CALPE (Spagna) – C’è un po’ d’Italia quando si parla con e di Martin Svrcek. Il giovane slovacco della Soudal-Quick Step è infatti passato da “casa nostra”. Fu il direttore sportivo della Franco Ballerini, Andrea Bardelli, a portarlo in toscana negli anni da juniores.
Martin è uno di quei corridori che si potrebbero etichettare come “baby fenomeni”. E non è un caso che dopo l’esperienza in Italia sia passato direttamente nel WorldTour. Un formale, ma necessario passaggio alla Biesse-Carrera, ma il contratto già in tasca con la squadra belga. E poi via alla corte di Lefevere.
Più maturo
Rispetto ad altri però il suo approccio al professionismo non è stato proprio roseo. Le difficoltà ci sono state e anche una certa dose di sfortuna dovuta a qualche acciacco di troppo ci ha messo lo zampino. Di fatto la prima vera stagione da pro’ completa è stata quella passata: 44 giorni di gara, tre top 10 ma anche le prime grandi gare. E tutto sommato va bene così per un classe 2003.
L’impressione però è che vedendolo dopo un paio di anni, Svrcek sia cresciuto moltissimo. Più personalità, più scioltezza nel muoversi anche con i compagni, una buona padronanza dell’inglese. Stare coi campioni ti cambia.
«Ora sono più maturo – racconta Svrcek, mentre si prepara un caffè – due anni fa in effetti ero ancora un bambino. Forse non ero proprio pronto per il WorldTour e avevo bisogno di più tempo per il mio sviluppo. Ora però spero, e credo, di essere più pronto, credo più in me stesso e va bene così questo mi fa guardare con fiducia al futuro».
Voglia di gare
«Non vedo l’ora d’iniziare la nuova stagione – dice Svrcek – penso di aver avuto un finale di stagione davvero bello. Agosto è stato un gran bel mese per me. Anche a Glasgow ero andato bene (terzo nel mondiale U23). Peccato che dopo abbia avuto un problema al ginocchio. Sentivo dolore, il che non era eccezionale e per tre mesi non ho fatto quasi nulla. Ma credo di aver avuto la mia condizione migliore di tutti i tempi, almeno sin qui. Quindi non vedo l’ora di riprendere. Non so cosa aspettarmi. Voglio solo fare un ottimo lavoro per il team e per me».
Svrcek inizierà il suo percorso agonistico 2024 dall’AlUla Tour, unica corsa a tappe in programma, almeno per ora. Poi lo aspetta un lungo filotto di classiche: dall’Omloop Het Nieuwsblad fino all’Amstel Gold Race, passando per la Milano-Sanremo, unico monumento in programma per lui.
«Dopo il Saudi Tour però farò un training camp in altura. Andrò con il team a Sierra Nevada e poi da lì ritornerò alle corse con la Kuurne-Bruxelles-Kuurne e la Milano-Sanremo. Successivamente dovrei fare altre classiche ma non sono del tutto sicuro ancora del mio programma. Vedremo strada facendo.
«Dove veramente voglio fare bene è alla Sanremo e per questa serve sia tanta resistenza che tanta esplosività, ma penso anche alle Olimpiadi».
Erede di Sagan
E con il discorso delle Olimpiadi si apre un capitolo interessante. Con l’addio di Peter Sagan, di fatto Martin Svrcek diventa il leader ciclistico di questa Nazione. Per carità non parliamo di un movimento super, ma è pur sempre motivo di responsabilità e di orgoglio al tempo stesso.
«Vivo ancora in Slovacchia – racconta Svrcek – e anche per questo voglio fare bene ai Giochi. Sì, senza più Sagan sono il ciclista più importante del mio Paese – l’espressione tradisce un certo orgoglio – ma non sento la pressione su di me. Anzi, credo che la stessa pressione sia sempre qualcosa di buono. In più sono in una squadra che mi sta dando il tempo di crescere e non mi mette stress».
Come caratteristiche fisiche Svrcek potrebbe essere, in parte, l’erede di Sagan. E’ certamente meno veloce di Peter, ma tiene un po’ meglio in salita. Nelle classiche potrebbe fare bene anche lui. In più è in una squadra che proprio con le classiche ha un certo feeling. Ma è talmente giovane che neanche lui sa se magari un giorno potrà essere ideale anche per le corse a tappe. C’è solo da attendere.
Prima di congedarci, Martin ci parla dell’Italia. La Toscana non l’ha dimenticata: «Sento ancora Bardelli e la famiglia Iacchi, che mi ha accolto. Fare lo junior in Italia è stata un’esperienza molto bella e lo ricorderò sempre, anche perché è stato il mio primo passo nel grande ciclismo. Se ora sono qui è grazie a quell’esperienza».