Ma che strano effetto Lutsenko con la maglia della Israel

29.04.2025
4 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Fa un certo effetto vedere Alexey Lutsenko con una maglia diversa da quella dell’Astana Qazaqstan Team. Lui davvero era tutt’uno con la squadra. Quella era la sua famiglia, il suo nido.
Lutsenko era l’erede naturale di Alexandre Vinokourov, il più forte atleta kazako di tutti i tempi. Le Olimpiadi, la Liegi, le tappe al Tour: Lutsenko, anche se quel palmarès non era suo, si era trovato in qualche modo ad ereditarlo.

Ora eccolo con la maglia della Israel-Premier Tech. A 32 anni ha scelto una nuova sfida e tutto sommato questa “contesa” sembra essere partita col piede giusto. Lui ci è parso sereno, brillante… e non solo in corsa.

«Cerco nuovi stimoli dopo tanto tempo, sento che posso dare e crescere ancora in un nuovo team», aveva detto Lutsenko quando fu annunciato il suo approdo alla Israel-Premier Tech. La campagna delle Ardenne è stata una buona occasione per incontrarlo e lui, con la sua gentilezza e il suo ottimo italiano, ci ha raccontato…

Una foto con l’ex compagno di squadra Velasco. I due erano (e sono) molto amici. Lutsenko era arrivato a scadenza di contratto con l’Astana
Una foto con l’ex compagno di squadra Velasco. I due erano (e sono) molto amici. Lutsenko era arrivato a scadenza di contratto con l’Astana
Alex, come stai?

Bene, in Belgio per la prima volta con la nuova squadra. La condizione è buona in questo periodo. Al Brabante ho faticato un po’, ma venivo dall’altura e spero di stare meglio per le prossime gare. Ogni giorno sento di crescere un po’. Le gare delle Ardenne, ma non solo, sono importanti per noi.

Fa effetto vederti senza la maglia della Astana. E’ un nuovo inizio per te. Come è stato ritrovarsi con uno staff nuovo? Nuovi corridori? Nuovi direttori?

Vero, all’Astana ci sono stato per 12 anni e anche prima, in qualche modo, c’era quella squadra per un giovane kazako come me. Quindi ci ho fatto tutta la mia carriera ed è stata l’unico team per me. Ammetto che è una vera esperienza quella che sto vivendo. Il primo mese è stato duro, ero un po’ nervoso, specie al primo raduno.

Perché?

Perché è stato tutto nuovo. Tutto diverso all’improvviso, non solo staff e compagni, ma anche vestiario, materiali, bici… Però già adesso vi dico la verità, mi trovo benissimo, mi sono abituato. Tutti sono simpatici e l’atmosfera è buona.

In questa stagione Lutsenko ha ottenuto un podio in una tappa della Coppi e Bartali. Il rendimento medio è stato buono però
In questa stagione Lutsenko ha ottenuto un podio in una tappa della Coppi e Bartali. Il rendimento medio è stato buono però
All’Astana eri il leader e avevi moltissime pressioni, forse qui alla Israel è un po’ diverso. O almeno c’è un altro tipo di pressione per te. E’ così?

Sì, ma io vedo che la squadra si fida di me. Anche per la Liegi potevo fare la mia corsa, essere leader. Poi è vero che sento un po’ meno pressione, ma credo dipenda dal fatto che la squadra in generale ne ha meno perché non siamo messi male con i punti. Tutto è un po’ più rilassato. L’anno prossimo siamo quasi al 100 per cento nel WorldTour. E poi è anche un po’ diverso il modo di lavorare. Loro preferiscono non fare pressione sull’atleta e magari senza pressione il corridore arriva al risultato.

Prima, Andrey, hai parlato del passaggio alla Israel, un nuovo team… Qual è stata la cosa più difficile da imparare?

E’ stato tutto diverso, anche la lingua. Come quando un bambino cambia scuola… prima andavo in quella vicino casa e all’improvviso è stato tutto diverso. Magari per un corridore che in carriera avesse già cambiato squadra 3-4 volte sarebbe stata una cosa normale, ma io in Astana avevo iniziato da piccolo. Altro approccio, altri modi di fare…

Il kazako ha parlato di buon clima in squadra
Il kazako ha parlato di buon clima in squadra
Però è anche uno stimolo, no?

Sì, sì: mi piace. E mi sto trovando bene.

Chi ti ha aiutato di più ad inserirti? Ammesso ci sia stato qualcuno… Pensiamo a Jakob Fuglsang, che è stato diversi anni con te in Astana…

No, non c’è stato qualcuno in particolare, davvero tutti mi hanno accolto bene. Poi, sì, Jakob è un corridore che conosco tanto bene. Ma non era l’unico, sapete. C’è anche un meccanico, un massaggiatore che conoscevo. Siamo “amicissimi” proprio…

Qual è il tuo programma stagionale?

Dopo queste Ardenne stacco per qualche giorno. Poi inizierò un lungo camp ad Andorra per preparare il Tour de France. Prima farò anche il Delfinato.

E invece cosa ci dici dei tuoi compagni che puntano al Giro d’Italia? Sono andati bene al Tour of the Alps…

Davvero bravi. E Derek Gee è un grande. Abbiamo fatto insieme l’ultimo training camp a Tenerife e ho visto proprio un bravo professionista. Ho visto come si è preparato sin da dicembre. Mi sembra pronto. La squadra spera molto in lui. L’obiettivo è fare una top cinque al Giro, ma anche il podio non è impossibile.

Il sogno di Le Court. L’incubo di Elisa, messa ko dal caldo

28.04.2025
6 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Non senza un pizzico di sorpresa, tra le donne è stata la Liegi di Kimberley Le Court Pienaar. Atleta importante, anche perché una Doyenne altrimenti non la vinci, ma certo non era sul taccuino delle favorite. Più di qualche ragazza arrivata staccata chiedeva: «Chi ha vinto?» e una volta conosciuta la risposta scattava una smorfia di incredulità.

La gara femminile si è accesa nel finale. La Redoute è stata meno decisiva di quel che si potesse immaginare. Almeno vista da fuori, perché nelle gambe delle atlete ha fatto sfracelli. Poi si èdeciso tutto in uno sprint a quattro.

Stremata e affranta, Longo Borghini all’arrivo ha chiesto le fosse gettata dell’acqua su collo e spalle
Stremata e affranta, Longo Borghini all’arrivo ha chiesto le fosse gettata dell’acqua su collo e spalle

Liegi stregata

E’ proprio da qui che partiamo il nostro racconto, o meglio quello di Elisa Longo Borghini. La capitana del UAE Team ADQ ha ceduto, un po’ come Remco se vogliamo. Per noi è stata una sorpresa, per le sue compagne no. Intendiamo sul momento, quando dal maxischermo sull’arrivo di Liegi l’abbiamo vista perdere terreno.

Erika Magnaldi infatti ci ha detto che Elisa aveva anticipato di non sentirsi bene e per questo le aveva lasciato carta bianca. «Solo che io – spiega Erika – dovevo svolgere un altro ruolo e nella fase centrale della corsa ho sprecato un bel po’ di energie, che poi non ritornano».

Si attende Elisa, passano i minuti, quasi 8. Poi eccola spuntare, stremata. China il capo sulla bici. Parla sottovoce. Si abbraccia con Erika Magnaldi, che è lì ad aspettarla.

Si avvicina la massaggiatrice e le porge qualcosa di liquido da mandare giù. Elisa invece chiede che le si versi dell’acqua sulla schiena. «E’ stato semplicemente un bruttissimo giorno… per avere un bruttissimo giorno», sospira. La lasciamo respirare un po’.

Mauritius, che colpo!

Intanto poche centinaia di metri dietro va in scena il podio. Per le Mauritius di Le Court è una giornata storica e lei lo rimarca con orgoglio.

«Non ci credo – dice commossa l’atleta della AG Insurance-Soudal – è un grande momento per il mio Paese (le Mauritius, ndr). Ad un certo punto sono stata staccata, ma sono riuscita a recuperare, anche grazie alle mie compagne e a Julie Van de Velde, formidabile. Questo dimostra che in gara non bisogna mai arrendersi.

«Sulla Roche-aux-Faucons ho ritrovato improvvisamente le gambe e il ritmo, che sono riuscita a mantenere fino in cima. Sono riuscita a superare Demi Vollering e Puck Pieterse. Ho iniziato a pensare a qualcosa di grande quando ho visto le altre fare fatica sulla Roche-aux-Faucons. Il caldo? No, era una giornata piacevole, ma so che in tante lo hanno sentito».

Longo Borghini in difficoltà sulla Redoute, ma non stava bene già da qualche chilometro
Longo Borghini in difficoltà sulla Redoute, ma non stava bene già da qualche chilometro

«Sembravano 40 gradi»

E’ proprio da qui che ci riallacciamo a Elisa Longo Borghini: quella bottiglietta d’acqua sulla schiena non era affatto casuale. Le facciamo notare del caldo.

«Non lo so – spiega – non mi sono sentita bene. Da metà corsa in poi ho iniziato ad avere caldo, a non sentirmi per niente bene. Le temperature non erano altissime, però io ho sofferto come se ci fossero 40 gradi. Non me lo spiego, semplicemente questo».

In effetti la campionessa italiana veniva da ottime gare, quindi è stata una giornata che non ci si aspettava. Magnaldi aveva detto che probabilmente Elisa aveva patito il caldo. Ma più che il caldo, ipotizziamo, lo sbalzo termico. Negli ultimi due giorni la temperatura è salita di parecchio, passando dagli 11-12 gradi piovosi della Freccia ai 20-21 assolati della Liegi.

«Stavo benissimo fino al giorno prima – riprende Longo Borghini – e non me lo spiego, ripeto. Purtroppo le giornate no nel ciclismo esistono e a volte succedono anche nei giorni in cui vorresti che tutto andasse bene. Da metà corsa in poi, quando non mi sono sentita bene, non aveva senso far lavorare le mie compagne per me. Quindi le ho lasciate andare».

In questa giornata poco brillante per la UAE Adq c’è a aggiungere la frattura del gomito per Silvia Persico, richiamata per la Liegi e caduta nelle prime ore di gara.

Brava Trinca

Ma per una giornata storta, come si dice, ce n’è un’altra che è andata dritta. O quantomeno bene, fatte le dovute proporzioni. E questa nota positiva porta il nome di Monica Trinca Colonel.
Alla presentazione delle squadre, Anna Trevisi, una delle migliori gregarie in assoluto del gruppo, ce lo aveva detto: «Corriamo per Trinca. Sta bene. E’ forte». Ed eccola finire ottava. Prima delle italiane.

«In realtà – racconta l’atleta della Liv AlUla Jayco – sono sorpresa per il risultato perché mi sono sentita bene per almeno due orette. Ultimamente soffro sempre nelle parti iniziali di gara, poi però sul finale ci sono sempre, quindi comunque sono soddisfatta.

«E’ stata una corsa strana per me: mi sono staccata praticamente su tutte le salite, ma poi rientravo bene ed eravamo sempre meno. E’ stata una lotta continua. Questo denota più che altro che sono un diesel, quindi ci impiego un po’ di tempo per ingranare. La cosa bella di questa stagione? Che sto crescendo tanto e senza accorgermene. La squadra poi non mi mette pressione. Qui sto bene e sono più che contenta. Anna ha detto che potevo stare con le grandi? Vabbé, sono parole grosse le sue! Però sì, in futuro spero di essere tra le top».

E bravi gli azzurri. La Liegi di Ciccone, Velasco e Bagioli

27.04.2025
5 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Come vi avevamo accennato nel pezzo precedente, parlando della vittoria di Pogacar, alla Liegi-Bastogne-Liegi si è vista una buona Italia. La compagine dei corridori di casa si è fatta valere: Ciccone secondo, Velasco quarto e Bagioli sesto.

Ma era nell’aria. Parlando con i ragazzi filtrava un po’ di ottimismo. Okay, non è una vittoria, ma di questi tempi non è poco su cui fare leva in chiave futura. E poi le cotes delle Ardenne storicamente ci hanno sempre sorriso un po’ di più rispetto alle pietre.

Ciccone è al secondo podio in una classica Monumento. Il precedente al Lombardia 2024 sempre dietro a Pogacar
Ciccone è al secondo podio in una classica Monumento. Il precedente al Lombardia 2024 sempre dietro a Pogacar

Podio Ciccone

Giulio Ciccone si presenta in conferenza stampa con la sua medaglia. Gli occhi sono stanchi, ma il morale è alto. E come potrebbe essere diversamente?

«All’inizio, venendo dal Tour of the Alps, non stavo benissimo – racconta l’atleta della Lidl-Trek – poi mi sono trovato meglio. Rispetto alla corsa alpina, qui si trattava di tutt’altra gara: tanti più chilometri, salite più brevi e ripide, tanto stress in corsa.
«Quando è partito Pogacar cosa ho fatto? Mi sono messo del mio passo e basta. Ho preso tempo. Chiaramente non avevo le gambe per seguirlo, ma per quelle per tenere la mia velocità e cercare di fare qualcosa, di portarmi avanti. Tre italiani nei primi sei? E’ geniale, sappiamo che tutti vorrebbero una vittoria, ma non è sempre possibile. Godiamoci dunque questa giornata positiva».

Ciccone sul podio con Pogacar ed Healy
Ciccone sul podio con Pogacar ed Healy

Il podio in una Monumento vuol dire tanto per Ciccone. Alla fine è la seconda volta in pochi mesi che finisce alle spalle dello sloveno. Ciccone ha raggiunto Liegi in macchina dal Tour of the Alps: a quanto pare non ama troppo l’aereo. Ma evidentemente viaggiare con le gambe distese e senza stress gli ha fatto bene.

«La Liegi è la mia classica favorita, insieme al Lombardia – dice – sono davvero contento di questa prestazione e di arrivare bene al Giro d’Italia. Ora passerò cinque giorni a casa e poi andrò in Albania».

La grande volata di Velasco (sulla sinistra). Mentre Bagioli è al centro (secondo casco rosso da sinistra)
La grande volata di Velasco (sulla sinistra). Mentre Bagioli è al centro (secondo casco rosso da sinistra)

Velasco bravo e sfortunato

Se vi diciamo che Simone Velasco avrebbe potuto ottenere molto di più, ci credete? La storia della sua Liegi è davvero incredibile. Ed è giusto lasciarla raccontare a lui.

«Ho rotto la ruota prima della Redoute – racconta con orgoglio e ancora il fiatone forse 20′ dopo aver concluso la corsa – penso che nel finale avevo una gran gamba. Avere un problema meccanico lì, in quel momento, è incredibile. Ho provato a rientrare, ho rimontato non so quanti corridori. Ho inseguito fino alla Roche-aux-Faucons. Ci ho sempre creduto. Lì sono rientrato. Ho tenuto duro e poi ho vinto la volata del gruppo. Penso che sia davvero un gran bel segnale che posso essere all’altezza di certe gare».

Un gran bel segnale, ma anche forse un pizzico di rimpianto. Forse Simone poteva stare davanti con Ciccone ed Healy.

«Ho dimostrato di essere presente anche nelle corse che contano – commenta – e di questo sono contento anche per la squadra. Finalmente abbiamo raccolto un buon risultato in una gara importantissima, speriamo di continuare così».

Velasco racconta di una corsa tirata, nervosa. Ormai si va sempre forte. Lui e Ciccone si erano anche parlati un po’. Ora Simone riposerà un po’. «Andrò nella mia Elba a prendere un po’ di sole e di mare. E poi inizierò a lavorare per il Tour de France».

A Liegi anche i supporter di Bagioli: Mario Rota e suo padre
A Liegi anche i supporter di Bagioli: Mario Rota e suo padre

Bagioli: per Cicco e per sé

Infine c’è Andrea Bagioli, sesto. Anche lui autore di una gara ottima, e soprattutto di una gara che lo ha visto attivo. Il suo non è un sesto posto a rimorchio, diciamo così.

«Se ieri sera qualcuno mi avesse detto che avrei fatto sesto alla Liegi non ci avrei creduto – ha detto Bagioli – tanto più con dei capitani come Skjelmose e Ciccone. E invece… Oggi ho dovuto lavorare, ho dato una bella trenata all’imbocco della Redoute proprio per farla prendere bene a Cicco. Lui è rimasto un po’ lì poi è andato. Eccome. E dire che ad inizio corsa non stava benissimo, aveva detto a noi compagni».

Dopo la fase di apnea per la tirata sulla Redoute, Andrea Bagioli non ha mollato, ma si è rimesso sotto.

«Alla fine – riprende il valtellinese – sono riuscito a tenere il gruppetto con il quale siamo ritornati sotto alla Roche-aux-Faucons e stavo bene. Ma a quel punto non ho potuto sfruttare il fatto che Giulio fosse davanti per stare a ruota, anzi, ho dovuto chiudere spesso i contrattacchi e per questo sono contento. E’ un sesto posto che dà molta, molta fiducia. Rispetto all’anno scorso, in cui ho vissuto una stagione difficile, sono cambiate un po’ di cose.

«Adesso per me – dice – si profila l’Eschborn-Frankfurt (in scena il 1° maggio, ndr). Con i direttori sportivi abbiamo parlato e stabilito che potrò avere le mie carte. I leader saremo io e Nys. Io potrò fare qualcosa prima e lui eventualmente in volata. Con Francoforte chiudo questa mia parte di stagione che è molto lunga. Vado avanti dall’Australia».

La terza Liegi di Tadej. Si chiude così la campagna del Nord

27.04.2025
6 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Da dove iniziare? Un bel punto di domanda per questa Liegi, la terza dominata da Tadej Pogacar. Il campionissimo della UAE Team Emirates ha messo tutti in riga sulla Redoute come da programma. Se ne è andato che mancavano 35 chilometri all’arrivo.

Se non fosse per la buona tenuta degli italiani, la Liegi-Bastogne-Liegi 2025 sarebbe condensata in poche frasi. Ma come avevamo anticipato ieri, c’è un’Italia che non molla: secondo Giulio Ciccone, quarto Simone Velasco e sesto Andrea Bagioli.

(Quasi) tutto facile

E’ vero, tutto sembrava semplice. Ma «in realtà poi facile non lo è – come ci spiegava Andrej Hauptman, direttore sportivo della UAE – anche all’Amstel Gold Race sembrava tutto facile, ma abbiamo visto come è andata. Le cose nel ciclismo cambiano velocemente. Quel giorno abbiamo trovato Remco in giornata di grazia e tanto vento contrario che si è alzato più forte del previsto. Oggi per fortuna non è andata così».

Intanto nel clan della UAE, come nelle altre squadre, c’è il fuggi-fuggi generale. La Liegi chiude la campagna del Nord e anche per gli staff è tempo di tornare a casa. I meccanici lavorano, i massaggiatori aprono i frigo con le borracce e si lanciano all’assalto dei tifosi. Si caricano i mezzi. Chi scappa in aeroporto…

Ancora Hauptman: «Avete avuto la sensazione che sulla Redoute avesse controllato prima di aprire tutto il gas? Sì, è vero. Voleva vedere chi c’era con lui e a quel punto avrebbe deciso cosa fare: se tirare dritto oppure aspettare qualcuno. In fondo alla discesa ha deciso di andare. Comunque, come ripeto, fare tanti chilometri da solo non è mai facile. Io voglio fare i complimenti alla squadra perché i ragazzi sono stati eccezionali. Tutti hanno svolto alla perfezione il proprio lavoro. Ai 150 chilometri dovevano entrare in azione e hanno controllato ogni metro del percorso».

Come detto da Hauptman, in fondo alla discesa della Redoute, Tadej decide di andare. Prende il suo vantaggio, si mette nella sua velocità di crociera – che ovviamente è ben diversa da quella degli altri – porta il margine a un minuto, un minuto e 15. Dopodiché si stabilizza e trova persino il tempo di parlare via radio. «Cosa mi chiedeva alla radio? Mi diceva che i ragazzi dietro dovevano stare tranquilli e pensare alla volata», conclude Hauptman.

E Remco?

Quello che è mancato in questa giornata è stato l’attesissimo duello con Remco Evenepoel. Ancora una volta il testa a testa col coltello tra i denti è venuto meno. Remco è naufragato sulla Redoute. Ha provato a tenere duro, era rientrato sul gruppo giusto ai piedi della Roche-aux-Faucons, ma poi nulla ha potuto, se non chinare la testa e onorare la sua Doyenne fino in fondo. E dire che sullo Stockeu pedalava a bocca chiusa…

La sensazione, non solo nostra, è che il doppio campione olimpico stia vivendo una fase di “rebound”, di rimbalzo, dopo il ritorno dal suo incidente. Ci sono due considerazioni da fare.

La prima è fisica: ci sta che appena si rientra si stia bene, “leggeri” e pimpanti, specie se si ha uno dei super motori di questo ciclismo. Ma poi la resistenza, il recupero e il ritmo gara protratto su quattro gare in dieci giorni si fanno sentire.

La seconda motivazione, forse più incisiva della prima, è mentale. Remco lo abbiamo osservato in questi giorni e di certo era meno spensierato di Pogacar. Senza Van Aert, è il faro del Belgio. Il doppio titolo olimpico lo ha lanciato in un’altra dimensione, con pressioni di cui un po’, forse, risente. Alla Freccia del Brabante nessuno gli chiedeva nulla: era solo il rientro dopo cinque mesi. Ma dopo quella prestazione, il suo approccio alle gare è immediatamente cambiato. In ogni caso è tornato. Ora potrà iniziare davvero a lavorare per il Tour. Iniziare: si badi bene a questo termine.

Liegi, ma anche Roubaix

Finalmente Pogacar arriva in conferenza stampa. E’ sereno, come se nulla fosse successo. Ripete tante volte: «Sono felice». E come non esserlo?

«Sono felice per la squadra – racconta Tadej – per questa vittoria, sapete quanto ami la Liegi, per come è andata la corsa. Io non potevo immaginare una primavera migliore».

E poi interviene sulla gara: «Ho visto spesso la Soudal-Quick Step di Remco davanti, poi all’inizio della Redoute non li ho visti più. Ho immaginato fosse successo qualcosa (forse è per questo che si voltava così spesso, ndr). Non immaginavo non avesse le gambe. Dopo un po’ sono partito, ma volevo vedere se qualcuno potesse seguirmi. Poi lo sapete, quando ho le gambe e c’è la possibilità, io voglio sempre vincere».

Il resto è storia. Quel che colpisce invece è la sua risposta quando un giornalista gli chiede quale sia il ricordo più bello di questa sua campagna di classiche.

«Chiaramente le vittorie sono sempre bellissime, ma se chiudo gli occhi, il ricordo di questa mia primavera di classiche è la Parigi-Roubaix. Non credevo fossi capace di fare certe cose in quella corsa. E’ stato qualcosa di speciale». Mauro Gianetti non ne sarà felicissimo!

Intanto però nel bus della UAE Team Emirates si fa festa. Quel bus che, non appena Pogacar ha tagliato il traguardo, ha iniziato a suonare il clacson, facendo un rimbombo incredibile in tutto il vialone d’arrivo. E’ il genio di Federico Borselli, l’autista che tra l’altro aveva posteggiato il bestione subito dopo la linea d’arrivo, staccato da tutti gli altri. Lui già sapeva tutto!

Vigilia della Doyenne, Pellizzari senza paura. E sul Giro…

26.04.2025
6 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Dopo quattro edizioni, la presentazione delle squadre della Liège-Bastogne-Liège, la Doyenne, torna in centro, nella piazza di Saint Lambert sotto al (bellissimo) palazzo vescovile, dentro al quale c’è anche la sala stampa. Scriviamo sotto volte barocche con affreschi, quadri giganti, tappeti antichi e scalinate che sembrano degne di una principessa di Walt Disney nel suo castello.

In tutto ciò la gente si raduna nell’assolata piazza sottostante. Una lunga fila di bus inizia a scorrere dalla Mosa fin sotto al palco. La prima a presentarsi alla firma è la DD Group, piccola squadra belga, l’ultima è la corazzata di Tadej Pogacar che sale sul palco assieme all’altra UAE, la UAE Team ADQ di Elisa Longo Borghini.

Autografi pre-Doyenne per Longo Borghini. La campionessa italiana è la speranza numero uno per vedere un’atleta di casa sul podio
Autografi pre-Doyenne per Longo Borghini. La campionessa italiana è la speranza numero uno per vedere un’atleta di casa sul podio

L’Italia che non molla

E’ un bel caos, simile a quelli che ieri vi avevamo raccontato sulla Redoute, tra l’altro stamattina ancora più affollata. La vigilia è passata veloce alla fine. Una visita al museo della Doyenne e l’incrocio fugace proprio di Elisa. L’abbiamo vista durante la sua sgambata mescolarsi per un attimo al serpentone degli amatori.

«Spero – ci aveva detto Elisa – che la corsa si accenda sulla Redoute anche per noi, perché vorrà dire che ci sarà gara dura, perfetta per donne di fondo come me». La determinazione di Longo Borghini è proverbiale. Pensate che il giorno dopo la Freccia si è sciroppata quasi quattro ore sotto la pioggia. Quattro ore in cui ha provato una parte di percorso. Poi ieri altre tre ore e un’altra parte di Liegi e oggi una semplice (meritata) sgambata.

La compagine italiana non è affatto male in questa Doyenne, almeno se si pensa alle altre classiche e non lo è sia per numero di atleti ed atlete che per la qualità. Oltre ad Elisa e le sue compagne, per esempio, c’è il duo della Liv AlUla Jayco, Anna Trevisi e Monica Trinca Colonel. C’è Soraya Paladin (qui il video della vigilia) pronta a correre per Niewiadoma, Marta Cavalli… E anche tra gli uomini i corridori aggressivi non mancano: Ulissi (qui il video della vigilia), Ciccone appena arrivato dal Tour of the Alps, Zambanini, Scaroni… E poi Giulio Pellizzari.

Pellizzari al debutto

E in qualche modo la presenza last minute del marchigiano della Red Bull-Bora Hansgrohe in questa Liegi ha tenuto banco. Una presenza che potrebbe non limitarsi alla sola Doyenne. Vederlo quassù al primo anno nel WorldTour non era poi così scontato. Ma le sue prestazioni, che hanno convinto i tecnici, e qualche forfait dei compagni, hanno giocato a suo favore.

E così, Giulio, eccoti alla prima Liegi. Quando l’hai saputo?

L’idea ha iniziato ad esserci dopo il Catalunya. Quando ho saputo che non avrei fatto il Giro dei Paesi Baschi. Poi qualche mio compagno è stato poco bene, quindi mi hanno chiamato lunedì scorso e mi hanno detto che avrei corso qui. Non potevo che essere più felice!

Dov’eri quando hai ricevuto la chiamata?

Ero al Teide, dopo sei ore di allenamento, quindi ero finito, ma ero contento!

Eri con Roglic?

Sì, sì, e proprio in quel momento mi hanno chiamato. Allora l’ho detto a Primoz e lui: «Stai tranquillo, stai safe (sicuro, ndr)…». Era contento perché io ero contento. E questo mi ha fatto piacere.

Come stai? Stai andando forte…

Il Catalunya direi che è andato bene, ed è stato impreziosito dalla vittoria di Primoz. Quindi come squadra siamo contenti. Ora vediamo i prossimi appuntamenti, come andranno. Siamo preparati e abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare. Io anche sto bene, certo non corro da un po’ (proprio dal Catalunya, ndr) e per queste corse serve ritmo… Bisognerebbe avere un po’ di fortuna affinché le cose girino bene.

Ieri abbiamo seguito la tua ricognizione. Sei sempre stato davanti, come mai?

Proprio sempre no, dai! Ci sono stato spesso. Un po’ le strade le conoscevo, avendo fatto la Freccia Ardennese con la VF Group-Bardiani da under 23. Qualche salita me la ricordavo. Più che altro volevo fare un po’ di fatica, diciamo così…

Dal Teide alla Doyenne. Pellizzari è alla prima Liegi. Emozione e adrenalina non gli mancano (foto Instagram)
Dal Teide alla Doyenne. Pellizzari è alla prima Liegi. Emozione e adrenalina non gli mancano (foto Instagram)
Che corsa ti aspetti domani? E che corsa dovrai fare?

Mi aspetto che sarà dura! La Liegi è una gara lunga. Spero di partire non con le migliori sensazioni…

Ma come? Perché…

Perché per come sono fatto è meglio “volare bassi”. Se sto bene finisce che mi gaso troppo e rischio che parto “in palla”, spreco e poi vado giù. Mentre se sono costretto a stare più tranquillo, magari poi sto meglio nel finale. Purtroppo, come accennavo, la squadra ha avuto un po’ di sfortuna in queste classiche, quindi cerchiamo di dare il massimo e vedremo come andrà.

Giulio, ma quindi con che ruolo parti? Sei il leader…

No, non leader… Vediamo intanto come saranno quelle sensazioni. Sicuramente se starò bene non ci saranno problemi per poter fare la mia gara. Però, ripeto, vediamo le gambe: è la Liegi. E’ tanto lunga.

Una delle voci che più gira quest’oggi, pensando a Pogacar ed Evenepoel, è che tanti, anche ottimi corridori, vogliono anticipare…

Sicuramente qualcuno anticiperà. Sappiamo che Tadej attaccherà sulla Redoute, o almeno sembra sia scontato, pertanto immagino che qualcuno si muoverà. Noi partiamo per provare a far una top ten, magari una top five. Il top sarebbe un podio… Sappiamo che vincere è difficile, però ci proviamo.

Insomma Pellizzari “vecchio stile”: all’arrembaggio. Ma tu ce l’hai l’incoscienza di seguirli sulla Redoute?

Eh – ride Giulio, ma non smentisce – per prima cosa la Redoute bisogna prenderla davanti, perché se sei dietro non segui proprio nessuno. E prenderla davanti non è mica facile. Poi vediamo. Lo stimolo, la voglia da parte mia c’è sempre, ma a volte bisogna correre più di testa che di cuore.

Un’ultima domanda, Giulio: ieri sarebbero dovuti uscire i nomi della Red Bull-Bora per il Giro. E’ cosa nota che tu fai parte della “lista lunga”, delle riserve diciamo così, ma cosa puoi dirci in merito? Insomma, ci sarai al Giro?

Sicuramente io mi sono preparato bene. Ho fatto l’altura… Quindi la possibilità di essere in Albania la prossima settimana c’è. Sarebbe bellissimo.

Sarebbe davvero bello vederlo impegnato nella corsa rosa. La Red Bull-Bora sin qui lo sta gestendo benissimo. La sensazione è che questo sogno possa realizzarsi, ma non si può dare per certo: la comunicazione ufficiale giustamente spetta al team. Noi non possiamo far altro che incrociare le dita.

Intanto andiamo a cena pensando (sognando) che domani, quando si scatenerà la guerra tra i due giganti, Pellizzari possa buttarsi nel mezzo. Rispondere senza paura, il che non sarebbe la prima volta. E se poi si dovesse staccare… pace. L’importante è provarci. Testarsi, sbagliare, ma stare nella corsa. Vicino ai grandi.

Bernal, aggancio quasi completo. Gamba e morale in crescita

24.04.2024
4 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Le parole di Pidcock dopo la corsa sono la sintesi perfetta di quello che tutti abbiamo pensato vedendo Bernal scattare sulla Cote de la Roche aux Faucons: «E’ bello vederlo correre di nuovo in questo modo. Ha dovuto soffrire più di quanto io possa immaginare».

Il colombiano sta tornando. Ha ammesso di avere valori persino superiori a quelli che aveva prima dell’incidente, ma il ciclismo nel frattempo è andato avanti e la sua rincorsa non è terminata. Diciamo però che è ormai nella scia delle ammiraglie e il gruppo dei migliori, di cui fa parte per palmares e attitudini, è ormai in vista. Bernal ha 27 anni, ha vinto un Tour, un Giro e ogni genere di corse a tappe. L’incidente del 2022 poteva costargli la vita e invece lui la vita se la sta riprendendo, un gradino dopo l’altro.

Il colombiano ha corso la Liegi sempre in testa, ma è uscito allo scoperto a partire dalla Redoute
Il colombiano ha corso la Liegi sempre in testa, ma è uscito allo scoperto a partire dalla Redoute

Lo abbiamo incontrato alla vigilia della Liegi-Bastogne-Liegi, il sorriso radioso come sempre e forse di più. L’attesa iniziava a montare e si capiva, per averlo visto bello pimpante già nelle prove sulla Redoute, che avrebbe fatto una bella corsa. Il risultato finale non rende merito alla sua corsa. Il ventunesimo posto è stato figlio dell’aiuto dato a Pidcock, arrivato decimo, dopo la vittoria all’Amstel Gold Race. Alla fine però era contento lo stesso. Ha ammesso che avrebbe voluto seguire Pogacar e non ce l’ha fatta. Però almeno stavolta l’ha visto da molto vicino.

Egan, sei felice?

Sì, molto felice.

C’è stato un giorno quest’anno in cui hai sentito che sta tornando il vero Egan?

Forse al Gran Camino, i primi giorni. Sentivo che avevo ancora la forza per godermi la corsa. In quel momento ho pensato che forse quest’anno sarei riuscito a fare un passo in più.

Le prime buone sensazioni, Bernal le ha percepite al Gran Camino: aveva la forza per attaccare
Le prime buone sensazioni, Bernal le ha percepite al Gran Camino: aveva la forza per attaccare
Che cosa manca, secondo te?

Uh, non so… Penso solo a continuare quello che ho fatto fino ad ora. Ho finito la scorsa stagione pensando che non sarei più riuscito a tornare al livello per stare davanti. Quest’anno invece sono più avanti dell’anno scorso, quindi penso che sto andando per un buon cammino. Sono fiducioso e per quest’anno spero di fare il mio meglio, pensando che il prossimo anno sarò nuovamente al mio livello migliore.

Come si spiega che tu abbia numeri migliori del 2021 eppure sia costretto a rincorrere?

Al di là del mio ritorno alla piena efficienza, significa che gli altri stanno continuando a migliorare, che tutto va molto veloce. Per cui devo restare concentrato su me stesso e lavorare per raggiungere il miglior Egan e poi mettere nel mirino i più forti del gruppo.

Pensavi che il recupero durasse di meno, oppure sta andando veloce? Che impressione hai?

Dipende, ci sono i giorni che sembra che va veloce e altri giorni che sembra che va piano. Vogliamo sempre di più, però la caduta che ho avuto… Già il solo fatto di poter fare una vita normale, è già un miracolo. Stare qua e pensare di poter essere ancora vincente, lo è ancora di più. Ho tanta voglia di tornare a essere il migliore, ma non posso dimenticare che ormai ho già vinto la corsa più importante.

Dopo il Romandia, Bernal lascerà l’Europa e andrà in Colombia a preparare Delfinato e Tour
Dopo il Romandia, Bernal lascerà l’Europa e andrà in Colombia a preparare Delfinato e Tour
Ti manca più in salita o a crono?

Un po’ dappertutto (sorride, ndr). Con il ciclismo di adesso, mi manca anche la discesa. Ormai si va a tutta in qualsiasi momento, quindi bisogna stare molto attenti in ogni momento.

Rimani qua fino al Tour o torni in Colombia?

No, torno in Colombia. Dopo la Liegi, faccio il Romandia e poi torno a casa. Mi preparo per il Tour, passando prima per il Delfinato. Quest’anno niente Giro, anche se presto ci tornerò.

Cosa sappiamo del 55 usato da Pogacar alla Liegi?

23.04.2024
4 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Vedendo la corona da 55 sulla Colnago di Pogacar dopo l’allenamento del venerdì, era venuto spontaneo chiedersi se fosse davvero necessaria in una corsa come la Liegi. Quando poi abbiamo assistito all’assolo dello sloveno, è stato chiaro che quel plateau così originale e insieme grande avesse ragione di esserci anche nella Doyenne.

Alla partenza della corsa, uno dei meccanici del team ci ha fatto notare che ad usarlo siano soltanto Tadej e Novak e che lo usino ormai in tutte le corse. Pare che il capitano lo avrebbe montato per la prima volta soltanto alla Sanremo. Siccome però la scelta è curiosa, così come l’abbinamento fra il 55 e il 40, siamo andati diretti alla fonte e abbiamo chiamato Marco Monticone, Product Manager presso Carbon-Ti.

Pogacar l’avrebbe usata per la prima volta alla Milano-Sanremo
Pogacar l’avrebbe usata per la prima volta alla Milano-Sanremo

All’indomani della grande impresa, il tono è comprensibilmente allegro. Dice di aver appena chiuso il telefono con Alberto Chiesa, responsabile dei meccanici del UAE Team Emirates, che gli ha chiesto la stessa guarnitura per tutta la squadra. Se il capo la usa ed è contento, come fai a dire di no a tutti gli altri? Anche perché nella squadra di Gianetti, a ben vedere sono tutti capitani.

Allora Marco, come viene fuori l’idea di avere quel dente più del 54 di serie?

E’ stata una richiesta di Tadej, un atleta estremamente esigente. Ha le idee chiare e quando chiede qualcosa, tutti si attivano per accontentarlo, anche perché le sue richieste non sono capricci. Che poi chieda cose non facili da fare, questa è un’altra storia (ride, ndr)…

Quando vi è arrivata la sua richiesta?

Al Tour de France del 2023, quando abbiamo incontrato il team nel giorno di riposo a Megeve. Non abbiamo parlato direttamente con gli atleti, perché preferivano tenerli nella bolla, ma i dirigenti ci hanno espresso la richiesta di Pogacar. Voleva una corona più grande per avere un rapporto più lungo soprattutto in discesa. Credo sia stato il modo per contrastare alcuni rivali che hanno il pignone da 10 sulle loro bici. Una scelta che meccanicamente non è delle più convenienti, ma che di certo allunga il rapporto.

Bici pronta per la partenza: la Liegi sta per scattare
Bici pronta per la partenza: la Liegi sta per scattare
Da come ne parli, non deve essere stata la richiesta più semplice da esaudire…

La sfida era farla funzionare con la corona interna da 40. Ogni nostra corona viene progettata considerando la sua corrispondente all’interno. Facciamo progetti e simulazioni in 3D, in pratica si parte da una corona per realizzarne un’altra. E se la 54 è compatibile con la 40, per forza di cose doveva esserlo anche la 55.

Sembra che alla fine ci siate riusciti.

Abbiamo progettato e consegnato in qualche settimana. Ci risulta che Tadej l’abbia usata alla Sanremo, ma altri potrebbero averla provata prima e a breve sarà in vendita. La cosa ha destato interesse, tanto che altri team hanno chiesto di poterla comprare.

Quali team?

Posso parlare della Bahrain Victorious, come pure di Decathlon e Jayco. Con loro non abbiamo gli stessi rapporti stretti della UAE Emirates e al momento il 55 è una loro esclusiva. Ma quando andrà in vendita, non potrà più esserlo. Decathlon ne sta prendendo un quantitativo importante, presto sarà evidente. Anche se per averne, c’è un tempo di attesa di 4-5 mesi. Siamo una piccola azienda, abbiamo tante richieste.

Stessa lavorazione, progetto diverso?

Esatto. La lavorazione non cambia e per la progettazione si parte dal know-how delle altre corone, ma è un prodotto completamente diverso. Le macchine CNC vanno riprogrammate, è proprio una storia nuova.

E’ vero che le vogliono per tutta la squadra?

Se va bene per Tadej… E poi non è un team con pochi capitani e tanti gregari. Anche quelli che lavorano sarebbero leader nelle altre squadre, per cui davvero non si può dirgli di no.

Sorpreso che Tadej abbia deciso di usarla già dalla Sanremo e poi domenica nella Liegi?

Con lui abbiamo spesso certe sorprese, veniamo informati appena prima. Come quando gli demmo i prototipi delle corone in carbonio. Le provò, gli piacquero e le usò subito in corsa al Fiandre che vinse e poi anche nell’Amstel. Lui è fatto così. Se fa una richiesta, ne ha davvero bisogno. E se ne ha bisogno, perché non dovrebbe usarla?

Van der Poel si inchina, ma non bacia l’anello

22.04.2024
4 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Van der Poel rispolvera un po’ di sano realismo e si arrende con l’onore delle armi. Sul podio c’è salito, sia pure a più di due minuti dal vincitore. E siccome è un ragazzo dotato di cervello fino, il suo bilancio di fine Liegi è lucidissimo.

«Anche con le gambe migliori non avrei potuto seguire Tadej – dice – non so davvero come sono riuscito a salire sul podio. Ora capisco perché dicono che la Liegi-Bastogne-Liegi sia difficile da abbinare alle classiche del pavé. Il recupero dopo il Fiandre e la Roubaix si è rivelato più complicato del previsto e ciò fornisce spunti di riflessione per il futuro. Vincere qui, se al via ci sarà anche Tadej, sarà molto difficile e forse addirittura impossibile».

Quando arriva per raccontarsi, l’olandese iridato è straordinariamente rilassato, come chiunque abbia vinto Fiandre e Roubaix e volendo potrebbe andarsene in vacanza e nessuno gli chiederebbe altro.

Van der Poel prima del via è stato accolto da una salva di applausi e si è concesso ai tifosi
Van der Poel prima del via è stato accolto da una salva di applausi e si è concesso ai tifosi
Sei felice o pensi ti sia mancato qualcosa?

Sono felice. Fino a cinque chilometri dalla fine, non credevo nel podio. Penso che tutti abbiano capito che oggi (ieri, ndr) era il massimo possibile per me. Rientrare è stato un grande sforzo. Ero dietro per togliermi gambali e guanti, quando davanti c’è stata la caduta e la strada si è bloccata. Pensavo che non avremmo mai rivisto la parte anteriore della corsa, quindi ero già felice che dopo un lungo inseguimento fossimo rientrati. Già sentivo che le mie gambe erano un po’ stanche, ma credo che anche con gambe migliori non avrei potuto fare niente di meglio.

Un terzo a Liegi chiude un’ottima stagione delle classiche…

Penso che la mia stagione sia già più che soddisfacente, ma sono davvero felice di essere salito sul podio anche oggi. E’ stata una decisione attentamente ponderata quella di far durare il mio picco di forma così a lungo e non vedo perché sarebbe impossibile non farlo di nuovo nei prossimi anni. Dalla Sanremo alla Liegi. E’ qualcosa che conosco da quando gareggio in inverno nel ciclocross e poi passo su strada. Mi regala lunghi periodi di competizione ad alto livello. L’unico dettaglio che forse ho sottovalutato è stato il calo di tutta la squadra dopo Roubaix. Avevamo vinto i primi tre Monumenti, è stato difficile per tutti rimanere così concentrati e motivati per il quarto. Non c’è vergogna nell’ammettere che siamo stati battuti da atleti migliori di noi.

Tanto è potente e perfetto in pianura, per quanto appare quasi fuori posto in salita
Tanto è potente e perfetto in pianura, per quanto appare quasi fuori posto in salita
Si è sempre detto che la Liegi sia una gara per scalatori.

Vero, ci sono stati scalatori migliori di me, ma alla fine mi sono trovato a sprintare contro altri scalatori e ho avuto io la meglio.

Ti pesa pensare che potresti non vincere mai una Liegi?

E’ una domanda che non mi pongo, siete voi giornalisti a farvela. Sono una persona abbastanza realistica, so che se Pogacar avrà una buona giornata, non potrò mai seguirlo nemmeno con le mie gambe migliori. Ho solo una cosa da sperare e cioè che un giorno non stia bene, altrimenti sarà sempre difficile vincere qui.

Non dipende da te in nessun modo?

Per pensare di vincere dovrei forse rinunciare ad altre corse e magari perdere qualche chilo. Preferisco andare per gradi. Come ho sempre fatto, mi concentro sulle cose che so fare meglio e questo per me significa fare Fiandre e Roubaix, che mi si addicono di più. Se per vincere la Liegi dovrò cambiare tutto, allora non sarà per i prossimi anni.

Chiamato sul podio peril terzo posto, Mathieu non sa ancora se essere felice o deluso
Chiamato sul podio peril terzo posto, Mathieu non sa ancora se essere felice o deluso
Arriva l’estate e arrivano le Olimpiadi: hai deciso fra strada e mountain bike?

Penso che la prossima settimana sarà tempo di vedere come riempiremo quest’estate, ma non ne ho ancora idea, altrimenti lo direi. Non so ancora cosa farò, tranne che adesso andrò a prendere un po’ di sole. Adoro ancora la mountain bike, ma è un anno speciale con le Olimpiadi. Posso vincere la strada e come ho già detto, non voglio scommettere due cavalli e poi magari fallire con entrambi. Quindi vedremo dove porta l’estate.

L’ago della bilancia si va spostando verso la strada, ma forse gli scoccia anche ammetterlo. La lezione di Glasgow è stata chiara: dopo la vittoria del mondiale su strada, quello in mountain bike contro Pidcock è sembrato un brutto sogno. E va bene che inseguirli fa restare giovani, ma siamo certi che abbia senso rinunciare a un oro olimpico su strada per inseguirne uno anche più improbabile sulla Mtb?

Longo è più forte, Brown più furba. Ma ci abbiamo sperato

21.04.2024
5 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Come una doppia maledizione, anche questa Liegi l’ha vinta un’altra. Eppure Elisa Longo Borghini trasmette positività in ogni sorriso e ogni parola, per cui quando dice che ce ne sarà un’altra l’anno prossimo, non puoi che darle ragione. La corsa se l’è presa Grace Brown, una grande atleta che doveva solo sperare che le cose andassero come sono andate. Non poteva rispondere agli attacchi delle scalatrici, per cui è andata in fuga. E quando l’hanno ripresa, anziché abbandonarsi alla deriva si è messa a limare e alla fine è arrivata alla volata. E a quel punto sono diventati affari per le altre. Prima Brown, seconda Longo Borghini, terza Vollering (prima lo scorso anno) e tutti a casa. Ora l’australiana è qui che racconta con il suo accento aussie e scherzando dice che è «monumentale aver vinto una monumento, la vittoria più importante della mia carriera…».

Un giorno chiederemo a Elisabetta Borgia di spiegarci il modo e i tempi con cui un grande atleta elabora il risultato e riesce a farci di conto. Arrivare seconda nella Liegi, il suo obiettivo di primavera, dovrebbe far scattare nella testa di Elisa chissà quale rabbia funesta. Invece nei primi istanti dopo l’arrivo già sorrideva. E anche adesso che le trotterelliamo accanto accompagnandola verso l’antidoping, la sua serenità è uno spunto su cui ragionare.

Subito dopo l’arrivo, malgrado la sconfitta, Elisa sorrideva
Subito dopo l’arrivo, malgrado la sconfitta, Elisa sorrideva

La fuga da riprendere

La fuga è arrivata tanto avanti, ma quando la piemontese ha aperto il gas sulla Cote de la Roche aux Faucons, dietro il gruppetto si è sbriciolato. Sono rimaste attaccate le stesse che poi sono arrivate con lei al traguardo e chissà se quell’attacco le sia costato troppo. Noi siamo qui a cercare una spiegazione, mentre lei se l’è già data ed è contenta così.

«Non credo di aver speso troppo a fare l’azione – dice – perché comunque doveva essere fatta in qualche modo. Bisognava chiudere sulla fuga e comunque sia avrei attaccato lo stesso. Probabilmente saremmo rimaste in tre e ce la saremmo giocata diversamente. Però alla fine questo è il ciclismo e per questo è lo sport più bello del mondo. Non sempre vince la più forte o il più forte, vince anche il più furbo, il più veloce, quello che prende meglio le curve. Forse è vero che la fuga è arrivata un po’ troppo avanti, però c’è anche da dire che c’erano dei corridori forti. C’era Chabbey, c’era Grace Brown che sono notoriamente dei corridori pericolosi se corrono per fare risultati».

Una volata già scritta

E poi c’è la volata, quella in cui credevamo ormai tutti. Dopo il Fiandre vinto a quel modo e i miglioramenti degli ultimi mesi, eravamo tutti a pensare che fosse quasi fatta, senza fare i conti con la concretezza e il giusto cinismo di Grace Brown.

«Sono arrivata alla volata – dice Elisa mentre pedala al piccolo trotto – non tanto con sicurezza, quando con la voglia di vincere. Puntavo il traguardo e guardavo avanti e devo dire che per un attimo ci ho anche quasi creduto. Poi mi ha passato sulla destra Grace, però non ne posso fare un dramma. Ci sarà una Liegi anche l’anno prossimo, penso, no? Diciamo che è un secondo posto a suo modo bello, diverso dall’anno scorso. Ho preso l’iniziativa e sono partita sulla Roche aux Faucons, poi ho fatto una bella volata e alla fine sono contenta. Se fossimo arrivati in tre, probabilmente avrei vinto io, ma così non è stato. Vero che ho chiuso il buco su “Kasia” Niewiadoma, ma resta il fatto che Grace Brown è più veloce di me. Non c’è storia, non si può raccontare un’altra versione, questo è…».

E adesso la Vuelta

Il Trofeo Oro in Euro, il Giro delle Fiandre e la Freccia del Brabante: la sua primavera può essere soddisfacente. Il terzo posto nella Freccia Vallone e il secondo qui a Liegi dicono che comunque Elisa è arrivata puntuale all’appuntamento con le Ardenne e questo conta tanto dopo i problemi della scorsa estate.

«Non posso che essere contenta – dice – perché comunque ho fatto tantissime top 10. Ho fatto tre vittorie, sono tornata ai miei livelli e forse anche qualcosa di più. Sono veramente contenta. Adesso ci saranno tre giorni a casa e poi la Vuelta, per cui la primavera non è certo finita. E pensate che a casa riuscirò anche a incontrare Jacopo per poche ore, perché io arrivo e lui parte per il Romandia».

Alza gli occhi al cielo, che d’incanto è tornato azzurro. La sera volge verso il tramonto. Noi torniamo in sala stampa per scrivere queste parole, lei prosegue verso il controllo e poi sarà tempo di impacchettare tutto e tornarsene finalmente a casa.