Wout Van Aert, tour Red Bull negli USA 2025 (foto Joe Pug)

EDITORIALE / Il problema non è (solo) far pagare il biglietto

01.12.2025
6 min
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Si potrebbe ridurre tutto al dibattito, neppure troppo nuovo, sull’opportunità di far pagare il biglietto per accedere a determinati punti sul percorso. Forse però lo scontro è più profondo e vede sul ring la tradizione del ciclismo opposta a una serie di necessità che sarebbe miope non considerare.

«Sono preoccupato per la fragilità del nostro sport – ha detto di recente Van Aert a De Tijd, parlando della fusione fra Lotto e Intermarché – molte persone hanno perso il lavoro quest’inverno, ciclisti e dirigenti. Credo che la fragilità sarebbe minore se, oltre alle entrate derivanti dalle sponsorizzazioni, ce ne fossero anche altre derivanti dallo sport stesso, ad esempio attraverso i diritti televisivi. In questo modo, una squadra non fallisce immediatamente se uno sponsor abbandona, come accade ora».

Tour of Guangxi 2025, Intermarchè-Wanty,
La fusione fra Intermarchè e Lotto ha avuto conseguenze pesanti sull’occupazione di corridori e staff
Tour of Guangxi 2025, Intermarchè-Wanty,
La fusione fra Intermarchè e Lotto ha avuto conseguenze pesanti sull’occupazione di corridori e staff

La torta da dividere

Biglietti da pagare e diritti televisivi, due visioni diverse per risolvere la stessa esigenza: aumentare le entrate. Solo che a fronte di uno sport cresciuto rapidamente e a dismisura, l’approccio resta quello degli anni Ottanta. E il sistema, come già evidenziato da Luca Guercilena, traballa.

«Vedo come l’NBA distribuisce i fondi tra tutte le parti – prosegue il belga, reduce da un tour promozionale negli USA (immagine di apertura da Instagram, realizzata da Joe Pugliese) – e penso che il ciclismo possa imparare molto. Forse ci concentriamo troppo sul fascino e sull’atmosfera popolare. Se si fa pagare cinque euro per l’ingresso, non significa che il ciclismo non sia più popolare. Anche il ciclocross prevede una quota di ingresso e non c’è niente di più popolare. Gare come il Fiandre o il Tour dipendono da noi che vi prendiamo parte. Ma come squadra, non riceviamo nemmeno un compenso sufficiente a coprire i costi di partecipazione. Mi sembra il minimo. La torta potrebbe essere divisa in modo più equo».

Superprestige, montaggio tendone per i tifosi (foto Flanders Classics)
Anche nella gare di cross, non manca il tendone in cui i tifosi (che pagano per entrare) hanno servizi e ristorazione (foto Flanders Classics)
Superprestige, montaggio tendone per i tifosi (foto Flanders Classics)
Anche nella gare di cross, non manca il tendone in cui i tifosi (che pagano per entrare) hanno servizi e ristorazione (foto Flanders Classics)

L’esempio del Fiandre

Soldi agli organizzatori o soldi alle squadre? L’ideale sarebbe mettere tutto sul piatto e dividere secondo logica e proporzione, invece il ciclismo non si è mai preoccupato di fare sistema e ciascuno tira l’acqua alla sua parte.

«Bisogna cercare di fare qualcosa che abbia un sistema economico autosufficiente – dice Pozzato – altrimenti è tutto inutile. Quest’anno abbiamo portato 720 paganti nella nostra hospitality. Il sogno è arrivare a mille persone e cominciare ad aumentare il prezzo del biglietto e la qualità del servizio, con gente consolidata che torna perché sa che vale la pena. Perché hanno servizi e perché, come nella nostra Veneto Classic, vedono i corridori passare per sei volte. Al Fiandre pagano anche 500 euro per una hospitality, qui è difficile far passare l’idea di pagare 10 euro per un servizio. Se non andiamo su questo modello, le corse italiane più piccole muoiono. Il problema è che da noi si è sempre fatto in un modo solo e nessuno pensa a qualcosa di diverso. Solo durante il Giro d’Italia c’è gente per strada, ma è l’evento sportivo dell’anno, è normale che ci sia. Gli altri organizzatori hanno bisogno di fare qualcosa di diverso. ASO e RCS prendono un sacco di diritti tv, sarebbe giusto dividerli con le squadre». 

Giro delle Fiandre, hospitality, ristorante, vip (foto Levy Party Rental)
Lungo il Qwaremont al Fiandre, senza nulla togliere al pubblico che non paga, l’hospitality accoglie migliaia di tifosi (foto Levy Party Rental)
Giro delle Fiandre, hospitality, ristorante, vip (foto Levy Party Rental)
Lungo il Qwaremont al Fiandre, senza nulla togliere al pubblico che non paga, l’hospitality accoglie migliaia di tifosi (foto Levy Party Rental)

Cipollini su Facebook

Pagare o non pagare? Pozzato è tra i sostenitori della necessità di farlo, ma si è trovato contro il parere di Cipollini, rilasciato su Facebook.

« Credo che il ciclismo – ha detto il toscano – si basi soprattutto sul rapporto tra i ciclisti e il tifoso, però probabilmente faccio parte dei vecchi, di quelli datati, non sono un visionario. Immagino che questa cosa del pagare non debba toccare gli eventi straordinari come Giro d’Italia, Lombardia, Milano-Sanremo, queste grandi corse importanti, perché già sfruttano un bene comune come le strade. Non credo che il ciclismo possa essere paragonato al tennis, al calcio, alla MotoGP, alla Formula 1, che sono eventi all’interno di strutture. Diverso se uno organizza una Sei Giorni all’interno di un palazzetto oppure crea un circuito, nel qual caso è giusto pensare anche a un ipotetico ritorno. Ma parlando ancora del Giro d’Italia, le varie istituzioni come Comuni, Province e Regioni investono già, spendendo i soldi dei cittadini per pubblicizzare il territorio, per cui sarebbe come pagare due volte».

La presenza di aree a pagamento non esclude ovviamente la possibilità di seguire le grandi corse in libertà
La presenza di aree a pagamento non esclude ovviamente la possibilità di seguire le grandi corse in libertà

I soldi pubblici

In realtà i soldi pubblici finiscono anche negli sport che fanno pagare i biglietti più cari. Laddove gli stadi non sono di proprietà, essi sono un fardello a carico dei Comuni. Il Foro Italico, che comprende lo stesso Olimpico di Roma, è di proprietà di Sport e Salute, quindi del CONI. Lo spiegamento di forze di Polizia per l’ordine pubblico fuori dagli stadi è a carico dello Stato. Il fatto di pagare il biglietto in situazioni che già godono del supporto dei soldi pubblici è un ostacolo che altrove nessuno sembra essersi posto.

Che mediamente ci sia meno gente è vero. Scarseggia soprattutto lungo le strade piatte, dove l’attesa non è ripagata da chissà quale spettacolo, avendo la diretta integrale che ti permette di vedere tutto e meglio dal divano di casa. Una volta, quando non c’era questa copertura così massiccia, vederli passare era il solo modo per farsi un’idea e ragionare fino all’inizio della diretta. L’idea di Pozzato, che già rende parecchio bene a Flanders Classics (dal cross alle corse fiamminghe), è quella di ricavare delle aree a pagamento in cui coccolare i tifosi che vogliano spendere, offrendo loro uno spettacolo nello spettacolo. Nessuno costringerebbe gli altri che vogliano seguire le corse come si è sempre fatto. E’ un’idea efficace, che tuttavia non risolve il problema.

Il sistema che non c’è

Il sistema ciclismo non è in realtà un sistema, ma un insieme di realtà che cercano di attirare il più possibile per tenere in piedi le loro strutture. E a ben vedere la stessa UCI che detiene la titolarità del WorldTour non fa nulla perché le cose cambino. Se il suo obiettivo è riscuotere i pagamenti di corse e squadre, qualsiasi forma di organizzazione più avanzata la costringerebbe a condividere i profitti. L’UCI chiede e non restituisce, portando avanti una visione miope. Dividendo la torta come propone Van Aert, magari all’inizio qualcuno dovrà fronteggiare entrate minori, poi però il sistema prenderebbe giri e diventerebbe produttivo per tutti.

Questa è la visione di Pozzato, questa la visione di Van Aert e dei belgi. Bocciarla perché si è sempre fatto diversamente è un atteggiamento a dir poco medievale. Bocciarla perché resta concepita a compartimenti stagni è un’altra cosa. Nell’Italia che stenta a uscire dalla dimensione di una volta, potrebbe essere la Lega Ciclismo a guidare il movimento professionistico su un cammino di razionalizzazione delle entrate, dividendo laddove possibile il peso delle uscite. La Coppa Italia delle Regioni potrebbe diventare ben più produttiva di quanto sia oggi.

EDITORIALE / La storia del ciclismo e i record che cadranno

14.04.2025
5 min
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BRUXELLES (Belgio) – Si torna a casa dopo la prima parte del Nord ragionando sulla terza Roubaix consecutiva di Van der Poel, 45 anni dopo il record di Moser. E’ passato davvero un tempo lunghissimo e questo dà la misura della eccezionalità del trentino e di come i record del passato non siano soltanto bersagli da luna park. Alle nostre spalle abbiamo campioni eccezionali e sarebbe sbagliato pensare che il nuovo corso così spettacolare li farà dimenticare. E’ vero, ci sono stati passaggi di cui il ciclismo avrebbe fatto a meno, ma prima di quelli c’è stata una storia così ricca ed emozionante con cui Pogacar e Van der Poel dovranno fare a lungo i conti e non è detto che riusciranno a uguagliarla.

Van der Poel è in fuga verso altri record, ma la strada non è sempre semplice
Van der Poel è in fuga verso altri record, ma la strada non è sempre semplice

I record che non cadono

Sembrava scontato che Van der Poel avrebbe vinto il quarto Fiandre, ma ha trovato sulla sua strada il solito Pogacar pazzesco che glielo ha ricacciato in gola. Probabilmente ci riuscirà nei prossimi anni, ma potrebbe anche non accadere mai. Anche Boonen sembrava lanciato verso il poker, ma dopo la terza vittoria trovò sulla sua strada un Cancellara altrettanto pazzesco che in un modo o nell’altro spense la sua voglia di record. E lo stesso Cancellara, giunto al tris, avrebbe potuto fare poker nel 2016, il suo ultimo anno da corridore, ma dovette inchinarsi a Sagan.

Ancora Boonen si è fermato a quota quattro Roubaix, agganciando il fantastico record di Roger De Vlaeminck. Sembrava che sarebbe riuscito a passarlo, in un modo o nell’altro, ma dovette inchinarsi a sua volta a Terpstra, Hayman e Van Avermaet: chi avrebbe potuto immaginarlo? Eppure accadde.

Resiste e resisterà chissà per quanto il record dei cinque Tour, vinti da Anquetil, Merckx, Hinault e Indurain. Contro quel muro si è fermato Froome e chissà se l’aggancio riuscirà a Pogacar o a Vingegaard. Ci riuscì Armstrong, che arrivò addirittura a quota sette, ma qui il discorso merita un distinguo. Se si accetta che in quegli anni dal 1999 al 2005 tutto il gruppo viveva al pari dell’americano, allora il record resta. Se invece ci fu disparità anche nei confronti dei colleghi, allora il record dei 5 Tour è ancora saldamente al suo posto. I sette successi di Lance esistono di fatto solo nella memoria di chi li ha vissuti. Probabilmente quelli sono gli anni di cui avremmo fatto a meno, ma è inutile piangere sul latte versato. Bene fa il ciclismo ad andare avanti nel segno di altri valori.

Al Tour de France del 2021, Cavendish ha agganciato Merckx a quota 34 vittorie, lo ha battuto nel 2024
Al Tour de France del 2021, Cavendish ha agganciato Merckx a quota 34 vittorie, lo ha battuto nel 2024

La saggezza di Pogacar

I record sono fatti per essere battuti, alcuni infatti sono caduti e altri cadranno. Nel 2003 Cipollini ha vinto la 42ª tappa al Giro d’Italia, battendo un primato stabilito da Alfredo Binda nel 1933: giusto 70 anni prima. Lo scorso anno, Cavendish ha battuto con 35 tappe vinte al Tour il record di Merckx stabilito nel 1975: 49 anni prima. I record sono fatti per essere battuti, ma non si deve cadere nella faciloneria di pensare che con essi si cancelli lo spessore di chi li deteneva. Perché Binda nel frattempo, restando nell’ambito del Giro, vinse per 5 volte la classifica generale. E ugualmente limitandoci all’ambito del Tour, Merckx conquistò per 5 volte la maglia gialla.

In questi giorni di prodigiose imprese, che sembrano stratosferiche a noi più… giovani che non abbiamo vissuto gli anni di Merckx e Gimondi, si sente spesso accostare il nome di Pogacar a quello del Cannibale belga. E’ chiaro che nell’era dei facili social, il paragone è ritenuto accettabile, ma siamo certi che lo sia? Tadej potrà anche ricordare la fame di Merckx, ma per raggiungerlo, dovrebbe vincere per 7 volte la Sanremo, altre 4 volte il Giro, altre 2 volte il Tour, altre 2 volte il mondiale. Pogacar è probabilmente più intelligente dei tanti che cercando di appuntargli la stella sul petto e ha sempre rifiutato ogni confronto. Fa bene ed è proprio questa sua modestia a renderlo così amato. Anche perché basta uno starnuto della dea bendata perché le vittorie sfuggano, in anni che non sono mai uguali fra loro.

Pogacar, qui con la compagna Urska, si è misurato con la Roubaix: un test bellissimo, vanificato da un solo errore
Pogacar, qui con la compagna Urska, si è misurato con la Roubaix: un test bellissimo, vanificato da un solo errore

Uno sport di giganti

Vengono in mente anche le parole di Elisa Longo Borghini alla vigilia del Fiandre. Parlando della Milano-Sanremo dedicò un tributo sacrosanto alle ragazze di ieri. Sembra che il ciclismo femminile sia nato con il WorldTour, dimenticando grandi atlete come Jeannie Longo e Fabiana Luperini. Donne capaci di vincere a ripetizione il Tour de France e il Giro d’Italia quando i giorni di corsa erano più di adesso.

Si tende a cadere anche nell’errore di dirsi che le performance di oggi siano così superiori, da annichilire i campioni del passato. Come dire che i soldati di oggi siano più valorosi di quelli che scendevano sul campo di battaglia con il moschetto e la baionetta. In realtà ogni periodo storico ha avuto le sue armi, i suoi valori e le sue tecnologie. I campioni hanno sempre avuto accesso al meglio del loro tempo, anche quando correvano con bici da 15 chili su strade di fango. E grazie a quello che avevano, hanno inscenato i duelli pazzeschi che hanno fatto innamorare generazioni di tifosi, rendendo il ciclismo uno sport di giganti. Ma davvero crediamo che le sfide fra Coppi, Bartali, Anquetil, Magni, Koblet, Gimondi, Merckx, Poulidor, Hinault, Lemond, Fignon, Moser e i campioni che si sono succeduti negli anni fossero meno emozionanti delle attuali?

Vi ricordate di Secchiari? Una storia di belle storie…

21.02.2025
7 min
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Chiamatela nostalgia, se volete. Non vi capita mai che un’immagine vi rimandi a qualcuno con cui avete avuto a che fare in passato e che poi col tempo è sparito? Magari ve lo ricorda Instagram, oppure siete passati in un luogo che ha riacceso il ricordo. Allora di colpo le storie si animano, vengono a galla altri episodi e vi assale la voglia matta di risentirlo. A noi è successo giusto ieri con Francesco Secchiari, toscano classe 1972, professionista per dieci anni: prima con Reverberi, poi alla Saeco, alla Mercatone Uno con Pantani e alla fine la Domina Vacanze di Cipollini.

Secchiari era sparito, poi di colpo si è messo a pubblicare foto e storie su Instagram. E guardandole sono venuti alla memoria il primo incontro al Giro dei dilettanti del 1994, quando era leader ma stava per subire l’attacco decisivo di Piepoli. Il padre con il furgone che vendeva panini su tutte le salite in cui suo figlio correva e animava le nottate sui passi alpini. La caduta con Pantani e Dall’Olio nella Milano-Torino che rischiò di chiudere le loro carriere. La tappa vinta al Giro di Svizzera nel 2000 e due anni prima il quarto posto a Montecampione nel giorno in cui Pantani staccò Tonkov e fece la storia del Giro. E poi anche quella volta che capitammo a casa dei suoi genitori in Garfagnana, mangiando come poche altre volte in vita nostra e ridendo per l’episodio di un cinghiale investito non troppo casualmente col fuoristrada e poi finito sulla tavola.

Francesco Secchiari, classe 1972, è stato un pro’ dal 1995 a 2004 (immagine Instagram)
Francesco Secchiari, classe 1972, è stato un pro’ dal 1995 a 2004 (immagine Instagram)

Quando smise di correre nel 2004, fece un passo di lato e sparì, perché la vita gli propose esperienze troppo dure anche per uno che aveva corso cinque Giri d’Italia, due Tour e una Vuelta. Finché qualche tempo fa Secchiari è rispuntato su Instagram con una bicicletta e il mare dei ricordi.

T’è venuta la nostalgia?

No, non mi è venuta la nostalgia (ride, ndr). E’ andata così, è stata una cosa simpatica. E’ cominciato tutto… aspetta, parto da lontano. Quando ho smesso di correre, è morta mia mamma di tumore, c’è stata la separazione da mia moglie, facevo il muratore, ma mi ruppi una gamba. Ero in una situazione di merda, ingessato con la mamma morta e la moglie che andava via. Poi la vita va avanti, ci si riprende da tutto, però la bicicletta era rimasta da una parte perché non c’era più tempo e neanche la voglia. Finché vidi su Instagram una squadra, il Team Vibrata Bike, in Val Vibrata giù in Abruzzo.

Cosa facevano?

Vedevo che si allenavano, correvano, però alla fine non mancava mai la birrata tra amici. Così un giorno mi venne di fargli un commento e scrissi: «Questa sarebbe la mia squadra, con le birre e le passeggiate». Il tempo di farlo e mi chiamò subito il presidente e mi invitò a farne parte. Gli dissi che ero 100 chili, ma lui era gasato. Disse che gli sarebbe piaciuto se fossi andato a correre con loro e avessi partecipato alle serate. «Le serate – gli dissi – non sono un problema, però correre è un parolone!».

Arezzo al Giro del 2003, Cipollini eguaglia il record di 41 tappe vinte da Binda
Arezzo al Giro del 2003, Cipollini eguaglia il record di 41 tappe vinte da Binda
Avevi ripreso a pedalare nel frattempo?

Faccio dei giretti. Da tre anni sto insieme a Vera, una ragazza che faceva camminata a piedi, poi a forza di sentir parlare di bici, si è appassionata. Facciamo passeggiate. Abbiamo fatto la Spoleto-Norcia, tutti i percorsi del Chianti. Giri di 50-60 chilometri con 1.000 metri di dislivello, ma tutti finalizzati al fare una bella mangiata e girare i posti. Le corse si sono fatte prima.

Vivi sempre in Garfagnana?

No, quando mi sposai mi spostai a Pisa e ci sono rimasto, perché le mie figlie Noemi e Nadine sono qui e poi c’è più lavoro. Insomma, quelli della squadra di Teramo non hanno voluto sentire storie e mi hanno mandato il completino. Mi sono sentito quasi obbligato e ho ricominciato ad andare in bici. Siamo andati anche a trovarli, siamo andati a mangiare con loro. Poi quando è venuto fuori che avevo vinto il Giro d’Abruzzo, ci siamo legati anche di più.

La maglia del Vibrata Bike, qualche chilometro e una birra (immagine Instagram)
La maglia del Vibrata Bike, qualche chilometro e una birra (immagine Instagram)
Pesi ancora 100 chili?

No, ora sono a 98, ma ero arrivato a 115. Però mettici che sono più grosso per il lavoro. Faccio i giardini, ho cominciato tre anni fa. Durante il Covid era una delle poche categorie che poteva uscire e un amico mi ha convinto a lavorare nella sua azienda. Andai la prima volta per provare e non sono più venuto via. Si fa fatica, però ero abituato a correre in bicicletta e al confronto questa è nulla. Un giorno sei a Piombino al mare, un giorno sei nelle colline del Chianti. E’ sempre bello, sei fuori.

Come mai non sei rimasto nel ciclismo?

La grande passione mi è sempre rimasta e ho allenato per tre anni gli allievi, sono sincero, con un entusiasmo che la metà bastava. Però a un certo punto mi accorsi che l’impegno e i sacrifici li mettevo soltanto io. Sono sempre stato mezzo matto, però quando dicevo di fare i sacrifici, li facevo. Perciò ho provato a insegnargli le cose. Andavamo a fare la spesa. Li portavo a casa mia e gli facevo vedere come cucinare quel che avrebbero dovuto mangiare. Ci mettevo anima e corpo e poi li trovavo la sera al bar con il Negroni e la sigaretta. E dopo un po’ ho detto basta.

Che cosa ricordi quando pensi al ciclismo dei tuoi anni?

Se devo dire la verità, mi vengono spesso in mente quelli che non ci sono più. Scarponi, Marco (Pantani, ndr), Rebellin (i due sono insieme in apertura in un’immagine da Instagram, ndr). Purtroppo la lista è lunga. Loro sono quelli famosi, però da dilettante mi ricordo Diego Pellegrini: eravamo in ritiro insieme, abbiamo fatto il Valle d’Aosta, cadde e morì. Oppure Amilcare Tronca, ci ho corso insieme. E anche Alessio Galletti. Se mi metto a pensarci, sono almeno 15 persone che non ci sono più. Insomma, io penso a loro e mi mancano. In casa c’è un quadro fatto da Joe Di Batte, con Pantani e me. Per cui parlando di giovani…

Cosa diciamo?

Quelli di 13-14 anni che vengono a trovarmi, magari assieme ai genitori, quando vedono il quadro, chiedono: chi è quello insieme a te? Però se vuoi il primo ricordo, mi ricordo di te che la partenza di Corvara al Giro dei dilettanti, arrivasti e chiedesti: «Chi è Secchiari?». Io ero seduto sul marciapiede a mettere gli scarpini e mi facesti una foto bellissima, che ancora conservo. Fu la mia prima foto da ciclista vero, perché prima erano tutte foto scattate qua e là ed erano anche sfocate…

Secchiari ha chiuso la carriera nel 2004 a 32 anni, con 10 vittorie da pro’
Secchiari ha chiuso la carriera nel 2004 a 32 anni, con 10 vittorie da pro’
E Montecampione?

Quel quarto posto mette un po’ in ombra le vittorie che ho fatto. Quando mi presentano uno che non sa chi sono ed è appassionato del ciclismo, se gli dico che sono stato quarto a Monte Campione, quando Pantani staccò Tonkov, lo vedo che cambia espressione. Magari tutti hanno visto soltanto i primi due, però ogni tanto la telecamera staccava anche su me e Clavero che lottavamo fra noi.

Senti ancora gli amici corridori?

Mi capita di vedere Balducci e Guidi, quando viene qua: Fabrizio e anche suo fratello Leonardo. Oppure il Gobbini, con cui eravamo sempre insieme. Sono molto affezionato anche a Petacchi: non ho lavorato per lui quando vinceva, però siamo amici. E mi capita anche di sentire Mario (Cipollini, ndr), nonostante non ci vediamo, un messaggino ogni tanto ce lo scambiamo.

Cosa sanno le tue figlie del babbo corridore?

Inizialmente non ne se ne parlava e poi non gli interessava neanche. Poi magari una va a portare il curriculum per fare un lavoro e quello che lo riceve dice che una volta con quel nome c’era un corridore. E’ il suo babbo! Ormai sono grandi, hanno 24 e 21 anni, una lavora e l’altra studia lingue perché vuole fare l’insegnante. Ogni tanto vengono a chiedermi qualcosa, perché hanno sentito i racconti di altri. Magari gente adulta che qualche anno fa seguiva le corse.

Rimpatriata fra amici, con Allocchio, Bugno di cui era grande tifoso, Brocci e Lello Ferrara (immagine Instagram)
Rimpatriata fra amici, con Allocchio, Bugno di cui era grande tifoso, Brocci e Lello Ferrara (immagine Instagram)
Come sta tuo padre, va ancora alle corse o da quando hai smesso tu, ha smesso anche lui?

Ha smesso anche lui. E’ in forma, ancora adesso se c’è un cinghiale in giro, qualsiasi arma è buono per portarlo a casa. Sta rinchiuso, quando esce va per legna, per cinghiali o per funghi. Sono stato da lui sabato, è sempre lo stesso. Ha 72 anni e anche se i medici gli dicono di riguardarsi, continua a fumare come al solito. Sai che sono contento di questa telefonata? Dobbiamo assolutamente rivederci…

Organizziamo?

Bisogna, andiamo dal Pieri. L’ho rivisto, ma non sono mai stato a mangiare da lui. Dicono che la carne come la fa lui, non la fa praticamente nessuno…

Cipollini, di nome Edoardo: cresce il nipote del Re Leone

27.09.2022
5 min
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Quando hai un cognome come quello di Edoardo Cipollini e corri in bicicletta, è un fardello pesante, perché vuoi o non vuoi tutti guardano a chi quel cognome lo ha portato prima e lo ha trasformato nel sinonimo di vincente. Lo sa bene Axel Merckx, corridore di vaglia (addirittura bronzo olimpico) e diesse oggi tra i più apprezzati, eppure schiacciato dal mostruoso curriculum del padre. Edoardo è il nipote di Mario (senza dimenticare suo padre Cesare, olimpico a Montreal 1976 nell’inseguimento a squadre) e con quel fardello sta imparando a convivere.

Appena 17 anni nella carta d’identità, nato a Camaiore ma residente a Lucca, Edoardo è al suo primo anno da junior e ogni gara è una scoperta. Si potrebbe pensare che sia arrivato alla bici sulle orme dei parenti, ma non è propriamente così.

«Mio padre per la sua attività e passione – racconta – mi portava spesso alla Biciclette Poli, negozio che a Lucca è un’istituzione. Vidi una biciclettina e dissi che la volevo a tutti i costi, volevo pedalare anch’io. Così iniziai per gioco e per gioco mi feci da piccolissimo tutto il giro delle mura di Lucca, oltre 4 chilometri. A quel punto mio padre m’iscrisse alle gare, già da G1».

Il 17enne Edoardo fra papà Cesare olimpico a Montreal ’76 e Ivano Fanini
Il 17enne Edoardo fra papà Cesare olimpico a Montreal ’76 e Ivano Fanini
Sapevi chi era stato tuo zio?

Da piccolo no, ma ricordo che tanti mi chiedevano, mi parlavano di lui. Io ero troppo piccolo per avere vissuto le sue gesta. Crescendo ho cominciato a cercare in rete, a guardare le sue immagini, mi sono visto centinaia di volte i video delle sue vittorie. Mi dicevano che era stato il miglior velocista di sempre, ora so il perché.

Che cosa dice Mario della tua attività?

Mi ha sempre detto di andarci piano. Mio zio non ha un carattere facile, difficile sentirgli fare qualche complimento. Ma col passare del tempo, mi ha detto che potrei fare qualcosa in questo mondo e per uno come lui che pesa tanto le parole, è davvero il massimo. Dice che i numeri ci sono, ma che c’è tanto da lavorare. Ci alleniamo spesso insieme e mi sta insegnando tanto, a cominciare dal guardare i watt e saperli valutare.

Edoardo Cipollini vince spesso allo sprint, ma ha caratteristiche diverse rispetto allo zio Mario
Edoardo Cipollini vince spesso allo sprint, ma ha caratteristiche diverse rispetto allo zio Mario
Quel cognome ti pesa?

Inizialmente sì, ma proprio con il suo aiuto mi ha fatto capire che non devo guardarci. Da piccolo un po’ lo subivo, non capivo bene perché ero sempre paragonato a lui e glielo dissi. Il confronto mi ha fatto molto bene.

Che rapporto avete?

Molto stretto. Mi insegna davvero tantissimo, inoltre mi ha fatto avere la bici e tutti gli accessori e cura molto la mia impostazione tecnica, ma non solo. Spesso mi porta con lui a vedere le gare e ne parliamo. Mi racconta tantissimi episodi della sua carriera, come si gestiva e come dovrò fare io nelle varie situazioni. Inoltre mi ha messo a disposizione la palestra che ha a casa perché grazie a lui sto imparando anche quanto contano tantissime cose non strettamente legate alla bici, dagli esercizi all’alimentazione. Non sapevo quanto gli esercizi fisici potessero influire sulla nostra attività.

Tu d’altronde essendo adolescente hai un fisico ancora in formazione…

Io sono alto 1,81 per 59 chilogrammi, sono molto diverso fisicamente da lui, ma anche lui mi dice che devo ancora crescere. Abbiamo comunque una struttura diversa e infatti anche come caratteristiche tecniche siamo diversi. Io sono veloce, faccio le volate ma ho meno potenza (in apertura foto da profilo Instagram), in compenso tengo bene anche in salita. Ad esempio sono giunto 4° alla Coppa d’Oro che è una gara dura. In volata riesco a raggiungere i 1.500 watt, così lotto alla pari anche con corridori di 70 chili, ma non credo che sarò mai uno sprinter puro.

Vittoria al GP Nogaré 2021 con la maglia di campione regionale Allievi (foto Remo Mosna)
Vittoria al GP Nogaré 2021 con la maglia di campione regionale Allievi (foto Remo Mosna)
Sono valori importanti ma in evoluzione.

Mario mi ha fatto fare diverse visite mediche, il risultato è che muscolarmente sono ancora molto infantile, devo lavorare soprattutto su quadricipiti e polpacci. Per questo la palestra è importante se fatta bene.

Guardando le gare di tuo zio e quelle del ciclismo attuale, noti differenze?

Molte. Il ciclismo di una volta era più umano, non è che passavi di categoria e già lottavi in volata con i più forti. Oggi vedi gente come De Lie che appena approdato fra gli elite li mette tutti in fila e lo stesso avviene con altri specialisti, basta guardare quel che ha fatto Ayuso alla Vuelta. Una volta dovevi fare più gavetta per emergere, ora bisogna farsi trovare subito pronti. Comunque i velocisti di oggi sono forti, ma non sono al livello di Mario o anche di Zabel.

Cipollini Sanremo 2002
La vittoria di Mario Cipollini alla Sanremo 2002, la classica più amata (foto Ansa)
Cipollini Sanremo 2002
La vittoria di Mario Cipollini alla Sanremo 2002, la classica più amata (foto Ansa)
Tuo zio ti racconta come ci si preparava?

Sì ed era molto diverso. Si usciva, si facevano distanze, si provava qualche azione. Oggi è tutta matematica: fai 10 minuti a questa velocità, poi 40” a tutta, poi… Devi seguire tabelle minuziosissime. Mio padre spesso mi dice che i tempi che si facevano nel quartetto sono quelli che si fanno ora, ma a livello individuale.

Quali sono le corse che un giorno vorresti vincere?

Mi piacciono la Liegi per le mie caratteristiche e la Strade Bianche, che secondo me dovrebbe essere la sesta Monumento. E poi c’è la Sanremo, che a casa nostra è “la” gara. Quel giorno non si muove foglia e non si parla d’altro…

MCipollini The One DB, pura velocità e un’anima racing

26.08.2022
3 min
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MCipollini ha lanciato la sua nuova collezione, proiettando il marchio in una nuova era guidata da tecnologia e innovazione. Tra le nuove arrivate in gamma c’è la The One DB, una delle punte di diamante della casa italiana. 

Geometrie sportive, tecnologia avanzata, aerodinamica e un telaio rigido come quello dei professionisti la rendono il non plus ultra per quanto riguarda la proposta strada. Il rinnovamento attraverso un impianto frenante a disco la promuove a diventare una delle bici più ambite del prossimo 2023. 

La sua aerodinamica si percepisce ad occhio nudo anche senza provarla
La sua aerodinamica si percepisce ad occhio nudo anche senza provarla

Visione

Due sono le caratteristiche che si percepiscono da questa nuova The One DB, potenza e rigidità. Da questi due punti cardine del progetto è stata sviluppata la visione di Mario Cipollini per questo nuovo modello. Le geometrie race rendono le linee sinuose e aerodinamiche completamente rivolte alla velocità e a fendere l’aria come un coltello.  Questa MCipollini è votata all’agonismo e la sua struttura ne segue la filosofia in ogni particolare.

Il manubrio in questa versione è il Vision HB Metron 5D ACR 3K
Il manubrio in questa versione è il Vision HB Metron 5D ACR 3K

Telaio accattivante

Con queste prerogative MCipollini ha sempre dimostrato estro e voglia di innovare rendendo le sue bici diverse dalla concorrenza sotto molteplici aspetti. Grazie ad un’estetica accattivante le tecnologie all’avanguardia vengono assorbite sapientemente dal design. La tecnologia TCM con il vero telaio monoscocca, permette una perfetta connessione tra il carro posteriore e il movimento centrale. Una sinergia in grado di regalare reattività e favorire lo sprigionamento dei watt sulla trasmissione. 

Il carbonio utilizzato è il T1000 con finiture differenziate tra freno a disco e rim. L’alto modulo tipico dei top di gamma MCipollini con finitura 3k viene infatti implementato per la versione a disco, mentre 1k per la rim brake. Il peso del telaio che racchiude tutte queste peculiarità si ferma a 1.160 grammi.

Feeling da gara

La struttura di questa The One viene tradotta in un insieme di caratteristiche tecniche che se sviscerate mostrano l’attenzione ai dettagli in fase di progettazione per rendere questa top di gamma degna di esserlo. Il profilo del triangolo posteriore è stato maggiorato. Questo favorisce una maggiore rigità strutturale per un trasferimento di potenza diretto al terreno

L’indole racing deriva anche dall’incredibile rigidità, voluta proprio da Mario Cipollini in seguito ai test su strada. L’avantreno e il tubo sterzo consentono infatti di ottenere elevati valori di resistenza a flessione e torsione che si tramutano in pura velocità ed indole da gara. Per quanto riguarda le coperture per creare un feeling immediato e cucito addosso alle proprie caratteristiche di guida, si possono montare pneumatici con sezione fino a 29 millimetri. 

MCipollini

EDITORIALE / Il Processo alla Tappa e Cipollini a briglia sciolta

30.05.2022
7 min
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Mario Cipollini ha ancora un fisico invidiabile e una notevole capacità oratoria. Se ne sono accorti tutti da quando, oltre ai soliti canali, Re Leone si è messo a utilizzare i social per offrire al mondo opinioni su vari temi, dalle critiche feroci a Cassani fino agli appunti tattici alla Ineos nell’ultimo Tour.

Cipollini è un grandissimo appassionato di ciclismo e ne possiede una notevole cultura. E proprio alla luce di questo, ci si chiede come mai non occupi nello sport una posizione di rilievo.

Ospite al Processo

Invitato ieri al Processo alla Tappa di Alessandro Fabretti (in apertura, l’immagine pubblicata nel suo profilo Instagram), Mario ha snocciolato alcuni concetti del suo repertorio che forse, proprio per averli ascoltati più volte, hanno in certi momenti convinto e in altri disarmato.

Si parlava del Giro che si è risolto negli ultimi 3 chilometri del Fedaia. E che tutti, in alcuni momenti, abbiamo definito noioso. E il discorso è finito sulla scientificità di un certo modo di fare ciclismo.

Aperta parentesi. Non ci stancheremo mai di ripetere che per risparmiarci tante chiacchiere e tappe noiose, basterebbe togliere di mezzo i misuratori di potenza quando si corre. Chiusa parentesi.

«E’ arrivata la matematica nel ciclismo – ha detto Cipollini – ci sono degli addetti delle squadre che fanno uno screening totale delle potenzialità dei tuoi avversari, per cui cominci a lavorare su quello. Non c’è più l’istinto e neanche la collaborazione con il direttore sportivo. Una cosa che mi sembra di capire è che sono squadre molto importanti, ben organizzate, ma mancano uomini di esperienza. Io sono arrivato nel ciclismo e c’era Marino Amadori nella mia squadra e io ho imparato da lui. In realtà adesso è tutto basato su programmi e su mail».

Il Giro d’Italia si è risolto negli ultimi 3 chilometri del Fedaia, ma il lavoro ai fianchi della Bora è iniziato da Torino
Il Giro d’Italia si è risolto negli ultimi 3 chilometri del Fedaia, ma il lavoro ai fianchi della Bora è iniziato da Torino

Integratori o flebo?

Cosa gli vuoi dire? E’ verissimo. Ma togli la lettura della potenza e la possibilità che te la forniscano dalla macchina e sai cosa te ne fai di quei numeri? Sul fatto che manchino uomini di esperienza da cui imparare, in realtà ci sarebbe da distinguere. Basterebbe chiedere ai ragazzi che passano nelle squadre, ma si tratta di situazioni soggettive.

«La stessa alimentazione…», ha proseguito Cipollini. «Gli atleti ora si alimentano in modo che iniziano a recuperare grazie a dei ritrovati migliorativi che gli permettono di ricostruire immediatamente il glicogeno per essere di nuovo pronti il giorno dopo. Io non voglio dire che sia peggio o che sia meglio, è un ciclismo completamente differente».

Si chiama progresso, coinvolge tutto il gruppo e non solo i grandi capitani. Si cerca di investire su un modo lecito di recuperare, non potendo più ricorrere come un tempo alle flebo. Non è meglio adesso?

Il podio di Sobrero con il tricolore è stato lo spunto per le parole sulla necessità di un team italiano
Il podio di Sobrero con il tricolore è stato lo spunto per le parole sulla necessità di un team italiano

Ferrari, Conconi e il nuovo mondo

Poi però, davanti al podio tricolore di Sobrero con l’Inno di Mameli nell’Arena, il discorso è finito sulla necessità di avere un team italiano.

«Non parliamo di questa cosa – è partito Cipollini – perché io sono uno di quelli che lotta per dire che serve una squadra italiana. Dobbiamo per forza far sì che in Italia venga dalla politica sportiva. Deve essere creata una squadra italiana, di matrice italiana, con atleti italiani, con tecnici italiani. Perché noi abbiamo insegnato a tutti a fare il ciclismo. La matematica del ciclismo è nata grazie a due scienziati. Uno che si chiamava Conconi e l’altro Ferrari, che hanno aperto un mondo completamente nuovo. E noi ora siamo indietro a tutti».

Ovviamente non stava scherzando. Raccontano dalla Bardiani di avergli impedito di fare certi discorsi su Ferrari davanti a un giornalista, quando si è presentato in ritiro a Calpe.

Cipollini ha partecipato al ritro spagnolo della Bardiani. Qui con Fiorelli
Cipollini ha partecipato al ritro spagnolo della Bardiani. Qui con Fiorelli

Un periodo buio

E’ innegabile che quei due medici abbiamo riscritto la letteratura dell’allenamento. Hanno aperto un mondo completamente nuovo e i Palazzi del potere se ne sono serviti per vincere medaglie a ogni costo. Ma il mondo completamente nuovo aperto da quei due signori (per il quale uno è stato radiato e l’altro salvato dalla prescrizione) è il motivo per cui il ciclismo italiano è sprofondato nello scandalo e nella vergogna. Il motivo per cui ancora oggi ci sono sponsor che hanno paura di avvicinarsi. Il motivo per cui in Italia è vietata la tenda ipobarica. E se noi ora siamo indietro a tutti e non abbiamo una squadra, è perché pochi sono disposti a credere nel ciclismo. Posizione strumentale? Può darsi, provi semmai Mario a fargli cambiare idea.

Nei giorni scorsi Hindley ha raccontato che a causa delle chiusure Covid non può tornare a casa da due anni
Nei giorni scorsi Hindley ha raccontato che a causa delle chiusure Covid non può tornare a casa da due anni

La passione del ciclista

Ma visto che nessuno in studio si è sentito di muovere appunti, la trasmissione è andata avanti, fra le parole emozionate di Hindley e nuovi concetti da parte di Cipollini.

«Si percepisce che c’è un cambiamento anche psicologico», ha detto. «Questi atleti parlano di sacrifici, della difficoltà di stare lontano dalle famiglie, ma questo è normale per chi fa il ciclismo. Fare ciclismo è il momento più bello della vita, se ne accorgeranno nel momento in cui smettono. Allora mi piacerebbe che ci fosse un uomo come Alfredo Martini che potesse raccontare loro cos’era il ciclismo, quando dovevano partire 9-10 giorni prima per raggiungere il Tour de France perché c’erano le linee del treno interrotte dai bombardamenti.

«Subiscono questo senso di difficoltà nel fare una cosa che in realtà è figlia soltanto della passione. Guadagnano un sacco di soldi, come è giusto che sia. Sono all’interno di un sistema in cui hanno 40 persone che lavorano per loro dalla mattina alla sera. E si lamentano perché fanno dei sacrifici. I sacrifici verranno ripagati da qualcosa, ma è la tua passione che ti ha portato a questo. Per cui servirebbe qualcuno più vecchio e un po’ più esperto a raccontargli secondo me com’è veramente la vita».

La lezione di Martini ha formato generazioni di atleti e uomini: l’onestà prima di tutto
Alfredo Martini ha sempre affrontato il presente senza imporre il passato

Servirebbe Martini

Potrebbe essere lui? Si è mai candidato? Le sue parole, in parte condivisibili, sono sembrate persino piene di nostalgia. Difficilmente i corridori si lamentano dello stare lontani da casa e certamente sostengono una mole di ritiri molto superiore a quella dei tempi di Mario. Hindley ha semplicemente raccontato che a causa del Covid non torna in famiglia da due anni. Mentre Alfredo Martini, tirato in ballo da Cipollini, una volta disse una frase, segno della sua grande modernità.

«Quando sono davanti a dei corridori giovani – disse – non racconto com’era ai miei tempi. Se lo facessi perderei la loro attenzione. I giovani vogliono sapere cosa succederà, non cosa è già successo».

Servirebbe davvero Martini per spiegare che correre con coraggio è sicuramente più apprezzabile del correre col bilancino. Oppure forse Alfredo sarebbe in grado di indicare la via di mezzo fra un ciclismo cauto e uno troppo… spregiudicato. Siamo anche certi che per farlo troverebbe argomenti moderni e non condizionati da memorie che il tempo ha già masticato e messo via.

Cipollini ha aperto uno spiraglio di verità sul passato, omettendo di raccontarlo tutto. E’ stato come quando capiti in certi bar pieni di signori nostalgici. Che rimpiangono gli anni del fascismo e citano lo splendere delle mostrine, delle bonifiche e delle conquiste. Dimenticando o fingendo di non aver visto il dolore e le vittime.

Mugnaini 2018

La storia del Re Leone attraverso le mani di Mugnaini

05.02.2022
5 min
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Ci sono due vite ciclistiche ben distinte, unite nella figura di Gabriele Mugnaini. La prima è quella di ciclista professionista, durata solo 6 stagioni dal 1973 al ’78, i primi 3 alla Filotex, gli altri alla Vibor, correndo al servizio di campioni come Bitossi, Zilioli, Moser e Visentini. Mugnaini era il classico gregario, sempre pronto a sacrificarsi per i suoi capitani, ma capace anche di qualche exploit come il secondo posto nel GP Industria e Artigianato nel 1977.

La seconda è quella da fisioterapista, con mani divenute nel tempo preziose, forti e delicate al tempo stesso, capaci quasi di parlare ai muscoli dei campioni massaggiati. Uno per tutti, Mario Cipollini, con il quale ha condiviso tante stagioni e soprattutto stati d’animo susseguenti a vittorie e sconfitte. Oggi Mugnaini, che l’11 febbraio compirà 72 anni, è in pensione ma spesso viene richiamato per la sua esperienza, ad esempio all’Eroica dove tutti vogliono attraverso un massaggio da esperto sentire anche i suoi racconti del bel tempo che fu.

Mugnaini Filotex 1975
Mugnaini ha militato per 6 anni fra i pro’, i primi 3 alla Filotex. E’ nato l’11 febbraio 1950
Mugnaini Filotex 1975
Mugnaini ha militato per 6 anni fra i pro’, i primi 3 alla Filotex. E’ nato l’11 febbraio 1950

Il lungo massaggio a De Vlaeminck

La sua storia di massaggiatore iniziò grazie all’interessamento di un corridore che sapeva di questa sua passione e gli suggerì di farne un lavoro: Bruno Vicino, il campione del mondo degli stayer. «A quei tempi i soldi per chi correva erano pochi – ricorda l’aretino di Montemignaio – per me era una svolta per la mia vita e sarei anche rimasto in quell’ambiente. Sapete chi fu il primo a capitare sotto le mie mani? Un certo Roger De Vlaeminck, alla Gis. Ero così emozionato, quello che lo massaggiava abitualmente non poteva. Ricordo che ci misi 18 minuti per una gamba e 13 per l’altra, un’eternità… Lui alla fine sorridendo mi disse: «La prossima volta ti compro una sveglia…”».

La sua storia di massaggiatore è legata a doppio filo a quella del Re Leone: «Con Cipollini abbiamo cominciato alla Del Tongo. Era ancora molto giovane, in quella squadra incentrata su Saronni, anche lui curato da me, ma saltuariamente. Ricordo una volta in Puglia, aveva dovuto tirare la volata a Lecchi, mentre lo massaggiavo mi disse serio: “Tra un anno li mangio tutti…”. Sapeva bene quel che voleva…».

La sicurezza di Cipollini

Tutti nell’ambiente dicono che Cipollini avesse un carattere difficile, davanti ai suoi occhi Mugnaini ne ha viste di tutti i colori: «Dicevano che era un montato, invece era semplicemente uno concentrato sul suo lavoro a livelli estremi. Poi sì, il carattere era fumantino, è chiaro. Quando le cose andavano bene si scherzava anche durante il massaggio, al contrario era inavvicinabile, scontroso e si doveva fare silenzio. Bisognava starci insieme 10 mesi l’anno per conoscerlo, ma avevamo il nostro equilibrio, sapevo quando e come prenderlo».

Al di là degli episodi, Mugnaini ha un’idea precisa su Cipollini: «Era un precursore rispetto al ciclismo di oggi. A dicembre si partiva per il Sud Africa, erano in programma 10 giorni ma se le cose andavano bene si restava molto di più. Avevamo un ristorante di riferimento, italiano, dove lo conoscevano bene e in quei giorni era davvero una compagnia piacevole. Ma quando si cominciava ad avvicinare l’obiettivo, era il massimo della concentrazione. E questo suo spirito è stato d’insegnamento a tanti: alla Saeco tutti erano mentalmente indirizzati verso l’obiettivo, non si sgarrava».

Mugnaini rifornimento
Negli anni Mugnaini è sempre rimasto nell’ambiente, prodigandosi al di là del lavoro di fisioterapista
Mugnaini rifornimento
Negli anni Mugnaini è sempre rimasto nell’ambiente, prodigandosi al di là del lavoro di fisioterapista

Mugnaini, psicologo al bisogno…

Il massaggio del dopo gara, al di là del puro aspetto fattuale, era una sorta di “camera caritatis”: «Il massaggio durava anche più di un’ora, nella quale Mario si sfogava su tutto quel che era avvenuto. Io lo lasciavo parlare, era quello di cui aveva bisogno. Poi come detto c’erano le volte che non aveva voglia di dire nulla e altre che scherzava».

Qual è stata allora la volta che si è più arrabbiato? «Eh, non dimenticherò mai il giorno della Gand-Wevelgem del ’94. Va via una fuga importante con dentro anche Franco Ballerini, ma grazie al lavoro della squadra i corridori vengono ripresi a 3 chilometri dal traguardo. Invece di preparare la volata a Mario, Franco riparte con Wilfried Peeters, arrivano in due e perde. Cipo voleva la terza vittoria consecutiva, era furioso: arrivati al camper ci dice a tutti di scendere e si chiudono dentro loro due, le urla si sentivano per tutta la città…».

Cipollini Sanremo 2002
Dopo tante delusioni, finalmente Cipollini centra la Sanremo nel 2002 (foto Ansa)
Cipollini Sanremo 2002
Dopo tante delusioni, finalmente Cipollini centra la Sanremo nel 2002 (foto Ansa)

Il giorno più bello

Ci sono però stati anche momenti speciali: «La Sanremo del 2002, mai visto così contento. Quella era diventata una vera ossessione, partiva tante volte come favorito ma non riusciva mai a centrare l’obiettivo. Era al settimo cielo. E poi il mondiale: io c’ero, sin dal ritiro premondiale di Salsomaggiore. In squadra erano tutti concentrati, ma sotto sotto si temeva che Petacchi avrebbe fatto il doppio gioco, invece fu fantastico».

I rapporti con il tempo si sono diradati, ma non manca anno che non ci si veda: «Carube il meccanico suo e mio amico organizza una corsa a Lucca, non manchiamo mai ed è sempre bello ritrovarsi » . Come sarebbe allora Cipollini in carovana oggi? « Sarebbe ancora un innovatore, la preparazione era un chiodo fisso. Magari si scontrerebbe con chi fa cose che a suo modo di vedere non sono giuste, ma sarebbe un preparatore ideale, con tanto da trasmettere. Purtroppo con il suo carattere non si è fatto tanti amici…».

Le bici di Cipollini affidate a “Carube”. Un viaggio nella tecnica

23.11.2021
5 min
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Carube, al secolo Roberto Lencioni (in ammiraglia nella foto di apertura) è stato per anni lo storico meccanico di Mario Cipollini. Quante avventure insieme, quante vittorie e quante bici ha dovuto preparare per Re Leone, toscano come lui.

E certo stare vicino ad un personaggio istrionico come Mario non era facile. Cipollini dava molto e pretendeva anche molto dal suo staff. E poi con la tecnica aveva una sensibilità sopraffina. Ma Carube sapeva come prenderlo.

Mario, alla Del Tongo, sigla il primo dei 42 successi al Giro d’Italia 1989 sul traguardo di Mira
Mario, alla Del Tongo, sigla il primo dei 42 successi al Giro d’Italia 1989 sul traguardo di Mira

Carube davanti a Mario

«Ho iniziato con lui tra i professionisti nel 1989 alla Del Tongo – spiega Lencioni – ma lo conoscevo già da prima perché ero stato meccanico di suo fratello Cesare. E anche da ragazzino, non abitando lontano, lo vedevo spesso. Capitava anche al mio negozio».

«Mario – continua Carube – era pignolo sì, ma non diverso da altri. Certo, non era semplice stargli dietro, ma per me era più facile, poiché conoscendolo sapevo più o meno cosa voleva o avrebbe voluto e così mi “portavo avanti” se usciva qualcosa di nuovo o di particolare. Magari colorazioni delle bici, alcuni materiali da provare. Lui magari ti dava degli input su scelte o materiali e voleva che fossero messi in atto al più presto. 

«E capiva subito se una cosa andava oppure no. Mario saliva in bici, faceva dieci metri e magari ti diceva: questa sella è più bassa di un millimetro. Tu la misuravi ed era più bassa di un millimetro».

La Specialized di Zolder

Della sensibilità di Cipollini un po’ tutti ci hanno parlato. Mario era (ed è) un tecnico sopraffino. Sa come deve essere una bici e soprattutto cosa vuole… da una bici

«In tanti anni per lui ho allestito non so quante bici – dice Carube – ma ricordo in particolare le due del 2002. L’anno della Sanremo e del mondiale. Era la prima volta che lavoravamo con Specialized. Sostanzialmente Mario in quella stagione utilizzò due biciclette: quella appunto della Classicissima, della Gand e delle sei tappe al Giro e quella del mondiale.

«La prima tutto sommato era standard. Così l’avevamo richiesta e così la montai, a parte qualche piccolo intervento per le gare in Belgio, su gomme e ruote. Mentre per il mondiale di fatto fu stravolta».

«Con Specialized preparammo un telaio speciale. Mario voleva una bici che assolutamente non disperdesse energia. E così, su sue indicazioni, i foderi posteriori furono maggiorati. Parliamo di un telaio in alluminio e questi foderi avevano un diametro di 22 millimetri.

«Ma il grande lavoro fu fatto sull’orizzontale. Questo fu abbassato di un centimetro e mezzo, ma soprattutto venne cambiata la sua forma. Specialized all’epoca faceva tubi ovali: questo invece dal piantone partiva tondo e man mano che si avvicinava al tubo di sterzo diventava quadrato. Non fu facile scendere quel centimetro e mezzo, perché poi all’anteriore Mario era molto basso e questo tubo era grande. Si era davvero al limite. Era una soluzione che irrigidiva un bel po’ la bici, ma la rendeva circa 150 grammi più pesanti. 

«Per ovviare a questo aumento di peso, intervenne sulle ruote. E decise di usare delle ruote che non erano in dotazione al team, delle Lightweight, ma anche queste erano state irrobustite per lui».

Nella corsa rosa del 2002 invece si porta a casa ben sei tappe. Qui la sesta a Milano
Nella corsa rosa del 2002 invece si porta a casa ben sei tappe. Qui la sesta a Milano

Re Leone tradizionalista

Davvero uno spettacolo questi aneddoti! Una volta si poteva intervenire con maggior facilità sulla personalizzazione delle bici. Non c’erano i monoscocca. Tanto più che si parla di alluminio…

«Cipollini non ha mai gareggiato con un telaio in carbonio, almeno da quel che so io o finché è stato con me. E ne ha provati… Una scelta sua. Anche dopo che lasciò la Domina Vacanze e passò alla Liquigas, ha utilizzato una bici in alluminio. A quei tempi il carbonio iniziava a fare gola, ma lui non ne voleva sapere. Il carbonio lo ha chiaramente iniziato ad usare dopo… dopo che ha smesso».

Con l’alluminio Re Leone poteva avere la bici a sua immagine e somiglianza: le sue geometrie, le sue misure, la quantità del materiale a seconda dei punti del telaio…

E sugli altri componenti com’era Cipollini? Carube risponde pronto…

«Stava attento a tutto, ma non era così eccessivo come si pensa… Soprattutto dopo che arrivò Specialized, azienda che decise d’investire molto e che aveva un altro modo di fare, ebbe la possibilità di provare molti più componenti, però al tempo stesso si doveva tenere conto delle sponsorizzazioni».

«E poi è vero che era sul pezzo, ma era anche tradizionalista. Le scarpe per esempio. Quando trovava il modello con cui stava bene, non le cambiava fino alla fine. O le selle. Magari ne provava 15, ma tanto alla fine tornava su quella con la quale si era trovato meglio. Pensate che io neanche la toglievo più dal cannotto. La smontavo con tutto il reggisella! Quando rientrava gli rimontavo subito la sua e già sapevo che era a misura».

Oggi Cipollini ha un suo marchio di bici e dietro la progettazione dei telai c’è sempre il suo zampino
Oggi Cipollini ha un suo marchio di bici e dietro la progettazione dei telai c’è sempre il suo zampino

Cipo e le bici di oggi

E oggi Mario Cipollini che bici userebbe? Il meccanico come il massaggiatore è colui che meglio entra nella testa del corridore, e Lencioni lo sa bene.

«Oggi – conclude Carube – Mario vorrebbe una bici che rispecchia quelle che produce (e infatti dietro ogni Mcipollini c’è la sua impronta). Se gareggiasse di certo vorrebbe due bici: una per le corse a cui tiene meno e una per quelle in cui punta.

«La prima sarebbe una bici leggera e confortevole che lo possa agevolare in salita, una bici pensata per risparmiare energie. La seconda sarebbe una bici super rigida, che possa esaltare le sue doti di velocista».

Vos Balsamo 2021

Balsamo come Cipollini nel 2002? Ecco il perché…

30.09.2021
5 min
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Un minuto, una volata, un’emozione che si stampa nella mente e non vuole andar via. A qualche giorno di distanza dalla vittoria di Elisa Balsamo ai Mondiali, quell’autentico capolavoro tecnico è ancora oggetto di discussioni. A chi ha qualche anno in più e non si perde un’edizione della rassegna iridata, quella volata di Flanders 2021 ha ricordato un’altra edizione che curiosamente si svolse sempre in Belgio: Zolder 2002, la trionfale cavalcata di Mario Cipollini.

Abbiamo allora pensato di rivivere le due gare in parallelo, non solo riguardandole nei video per trovare punti in comune e altri momenti dissonanti (come è normale che ci siano) ma anche sentendo due personaggi che di quelle cavalcate sono stati attori importanti: Alessandro Petacchi nel primo caso, Marta Bastianelli più recentemente.

Azzurre Zolder 2021
Il gruppo azzurro festante sotto il podio: da sinistra Confalonieri, Guazzini, Longo Borghini, Cecchini e Bastianelli
Azzurre Zolder 2021
Il gruppo azzurro festante sotto il podio: da sinistra Confalonieri, Guazzini e Longo Borghini

La preparazione

Quella volata di Zolder era stata pianificata a lungo, studiata a tavolino: «Ma quello che metti su carta ben difficilmente poi si tramuta in realtà – ammonisce Petacchi – e devi essere bravo a saper improvvisare. A noi venne a mancare Bettini, che… s’intruppò con Freire, ci trovammo così ad affrontare la volata con un uomo in meno. Di Luca aveva tenuto alta l’andatura sullo strappo finale. Scirea e Bortolami avevano fatto la loro parte. Io ero il penultimo uomo, ma mi trovai a dover guidare il treno dai meno 1.200 ai meno 600 metri. Una trenata pazzesca, ancora non so dove trovai le forze. Poi toccò a Lombardi lanciare Mario verso il titolo».

Nel caso di Leuven, le cose stanno in maniera leggermente diversa: «Sapevamo della possibilità di finire la gara in volata e avevamo stabilito i ruoli, ma ha ragione Alessandro, le cose non vanno mai come te le aspetti – afferma la Bastianelli – io ero esentata dal treno, ero una sorta di jolly che poteva tentare l’azione nel finale e/o parare i colpi delle avversarie ed è stato proprio così, soprattutto con la micidiale sparata della Van Vleuten. Quando ho lasciato sfilare il gruppo verso la volata finale sono rimasta sorpresa vedendo che la Confalonieri era in testa al treno azzurro. Sulla carta lei era l’ultima prima di lasciare spazio alla Balsamo, ma in corsa si sono messe d’accordo in maniera diversa».

Bastianelli Balsamo Leuven 2021
L’abbraccio tra la Bastianelli e la Balsamo: nell’ultimo giro l’intesa fra le due è stata determinante
Bastianelli Balsamo Leuven 2021
L’abbraccio tra la Bastianelli e la Balsamo: nell’ultimo giro l’intesa fra le due è stata determinante

L’imprevisto

Le tattiche sono qualcosa che vale come una tela sulla quale però il dipinto è sempre in base all’estro individuale, bisogna saper inventare, ma non sempre si può: «Vi racconto un particolare – interviene Petacchi – facendo la ricognizione avevamo stabilito la volata nei particolari e Bortolami la sera prima si era raccomandato: “Io tiro fino alla curva, poi mi tiro fuori, passatemi sulla destra per affrontare la discesa così non perderete velocità”. Un treno va studiato nei minimi particolari, ma come detto l’assenza di Bettini mi costrinse ad allungare il mio lavoro. Se Bortolami l’avesse saputo, avrebbe sicuramente affrontato la curva in testa. In quei frangenti però non hai il tempo di voltarti e capire cosa succede, quindi svolse appieno il suo compito».

«Il nostro momento difficile è stato prima dell’avvio del treno – rammenta Marta – sull’ultimo strappo la Balsamo era rimasta leggermente staccata, solo qualche metro ma poteva perdere l’attimo. Mi sono messa al suo fianco e senza dirci niente ci siamo riavvicinate alla testa. Volevo darle coraggio, convinzione che poteva farcela, non c’era bisogno di parlarci, in certi casi t’intendi col pensiero».

Cipollini Zolder 2002
Lo straordinario sprint di Cipollini a Zolder 2002, il momento finale di una volata dominata dalla squadra italiana
Cipollini Zolder 2002
Lo straordinario sprint di Cipollini a Zolder 2002, il momento finale di una volata dominata dalla squadra italiana

La stoccata del campione

Petacchi, Lombardi e poi fu tutto pronto per l’assolo finale di Cipollini, che finì non per vincere, ma per dominare: «Mario era un velocista atipico, dalla struttura possente, alta. Chiaramente quella macchina umana aveva bisogno di tempo per raggiungere la massima velocità, per questo pensò che gli serviva essere lanciato dai compagni. Non so se la moda dei treni nacque con lui, Mario ha vinto tante corse e molte in maniera differente, senza il cosiddetto treno. Sicuramente per lui era però importante, anche perché avere chi ti pilota ti consente di prendere meno vento. Ormai tutte le volate hanno le squadre che cercano di costruire il treno giusto e si viaggia a grandi velocità. Se notate, nell’ultimo chilometro le posizioni sono comunque ormai consolidate proprio perché si va forte».

«Anche nel ciclismo femminile è da qualche anno che i team principali cercano di costruire i treni giusti per le loro sprinter – interviene la Bastianelli – io ormai non ho più quella base di velocità per affrontare gli sprint a ranghi compatti, posso giocarmi le mie carte in arrivi ristretti o cercare altre vie».

Balsamo Longo Borghini 2021
La Longo Borghini davanti alla Balsamo: nello sprint finale la neoiridata è stata bravissima a pilotare la compagna
Balsamo Longo Borghini 2021
La Longo Borghini davanti alla Balsamo: nello sprint finale la neoiridata è stata bravissima a pilotare la compagna

Le parole di Elisa

C’è un momento nello sprint vincente della Balsamo sul quale è necessario tornare: Elisa Longo Borghini che la stava pilotando si stava per far da parte, Elisa con un urlo le ha detto di continuare a tirare perché era troppo presto: «E’ vero – testimonia la Bastianelli – in quel momento è stata lucida e scaltra, aveva bisogno che la Longo Borghini spendesse quelle ultime energie rimaste per lanciarla più avanti anche perché gli ultimi 100 metri erano in leggera salita. Al mattino ci eravamo dette che decisive sarebbero state le tempistiche in caso di arrivo in volata, il minimo errore avrebbe rischiato di compromettere tutto. In quel caso la Balsamo è stata attentissima a rispettare il copione e il risultato l’ha premiata».

«Io sono convinto, rivedendo la volata, che se la Longo Borghini si fosse fatta da parte, la Vos avrebbe vinto – interviene Alessandro in base alla sua esperienza di mille volate – per battere una campionessa come l’olandese servono gambe al massimo ma soprattutto una tattica precisa, se si fosse trovata davanti troppo presto non avrebbe fatto altro che tirare la volata alla Vos che poi l’avrebbe saltata, così invece non aveva più né spazio né gambe abbastanza fresche per farlo. Quella vittoria è stata un capolavoro anche per questo».