Questa volta Van Vleuten le ha prese a ceffoni

24.04.2022
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Non è sempre Pasqua, deve aver pensato Elisa Longo Borghini, che nel giorno di Pasqua per giunta aveva vinto la Roubaix, vedendo la Van Vleuten allontanarsi sulla Roche aux Faucons. Più o meno gli stessi pensieri si sono addensati nella mente di Marta Cavalli, che mercoledì ha vinto la Freccia Vallone ed era tra le favorite della Liegi. Quando l’olandese della Movistar ha attaccato nel punto più duro dell’ultima salita, a dire il vero non è parsa irresistibile. Il gap infatti è rimasto a lungo intorno ai 10 secondi, poi le altre dietro sono inspiegabilmente sprofondate nella rassegnazione, raggiungendo il traguardo 43 secondi dopo Annemiek.

Per la Longo Borghini è arrivato il quinto posto. E adesso a casa a ricaricare le batterie
Per la Longo Borghini è arrivato i quinto posto. E adesso a casa a ricaricare le batterie

«Con due ragazze della Sd Worx e due della FDJ – dice Elisa, quinta all’arrivo – pensavo che saremmo riuscite a rientrare, ma evidentemente Annemiek ne aveva di più. E’ stata la più forte, ha preso da subito la corsa fra le mani, aveva il passo migliore di tutte. Io oggi mi sentivo recuperata rispetto alla Roubaix, molto meglio di mercoledì alla Freccia. Però è vero che, tranne alcune che iniziano a scegliere, tendiamo tutte a fare le corse principali. Perciò la Roubaix, spostata perché in Francia c’erano le elezioni, si è un po’ sovrapposta con le Ardenne. Se avessi fatto Amstel e Brabante, io ad esempio l’avrei saltata. E credo che se il calendario sarà ancora questo, si dovranno fare delle scelte».

Cavalli e la Redoute

Il tema, che avevamo già approfondito nelle scorse settimane, torna di attualità anche nelle parole di Marta Cavalli, arrivata sesta. Se Longo Borghini non avrebbe voluto fare la Roubaix e l’ha vinta, la cremonese non avrebbe dovuto fare Freccia e Liegi e ha vinto a sua volta la prima…

A Liegi anche il cittì azzurro Sangalli. Qui parla con Marta Cavalli e domani sarà a Roma al Liberazione
A Liegi anche il cittì azzurro Sangalli. Qui parla con Marta Cavalli e domani sarà a Roma al Liberazione

«Ho fatto la Roubaix – sorride sfinita – perché non avrei dovuto fare Freccia e Liegi. Ancora mercoledì sentivo di non aver ben recuperato il pavé che fisicamente è devastante. Oggi si sapeva che la Roche aux Faucons sarebbe stata il punto decisivo. Già ho sofferto per stare con la Van Vleuten sulla Redoute, credo di aver speso lì tutte le mie energie. Quando ha attaccato, siamo rimaste a 8-10 secondi, poi il gruppetto si è riformato e non c’è stato niente da fare. Ma che lei fosse forte si sapeva. Forse era bloccata un po’ mentalmente per non aver ancora vinto, ma questa volta ha dato tutto».

Il momento migliore

Annemiek è di ottimo umore. Al punto che quando il telefono di un giornalista, messo sul tavolo davanti a lei per registrare, inizia a vibrare, risponde lei alla chiamata. Parla in olandese, dice che si sta svolgendo una conferenza stampa e che gli ha risposto la vincitrice. Poi chiude, anzi no: la chiamata resta aperta ancora un po’.

Già sulla Redoute il suo forcing è stato ferreo. Qui le resiste Reusser
Già sulla Redoute il suo forcing è stato ferreo. Qui le resiste Reusser

«Se guardo i numeri – dice la leader del Movistar Teami miei test, i tempi su Strava, sono nel mio momento migliore. Ma ci sono tante ragazze che stanno crescendo, per cui vincere non è più così facile e quando ci riesco è più bello. Sapevo che non sarei riuscita ad andare via sulla Redoute come nel 2019, perché il livello del gruppo femminile adesso è più alto di qualche anno fa. Sapevo di avere una sola opzione sulla Roche aux Faucons, perciò l’ho iniziata e ho dato tutto. Ho ucciso me stessa, senza pensare se mi seguissero. Non potevo fare altro. Penso sia un complimento il fatto che mi stiano sempre a ruota, ma cerco di concentrarmi ogni volta su quello che posso cambiare e semmai le situazioni che posso girare a mio favore».

Il guanto di sfida

Parla con gusto. Fa battute. Dice che il Giro è una corsa troppo bella per non farla e che andrà a prepararlo a Livigno, il suo «happy place». Però aggiunge che ora tornerà per due settimane a casa, dove festeggerà con gli amici e il 27 aprile celebrerà il King’s Day.

«Vincere non è stato un sollievo – dice Van Vleuten – sarei potuta tornare a casa a mani vuote, ma con la consapevolezza di andare bene. E’ bello riuscire ancora ad avere questo livello, soprattutto dopo l’incidente alla Roubaix del 2021. Ho ancora fame di migliorare e ci sono piccole cose, dalla mia preparazione al lavoro di squadra, in cui posso migliorare. Credo in me stessa, vincere non è facile. Gli unici che aspettavano un passo falso sono certi giornalisti che si divertono a darmi il tormento.

«Credo che questa campagna di primavera abbia ridisegnato gli equilibri del gruppo. Marta Cavalli adesso sa di potermi staccare e proverà a rifarlo al Giro d’Italia e questo renderà il ciclismo più bello da seguire. Sul Muro di Huy mi ha battuto perché è stata più esplosiva di me, la Liegi si è dimostrata ancora una volta la corsa che più mi si addice. Ma non dite che sono stata la più forte, come se avessi passeggiato. Sulla Redoute ho distrutto me stessa. E sulla Roche aux Faucons ho dato tutto, facendomi del male…».

Bettini e Garzelli ricordano la Liegi del 2002: la doppietta Mapei

24.04.2022
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Alla Liegi-Bastogne-Liegi del 2002, sul traguardo di Ans, ci fu uno degli arrivi più iconici della storia del ciclismo: la doppietta storica della Mapei, con protagonisti Bettini e Garzelli. In quella che viene definita come la “Classica degli italiani” e mai nome fu più azzeccato. Se allarghiamo l’occhio sull’ordine di arrivo si nota come nei primi 5 posti sventoli la bandiera tricolore. Dietro al duo della Mapei si piazzarono: Ivan Basso, Mirko Celestino e Massimo Codol.

Sono proprio Stefano e Paolo, che a vent’anni di distanza, ricordano quella giornata. I giorni precedenti, gli scherzi, i pensieri della sera prima e l’emozione di aver scritto un pezzo di storia, nella terra che ha accolto tanti migranti dal nostro Paese. Che nelle miniere del Belgio hanno lottato e sofferto, e per un giorno, si sono presi una gran bella rivincita: quella di vedere il Belgio inchinarsi alla forza del ciclismo italiano.

Paolo Bettini sul podio della Liegi in mezzo a Garzelli a sinistra e Basso a destra
Paolo Bettini e Stefano Garzelli sul podio della Liegi 2002

Il ricordo del “Grillo” 

«La Liegi è sempre stata una corsa speciale per me – racconta Bettini – da quando l’ho vinta per la prima volta nel 2000. Lì ho capito che avrei potuto fare grandi cose nel ciclismo, e così è stato. Nel 2002 siamo arrivati con un progetto di squadra ben preciso, Io ero l’uomo deputato a vincere, mentre “Garzo” (Stefano Garzelli, ndr) era venuto a supportarmi. Anche perché proprio lì sarebbe arrivata la seconda tappa del Giro d’Italia (tappa vinta proprio da Stefano, ndr)».

«Già dai giorni precedenti alla corsa – riprende Paolo – si respirava un’aria particolare. Durante la ricognizione del venerdì eravamo arrivati all’attacco del San Nicolas, nel pieno del quartiere degli italiani. Curva a destra, comincia la salita, e ci tuffiamo nel cuore della comunità italiana in Belgio, era pieno di bandiere tricolori, uno spettacolo immenso. Si respirava proprio la voglia di rivincita, del legame profondo che quelle persone avevano con la loro terra di origine».

22 giorni dopo Stefano Garzelli trionfò sullo stesso arrivo nella seconda tappa del Giro d’Italia
22 giorni dopo Stefano Garzelli trionfò sullo stesso arrivo nella seconda tappa del Giro d’Italia

E quelli del “Garzo”

Non è raro fare progetti la sera prima di una corsa così importante, un po’ per stemperare la tensione, un po’ perché sognare non costa nulla. E mai come prima di quella Liegi le parole avevano anticipato la realtà.

«La sera prima in hotel – dice Garzelli – immaginavamo la corsa, pensavamo dove attaccare e che sarebbe stato bello arrivare insieme sul traguardo. Se ci penso mi viene la pelle d’oca, un conto è sognarlo ma realizzarlo…

«Quando correvamo, la sera prima della gara si passavano tanti bei momenti insieme, si scherzava e si rideva di tutto. Capitava di parlare della corsa e di come sarebbe stata o di come speravamo potesse andare, ricordo che quella sera c’era qualcosa di magico nell’aria e così è stato».

Paolo Bettini ha corso con la Mapei fino al cambio nome avvenuto nel 2003, poi ha continuato con la QuickStep fino al ritiro, avvenuto nel 2008
Paolo Bettini ha corso con la Mapei fino al cambio nome avvenuto nel 2003

La corsa

«Il nostro atteggiamento in gara è stato azzardato – confessa il due volte campione del mondo –  avevamo visto che ad 80 chilometri dall’arrivo il gruppo era ancora folto. Così Stefano ed io, sulla Cote du Rosier, ci siamo guardati e abbiamo detto “meniamo!”. Abbiamo tirato fuori il primo gruppo, in cui c’erano già tanti italiani, su 30 corridori eravamo in 15. 

«Sul San Nicolas – spiega Paolo – avevo paura che Garzelli potesse saltare e che mi mettessero in mezzo. Abbiamo voluto tastare il polso dei nostri avversari e ho detto a Stefano di allungare, nessuno lo ha seguito e così ho capito che erano tutti cotti. Allora con un’azione di potenza ho deciso di riportarmi sotto, consapevole che se mi avessero seguito avrei dovuto rallentare e far lavorare gli altri. Invece, nessuno ci ha seguito e una volta insieme abbiamo “menato” fino agli ultimi 600 metri».

«In 18 anni di carriera non sono mai andato così forte come quel giorno – riprende con un entusiasmo ancora vivo Stefano – su 70 chilometri di attacco ne ho passati 40 davanti a fare l’andatura. Sulla Redoute ho fatto un bel forcing e ho scremato ancor di più il gruppetto. Sul San Nicolas, Paolo ha fatto qualcosa di davvero intelligente dal punto vista tattico. Mi ha fatto allungare e poi, visto che si sentiva ancora bene, ha allungato anche lui rientrando in solitaria». 

Tutti per uno ed uno per tutti

«In Mapei – racconta Bettini – non si sarebbero mai permessi di dirci chi doveva vincere o meno. Per questo la considero una vittoria tripla: per Stefano, la Mapei e per me. Se guardate bene le immagini si nota che io mi tolgo l’auricolare della radiolina per la parte finale, guardo Stefano e lo ringrazio con un cenno».

«Ricordo che all’ultimo chilometro – replica Garzelli – il direttore sportivo ci ha fatto i complimenti e poi ci ha detto di giocarcela. Io ero stanco e più lento in volata di Paolo, lui poi era il capitano unico di giornata e meritava la vittoria. Ho dato il cento per cento per la squadra e la mia condizione mi ha permesso di conquistare il secondo posto. Non mi sono mai tirato indietro nel lavorare per un compagno ed un amico come Paolo, questo è il vero spirito di squadra».

Garzelli ha corso due stagioni con la Mapei: nel 2001 e nel 2002
Garzelli ha corso due stagioni con la Mapei: nel 2001 e nel 2002

Un movimento cambiato

A 20 anni di distanza la Liegi ha smesso di essere la classica degli italiani, l’ultima vittoria risale al 2007 con Di Luca. Qualche piazzamento nelle ultime edizioni (il secondo posto di Nibali e Formolo rispettivamente nel 2012 e nel 2019 e poi nulla).  

«E’ un po’ la sindrome del ciclismo italiano – dice Garzelli – la generazione mia e di Bettini aveva un’abbondanza incredibile di talenti. Ora facciamo più fatica, ma non lo reputo un fatto generazionale, semmai “evolutivo”. Il ciclismo in Italia non è cresciuto di pari passo rispetto a quello estero rimanendo ancorato a certe tradizioni. La mancanza di una squadra WorldTour sicuramente ha contribuito al declino del movimento».

Bettini con Ernesto Colnago, la Mapei ha corso con le sue bici
Bettini con Ernesto Colnago, la Mapei ha corso con le sue bici

«Se ci pensate – prosegue – i ragazzi italiani vanno forte da junior e under e quando passano professionisti si perdono. Forse in queste categorie si spremono troppo i corridori e si cerca subito il risultato perché gli sponsor vogliono questo. Io sono passato professionista a 23 anni, ora se non passi a 20 sei considerato scarso, i ragazzi, soprattutto così giovani, sentono la pressione. La mia impressione è che la categoria under 23, in Italia, non esista più. Ora i team fanno le squadre Development, non è una novità, la Mapei l’aveva fatta 20 anni prima. Però in queste squadre i ragazzi sono seguiti con l’obiettivo, e la sicurezza di lavorare per entrare nella squadra WorldTour dopo un bel percorso di crescita. Da noi si lavora per il tutto e subito e così i ragazzi li bruci».

GALLERY / Qui Liegi, tutto pronto per la Doyenne. Ecco i team

23.04.2022
7 min
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Van Aert è un gigante. E mentre tutti lo osservano con deferenza e quel passo indietro che si mantiene rispetto ai giganti, c’è un bambino biondo che reclama la sua attenzione. La pretende. Si infuria. Strilla come un’aquila. «Pa-pà! Pa-pà! Pa-pà!». Alla fine dalla cima del palco Wout lo sente, lo saluta e il bambino si cheta. Intanto Wout dal palco dice di sentirsi finalmente bene e di sperare di avere le gambe della Roubaix, che la Liegi è più dura e ci sono corridori più adatti. Ma che tutto sommato dalla fine dell’ultima salita al traguardo c’è tempo per ragionare e rincorrere…

E venne finalmente il momento del saluto di Van Aert
E venne finalmente il momento del saluto di Van Aert

Quai des Ardennes

Dall’ora di pranzo alle cinque del pomeriggio, il ciclismo di Liegi si è dato appuntamento a Quai des Ardennes, un brutto quartiere alla periferia della città da cui la Doyenne degli uomini prenderà il via domattina alle 10,15. La solita presentazione in Place Saint Lambert non s’è fatta per la costruzione di un tram che collegherà tutte le periferie della città vallone. Così le squadre arrivano lungo l’argine de L’Ourthe, scendono dai pullman, sfilano sul palco e se ne vanno. Dieci minuti per squadra, qualche intervista e la formalità s’è conclusa. Ma la gente si assiepa, applaude e questo basta. Mentre il Cafè des Ardennes, lungo la strada che entra in città proprio dalle celebri alture, fa affari d’oro e ne farà domattina.

Signore azzurre

Le WorldTour che hanno gli uomini e le donne salgono sul palco insieme. Le donne domattina partiranno alle 8,30 da Bastogne e saranno a Liegi quando gli uomini non avranno neanche messo i denti sulla prima Cote de Saint Roch. E la doppia formazione ce l’ha la EF, in cui Bettiol con la barba e i capelli lunghi dice di star meglio. La Israel in cui De Marchi dice che invece non va un granché. Alpecin. Cofidis. Trek-Segafredo. Lotto Soudal. Uae Emirates. DSM. Bike Exchange. Uno X. FDJ. E la Movistar.

Elisa Longo Borghini dice di aver recuperato dalla vittoria alla Roubaix, ma che non è stato semplice, soprattutto per la scarica di emozioni che la vittoria le ha dato: «Sono umana per fortuna – dice – e sto bene. Non è stato tanto un recupero delle forze, ma diciamo che mercoledì alla Freccia non ero decisamente al meglio».

Marta Cavalli, che la Freccia l’ha vinta, dice che è stato bello festeggiare con le compagne e che è stato meglio essere rimasta in Belgio. Se tanto era stato faticoso il dopo Amstel, figurarsi dopo quello che ha fatto sul Muro d’Huy: «Quegli ultimi 500 metri sono stati lunghissimi – dice – ma mai come il finale dell’Amstel, dove ero sola. Mercoledì sapevo di avere forze per vincere».

Il campione del mondo

Alaphilippe è magrissimo, più di quanto è capitato di vederlo altre volte. Anche se Bramati, sornione in un lato, dice che è sempre così. Il campione del mondo ha baciato la sua Marion, direttrice di corsa del Tour Femmes che intanto confabulava con il collega Prudhomme, poi si è avviato assieme a Evenepoel e il resto della banda alla presentazione. La Freccia al quarto posto non è stata il miglior segnale, ma se manca l’esplosività, magari ci sarà il fondo perché domani sia diverso.

Evenepoel, che invece è al debutto, tiene un profilo insolitamente basso. La gente gli tributa lo stesso un grande applauso. Non come quello riservato a Van Aert e a Gilbert, ma comunque corposo da farlo sorridere. Il ragazzino in un modo o nell’altro dovrà riempire il loro futuro.

C’è Caruso

Nel Team Bahrain Victorious che arriva da lontano, c’è una sagoma mascherata che gesticola in modo strano. Strano, pensiamo, Caruso aveva detto che non lo avrebbero fatto correre. Invece è lui.

«Ero qua – dice – ho chiesto io di poter correre. Sto bene, perché sarei dovuto restare a guardarla in albergo? Al Romandia ci pensiamo dopo».

Ben fatto, amico Damiano, sarà una bella notizia per gli sportivi che vedono di malocchio gli impegni col bilancino e per Mohoric, Landa e Teuns che avranno un grandissimo appoggio in corsa.

L’ultima del “Bala”

Tra le varie ed eventuali, fra i coriandoli di questo pomeriggio al sole di Liegi, il sorriso di Anastasia Carbonari della Valcar-Travel&Service, in fuga alla Freccia e forse anche domani. La calma placida di Vincenzo Nibali, giusto dieci anni dopo il secondo posto dietro Iglinskij che lo fece piangere. La curiosità di Aleotti, al debutto. Lo sguardo intrigante di Demi Vollering che l’ha vinta l’anno scorso. E poi il volto scavato e rinsecchito di Valverde, anche lui come Gilbert all’ultima Liegi, che ha già vinto per 4 volte. Come Argentin, ma una meno di Merckx che ne detiene il record.

Il “Bala” ha lo sguardo vispo e certamente il secondo posto della Freccia gli ha detto qualcosa. Ieri sera s’è pappato una torta di riso, gentile omaggio di Florio Santin, un italo-belga tifoso di Visconti, che era solito portarla quando Giovanni era alla Movistar. Ieri mattina, per salutare Valverde, l’ha passata al suo massaggiatore Escamez sulla cima della Redoute.

Gli ultimi a sfilare sono i corridori e le ragazze del UAE Team Emirates, poi la tribù si disperde verso gli ultimi hotel di questa trasferta ardennese. Domani sera, vada come vada, saranno tutti sulla via di casa.

Dove sono gli italiani al Nord? Ne parliamo con Pozzovivo

23.04.2022
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Il primo italiano della Freccia Vallone è stato Domenico Pozzovivo, che ha 39 anni e corre con la Intermarché-Wanty-Gobert, esattamente come Pasqualon, miglior italiano alla Roubaix, che ne ha 34. Si è piazzato 15° a 7 secondi da Dylan Teuns, ma se fosse stato appena più avanti, sarebbe entrato nei primi 10, per quel gioco di distanze sul Muro d’Huy di cui ha parlato tanto bene ieri Enrico Gasparotto. E’ vero che secondo s’è piazzato Valverde che ne ha 42, però nel bilancio del ciclismo italiano, che immette nel professionismo decide di corridori ogni anno, qualcosa non torna.

«Non è come sembra – dice Pozzovivo, in apertura nella foto IntermarchéWG – abbiamo buoni prospetti, mi viene in mente Bagioli che però corre in una squadra in cui è difficile trovare spazio. Quest’anno tanti hanno avuto problemi di salute, però è evidente che le cose stiano cambiando. Gli uomini che lottavano per i Giri e magari venivano qua con il freno tirato per non compromettere il loro avvicinamento stanno diventando dei bravi limatori. Vengono a prendersi dei rischi e questo rende tutto più complicato».

La Intermarché-Wanty ha anticipato la ricognizione della Liegi al giovedì (foto @cyclingmedia_agency)
La Intermarché-Wanty ha anticipato la ricognizione della Liegi al giovedì (foto @cyclingmedia_agency)

Ricognizione in anticipo

La Intermarché-Wanty-Gobert, che l’ha accolto quando la Qhubeka ha alzato bandiera bianca, ha fatto giovedì la ricognizione sul percorso della Liegi. Gli allenatori hanno considerato che essendoci stata la Roubaix domenica scorsa (e non l’Amstel come d’abitudine) e nessuno dei corridori qui presenti l’abbia corsa, la Freccia Vallone è stata un bell’allenamento robusto. Con la ricognizione il giorno dopo, si è aggiunto un altro lavoro importante, lasciando poi il tempo per recuperare fino alla Liegi.

Pozzovivo ci raggiunge dopo massaggi e trattamento osteopatico. Ha un bel colorito dato dall’altura dell’Etna e lo sguardo di quando le cose iniziano a girare nel modo giusto.

«Nella mia carriera – dice – ho sempre fatto avvicinamenti diversi alla Liegi. Mercoledì invece per la Freccia sono partito con l’idea di arrivare salvo al traguardo. E’ stata anche la raccomandazione di mia moglie. La battuta di arresto alla fine del Giro di Sicilia mi aveva lasciato qualche dubbio, mi sarebbe piaciuto uscirne con un bel piazzamento. Invece in corsa mi sono sentito meglio. Sapevo che sul Muro avrei potuto fare qualcosa del genere. Ci ho provato, ma siamo arrivati ai piedi dell’ultima scalata ancora in tanti e di riflesso la situazione era caotica. Se l’ha pagata Pogacar, che è rimasto indietro e si è seduto (arrivando 12°, ndr), mi dico che tanto male non sono andato. Però è vero, se fossi stato più avanti, magari sarei entrato nei dieci, ma ormai è fatta».

Pozzovivo in evidenza alla Tirreno nella tappa di Fermo, la condizione cresce
In evidenza alla Tirreno nella tappa di Fermo,la condizione cresce
Non è più tempo di aspettare i giovani, così pare: dove sono allora?

Non sono tradizionalista. Ormai si ragiona in termini di carriere più brevi e la gradualità, che un tempo era la regola, è andata a farsi benedire. Quando ero giovane io, si puntava a una carriera di 15 anni, perciò nelle prime due stagioni da pro’, neanche ti portavano a fare i grandi Giri.

Ma non sempre buttarli dentro è garanzia di risultato…

Iniziando a lavorare da subito con cognizione di causa e con il misuratore di potenza, anche da molto giovane puoi arrivare alla grande prestazione. Più che sul fisico, mi concentrerei sull’aspetto mentale. Se fisicamente puoi avere il livello necessario, mentalmente non credo che tu sia ancora pronto. E’ un ciclismo che richiede sempre di più, per cui escludo a vent’anni si possa già essere strutturati come serve. Quindi semmai vedo il rischio che qualcuno possa bruciarsi.

Una volta ci pensavano i corridori più maturi, dando i consigli giusti…

Io sto cercando di rimodularli. Ma in ogni caso racconto a tutti i giovani che vogliono ascoltarmi la necessità della dedizione da mettere alla base del lavoro, che poi è ciò che mi riesce meglio. Da parte mia ho cercato di evolvermi sul piano della preparazione e dell’alimentazione.

Esiste un consiglio della vecchia saggezza che va ancora bene?

Ad esempio il fatto che la stagione buona la costruisci d’inverno. Staccare è una necessità, in questo ciclismo che non si fermerebbe mai. Però staccare senza eccedere con lo svago, perché poi diventa difficile recuperare.

Pozzovivo è uscito dalla Tirreno con uno step di condizione in più
Pozzovivo è uscito dalla Tirreno con uno step di condizione in più
Va bene che corridori forti da dilettanti vengano subito messi a confronto con i più forti?

E’ un nuovo mood da apprendere. Se vuoi diventare uno importante nel futuro, devi provare i tuoi limiti contro i più forti. Una volta veniva facile dire al giovane che doveva andare in fuga, oggi invece ti ritrovi con il corridore maturo mandato in avanscoperta e il ragazzino che fa il leader.

Come si fa a farsela andar bene?

Bisogna essere realisti e molto elastici mentalmente, non è un caso che questa situazione stia mettendo alla prova soprattutto i corridori più abitudinari, che non sono ancora riusciti ad adeguarsi. Tanti hanno smesso proprio per questo.

Valverde fa eccezione?

Valverde mi fa sfigurare (ride, ndr). Le sue prestazioni sono fuori dal normale ed è un fenomeno perché riesce ad andare ancora così forte. Io penso invece di non avere tantissimo da inventarmi. Cerco lo spazio quando c’è e per il resto serve tanta pazienza.

Che cosa ti aspetti dalla Liegi?

Sogno di entrare nella top 10 (Pozzovivo è stato due volte 5°, nel 2014 e nel 2018, ndr). Però mi piaceva di più l’arrivo di Ans, perché lì me la potevo giocare.

Alla Freccia Vallone voleva solo non cadere, avendo l’obiettivo Liegi e poi il Giro d’Italia
Alla Freccia Vallone voleva solo non cadere, avendo l’obiettivo Liegi e poi il Giro d’Italia
Come stai?

Ora bene. Ho fatto un bel blocco di lavoro sull’Etna, che mi ha permesso di riprendere bene dopo lo step già fatto alla Tirreno. E in questa squadra si sta bene, perché è una WorldTour che ha mantenuto i rapporti umani della professional.

E se fossi di nuovo tu il migliore degli italiani?

La mattina della Liegi e nonostante abbia 39 anni, si parte ancora con i brividi per l’emozione. Ci sarà vento, per questo l’aver tolto la Cote de Forges ha eliminato un tratto di controllo, troppo esposta per fare la differenza. Credo che l’intenzione di ASO sia sempre stata ridurre la distanza fra la Redoute e la Roche aux Faucouns e così facendo hanno di nuovo rimesso la Redoute al centro del villaggio. Prima, quando era a 45 chilometri dall’arrivo era come il Capo Berta alla Sanremo.

L’ultima Liegi di Gilbert, parole e immagini sulla Redoute

22.04.2022
7 min
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«E’ la mia ultima Liegi – dice Gilbert che si è commosso mentre sullo schermo scorreva il video – è particolare essere qui ai piedi della Redoute. Stamattina sono passato in bici e ho visto il mio nome scritto per terra. Non c’è stato un grande effetto sorpresa, perché ci stavano lavorando da tre giorni, ma mi ha emozionato».

Venerdì, prova percorso

Le quattro del venerdì pomeriggio, giorno dedicato alle prove sul percorso. Gilbert è passato sulla Redoute salutando amici e parenti. E ora ci accoglie per una conferenza stampa nella piazza di Aywaille che porta il suo nome. Il belga della Lotto Soudal ha visto scorrere il video in cui la sua voce narra il rapporto con la Doyenne e a un tratto ha tradito gli occhi lucidi. E’ nato e cresciuto proprio qui. E anche se la vita l’ha portato a Monaco e su strade lontane, resta il ragazzino che da piccolo si cimentava sulla Redoute e l’ultimo belga ad aver vinto la Liegi. Domande e risposte, pochi giornalisti.

«E’ la prima conferenza stampa da tanto tempo – ironizza – vorrà dire che ci sono cose importanti da dire. Cominciamo pure…».

Come arrivi all’ultima Liegi?

Il calendario è cambiato, la Roubaix a inizio settimana non ha aiutato. Sono stato male nei giorni scorsi, non sono stato capace di fare gli specifici necessari. La forma è buona, ma non sufficiente per garantire un risultato. Non è la condizione ideale, ma l’esperienza è lì e potrà compensare in parte. Ma alla Liegi non si fanno miracoli.

La carriera non finisce domani…

Ci terrei a sottolinearlo. Ci sono ancora tante corse in calendario e per ora mi concentro al 100 per cento sul mio mestiere. Poi sarà difficile abbandonarlo, ho dei contatti e vedremo se a fine anno si concretizzeranno. Avrò più tempo per la famiglia, quello è un aspetto sempre prezioso.

Ultima Liegi per Gilbert, che è nato ad Aywaille, ai piedi della Redoute: la salita ha il suo nome a ogni metro
Ultima Liegi per Gilbert, che è nato ad Aywaille, ai piedi della Redoute: la salita ha il suo nome a ogni metro
Che Liegi ti aspetti?

Una corsa più aperta. Valverde secondo a Huy ha mostrato di essere in buona condizione e dovrà prendersi il suo ruolo, nel senso che sarà la sua squadra a dover tirare se nel finale ci sarà una fuga. Ma di questi tempi è difficile fare previsioni, lo ha dimostrato l’Amstel. Di sicuro il nuovo finale senza la Cote de Forges si presta per attacchi. Con il vento che cambia direzione ogni tre ore e la renderà ancora più illeggibile.

Qualcuno dubita che per Valverde sarà l’ultima Liegi…

Per me lo sarà di certo, l’ho deciso tre anni fa quando ho firmato questo contratto. Non credo che tornerò indietro, davvero no.

Pensi che Van Aert possa fare la sua corsa?

Perché no? Ha saltato il Fiandre per il Covid, ma per lui l’arrivo a Liegi è una cosa buona. Sarebbe stato più difficile gestirlo ad Ans, ma se anche lo staccassero alla Roche aux Faucouns e lui riuscisse a salire con il suo passo, credo che avrebbe tutto il tempo per rientrare.

Nella conferenza stampa, Gilbert ha tenuto a sottolineare che la sua carriera non finisce domenica
Nella conferenza stampa, Gilbert ha tenuto a sottolineare che la sua carriera non finisce domenica
Sulla Redoute penserai al pubblico o alla corsa?

Se sarò davanti, il pubblico mi darà forza, ma penserò al risultato. La Redoute secondo me ha ripreso importanza senza la Cote de Forges. Comunque avere il pubblico sarà bello, dopo i due anni brutti della pandemia. Lo sport è soprattutto trasmettere le emozioni ai più giovani sulla strada. E’ importante far vivere loro delle esperienze forti.

Ti sei commosso a leggere le parole di quel video?

Non troppo. L’ho letto ad alta voce per quattro volte e poi l’ho registrato al primo tentativo. Ma devo dire che vederlo adesso con le immagini… non mi ha lasciato indifferente!

Mister Gasparotto, le emozioni e i consigli d’oro

22.04.2022
6 min
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«L’Amstel è stata bella – dice Gasparotto – salire il Cauberg ha riportato a galla delle emozioni. Non guidavo io l’ammiraglia, parlavo alla radio, quindi ero super concentrato su questo. Più che la corsa infatti mi sono goduto la ricognizione. Avevo pensato di portare la bici per farla con i corridori, ma il mio stato di forma non me lo avrebbe permesso. Invece ho portato le scarpe per fare come a Leuven, quando la sera sono uscito da solo a fare un giro sul percorso e fu bellissimo. Sarei andato con Benedetti, ma pioveva e alla fine ho lasciato perdere».

Tecnico della Bora-Hansgrohe da quest’anno, per Gasparotto è la prima campagna del Nord in ammiraglia
Alla Bora-Hansgrohe da quest’anno, per Gasparotto è la prima campagna del Nord in ammiraglia

Ricognizione sul percorso

Due giorni alla Liegi. Alcune squadre, fra cui Intermarché, Ineos e Trek, hanno anticipato al giovedì la ricognizione sul percorso. La Bora-Hansgrohe come le altre è rimasta fedele al rituale del venerdì.

«Il rischio anticipandola di un giorno – spiega Gasparotto – è che non avendo recuperato gli sforzi della Freccia, soprattutto ai debuttanti le salite sembrassero troppo dure. Dipende molto da quanti ne hai. Noi ad esempio abbiamo Vlasov, Hindley e Aleotti che non l’hanno mai fatta. Non ricordo molto del sopralluogo della mia prima Liegi, ma ricordo che fu nel 2009 e tirai per Cunego dalla Redoute al Saint Nicholas».

Il direttore sportivo della squadra tedesca sarebbe poi arrivato terzo nel 2012, alle spalle del compagno Iglinskij che batté Nibali. Per uno che a queste strade ha legato alcuni dei ricordi più belli della carriera, come le due Amstel vinte nel 2012 e nel 2016, queste giornate non passano via indifferenti.

Nel 2012 Gasparotto sprinta per il terzo posto alle spalle di Iglinskij vincitore e Nibali battuto
Nel 2012 Gasparotto sprinta per il terzo posto alle spalle di Iglinskij vincitore e Nibali battuto
Che effetto fa?

Da una parte non è automatico essere un buon direttore nelle corse in cui sei andato forte. Per contro, arrivare in forma qua mi è sempre costato caro, non sono mai stato un campione cui vengono le cose facili, come Nibali o Sagan, che potevano essere meno accorti tatticamente, compensando eventuali errori con il talento. Questa consapevolezza mi può aiutare a dare le dritte giuste ai corridori. Come con Vlasov alla Freccia. Ieri abbiamo festeggiato, era il primo podio per la squadra…

Che cosa hai detto a Vlasov?

L’ho detto a lui e agli altri, che se fosse arrivato ai piedi dell’ultimo Muro d’Huy sulla destra della strada, il gruppo lo avrebbe chiuso facendo la svolta a destra e recuperare sarebbe stato impossibile. Sono le cose che hanno sempre insegnato Valverde e Purito Rodriguez e tutti quelli che hanno vinto la Freccia. Eppure a un certo punto l’ho dato per perso. Ai due chilometri era in ventesima posizione, in auto abbiamo alzato gli occhi al cielo. Poi si è bloccata l’immagine alla televisione e quando è ripartita l’abbiamo visto a ruota di Valverde. Non so dove sia passato, ma evidentemente mi ha ascoltato.

Il podio di Vlasov alla Freccia, dietro Teuns e Valverde, è stato anche merito dei consigli di Gasparotto alla vigilia
Il podio di Vlasov alla Freccia è stato anche merito dei consigli di Gasparotto
Ci sono altri aspetti pratici che hai portato con la tua esperienza ancora fresca?

Qualcosa sì. Ad esempio per l’Amstel avevamo pianificato la ricognizione al venerdì, per avere più recupero. Poi per una serie di motivi i leader sono venuti meno e l’abbiamo spostata al solito sabato. Come per la Liegi, il fatto di anticiparla al giovedì non è da scartare, ma come ci siamo detti, bisogna vedere che corridori si hanno e la loro esperienza.

Pochi italiani in questi ordini di arrivo, non trovi?

Sono diventate corse in cui performano gli scalatori. C’è meno specializzazione di una volta, quando il cacciatore di classiche veniva qui per vincere e poi puntava alle tappe. Oggi trovi davanti quelli che hanno vinto i Baschi o il Catalunya e che poi faranno classifica nei grandi Giri. Sono sempre gli stessi. E se non abbiamo ancora uomini di classifica là, difficile averne vincenti di qua.

Hindley di buon umore, il 2021 è dimenticato. Dice di stare bene e si informa sulla salute di Umbertone
Hindley di buon umore, il 2021 è dimenticato. Dice di stare bene e si informa sulla salute di Umbertone
Voi avete qui Aleotti…

Che è molto adatto per queste corse, anche se per motivi di salute non ci è arrivato come volevamo. Può fare bene, deve amarle e capire come funzionano. Alla Liegi sarà meno libero di come è stato all’Amstel, perché avremo i nostri leader, ma lo stesso cerco di spiegargli quali siano i punti importanti per uno che deve aiutare e per uno che invece fa la corsa. Gli ho detto di memorizzare i passaggi, perché gli tornerà utile. E gli ho detto anche che a me è sempre stato utile registrare le corse e poi riguardarle perché mi permetteva di analizzare gli errori che dall’interno non riuscivo a cogliere.

Ad esempio?

Ad esempio la Freccia del 2012 in cui arrivò secondo Albasini. Avevo preso come riferimento gli 800 metri ed ero in seconda fila a 11” dalla testa. Pensavo di essere abbastanza avanti, invece sono arrivato in cima undicesimo con lo stesso distacco. In quella corsa soprattutto, pensi di essere davanti perché magari vedi i primi, ma non lo sei mai abbastanza. A volte sei troppo indietro e non te ne rendi conto. L’occhio della televisione in questo non sbaglia.

Aleotti è uno dei giovani su cui il team punta molto per queste classiche in futuro
Aleotti è uno dei giovani su cui il team punta molto per queste classiche in futuro
Andare in fuga per Aleotti potrebbe essere un bel modo per memorizzare i passaggi?

Non serve che lo faccia. Piuttosto gli ho detto di tenere gli occhi aperti a partire dalla Cote de Haute Levée, la quint’ultima, dove sicuramente si muoverà qualcosa. Quello potrebbe essere il suo momento.

Ecco, parliamo un attimo del percorso…

Hanno tolto la Cote de Forges dopo la Redoute e questo in teoria renderà il finale meno duro. Di conseguenza, può darsi che la corsa esploda prima come è successo finora in tutte le classiche ad eccezione della Freccia Vallone. La serie di salite che inizia con la Cote de Wanne, poi lo Stockeu, Haute Levée e Rosier è un punto ottimo per fare casino. Poi un po’ di fiato e si va verso Desnié, Redoute e la Roche aux Faucons. Detto questo, io ero un estimatore dell’arrivo di Ans. La Liegi con l’arrivo in città ha cambiato faccia.

Ieri sera è arrivato Sergio Higuita, con Vlasov e Hindley uno dei leader del team tedesco
Ieri sera è arrivato Sergio Higuita, con Vlasov e Hindley uno dei leader del team tedesco
Ogni giorno si alza questo vento strano, pensi che cambierà tempo?

Il meteo, altro fattore caldo. Fino a ieri mettevano pioggia. Oggi danno nuvoloso perché dovrebbe piovere lunedì. Un altro aspetto con cui fare i conti, bisognerà aspettare ancora qualche ora per avere un’idea.

bici.PRO a casa Santini, per la nuova sede e le collezioni ASO

01.04.2022
11 min
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La maglia gialla era solo la punta dell’iceberg. Quando andammo nella sede di Lallio in cui Santini ha fatto base per una vita, fu subito chiaro che il simbolo del Tour de France portasse con sé un mare di altre iniziative. Da una parte le maglie di classifica delle diverse gare ASO (a cominciare dalla Parigi-Nizza), dall’altra le produzioni speciali abbinate alle corse più iconiche, soprattutto le grandi classiche. Dalla Roubaix alla Liegi, passando per la Freccia Vallone.

Via Zanica 14

Quando a distanza di qualche mese siamo andati a Bergamo per vedere la nuova sede dello storico maglificio, ci siamo ritrovati nel bel mezzo della loro preparazione ben prima che ne venisse dato l’annuncio, con la sensazione di essere ammessi in un dietro le quinte piuttosto esclusivo.

La nuova sede, prima di tutto. Si trova in via Zanica, a Bergamo, nel perimetro cittadino. La produzione è già stata spostata, gli uffici arriveranno quando la relativa palazzina sarà stata completata.

Un parco stupendo

Nei capannoni si produceva già abbigliamento intimo a marchio Perofil, in un sito con interessanti spunti di design e circondato da un parco pieno di sculture cui non è possibile apportare modifiche. Gli spazi sono triplicati rispetto alla sede precedente, conseguenza dell’aumento del personale e del volume di lavoro.

«E’ anche la previsione di assunzione di nuovo personale – ha dichiarato Monica Santini in sede di presentazione – che ci ha portato a fare questa scelta. Da quando sono entrata in azienda oltre un decennio fa con 60 dipendenti, oggi siamo a oltre 140 persone, a cui vanno aggiunte altrettante risorse esterne, grazie all’indotto che abbiamo saputo generare sul territorio bergamasco. Nella scelta della nuova sede, ci hanno guidato anche i valori aziendali, come la volontà di avere una struttura dal forte connotato green, sia come spazi verdi che come costo energetico».

Il tetto dell’intera struttura accoglie infatti un’importante pannellatura solare che permetterà a Santini di abbattere i costi energetici.

L’Inferno del Nord

Veniamo ora alle maglie delle grandi classiche, una delle chicche Santini per il 2022. La Parigi-Roubaix si correrà nel weekend di Pasqua: 16-17 aprile. Sabato l’edizione femminile, l’indomani quella degli uomini. Santini lancia due: la linea Paris-Roubaix e la capsule L’Enfer du Nord

La grafica, sia per uomo che per donna, richiama i colori e la simbologia usati sul percorso di gara per indicare i settori di pavé e la loro difficoltà. Nella collezione L’Enfer du Nord, i colori scelti sono quelli dell’inferno dei corridori quando affrontano i settori a cinque stelle.

In perfetto abbinamento sia con le maglie e la capsule L’Enfer du Nord, Santini propone calzoncini e intimo, uno smanicato, una giacca e vari accessori. La giacca è realizzata in Polartec NeoShell, tessuto traspirante e impermeabile che offre protezione contro le condizioni climatiche avverse e permette scambio d’aria e capacità di movimento.

Il Muro d’Huy

La Freccia Vallone si corre invece il 20 aprile, in questa nuova disposizione del calendario che vede le tre classiche ASO nella stessa settimana. E visto che la corsa è famosa per il Muro d’Huy, ad esso e alle sue cappelle si è ispirato Fergus Niland nel disegnare la linea dedicata alla Freccia.

Il Muro, noto anche come Chemin des Chapelles, per le sei piccole cappelle che vi si incontrano, è lungo solo 1.300 metri, con il nome ripetuto ossessivamente da una serie di scritte il cui stile appare sulle maglie Santini.

Maglia e salopette sono realizzati, nella versione maschile, con sfondo giallo e nero e la scritta Flèche Wallonne in rosso. In quella femminile, invece, ugualmente la scritta in rosso e lo sfondo grigio e nero. Gli accessori, la maglia tecnica, l’intimo e lo smanicato sono in abbinamento cromatico.

La Doyenne

Infine, tre giorni dopo la Freccia Vallone, sarà tempo de La Doyenne: la decana di tutte le classiche. La Liegi-Bastogne-Liegi, che si corre dal 1892 e sarà disputata il 24 aprile.

Dato che il percorso si snoda nei boschi e sulle cotes delle Ardenne, protagonista del design dei capi sono varie gradazioni di verde e la presenza di salite stilizzate che richiamano le undici cote della Liegi.

La linea uomo presenta maglia, pantaloncini, t-shirt tecnica e maglia intima, così come quella donna che si differenzia per il calzoncino senza bretelle, mentre la giacca, realizzata in Polartec Power Shield Pro, un tessuto impermeabile (con valore di 5.000 mm colonne d’acqua) e nello stesso tempo leggero e traspirante. Gli accessori coordinati si abbinano a tutti i capi della collezione.

Sorprese in vista

Altre produzioni mirate su eventi ASO sono in fase di preparazione, non vi anticipiamo nulla per rispetto dei tempi dei padroni di casa. Di sicuro, andando a spulciare da anni sui caravan delle maglie al Tour de France, non avevamo mai notato una simile abbondanza.

Santini Cycling

Valverde, i numeri di una vera leggenda

30.01.2022
4 min
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Durante il ritiro del Movistar Team ad Almeria, Alejandro Valverde ha confermato che il 2022 sarà davvero il suo ultimo anno in gruppo.

«Il mio ciclo sta per chiudersi – ha detto – non voglio sentirmi di troppo. Tutti questi anni trascorsi in bicicletta rimarranno per sempre scolpiti nella mia memoria».

Chissà se dopo la vittoria di ieri nel Trofeo d’Andratx (foto di apertura), dentro di sé abbia iniziato a ridiscutere la scelta. O se proseguirà con l’idea di godersi ogni giorno con la leggerezza che gli è tipica. Di sicuro, visto il successo e il suo essere ben competitivo, l’ultima stagione potrebbe permettergli di centrare qualche record

La sua popolarità in Spagna è ai massimi livelli
La sua popolarità in Spagna è ai massimi livelli

Valverde compirà 42 anni il 25 aprile ed è il corridore più anziano del gruppo WorldTour, dopo Jens Voigt che nel 2014 disputò il Tour de France a 42 anni. Professionista dal 2002, ha appena iniziato la 21ª stagione da pro’ (fra il 2010 e il 2011 è rimasto fermo per squalifica).

Corse e vittorie

Valverde ha partecipato a 33 classiche Monumento (ma non ha mai corso la Roubaix). Ha preso parte a 30 grandi Giri: 15 Vuelta España, 14 Tour de France, un Giro d’Italia.

Il totale parla di 1.335 giorni di corsa: come dire tre anni e mezzo in competizione. Ha partecipato 15 volte alla Liegi-Bastogne-Liegi, alla Freccia Vallone, alla Vuelta, al Gp Miguel Indurain.

Secondo i dati raccolti da L’Equipe, il Bala ha ottenuto il 73 per cento delle sue vittorie in Spagna, è il secondo fra i corridori in attività per numero di vittorie ed è fra i primi 20 atleti di tutti i tempi per palmares:

Mark Cavendish: 156 vittorie

Alejando Valverde: 132 vittorie

Peter Sagan: 119 vittorie

Elia Viviani: 85 vittorie

Arnaud Demare: 84 vittorie

Nel 2016 vinse la tappa di Andalo al Giro battendo Kruijswijk
Nel 2016 vinse la tappa di Andalo al Giro battendo Kruijswijk

Un po’ di numeri

Le sue vittorie sono state ottenute per il 57% in corse a tappe, il 25% in corse di un giorno, il 18% in classifiche generali.

Quanto al tipo di vittorie, il 22% le ha ottenute in sprint numerosi, il 20% in solitaria, il 18% in classifiche generali, il 12% nelle volate a due, il 6% a cronometro, il 22% in altri modi.

Valverde ha ottenuto il 14% delle sue vittorie nei grandi Giri. Ha vinto la Vuelta Espana del 2009 per un totale di 17 tappe: una al Giro d’Italia, 4 al Tour de France, 12 alla Vuelta.

Ha vinto un solo Monumento: la Liegi, per 4 volte.

Nel 2017 è arrivata la quarta Liegi. La dedicò a Scarponi, scomparso da poco
Nel 2017 è arrivata la quarta Liegi. La dedicò a Scarponi, scomparso da poco

I suoi record

E’ il detentore del record di vittorie alla Freccia Vallone: 5.

Ha sempre portato a termine la corsa sul Muro d’Huy, nel 67% delle partecipazioni è finito nei primi 10.

Nel 2006-2015-2017 ha centrato la doppietta Freccia-Liegi.

E’ anche il detentore del record dei podi al mondiale su strada: 7. Una vittoria, nel 2018. Due volte secondo: 2003-2005. Quattro volte terzo: 2006-2012-2013-2014.

Quella del 2017 è stata la sua quinta Freccia Vallone, record imbattuto. Nel 2021 è stato terzo
Quella del 2017 è stata la sua quinta Freccia Vallone, record imbattuto. Nel 2021 è stato terzo

Primati nel mirino

In questa ultima stagione da professionista, Valverde potrebbe raggiungere Rebellin, Albasini e Zoetemelk a quota 16 partecipazioni alla Freccia Vallone e diventare, eventualmente, il vincitore più anziano. Il record appartiene ancora a Pino Cerami, che la vinse a 38 anni.

Potrebbe eguagliare il record di 5 vittorie alla Liegi, appartenente a Eddy Merckx.

Potrebbe diventare il 7° corridore della storia a vincere Amstel, Freccia e Liegi, dopo Merckx, Hinault, Gilbert, Rebellin, Bartoli e Di Luca.

Potrebbe partecipare alla 16ª Vuelta Espana, fermandosi a un’edizione da Inigo Cuesta che detiene il record.

Il nuovo Alaphilippe: nervi saldi, meno errori e il sogno Liegi

16.01.2022
5 min
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Alaphilippe si accinge a vivere il secondo anno da campione del mondo con una flemma mai vista. Il corridore spiritato che in certi giorni era difficile da seguire anche nelle dichiarazioni ha ceduto il posto a un uomo calmo e riflessivo. Sarà la paternità oppure la serenità di non dover dimostrare altro, pensiamo che se il francese riuscirà a portare questa flemma in corsa, diventerà il cecchino che tanti aspettano. Si è visto a Leuven, in fondo, quando ha messo il naso fuori una sola volta e ha vinto. Oppure forse si tratta di semplice necessità, dovendo fronteggiare avversari più forti di lui fisicamente.

Molto più pacato, Alaphilippe ha spiegato che la Liegi sarà il primo obiettivo
Molto più pacato, Alaphilippe ha spiegato che la Liegi sarà il primo obiettivo

«Il risultato più bello del 2021 – dice – è stato essere diventato padre, il più grande cambiamento nella mia vita. Non si può comparare con i risultati del ciclismo, ma in qualche modo sento che vi è connesso. Sono contento dell’ultima stagione, perché ho raggiunto i miei obiettivi. Ho vinto nuovamente la Freccia Vallone. Ho provato l’emozione di vincere al Tour e prendere la maglia gialla dieci giorni dopo la nascita di mio figlio. E poi è arrivata la maglia iridata per il secondo anno consecutivo, che è stata più di un sogno. Quest’anno voglio godermela (dice toccandola con il palmo della mano, ndr) senza rincorrere traguardi troppo lontani».

Tutto sulla Liegi

Per certi versi è come se non avesse ancora metabolizzato la seconda vittoria iridata e in qualche momento di questa conversazione sarà lui per primo ad ammetterlo.

«Credo che questa mentalità – dice – possa essere la chiave della mia carriera. Vuoi vincere, ma è difficile essere sempre a livelli altissimi e questo può diventare un pensiero che ti schiaccia. Io invece voglio stare bene. Mi spiego. Ho rincorso le classiche fiamminghe, il Fiandre soprattutto. Potrebbe essere alla mia portata, ma la prima volta mi è costato una frattura e un lungo stop, mentre l’anno scorso sul Kruisberg mi si è spenta la luce. Ma soprattutto mi ha portato lontano da quelli che sono i miei obiettivi principali. Sono molto motivato per la Liegi, la corsa che più mi si addice e che finora mi è sfuggita per i miei errori e per l’arrivo di avversari nuovi».

La lezione di Valverde

I suoi errori. Impossibile dimenticare il 2020, quando proprio nel finale della Doyenne (che si corse d’ottobre) buttò via forze a profusione, poi chiuse Hirschi in volata e alla fine alzò le braccia troppo presto permettendo a Roglic di passarlo, con la squalifica come mazzata finale. Oppure il 2021, quando è arrivato a ridosso dello sprint ancora in testa al gruppetto, ha dovuto inventarsi una manovra da pistard per tornare in coda e poi ha lanciato la volata con troppo anticipo, permettendo a Pogacar di rimontarlo.

Julian Alaphilippe compirà 30 anni l’11 giugno (foto Quick Step-Alpha Vinyl)
Julian Alaphilippe compirà 30 anni l’11 giugno (foto Quick Step-Alpha Vinyl)

«E’ naturale a volte fare degli errori – sorride amaro – ma mi sono reso conto che alcuni di questi sono stati frutto della pressione. Il mio primo anno in maglia iridata in certi momenti è stato così e non voglio che si ripeta. Devo accettare che non posso vincere ogni corsa e devo smetterla di fare come qualche stagione fa, quando vincevo e subito guardavo alla corsa successiva. Sono sicuro che questo mi porterà a divertirmi di più. Devo imparare da Valverde. Sono certo che a 40 anni non sarò più in gruppo come lui, ma so anche che Alejandro è un esempio per il livello che riesce ad avere e la capacità di sorridere dopo ogni corsa. Che abbia vinto o che abbia perso».

Al Tour da cacciatore

Gestire la pressione e farsela scivolare addosso: proprio lo spagnolo è maestro. E questo gli ha permesso negli anni di accettare sfide pazzesche senza farsene schiacciare, vincendo classiche e conquistando podi nei tre grandi Giri.

«La sola pressione che accetto – dice Alaphilippe – è quella che metto a me stesso, nel non voler deludere la squadra e i tifosi. Una pressione da cui invece ho imparato a stare alla larga è quella del Tour. Per ora la mia presenza alla Grande Boucle sarà giorno per giorno, con l’impegno di andare a vedere le tappe in cui potrei vincere. Mi chiedono spesso se correndo in un’altra squadra, il mio atteggiamento sarebbe diverso. Forse sì, forse no. Tanti mi chiedono di fare classifica, ma io per primo so che i risultati del 2019 furono anche il frutto si situazioni e che ad oggi sarei il primo a sorprendermi se fossi capace di gestire tre settimane.

«Perciò, anche quest’anno sentite che cosa farò. Voglio il tempo per divertirmi sulla bici. Voglio portare in gruppo questa maglia, che è la più bella e tutti sognano e alla quale per certi versi devo ancora abituarmi. Ricordo quando nel 2019 mi passava accanto Valverde e io lo guardavo con ammirazione. Ecco cosa farò nel 2022. E non credo che cambierò idea».