Wilco Kelderman, Stelvio, Giro d'Italia 2020

Kelderman si stacca, Rizzato racconta…

23.10.2020
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Stefano Rizzato è quello che il Giro ce lo racconta dalla moto. Come lui c’è Marco Saligari, l’occhio del corridore. Ma Stefano è giornalista e forse se qualche anno fa, prima che vincesse il concorso Rai, gli avessero detto che avrebbe raccontato il Giro d’Italia dalla sella di una motocicletta, si sarebbe fatto una risata. Perché Stefano è appassionato di ciclismo, ma non va sulla bici da corsa. Non va in moto. E tantomeno ama la velocità. Eppure sulla moto che ha accompagnato i corridori lungo i tornanti dello Stelvio c’era lui. E da casa il racconto del Giro nel giorno dello Stelvio l’hanno ascoltato (anche) da lui.

Per chi crede che i giornalisti non si emozionino o non vivano le corse come i corridori, la conversazione che sta per cominciare sarà illuminante.

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Che giornata è stata quella dei laghi di Cancano?

Tosta. In realtà, al di là dell’organizzazione del lavoro, sai che vai incontro a una tappa che dovrebbe dire molto. Stai per raccontare qualcosa che sarà all’altezza della storia del Giro. A questo vanno unite le cose spicciole. Ad esempio, lo Stelvio è stato il primo giorno in cui ho messo la calzamaglia e il doppio calzino.

Era nei programmi che facessi il Giro in moto?

Ho cominciato a Castrovillari, ma devo dire che il giorno di Ganna a Camigliatello è stato molto bello.

Come funziona il vostro lavoro?

Li prendiamo alle 13,30, quindi di solito copriamo le ultime tre ore. Raccontiamo tutto. Quello che non viene detto è inerente alle sensazioni, alle percezioni…

Ad esempio?

Ad esempio a un certo punto ho detto che Hindley poteva attaccare, ma sono cose che in teoria potresti dire solo se ne hai la certezza.

Che cosa non viene raccontato?

Il traffico. Il dialogo con i regolatori. Tutto quello che noi vediamo, ma non è funzionale al racconto. 

Ci si affeziona a corridori?

Non ho grosse spinte nazionalistiche. Non sono tifoso. Però sono legato ad alcune persone per quello che colgo della loro personalità. Alcuni mi colpiscono, come Tao Geoghegan Hart. E’ determinato senza essere feroce. Ciclista senza essere un asceta. L’anno scorso disse di voler assaggiare 21 tipi di crostate, una per ogni tappa del Giro. Non tifo, ma resto colpito. Come Ganna, sono stato a casa sua, conosco i suoi valori. Mi piace perché è un ciclista non convenzionale.

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Quanto c’è di retorico nel racconto dalla moto?

Devi enfatizzare, ma c’è un limite. Se si stacca Nibali o vince Ganna, è chiaro che devi metterci qualcosa di più.

Non sei come Giampiero Galeazzi con gli Abbagnale, quindi…

Il Giro è una corsa diversa dal contesto olimpico. Ma certo più stai dentro e più empatizzi con tutti. Anche con quello che cerca la borraccia in ogni macchina e non la trova. Il ciclismo è uno sport feroce, non puoi aver figli e figliastri.

In che modo vi dividete corsa e gruppi con Saligari?

Decidiamo all’ultimo, cercando di bilanciare i nostri stimoli. Si fanno scelte equilibrate. Nessuno deve tornare a casa con la sensazione di aver fatto meno degli altri. Io poi ho le interviste flash, quindi devo sfilarmi prima.

Che cosa ti è rimasto in mente della tappa di ieri?

Il momento in cui si stacca Kelderman sullo Stelvio. Mi sono reso conto che era un momento che sarebbe restato anche a fine Giro. Da quel momento ho osservato la sua determinazione, la tensione dei muscoli sullo Stelvio. Parlava della sua determinazione e di una carriera tutta protesa verso quel momento.

E poi?

Il momento in cui siamo passati sullo Stelvio. Il panorama che si è aperto davanti a noi in quel momento – con Tao Geoghegan Hart, Dennis e Hindley già piccoli in basso – mi ha fatto rendere conto del privilegio di essere lì in quel momento. Ne ho parlato anche con il motociclista, Giuseppe Marino, un personaggio fondamentale della storia. Gli ho detto che una volta avrei pagato per essere lì, in quel momento.

Ci sono dei rischi nel vostro racconto?

Quello di andare oltre le righe e di personalizzare tutto perché ti senti testimone della storia. Quello di interpretare cose che non hanno riscontro. La cosa fondamentale per questo è essere onesti.

Un esempio del secondo caso?

Non sapevo perché mai a un certo punto Kelderman avesse rallentato, per mangiare e bere. Un momento teso in squadra? L’interpretazione fa parte del momento. Si può anche essere smentiti, ma questo non mi spaventa. La fallibilità è apprezzata.

Stefano Rizzato e il motociclista Giuseppe Marino
Rizzato e il motociclista Marino
Ci si documenta prima di andare al via, dato che il Covid riduce la possibilità si incontro?

Quest’anno mi poggio molto sul lavoro degli anni passati. Non mi documento sui risultati dei corridori, perché snocciolarli non è il mio lavoro. Essendo specializzato nel ciclismo, tante cose le conosco già. Per cui studio il percorso, ma non vado in cronaca con un foglio di appunti. Se so qualcosa in più, questa arricchisce il racconto.

Chiedi la linea oppure te la danno dalla postazione?

Metà e metà. Io do sempre i miei aggiornamenti al coordinatore e poi in base a quello che dico e quello che succede, ricevo la linea.

C’è più adrenalina in una tappa come quella dello Stelvio?

Di sicuro. A volte penso a me come ad un atleta, che la mattina si sveglia con motivazioni particolari. Pensi che sarà un giorno importante e dovrai trovare le parole giuste. Retorico senza cadere nella retorica. Trovando lo spartito giusto per una giornata che promette di essere un concerto…