Cosa sanno alla Jumbo-Visma di Belletta, di Mattio e dell’Italia?

27.08.2022
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Avevamo sentito per la prima volta Robbert De Groot, responsabile della Jumbo-Visma Development, dopo il podio di Vingegaard lo scorso anno al Tour. Questa volta l’interesse è dato dall’arrivo di Belletta e Mattio e il parlare che se ne è fatto in Italia, soprattutto fra gli operatori del settore. Che cosa offrono in Olanda più che in Italia? E’ vero valore aggiunto, si chiedeva ieri Ivan Basso, oppure una grande infatuazione?

Così siamo tornati dal tecnico olandese cercando di capire il perché della scelta, il modo in cui lavoreranno con i due ragazzi e quale idea si sia fatto del ciclismo giovanile italiano.

Cominciamo dal loro arrivo?

Abbiamo contatti con diverse agenzie che lavorano in ambito internazionale. Di Mattio, l’ultimo arrivato, abbiamo parlato a dicembre con Alessandro Mazzurana e la firma del contratto è arrivata a luglio. Prima lo abbiamo invitato con noi in Slovenia, per allenarsi, parlare, conoscerci. L’Italia ci piace, la storia del vostro ciclismo è importante. E poi ci sono tanti talenti, mentre a noi piace esplorare e allargare i confini dello scouting.

Invece Belletta?

Ho sempre avuto buoni contatti con Manuel Quinziato, anche per altri casi. E’ però un fatto che non tutti i ragazzi vogliono lasciare l’Italia. Dario (Belletta, ndr) ha accettato di farlo e penso che possa ben inserirsi nel nostro gruppo e nella nostra filosofia.

Vingegaard è il prodotto dell’organizzazione del team olandese (foto Jumbo-Visma)
Vingegaard è il prodotto dell’organizzazione del team olandese (foto Jumbo-Visma)
Eppure è la prima volta che cercate corridori italiani.

Non abbiamo mai dubitato che ci siano talenti anche nel resto d’Europa, quindi anche in Italia. Inoltre l’Italia è importante anche per il nostro sponsor Jumbo (grande catena olandese di supermercati, ndr). Vogliamo che sia un successo su entrambi i fronti

Quale idea vi siete fatti di Belletta?

La prima cosa che abbiamo notato è che è alto rispetto allo standard dei corridori italiani. Inoltre ha una fantastica esperienza su pista. Crediamo che abbia un ottimo potenziale per le corse del Nord, non tanto per quelle a tappe. Per ora le grandi montagne non sembrano alla sua portata. Inoltre possiamo lavorare nella crono, che finora ha coltivato poco, ma è logico, essendo ancora uno junior.

Ci spieghi la vostra filosofia?

E’ abbastanza semplice. Il nostro obiettivo non è vincere oggi e neppure domani, ma vedere dove possono arrivare quando saranno formati. E se un corridore mostra cosa sa fare nelle corse italiane, che sono notoriamente dure, vuol dire che è forte.

I ritiri sono uno dei momenti più importanti nella stagione della squadra (foto Jumbo-Visma)
I ritiri sono uno dei momenti più importanti nella stagione della squadra (foto Jumbo-Visma)
Belletta ha partecipato a ritiri come Mattio?

No, abbiamo provato, ma aveva impegni in pista con la nazionale. Abbiamo fatto due interviste online. Abbiamo analizzato i suoi dati.

L’opinione su Mattio?

Pietro non ha alle spalle molti allenamenti strutturati, ha lavorato poco, eppure ha già dato dei buoni segnali. E’ una persona e un atleta interessante. Ha iniziato a studiare inglese, per cui la comunicazione va già meglio. E’ un corridore diverso da Belletta, forse è anche meno conosciuto a livello internazionale e questo è un bene. Ha i numeri per essere un corridore di successo. Anche Vingegaard non lo conosceva nessuno e non ha avuto grossi risultati da junior. Pietro può fare tutto, ha un raggio di azione molto ampio.

L’Academy è una delle fasi in cui il team seleziona i talenti (foto Jumbo-Visma)
L’Academy è una delle fasi in cui il team seleziona i talenti (foto Jumbo-Visma)
Sport e scuola, come vi regolate?

E’ importante che i ragazzi abbiano una base culturale solida. Dario è andato un anno avanti, quindi ha già fatto la maturità. Pietro va ancora a scuola e si troverà nella stessa situazione dei coetanei olandesi. Programmeremo le corse e la presenza nei ritiri in funzione dei suoi impegni scolastici.

Quanti ritiri farete con la Development?

A novembre ci vedremo per due giorni in Olanda. A dicembre, 12 giorni in Norvegia per fare sci di fondo: un ritiro importante per definire i programmi, creare lo spirito di squadra e fare gruppo. Prima di Natale si farà la presentazione con tutti i team, quindi anche le due WorldTour. A gennaio 10-14 giorni in Spagna e lo stesso a febbraio, per dare modo a tutti di partecipare. Inizieremo a correre il primo weekend di marzo. Fino a dicembre li lasceremo tranquilli. Dario dovrebbe fare i mondiali e poi non so se correrà fino a ottobre. Poi però dovrà riposare per almeno due settimane.

Oltre a Belletta e Mattio, in arrivo dagli juniores Menno Huising e Jelle Boonstra (foto Jumbo-Visma)
Oltre a Belletta e Mattio, in arrivo dagli juniores Menno Huising e Jelle Boonstra (foto Jumbo-Visma)
Che idea ti sei fatto degli juniores in Italia?

Sto cercando di capire il ciclismo italiano, come sono organizzate le stagioni, il calendario. Le organizzazioni regionali e tante squadre diverse. Quella di Mattio è molto piccola, quella di Bortolami in cui corre Belletta è molto grande. Qual è il ruolo del commissario tecnico? Mi piacerebbe correre di più in Italia, perché le corse sono dure.

Come si lavora secondo te sugli juniores?

Ogni cosa dovrebbe riguardare educazione e allenamento. Dovrebbe esserci lo stesso sistema in ogni Paese. E soprattutto, vincere non dovrebbe essere l’obiettivo principale.

La metamorfosi di Kelderman, pronto a cambiare ruolo

25.08.2022
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Neanche il tempo di prendere il via alla Vuelta che già su tutti i media compariva la notizia del nuovo cambio di casacca per Wilco Kelderman (in apertura accanto a Hindley), che dopo neanche due stagioni passate alla Bora Hansgrohe approda alla Jumbo Visma di Roglic e Vingegaard. Per il 31enne olandese si tratta del settimo cambio di squadra e considerando il roster della formazione olandese, potrebbe anche significare un cambio nel suo ruolo, non più come punta ma come luogotenente di lusso.

Suonano quasi beffarde a questo punto le dichiarazioni rilasciate da Kelderman alla vigilia della Vuelta: «Siamo una squadra con 3 capitani (oltre a lui il vincitore del Giro Hindley e Higuita, ndr), si deciderà alla fine chi comanda, chi starà meglio nella terza settimana. Io di regola sono sempre andato in crescendo, so di essere bravo e mi sento pienamente a posto in bici, poi dipenderà dalla gara».

Kelderman Hindley
Kelderman e Hindley, sodalizio ricostruito alla Bora, senza rancori e con buoni risultati (foto Getty Images)
Kelderman Hindley
Kelderman e Hindley, sodalizio ricostruito alla Bora, senza rancori e con buoni risultati (foto Getty Images)

Top 5 in tutti i grandi Giri

La storia di Kelderman è per certi versi singolare. Ha corso ben 13 grandi Giri e il suo bilancio non è neanche malvagio: 6 presenze nella top 10 con il 3° posto al Giro d’Italia 2020 come miglior risultato, ma è entrato nei primi 5 anche nelle altre due prove, in quanti possono dire la stessa cosa? Eppure la sua figura è associata a quella di un’eterna promessa mai sbocciata. Un buon piazzato, sì, ma mai realmente candidato alla vittoria. Eppure le caratteristiche ci sono tutte, considerando le sue capacità a cronometro e la sua tenuta su qualsiasi tipo di salita.

Curiosamente, proprio quel podio conquistato al Giro è stato una sorta di crocevia per l’olandese. In quell’edizione della corsa rosa, Kelderman era il capitano della Sunweb, ma assistette alla crescita esponenziale di Hindley, arrivato a giocarsi la corsa all’ultima tappa con Tao Geoghegan Hart. Quanto avvenne però al Sestriere ha lasciato sempre molte perplessità: Kelderman era partito in rosa, con Hart (Ineos) e Hindley a 15”. Dietro i continui attacchi della formazione rivale, la Sunweb decise di appoggiare più Hindley, lasciando che Kelderman venisse staccato.

Giro 2020: podio per Hindley e Kelderman, ma con qualche lato oscuro nella condotta della Sunweb
Kelderman Giro 2020
Giro 2020: podio per Hindley e Kelderman, ma con qualche lato oscuro nella condotta della Sunweb

Un nemico in casa?

Hindley si ritrovò alla sera a pari merito con Geoghegan Hart, ma la cronometro finale gli era contraria a differenza di Kelderman, che infatti il giorno dopo avrebbe fatto meglio del britannico. Molti sussurrarono che la Sunweb avrebbe deciso di appoggiare Hindley sapendo già dell’addio imminente di Kelderman, visto quasi come un ospite indesiderato. Certamente però quell’episodio segnò l’evoluzione della carriera dell’olandese, che un anno dopo si sarebbe ritrovato in compagnia proprio di Hindley.

Al Giro d’Italia di quest’anno troppa è stata la differenza di rendimento fra i due, Kelderman molto presto si è dovuto piegare alle esigenze della squadra e supportare il compagno, ma almeno questa volta non ci sono state polemiche. Ora però Wilco corre nuovamente a parità di grado con l’australiano, ma con in tasca il passaporto per un altro team: la Bora-Hansgrohe gestirà la cosa in maniera diversa?

Ennesima caduta per l'olandese al Giro del Benelux 2021. Problemi alla clavicola
Ennesima caduta per l’olandese al Giro del Benelux 2021. Problemi alla clavicola
Kelderman Benelux 2021
Ennesima caduta per l’olandese al Giro del Benelux 2021. Problemi alla clavicola

Luogotenente di lusso

E’ anche vero che l’olandese vuole monetizzare il più possibile l’ultima parte di carriera, sapendo forse che contro i super talenti di oggi difficilmente troverà posto sul gradino più alto del podio. La Jumbo Visma aveva bisogno di una figura di riferimento in appoggio ai suoi big, Kelderman può ricoprire il ruolo anche se non gli è propriamente calzante. D’altronde tanti sono stati nella storia i corridori che, dopo lunghi tentativi di emergere in un grande Giro hanno trovato la loro più adatta collocazione al fianco di un altro capitano, ultimo esempio Rafal Majka con Pogacar.

Kelderman però a questo epilogo non vuole ancora piegarsi, conta di dare un ultimo colpo alla botte. Si è preparato con scrupolo dopo la corsa rosa e il Delfinato, una breve pausa e poi tre settimane per ricaricare le batterie a Park City nello Utah, con la sua famiglia. Una famiglia di ciclisti considerando che la moglie, Rebecca Talen era stata professionista fino al 2014 alla Rabobank prima di dedicarsi alla crescita del figlio. Si è allenato cercando di riannusare le sensazioni di gioventù, tornando addirittura con i suoi team delle categorie minori, WV Eenland e UWTC De Volharding. I ragazzi erano al settimo cielo ritrovandolo fra loro, per Wilco è stato un utile recupero di vecchie sensazioni, avvicinandosi a una Vuelta dai significati più profondi che mai.

Kelderman Tour 2021
Al Tour Kelderman ha colto il 5° posto lo scorso anno, confermandosi predisposto per i grandi Giri
Kelderman Tour 2021
Al Tour Kelderman ha colto il 5° posto lo scorso anno, confermandosi predisposto per i grandi Giri

E se chiudesse col botto?

«Ho imparato che in 3 settimane può succedere di tutto – ha dichiarato a Cyclingtips – devi affrontare ogni giorno, ogni ora, ogni chilometro senza essere nervoso. Puoi anche perdere alla fine 15 secondi, ma quel che conta è risparmiare energie e colpire quando conta davvero. Ogni grande Giro ti accresce e ti migliora, ti insegna qualcosa del tuo corpo, come mangiare, come bere, come coprirti. Bisogna però saperlo ascoltare.

«Io non mi sono mai arreso, neanche di fronte agli infortuni peggiori (si è rotto clavicole, vertebre, dita, ndr), ma se non avessi avuto passione, se avessi pensato che era solo un lavoro non sarei qui ora. So solo che quel che verrà sarà meglio». Lo sperano soprattutto quelli della Jumbo Visma, oggi avversari, domani datori di lavoro.

La Vuelta di Roglic è un’altra sfida alla cattiva sorte

22.08.2022
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Non c’è una risposta chiara alla domanda su come stia Roglic e desta sollievo il fatto che la Vuelta sia partita dall’Olanda con percorsi perfetti per prendere il ritmo. Senza salite né troppo vento. Già alla vigilia della cronosquadre si ragionava sul fatto che Primoz all’80 per cento sia uno dei migliori cronoman della squadra, cercando poi di capire se riuscirà ad arrivare al suo massimo, per puntare al poker di maglie rosse consecutive.

Sta di fatto che quel corridore così forte che in certi momenti assomma su di sé le sfortune di Paperino e una costanza quasi commovente nel rialzarsi ogni volta, ha fatto breccia nei cuori dei tifosi.

Prima di ritirarsi dal Tour, Roglic era stato decisivo nel giorno del Granon, aiutando Vingegaard a fiaccare Pogacar
Prima di ritirarsi dal Tour, Roglic era stato decisivo nel giorno del Granon

Preparazione non ideale

Il primo problema su cui stanno ragionando i tecnici della Jumbo Visma è che a causa del ritiro dal Tour e i dolori alla schiena, conseguenza della caduta nella tappa del pavé, lo sloveno abbia saltato una parte significativa della preparazione. E quando ha ricominciato, anche la sua resistenza era diminuita, proprio a causa dello stesso dolore.

«La sua preparazione non è stata certo ideale – dice Merijn Zeeman, suo tecnico, al belga Het Nieuwsblad – ma è stato così anche negli ultimi due anni. L’anno scorso ci sono state di mezzo le Olimpiadi, che hanno reso tutto complicato. Due anni fa aveva chiuso il Tour con un terribile colpo psicologico (la maglia gialla persa alla penultima tappa, ndr), ma ciò non ha impedito a Primoz di vincere la Vuelta. Credo che Primoz sia il miglior corridore al mondo nel lasciarsi alle spalle delusioni».

La Jumbo Visma è arrivata alla Vuelta in formazione rimaneggiata, ma sempre fortissima
La Jumbo Visma è arrivata alla Vuelta in formazione rimaneggiata, ma sempre fortissima

Il dolore alla schiena

Quello che va capito è come stia effettivamente la schiena, dato che si è temuto a lungo che a causa del dolore Roglic avrebbe rinunciato alla Vuelta. Lo sloveno dice di avere ancora problemi nel fare certi movimenti, ma non c’è una diagnosi precisa dell’infortunio o almeno la Jumbo-Visma non aggiunge altro perché si tratta di informazioni che attengono alla sua privacy.

«Non c’era necessità medica di lasciare il Tour – dice però Mathieu Heijboer, preparatore del team – ma è comprensibile che a un certo punto Primoz non ce l’abbia più fatta. E’ stato grande a resistere così a lungo e che sia stato così prezioso per Vingegaard nella tappa che ha deciso il Tour (quella del Granon, ndr). In ogni caso, posso dire che Primoz è sicuramente pronto per la Vuelta. Ed è chiaro che stiamo andando al 100 per cento con lui per la vittoria finale».

Il dubbio su cui si ragiona è se la preparazione di Roglic sia stata all’altezza della sfida
Il dubbio su cui si ragiona è se la preparazione di Roglic sia stata all’altezza della sfida

Mollare mai

Si scopre adesso che l’ipotesi di non partire non sia stata mai presa seriamente in considerazione e che per scongiurarla Roglic si sia sottoposto a un intenso lavoro di recupero.

«Il punto centrale – prosegue Merijn Zeeman – era che dovesse essere in forma. E sebbene il dolore non sia sparito del tutto, Primoz ha voluto comunque affrontare la sfida. In una prima fase si è concentrato prevalentemente sul recupero fisico e mentale. Quando poi ha ottenuto il via libera per iniziare ad allenarsi, ha ripreso il filo della preparazione. Non si è allenato in quota, come avrebbe fatto normalmente. Ma stiamo comunque parlando di un atleta con qualità speciali, perché Primoz è sempre lì dopo le battute d’arresto».

La maglia a Gesink

Oltre ai dubbi sulla condizione del capitano, l’invincibile armata giallo-nera ha dovuto fare i conti con alcune defezioni e convocazioni dell’ultima ora. Normalmente al suo fianco ci sarebbe stato infatti Steven Kruijswijk, che però si sta riprendendo a sua volta dopo la caduta del Tour in cui ha riportato fratture alla clavicola e alla spalla. Koen Bouwman, l’uomo delle due tappe al Giro, era atteso, ma ha avuto problemi al ginocchio. Rohan Dennis è stato dichiarato in forma all’ultimo minuto dopo fastidiosi disturbi allo stomaco.

«Molte cose sono state incerte – ha spiegato Zeeman – ma siamo qui con una squadra forte. L’inizio in Olanda è stato molto speciale nel mostrarci subito al nostro pubblico. Nella cronometro a squadre “Rogla” ha lasciato il primo posto a Gesink, perché non è solo un vincitore, ma anche un vero uomo squadra. Quello che abbiamo fatto al Tour ha superato di gran lunga le nostre aspettative, ma puntiamo anche al massimo nella Vuelta».

EDITORIALE / Non è più il tempo delle tendiniti

16.08.2022
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Non è più il tempo delle tendiniti e Dumoulin lo sa bene. Oggi va via la testa, punto e basta. Le tendiniti minarono la carriera di Fignon. Il parigino, di cui abbiamo parlato di recente ricordando la vittoria di Nibali ad Asolo, vinse il primo Tour a 23 anni e il secondo a 24, battendo pezzi grossi come Hinault e Lemond. Ci si stupisce per le vittorie precoci di Pogacar, senza rendersi conto che è già successo. Solo che allora le minori conoscenze fisiologiche e preparazioni spesso empiriche esponevano i ragazzi a carichi di lavoro che il fisico non era pronto a sostenere.

Fignon penò parecchio per rimettersi in sesto e non ci riuscì mai del tutto. Ugualmente si portò a casa il Giro d’Italia del 1989 e secondi posti beffardi, come quello del 1984 in Italia alle spalle di Moser e quello del 1989 a Parigi dietro Lemond.

Tour del 1984, Fignon in giallo a 24 anni, Lemond iridato con un anno di meno. Dall’anno dopo vennero fuori le tendiniti del francese
Tour del 1984, Fignon in giallo a 24 anni, Lemond iridato ne aveva 23

Oggi non è più tempo di tendiniti. I corridori vanno in palestra. Hanno imparato a non abusare dei rapporti avendo capito che l’elevata frequenza di pedalata permette di esprimere meglio la potenza. Integrano meglio dopo gli sforzi e offrono un miglior supporto al proprio corpo. Oggi il punto debole è nella testa e per quella c’è poco da fare. Se il filo si spezza, non c’è modo di riannodarlo.

La ricerca della perfezione

Ne ha parlato giorni fa Enrico Battaglin, descrivendo la sua fatica nel tenere i ritmi del ciclismo attuale.

«Il problema – diceva – è che tutti hanno alzato il loro livello. Serve curare il dettaglio per colmare il gap. In più cresce il livello di stress, perché sei sempre alla ricerca del limite. Per questo non credo a carriere lunghe. Anche per i leader. Quando sono passato, i veri capitani puntavano ai loro obiettivi e nel resto delle corse lavoravano o lasciavano spazio. Adesso anche loro sono sempre al 110 per cento».

Bettiol ha investito fortissimo sul Tour, mettendo da parte tutto il resto
Bettiol ha investito fortissimo sul Tour, mettendo da parte tutto il resto

Ne aveva parlato in precedenza Moreno Moser, raccontando di una conversazione avuta con Bettiol nelle settimane che portavano al Tour.

«Quello che mi diceva Alberto è che ormai il ciclismo è così totalizzante, che devi prendere questo lavoro per step. Da qui al Tour non esisto più, sono un robot. La vita è solo quella della bici e dell’allenamento. Il recupero si farà dopo…».

L’esempio di Dumoulin

Nella trappola è caduto nuovamente Dumoulin, che pure la prima volta provò a riannodare i capi. AI primi del 2021 annunciò infatti con un lungo post su Instagram che si sarebbe fermato

«Ho deciso di congedarmi per un periodo di tempo indeterminato dal nostro bellissimo sport. Da troppo tempo sento una grande pressione. Ho dimenticato me stesso, volendo fare il meglio per la squadra, gli sponsor e tutti gli altri. Ho dimenticato cosa voglio davvero in questo sport e per il mio futuro. Poiché non ho questa risposta chiara per me stesso, in realtà non sto nemmeno facendo del mio meglio per le persone intorno a me. Ho davvero bisogno del tempo per avere le cose chiare nella mia testa su cosa voglio e come lo voglio».

Il talento di Dumoulin si rivelò al massimo quando vinse il Giro d’Italia del 2017
Il talento di Dumoulin si rivelò al massimo quando vinse il Giro d’Italia del 2017

Il ritorno

Non si trattava di scarso amore per lo sport, dato che dopo aver postato quel suo scritto, andò a farsi un giro in bici e fece in modo di farsi vedere lungo la strada delle corse che passavano vicino casa sua a Maastricht.

Il richiamo del gruppo fu più forte, al pari della sua voglia di non arrendersi. Lo vedemmo a Livigno. Lo applaudimmo sul podio della crono olimpica di Tokyo. Ci illudemmo che il nodo tenesse. Fu quando lo vedemmo stordito sul Block Haus al Giro che capimmo che non era vero niente. E puntuale come un presagio, è arrivato ieri l’annuncio del ritiro definitivo. Si trattava comunque di un ritorno a orologeria: Tom avrebbe mollato dopo la crono dei mondiali, ma non ce l’ha fatta.

Il ritorno di Dumoulin nella crono di Tokyo, conclusa con l’argento alle spalle di Roglic
Il ritorno di Dumoulin nella crono di Tokyo, conclusa con l’argento alle spalle di Roglic

Di nuovo al tappeto

«Quando ho deciso di tornare – ha scritto su Instagram – l’ho fatto con un senso di libertà, alle mie condizioni, con il supporto della squadra e con la mia motivazione intrinseca come carburante principale. Questo è ciò che mi ha riportato la gioia del ciclismo dei primi tempi. Ma noto che non ce la faccio più. Il serbatoio è vuoto, le gambe sono pesanti e gli allenamenti non stanno andando come speravo. Dal mio duro incidente in allenamento lo scorso settembre (Dumoulin fu investito da un’auto e ha dovuto sottoporsi ad un intervento chirurgico per mettere a posto il polso destro, ndr), qualcosa si è rotto di nuovo. Ho dovuto interrompere i miei sforzi ancora una volta e affrontare un’altra delusione».

Era troppo e ogni tentativo di tornare davanti ha aggravato il senso di fatica e di frustrazione. Le tendiniti le aggiusti, la mente no.

Staccato sul Block Haus, primo vero arrivo in salita del Giro 2022: sembrava volesse essere altrove
Staccato sul Block Haus, primo vero arrivo in salita del Giro 2022: sembrava volesse essere altrove

Rischio burnout

Ci sono due modi per elaborare l’esperienza dell’olandese. Attaccargli l’etichetta di debole e lasciarlo andare. Oppure riflettere sul campione che si è perso nel nome della ricerca spasmodica della perfezione. L’uomo non è una macchina, esiste un limite (soggettivo) oltre il quale è rischioso andare. Il burnout è una sindrome sempre più diffusa nel mondo del lavoro, da quando ad esempio la connettività permanente impedisce di sottrarsi alla pressione e alla necessità di essere presenti.

Nelle squadre è spuntata da qualche tempo la figura dello psicologo e in alcuni casi dello psichiatra. Il corridore prova sempre a rialzarsi e ripartire, ma non c’è fase nella sua vita che non sia tiranneggiata dall’esigenza di perfezione. Siamo certi che leggeremo presto sui social che altri alle prese con lavori ben meno gratificanti stanno decisamente peggio. Non abbiamo indicazioni da dare, si tratta pur sempre di aziende gestite da altri. Ci chiediamo semplicemente se vada bene così.

Battaglin, vocazione gregario ricordando la Jumbo

11.08.2022
5 min
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Dopo una primavera senza capo né coda, Enrico Battaglin inizia a riconoscere qualche sensazione giusta. In realtà, avverte, è un po’ che si sente bene.

«Ma se vi basate su Procyclingstats – sorride – allora potrebbe sembrare che è un disastro. Non guardate i piazzamenti, perché dalla Adriatica Ionica Race ho lavorato per la squadra e poi anche ai campionati italiani. Ho risolto i problemi fisici. Invece quel sito è odioso. Ci sono tutti i risultati e a basarsi su quelli, potrebbe sembrare che io sia ridotto davvero male».

Ripartenza al Sazka Tour

Il lungo stop dopo il Sibiu Cycling Tour è finito e il 4 agosto il vicentino è ripartito dal Sazka Tour e fa rotta ora sul Tour du Limousin che inizia il 16. Nel frattempo ha riposato, ha lavorato a suo dire bene e ha seguito le dirette del Tour de France, in cui la sua ex squadra ha fatto il bello e il cattivo tempo. E la cosa genera curiosità, dato che Enrico approdò nella allora LottoNL-Jumbo nel 2016, quando il progetto era ancora agli albori.

Si poteva pensare che sarebbero arrivati così in alto?

Rispetto ai miei tempi, vedo che il personale è cambiato, ma la dirigenza è la stessa. Avevano dichiarato di voler fare il podio al Tour entro il 2021-2022 e ci sono riusciti. Ai tempi l’uomo era Kruijswijk, dopo quello che aveva fatto al Giro. Poi sono arrivati Roglic e Groenewegen. Abbiamo iniziato a vincere corse come i Paesi Baschi e facemmo bene anche al Giro del 2018. Si poteva immaginare la crescita, ma è stato Van Aert a favorire il salto di qualità.

Alla Adriatica Ionica Race, Battaglin ha svolto un lavoro oscuro per Zana, che ha poi vinto
Alla Adriatica Ionica Race, Battaglin ha svolto un lavoro oscuro per Zana, che ha poi vinto
La squadra brilla per l’attenzione ai dettagli: era così anche allora?

Non era tutto esasperato come ora, era un ciclismo diverso. Però mi ricordo che avevamo lo chef, ci seguivano in ogni cosa. I materassi alle corse uguali a quelli che avevamo a casa. Direi che la ricerca esasperata del dettaglio è iniziata nel 2019. Le bici leggerissime. Lo studio sui carboidrati. I ritiri ripetuti. L’abbigliamento. Investono molto sui dettagli e i risultati si vedono.

Oggi sono il riferimento per tutti…

Ma sono partiti da una base comune a molti. Credo che oltre allo studio, abbia influito il livello dei corridori. Di Roglic si poteva immaginare, di Van Aert e Vingegaard no davvero. Idem per Kooij, il velocista giovane. Ragazzi venuti fuori a vent’anni, con i watt e la testa di corridori già esperti e subito capaci di fare risultato.

Al Tour of Norway ha aiutato Fiorelli nelle volate, come pure a Sibiu quando è arrivata la vittoria
Al Tour of Norway ha aiutato Fiorelli nelle volate, come pure a Sibiu quando è arrivata la vittoria
Pozzovivo ha detto che chi non è riuscito ad adeguarsi a questa… impennata delle prestazioni, si è trovato in difficoltà. A te è successo?

Ho parlato con “Pozzo” al Sazka Tour. Il problema è che tutti hanno alzato il loro livello. Saranno gli allenamenti o le bici, i ragazzi hanno uno standard così alto che quello che facevamo una volta non basta più. Serve curare il dettaglio per colmare il gap. In più cresce il livello di stress, perché sei sempre alla ricerca del limite. Per questo non credo a carriere lunghe. Anche per i leader…

Cioè?

Quando sono passato, i veri capitani puntavano ai loro obiettivi e nel resto delle corse lavoravano o lasciavano spazio. Adesso anche loro sono sempre al 110 per cento. C’è un livello assurdo in ogni corsa, non solo al Tour.

E tu come stai?

Abbastanza bene. Ho ripreso in Repubblica Ceca lavorando per Zana e Fiorelli. Sono quello che viene usato prima, perché ho fondo ed esperienza, ma spero al Limousin di avere qualche chance anche per me. Sono in scadenza di contratto e vorrei fare qualche risultato per rimanere o trovare comunque una sistemazione. Credo che l’inizio di stagione sia stato una sofferenza, ma alla Adriatica Ionica Race abbiamo corso proprio bene come squadra e abbiamo vinto. Da maggio le cose vanno bene, speriamo di andare avanti così sino a fine anno.

Al Sazka Tour in Repubblica Ceca il suo nome è stato un bel richiamo per i tifosi
Al Sazka Tour in Repubblica Ceca il suo nome è stato un bel richiamo per i tifosi
Reverberi non sembrava molto contento di te e di Modolo…

Ma Bruno è così. Quando investe, vorrebbe subito un ritorno. E’ stato un inizio anno difficile, ma quando mi sono rimesso, penso abbia visto che mi sono dato da fare per la squadra. Il lavoro di gruppo è decisivo, non puoi sperare che siano gli altri a cavarti d’impaccio. Serve correre per un paio di corridori, con il gruppo al loro servizio. Non è vero quello che si dice…

Che cosa si dice?

Che ho perso smalto e che non mi alleno. Il fatto è che con gli anni sono andato a spegnermi. Faccio fatica a battagliare con i primi. Stare davanti è sempre più difficile. Non posso aspettare i finali, per cui aiuto gli altri. E se prendo la fuga giusta, magari lo spunto per giocarmela lo trovo ancora…

EDITORIALE / Il nuovo ciclismo, poche corse e tante vittorie

08.08.2022
4 min
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E’ nato un nuovo ciclismo. Quello delle poche gare e delle tante vittorie. Evenepoel è maestro, ma anche Van Aert, Roglic e lo stesso Vingegaard sono allineati sulla stessa strada. Come loro, Pogacar.

In attesa di un altro cambio di direzione, sta avvenendo quello che la nascita dell’allora ProTour suggeriva: i grandi campioni nelle grandi corse, tutti gli altri a dividersi il resto. E non sarebbe neanche male, a pensarci bene, perché darebbe nuova linfa a gare dimenticate e sarebbe garanzia di spettacolo ad alta tensione in quelle più importanti. 

Modello Evenepoel

Evenepoel è l’emblema di questo nuovo ciclismo, perché dopo i campionati nazionali è rimasto a lungo senza correre. E’ rientrato a San Sebastian 34 giorni dopo e ha vinto. Nel frattempo ha trascorso tre settimane in altura, in un regime di vita super controllato che prevede allenamenti mai casuali, simulazioni di gara dietro moto, alimentazione customizzata uomo per uomo, in modo da essere certi dell’alto livello della prestazione. La scienza applicata al ciclismo ha portato vantaggi un tempo inimmaginabili, grazie ai quali i corridori di vertice e i loro gregari riescono a raggiungere standard pazzeschi anche senza sfinirsi di gara in gara.

Quick Step-Alpha Vinyl a Livigno: se tutta la squadra si allena così, ogni corridore sarà super preparato
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Gruppo più forte

Se tutti lavorano a questo modo, si può essere certi che le prestazioni in gruppo continueranno a crescere, di pari passo con lo sviluppo tecnologico, che porta a realizzare biciclette più leggere, ruote più veloci, freni più efficienti, capi di abbigliamento meno resistenti all’aria e tutto un mondo che rende i corridori macchine pressoché perfette.

Quando si analizzano le medie delle corse, è superficiale stupirsi per il fatto che si battano oggi le medie orarie rispetto al ciclismo degli anni 90: sarebbe anomalo se questo non accadesse. Può rimanere imbattuto il tempo di qualche salita, ma il livellamento verso l’alto di tutto il gruppo è palese. I corridori sono capaci di prestazioni clamorose pur non essendo capitani. Allo stesso tempo, è palese quanto sia più difficile per i campioni produrre differenze, per gli atleti professional tenere il ritmo e per i neopro’ inserirsi alla svelta.

Cervèlo, più Santini e Vision: piccolo assaggio di quali colossi abbiano lavorato per Vingegaard al Tour
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Progresso da pagare

Chiaramente tanto progresso va pagato, per cui il solco fra squadroni ricchi e gli altri si scava ancor di più. Fino a qualche tempo fa Specialized aveva l’esclusiva di certe attenzioni e certi sviluppi. Cavendish è tornato a vincere rientrando alla Quick Step e ha il cuore in lacrime all’idea di doversene andare. Gli ultimi mesi tuttavia hanno portato alla ribalta gli sforzi economici di altri grandi marchi che supportano altrettanti squadroni: bici e componenti. Dietro c’è un mondo, popolato di ruote, manubri, caschi e gallerie del vento che si aggiornano in continuazione.

Il lavoro di Cervèlo per Jumbo Visma ha lasciato il segno al Tour. Quello di Colnago per UAE Team Emirates ha dato una svolta nettissima al UAE Team Emirates. Giant, Trek, Cannondale e Canyon hanno il prodotto ma non ancora atleti top in grado di valorizzarlo. Invece il Team Ineos con Pinarello è il quarto tenore sul palcoscenico del WorldTour.

Ganna ha rinnovato con Ineos fino al 2027: crescita e sviluppo tecnico vanno di pari passo
Ganna ha rinnovato con Ineos fino al 2027: crescita e sviluppo tecnico vanno di pari passo

Forse anche per questo Ganna ha scelto di rimanere nel team britannico fino al 2027. I suoi progetti di crono e Ora, unitamente a quelli olimpici con la nazionale non sono pacchetti replicabili in qualsiasi altra squadra.

Si va verso lo standard della Formula Uno. I soldi te li possono dare in tanti, ma i materiali vincenti sono appannaggio di pochi. E se un tempo prendevano i soldi poi cercavano di adattarsi, oggi l’attenzione verso i materiali e gli altri supporti è cruciale. E’ il nuovo corso, chi non sale sul treno resta indietro.

L’alta sartoria Santini al servizio del Tour

06.08.2022
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Fornire le maglie di leader per una qualsiasi gara a tappe comporta onori ma anche oneri, soprattutto quando si parla di Tour de France. La corsa francese è da sempre una sfida per tutte le aziende partner della gara a tappe più importante al mondo. A poco meno di due settimane dalla conclusione del Tour, oggi possiamo tranquillamente dire che Santini ha superato alla grande la sua sfida. 

L’azienda bergamasca ha lavorato su numeri importanti. Complessivamente sono stati realizzati ben 2.000 capi che hanno interessato le quattro maglie destinate ai leader delle varie classifiche individuali: gialla, a pois, verde e bianca.

Questi numeri, di per sé già importanti, non sarebbero nulla se non fossero stati accompagnati dalla grande capacità sartoriale che Santini ha messo sul campo per realizzare ogni singolo capo.

Gli ultimi capi realizzati da Santini sono stati i body da crono, fatti rigorosamente su misura (foto BeardyMCBeard)
Gli ultimi capi realizzati da Santini sono stati i body da crono, fatti rigorosamente su misura (foto BeardyMCBeard)

Body su misura

In occasione di una nostra intervista realizzata alla vigilia del Tour de France, Stefano Devicenzi dell’ufficio marketing di Santini ci aveva confidato che tra gli ultimi prodotti realizzati e pronti a partire per la Francia c’erano i body da crono. La spiegazione era molto semplice.

Per la crono d’apertura del Tour non era previsto il loro utilizzo. Sarebbero serviti solamente per la crono del penultimo giorno, la Lacapelle-Marival che avrebbe dovuto decretare il vincitore dell’edizione 2022 del Tour de France.

Alla vigilia della cronometro lo staff Santini ha fatto visita al team Jumbo-Visma per far provare a Wout Van Aert e Jonas Vingegaard i body che avrebbe dovuto poi utilizzare in occasione della tappa a cronometro. Santini ha messo sul campo il meglio del proprio know-how e l’esperienza del proprio staff per garantire il massimo in termini prestazionali, intervenendo appositamente sui capi al fine di soddisfare le necessità dei singoli atleti.

Si è trattato di un lavoro dietro alle quinte, tutt’altro che semplice, che ha richiesto competenza, discrezione e precisione.

Ecco tutti i vari pezzi tagliati dal body verde di Wout Van Aert, taglia “L” per il campione belga (foto BeardyMCBeard)
Ecco tutti i vari pezzi tagliati dal body verde di Wout Van Aert, taglia “L” per il campione belga (foto BeardyMCBeard)

Jonas e Wout tester

Modelli d’eccezione non potevano che essere Jonas Vingegaard e Wout Van Aert, rispettivamente maglia gialla e verde del Tour. Il lavoro di adattamento dei body è stato realizzato direttamente sul corpo dei due campioni del team Jumbo-Visma.

Jonas e Wout sono stati fatti salire in bici e invitati ad assumere la posizione che avrebbero poi avuto durante la prova a cronometro. A questo punto il body è stato controllato dalla modellista e dalla maitre tailleur Santini, che, confrontandosi con l’atleta stesso, hanno preso nota e identificato le modifiche da effettuare.

La fase successiva è stata quella di intervenire sul body stesso, realizzando le modifiche richieste. Una volta effettuate, sono state successivamente verificate ripetendo l’analisi del capo indossato. Il risultato finale è stato quello di un body “su misura” che non a caso ha portato i due atleti ai primi due posti della cronometro.

La stessa attenzione e cura è stata naturalmente riservata a Tadej Pogacar, secondo in classifica generale e leader della classifica del miglior giovane del Tour.

I capi realizzati da Santini durante tutto il Tour de France sono stati 2.000 (foto BeardyMCBeard)
I capi realizzati da Santini durante tutto il Tour de France sono stati 2.000 (foto BeardyMCBeard)

L’esperienza Santini

A supervisionare l’intera operazione di messa in prova era presente Monica Santini, amministratore Delegato di Santini Cycling Wear.

«E’ una attività che conosciamo bene – ha detto Monica Santini – perché da anni viene realizzata per gli atleti che vestiamo. E’ fondamentale che i capi vestano come una seconda pelle, che le pieghe e i tagli dei capi si adattino alla conformazione fisica dell’atleta e che non ci siano eccessi di tessuto; tutto questo garantisce la massima performance aerodinamica.

«Si tratta di un lavoro di grande precisione che richiede dedizione e passione, oltre che grandi competenze; la nostra esperienza è sicuramente un valore aggiunto sia per gli organizzatori del Tour che per gli atleti stessi».

Santini

Kooij: il giovane olandese che ha stregato il Tour de Pologne

01.08.2022
5 min
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Ottocento metri all’arrivo della prima tappa del Tour de Pologne, il team Jumbo Visma in testa a tirare, cosa c’è di strano? Nulla, direte voi. Ma in Polonia i “calabroni” hanno portato una squadra diversa, con tre corridori su sei che sono nati dopo il 2000. Giovani e affamati, si presentano all’ultima curva, con l’esperto Mike Teunissen che pilota Olav Kooij. L’olandese, neanche ventunenne, esce dalla ruota del compagno e lancia la volata, nessuno riesce a superarlo ed è fatta!

Kooij è nato il 17 ottobre a Numansdorp, piccolo comune nell’Olanda meridionale che prende il nome dal suo primo ambasciatore: Gerard Numan. Neanche 10 mila anime e poco da fare, solo far girare le gambe sempre più veloci. Olav ha il viso giovane, ma le sue espressioni sono decise, di chi sa ciò che vuole. Quando taglia il traguardo il suo urlo squarcia le nuvole che oscurano Lublin. Dietro di lui, in quarta posizione, arriva Teunissen e la sua gioia è anche più grande di quella del compagno.

«Sono davvero al settimo cielo per questa vittoria – esclama ai microfoni dei giornalisti in zona mista – non ci credo davvero! La Polonia era nel mio destino, nel 2020, proprio su queste strade ho vinto in Coppa delle Nazioni ed ora la prima gara WorldTour».

Ieri, nella volata di Zamosc, il giovane calabrone ha colto il quarto posto, alle spalle di Milan. La maglia di leader gli è stata soffiata da Abrahamsen grazie alla somma degli abbuoni.

L’urlo di Olav Kooij ha riecheggiato per tutto il centro di Lublino, sede di arrivo della prima tappa del Tour de Pologne
L’urlo di Kooij ha riecheggiato per il centro di Lublino, arrivo della prima tappa del Tour de Pologne
Qual è stata la parte più difficile nel vincere la prima tappa?

Il finale è stato estremamente movimentato e frenetico, sono caduti tanti corridori dietro di noi. Era importante arrivare davanti nell’ultimo chilometro perché la strada diventava più stretta. Lo strappo agli ultimi 600 metri ha allungato il gruppo e noi siamo stati bravi a rimanere sempre davanti, e per questo devo ringraziare i miei compagni. 

La cosa che ti ha emozionato di più?

Passare il traguardo a braccia al cielo mi ha fatto venire i brividi e mi vengono tutt’ora se ci penso. Ho indossato la maglia del leader e devo ammettere che è ancora una sensazione strana. Ma oggi è un nuovo giorno e un’altra occasione per provarci, vedremo cosa possiamo fare (aveva detto ieri mattina prima della tappa, ndr).

Phil Bauhaus, in maglia Bahrain Victorious e Olav Kooij, Jumbo Visma si confrontano a fine tappa
Bauhaus, in maglia Bahrain e Kooij, Jumbo Visma si confrontano a fine tappa
Sei molto giovane, da quanto ti sei appassionato al ciclismo?

Avevo 8 anni quando ho iniziato a correre in bici, da noi in Olanda la bicicletta è il mezzo che usi tutti i giorni per muoverti e andare in giro. Direi che è facile salire sopra una bicicletta, ho iniziato a rendermi conto di essere bravo da esordiente. Ma è da junior che ho iniziato a vincere con costanza portando a casa anche qualche gara importante per la categoria.

E la Jumbo Visma quando è arrivata?

Nel 2020, dopo il mio secondo anno da junior, dove ho mantenuto il trend dell’anno precedente vincendo 10 gare, tra cui delle classiche olandesi. Al primo anno nel Development Team della Jumbo ho vinto sei corse, tra cui una tappa alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali.

Nel Development team sei stato solamente un anno, poi subito tra i professionisti…

Sì, ma non bisogna aver fretta, nonostante io sia andato spesso tra i pro’ ho corso sempre gare che mi hanno permesso di crescere e maturare. Ora, dopo due anni ho ottenuto la mia prima vittoria WorldTour ma il percorso per arrivare qui è stato lungo. Non bisogna montarsi la testa, si cresce giorno dopo giorno.

La prima vittoria da professionista Olav l’ha ottenuta alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali nel 2020 (foto Instagram)
La prima vittoria da professionista Olav l’ha ottenuta alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali nel 2020 (foto Instagram)
Quella è stata la tua prima vittoria da professionista, che ricordo hai?

Una grande emozione, quasi paragonabile a quella provata sabato. I miei successi sono arrivati tutti in maniera graduale, ad inizio stagione avevo vinto due gare in Croazia ed una in Slovenia.

In Italia hai corso molto, quest’anno hai ottenuto anche due podi alla Tirreno-Adriatico, che ne dici del nostro Paese?

Mi piace molto, ho dei bei ricordi, sulle vostre strade mi sono divertito molto. Sono stato a correre anche il Gran Piemonte, dove ho concluso terzo, mi piace correre da voi. I panorami e le città sono davvero belli e particolari.

Abbiamo letto di te che praticavi pattinaggio sul ghiaccio, raccontaci…

Anche questo sport è molto praticato in Olanda, anni fa i canali ghiacciavano e d’inverno ci si poteva pattinare sopra. E’ uno sport che ho sempre portato avanti insieme al ciclismo, i pattini in inverno e i pedali d’estate. Nel corso del tempo l’ho sempre più abbandonato, la carriera da ciclista occupa tanto tempo.

Kooij nonostante abbia perso la maglia gialla rimane leader della classifica a punti
Kooij nonostante abbia perso la maglia gialla rimane leader della classifica a punti
Gareggiavi anche lì o era una passione?

Correvo tanto, anche in quella disciplina ho disputato gare importanti a livello nazionale.

Quali vantaggi pensi ti abbia dato il pattinaggio?

Mah, è un bel modo di mantenersi in forma durante il periodo invernale. Io sono un corridore potente, il pattinaggio mi aiutava a mantenere allenata la forza. In più è uno sport con uno sforzo medio-corto, abbastanza simile alle volate.

Ultima domanda, hai qualche corridore a cui ti ispiri?

Mi è sempre piaciuto Groenewegen, un grande sprinter, però sono cresciuto anche con il mito di Sagan, ed in squadra ho Van Aert. Diciamo che ho tanti spunti (conclude con una risata, ndr).

Kuss e McNulty, Tour de France in chiave americana

31.07.2022
5 min
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Qualche giorno fa Pietro Caucchioli sottolineava un aspetto del Tour appena concluso: i grandi protagonisti Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar hanno entrambi avuto un luogotenente americano, rispettivamente Sepp Kuss e Brandon McNulty (i quattro nella foto di apertura CorVos). Un sintomo abbastanza evidente della ripresa del ciclismo a stelle e strisce. Guardando la classifica del Tour si scopre che il discorso è ben più ampio.

In un Tour che alla resa dei conti si è dimostrato alquanto selettivo ci sono stati ben 4 corridori statunitensi che si sono piazzati fra il 13° e il 21° posto: Powless, proprio Kuss e McNulty e, last but not least, il giovane e sempre più promettente Matteo Jorgenson. Se consideriamo che il primo italiano è stato Simone Velasco al 31° posto è evidente come il ciclismo americano sia su una lenta ma sicura via di ripresa.

McNulty andatura
McNulty ha vissuto una giornata eccezionale a Peyragudes, ma sperava in un “regalo” dei leader
McNulty andatura
McNulty ha vissuto una giornata eccezionale a Peyragudes, ma sperava in un “regalo” dei leader

Per Brandon un podio e tanta amarezza

Osservando le tappe, la sensazione è che i due in questione, inquadrati in rigidi schemi di squadra, avrebbero potuto ottenere molto di più. Fra le pieghe delle loro dichiarazioni emerge un certo disagio. Lo ha sottolineato soprattutto McNulty raccontando a modo suo la tappa di Peyragudes. Quella del terzo successo parziale di Pogacar ma anche della strenua difesa di Vingegaard: «All’inizio della salita di Val Louron il piano era che tirassi a tutta per 15 minuti. Vedendo che tanti cedevano, ho lavorato molto di più.

«A 5 chilometri dalla conclusione – prosegue lo statunitense dell’Uae Team Emiratesho sperato sinceramente che Jonas e Tadej, non potendo ormai cambiare molto in termini di classifica, mi lasciassero vincere, ma non ci sono regali in questo sport. Mi sono dovuto accontentare del numero rosso per la combattività…».

A poco sono valse le parole di stima espresse da Pogacar al termine della vittoriosa frazione: «Brandon è una vera “bestia”. Ha fatto un lavoro meraviglioso. Era davvero in forma, è andato bene per tutto il Tour ma questa volta è stato speciale».

McNulty Peyragudes
L’americano sul podio riceve il numero rosso per la combattività: la delusione è evidente
McNulty Peyragudes
L’americano sul podio riceve il numero rosso per la combattività: la delusione è evidente

Un americano sempre disponibile

Dall’altra parte Kuss si è confermato uomo di estrema affidabilità, ma senza quella libertà che lo scorso anno gli aveva consentito di vincere una tappa. Alla Jumbo Visma l’americano di Durango (McNulty è di Phoenix) è considerato una colonna. Un uomo che mette da parte le ambizioni personali per coerenza, per essere sempre lì quando c’è bisogno, costante al fianco del leader. Rispetto allo scorso anno però è stato un Tour diverso, nel quale gli addii prematuri di Roglic e Kruijswijk hanno fatto cadere sulle sue spalle un surplus di responsabilità.

Kuss però non è uomo da lamentarsi, né da tirarsi indietro rispetto alle sue responsabilità. Un aneddoto curioso è capitato proprio nei giorni più caldi (e non solo meteorologicamente) della Grande Boucle. L’addetto stampa della Jumbo Visma voleva preservarlo dalle domande dei giornalisti, consigliandogli di andare subito a farsi la doccia passando oltre microfoni e taccuini. Sepp invece si è sempre fermato di buon grado, accettando l’aggravio di impegni dopo le dure tappe francesi.

Kuss andatura
Tantissimi i chilometri di Kuss in testa a gruppi e gruppetti, come pilota per Vingegaard
Kuss andatura
Tantissimi i chilometri di Kuss in testa a gruppi e gruppetti, come pilota per Vingegaard

Encomiabile anche se non al massimo

Come McNulty, Kuss c’è sempre, al fianco del capitano, svolgendo il suo ruolo di pesce pilota anche quando le cose non vanno. «A volte non vivo i miei giorni migliori – ha affermato il corridore del Colorado – ma non lo dico e do sempre il mio massimo, ci metto tutto quel che ho perché voglio esserci nei momenti importanti». E in certi momenti è stato davvero fondamentale. Era quella chiave che Pogacar non riusciva a scardinare, scivolando verso tattiche disperate: «Le montagne a volte sono più semplici di quanto si pensi – rispondeva a chi gli chiedeva conto del suo ritmo indiavolato, che teneva Vingegaard sempre a galla – Alla fine si tratta solo di chi ne ha di più».

Kuss Vingegaard
L’abbraccio della maglia gialla a Kuss, puntuale colonna alla quale si è appoggiato in montagna
Kuss Vingegaard
L’abbraccio della maglia gialla a Kuss, puntuale colonna alla quale si è appoggiato in montagna

Il danno dell’era Armstrong

Molti, guardando la classifica di cui sopra, gli hanno chiesto conto della situazione attuale del ciclismo americano soprattutto in raffronto al suo contro verso passato e le parole di Kuss sono state taglienti, quasi risentite: «Quando ho vinto una tappa al Tour ho ricevuto più attenzioni di quante mi aspettassi. Il ciclismo è un piccolo mondo anche se a chi c’è dentro non pare e per noi che veniamo da oltreoceano lo è ancora di più.

«Il Tour per gli americani è qualcosa di unico, anzi “è” il ciclismo. Se ci partecipi ti dicono “Oh, devi essere davvero forte per essere lì”, ma tutte le altre gare neanche le conoscono. Mi viene in mente l’era Armstrong, gli anni del doping e molti pensano che i ciclisti siano ancora come allora, ma tutto è cambiato. Il difficile però è recuperare la fiducia dopo che il danno è stato fatto e che danno…».