. Tuttavia penso che non sia importante conoscerla, la differenza la si fa solamente se è una salita che affronti tutto l’anno, anche in allenamento, allora sì che le cose possono cambiare. 

Per Baldato anche Evenepoel potrà essere uno da temere, grande cronoman ed un “martello” in salita
Per Baldato anche Evenepoel potrà essere uno da temere, grande cronoman ed un “martello” in salita

La preparazione

La solitudine su una salita del genere in una cronoscalata rischia di essere un fattore chiave. Ogni corridore reagisce in maniera differente a questa situazione e non è facile cambiare le proprie caratteristiche, anzi…

«Dal nostro punto di vista siamo contenti – spiega il diesse guardando allo rosa del team che farà il Giro – Almeida è un corridore che fa della costanza la sua qualità e in questo caso potrà davvero tornargli utile. L’anno scorso sul Blockhaus si era staccato quasi subito ma ha mantenuto il suo passo tornando sui primi e arrivando quinto. Joao preferisce un ritmo costante e questo gli dà qualcosa in più, perché quando sei da solo devi avere la forza mentale di spingere sempre allo stesso modo metro dopo metro. Devi essere metodico, ti metti sui tuoi watt, trovi la giusta cadenza e vai. Questa cosa si può allenare in vista del Giro: watt costanti e cadenza alta anche quando la strada spiana. Almeida è in grado di tenere una soglia della fatica altissima e per tanto tempo, ed in più la parte pianeggiante si addice a corridori come lui. Anche Evenepoel sarà uno dei favoriti della tappa. Gli scalatori puri potrebbero perdere qualcosa in pianura ma recuperare in salita. E’ uno scenario molto aperto, ma una grande differenza la farà il cambio bici, ne sono sicuro».