Kooij mattatore al Tour of Britain: Affini fa gli onori di casa

14.09.2023
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L’ultima settimana di corsa della Jumbo-Visma ha visto una grande serie di vittorie. Quella che, da un certo punto di vista, ha colpito più di tutte è il dominio al Tour of Britain. In particolare il poker calato da Olav Kooij nelle prime quattro tappe, un dominio in volata che merita di essere approfondito. Chi può aiutarci a guardare attraverso questi successi è Edoardo Affini

Il mantovano risponde da casa, è appena rientrato dalla trasferta britannica. La notizia dell’incidente di Van Hooydonck lo ha raggiunto nella mattinata di ieri. I due hanno corso insieme il Tour of Britain.

«Siamo stati insieme fino a 24 ore prima dell’incidente – dice Affini con voce affranta – anche noi non sappiamo nulla. Il comunicato di ieri sera della squadra racchiude quel che sappiamo: praticamente nulla. Con Nathan ci avevo appena corso 8 giorni di fila e fino alla sera prima ci eravamo scambiati anche dei messaggi. Mi dà fastidio che parte della stampa scriva cose non accertate, la vedo come una mancanza di privacy verso la famiglia».

Affini è stato il penultimo uomo del treno per Kooij al Tour of Britain
Affini è stato il penultimo uomo del treno per Kooij al Tour of Britain
Edoardo, cerchiamo di tornare con la mente al Tour of Britain, siete andati in grandi forze.

Per fare una squadra da grande Giro mancavano due corridori, visto che correvamo in sei. Però eravamo ben attrezzati diciamo, considerando che l’ultimo uomo di Kooij era Wout (Van Aert, ndr). 

Quattro vittorie di fila non si vedono tutti i giorni…

Vero, ma è anche dovuto alla conformazione delle tappe, l’arrivo in volata era quasi sicuro in tutte le prime frazioni. Dopo aver vinto il primo sprint abbiamo capito che la corsa sarebbe stata in mano nostra. Le altre squadre hanno capito il nostro potenziale e ci hanno lasciato l’onere di chiudere sui fuggitivi. 

Tu che ruolo hai ricoperto in questo Tour of Britain?

Ero il penultimo uomo del treno, un ruolo che ho già fatto qualche volta e con il quale mi sono trovato bene. Alla Parigi-Nizza, sempre per Kooij, ho fatto anche l’ultimo uomo. Al Tour of Britain eravamo più organizzati, perché la squadra era tutta per lui: Van Emden e Kruijswijk avevano il compito di chiudere sulla fuga. Mentre Van Aert, Van Hooydonck ed io eravamo gli addetti al treno. 

L’ultimo uomo era un certo Wout Van Aert, una garanzia per il giovane calabrone
L’ultimo uomo era un certo Wout Van Aert, una garanzia per il giovane calabrone
Che tipo di velocista è, esigente?

Il giusto. In questo caso eravamo ben attrezzati per lui, ma alla Parigi-Nizza ci è capitato più volte di doverci arrangiare. E’ uno che sa prendere bene la posizione in gruppo anche se non scortato alla perfezione, ha una buona capacità di lettura. 

In che modo affrontavate gli sprint?

Nella maniera classica: guardando la strada su Veloviewer. A parte un paio di occasioni, dove abbiamo avuto la fortuna di partire e arrivare nello stesso posto, così dopo il foglio firma andavamo a vedere gli ultimi 2 chilometri.

Sempre meglio avere un occhio in più…

Sì, Kooij veniva insieme a Wout e me e insieme guardavamo la strada: buche, tombini, rotonde. Che poi, si può guardare tutto alla perfezione, ma poi la corsa è un’altra cosa.

Kooij è un velocista moderno, che non teme gli arrivi in leggera pendenza o percorsi difficili
Kooij è un velocista moderno, che non teme gli arrivi in leggera pendenza o percorsi difficili
In che senso?

Ricordo che in un’occasione, ai meno 7 dall’arrivo, eravamo piazzati bene in testa al gruppo. Stavamo arrivando verso una rotonda che avevamo già visto dalle mappe e sapevamo di doverla prendere a sinistra. Solo che accanto a noi c’erano due squadre che hanno sbagliato la traiettoria e siamo finiti dalla parte opposta. Tutto ad un tratto da primi ci siamo trovati ultimi. 

In questi casi è uno che si fa prendere dal panico?

No. Come detto, ha ottimo capacità di prendere posizione anche da solo, quindi non cade in questi tranelli. 

Che tipo di sprint ha?

Non ha una volata estremamente lunga, non è uno di quei corridori che parte ai 300 metri. Allo stesso tempo non nemmeno è uno sprinter alla Ewan che esce praticamente sulla linea d’arrivo. 

Per l’olandese è l’anno della consacrazione: 10 vittorie ed altrettanti piazzamenti sul podio nel 2023
Per l’olandese è l’anno della consacrazione: 10 vittorie ed altrettanti piazzamenti sul podio nel 2023
E’ un corridore che tiene bene anche nelle volate atipiche, magari con la strada che sale un po’ o con un finale insidioso.

Non teme salitelle o rettilinei che tirano un po’ all’insù. Non è pesante (è alto 184 centimetri e pesa 72 chili, ndr) e questo lo aiuta. E’ quello che definiremmo come velocista moderno.

Correrete ancora insieme?

Domenica abbiamo una gara in Belgio: la Gooikse Pijl. 

Poi tu come prosegui con il calendario?

Ancora non lo so bene. L’unica cosa che so è che dovrei finire con la Parigi-Tours l’8 di ottobre. Quest’anno ho iniziato presto: dalla Omloop Het Nieuwsblad a febbraio e correrò fino all’ultima gara del calendario europeo, la Parigi-Tours appunto. Metterò insieme 65 giorni di corsa più o meno, non pochi.

Vingegaard da solo, per l’amico e per la Vuelta

12.09.2023
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In quella gola scura come il cielo che ha portato pioggia sulle Asturie, Jonas Vingegaard ha pescato direttamente dal cuore per scattare e vincere la seconda tappa di questa Vuelta. Se la vittoria sul Tourmalet gli aveva permesso di fare gli auguri a sua figlia, quella di oggi è servita per sentirsi vicino a Nathan Van Hooydonck. Sull’arrivo è crollato, sfinito e in lacrime: neppure al Tour lo avevamo visto così provato.

L’incidente di Van Hooydonck e sua moglie ha gelato il gruppo. Il belga dovrebbe essere fuori pericolo (foto BFM/Het Nieuwsblad)
L’incidente di Van Hooydonck e sua moglie ha gelato il gruppo. Il belga dovrebbe essere fuori pericolo (foto BFM/Het Nieuwsblad)

Tutti per Van Hooydonck

Stamattina intorno alle 8,30 il corridore belga ha perso il controllo della sua Range Rover nera, a causa di un malore improvviso. L’auto ne ha travolte altre cinque, prima di fermarsi. A bordo c’era anche sua moglie incinta, che per fortuna ne è uscita illesa (la coppia aveva già perso un bimbo nel 2021). Van Hooydonck è stato portato all’ospedale e messo in coma farmacologico. La notizia si è abbattuta sulla squadra come un pugno alla bocca dello stomaco, per cui quando via radio all’inizio della salita i corridori hanno saputo che il compagno era finalmente vigile (come ha confermato anche il bollettino arrivato in serata), Vingegaard ha potuto spiccare il volo.

«All’inizio della salita finale – ha confermato sul traguardo Attila Valter – ci è stato detto che Nathan è sveglio e starebbe abbastanza bene. Questo è quello che abbiamo sentito e spero che sia così. Abbiamo tutti sentimenti contrastanti, abbiamo lottato e vinto per lui. Non so se possa già guardare la TV, ma spero che presto possa fare il tifo per noi. Noi lo stiamo già facendo per lui».

Sull’arrivo Vingegaard non ha voluto esultare. Prima si è messo la mano sul cuore e poi è crollato
Sull’arrivo Vingegaard non ha voluto esultare. Prima si è messo la mano sul cuore e poi è crollato

Per il miglior amico

Chissà se la notizia è arrivata quando Vingegaard, ripreso dalle telecamere prima di scattare, ha comunicato con l’ammiraglia. Se così fosse, la scena acquisirebbe un impatto emotivamente immenso. Anche se il risultato finale è stato anche l’attacco frontale al compagno Kuss in maglia rossa.

«Ho vinto per il mio migliore amico», ha detto il danese. «Stamattina abbiamo ricevuto una notizia terribile – ha continuato – e volevo vincere per lui. Fortunatamente ora ci sono buone notizie sulle sue condizioni. Un grande sollievo per me e per tutta la squadra. Spero che ora possa riprendersi bene».

Vingegaard a questo punto, con un ritardo di soli 29 secondi da Kuss, rischia di essere il candidato numero uno per la vittoria finale, anche se in questa serata ad alta emotività, ha preferito non fare previsioni. Non ha neppure esultato. Solo a pochi metri dal traguardo ha poggiato più volte il palmo della mano sul cuore, tradendo l’emozione che solo raramente affiora nei suoi gesti.

Evenepoel ha tagliato il traguardo a 14’16”, terz’ultimo dell’ordine di arrivo: domani farà la tappa?
Evenepoel ha tagliato il traguardo a 14’16”, terz’ultimo dell’ordine di arrivo: domani farà la tappa?

Provocazione Bruyneel

Chi sull’Angliru potrebbe far esplodere la corsa è Evenepoel. Al suo indirizzo ha parlato in un podcast uno che di ciclismo ne sa tanto, che è stato messo giustamente ai margini, ma indubbiamente sa come si gestiscono le squadre nelle grandi corse a tappe: Johan Bruyneel, mentore e complice di Armstrong nei sette Tour vinti e poi restituiti.

«Il fatto che Remco sia andato in fuga sabato è stata un’idea perfetta – ha detto nel podcast TheMove+ – il percorso era adatto per staccare tutti, infatti è arrivato da solo. Invece non è stata una buona idea andare anche il giorno dopo. Era una tappa meno difficile e dopo la fuga del giorno prima doveva essere anche stanco. Non è un robot, né un superuomo. Il ciclismo ai massimi livelli non funziona così, anche se ti chiami Remco Evenepoel. La squadra sta cercando corridori che possano assisterlo in salita, ma forse dovrebbero cercare persone che possano consigliarlo meglio. Ogni squadra ha un capitano che prende le decisioni finali più difficili e quel capitano dovrebbe essere il direttore sportivo. Invece penso che sia Remco stesso il capo di questa squadra. Se vuole vincere un’altra tappa, deve concentrarsi sull’Angliru. E non in fuga. Deve lottare con i grandi e cercare di battere il trio Jumbo-Visma. Sarebbe una buona aggiunta alla sua Vuelta e soprattutto gli darebbe una iniezione di fiducia. Se fossi in lui, sarebbe l’obiettivo principale».

Secondo Caruso, l’Angliru assesterà la classifica alle spalle della Jumbo, ma non si aspettava l’attacco di Vingegard
Secondo Caruso, l’Angliru assesterà la classifica alle spalle della Jumbo, ma non si aspettava l’attacco di Vingegard

Parola a Caruso

La chiusura la lasciamo a Damiano Caruso, raggiunto sul pullman mentre si dirigeva verso l’hotel, che per una volta le squadre hanno raggiunto a un orario umano. Nel finale il ragusano è stato davanti con Landa e alla fine si è piazzato 16° a 1’26” da Vingegaard.

«Domani – ci ha detto – sarà una salita un po’ particolare, una di quelle tappe che darà un bell’assestamento fra le posizioni di rincalzo. Non per la Jumbo, perché quelli l’assestamento l’hanno già fatto oggi. L’Angliru l’abbiamo visto più di una volta ed è una salita nella quale non si può mentire. La Jumbo oggi ha dimostrato ancora una volta che sono fortissimi, perché hanno controllato la fuga agevolmente. Poi nel finale sinceramente sono rimasto sorpreso dell’attacco di Vingegaard, che praticamente è stato un attacco diretto al suo compagno di squadra. Io pensavo e come me tanti pensano che vogliano far vincere la Vuelta a Kuss, ma dopo quello che ho visto oggi credo che questo non sia scontato. Insomma, sarà interessante vedere anche come si muoveranno domani…».

Una Vuelta durissima, le fatiche e i record di Cimolai

12.09.2023
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A saper leggere nei post condivisi sui social, si riescono a intercettare gli stati d’animo delle persone. Per cui la foto di pochi giorni fa attraverso cui Davide Cimolai, attualmente alla Vuelta, esprimeva quanto gli manchi sua figlia Nina, che ha appena compiuto due mesi, la dice lunga sull’entusiasmo con cui il veneto sta vivendo la corsa spagnola. La classifica è spietata e lo colloca in penultima posizione, a 3 ore 10’01” da Kuss. Ma se questo può essere un dato poco indicativo, le sue sensazioni e i numeri in corsa dicono altro.

«Nina era nata da un mese – ammette Cimolai – e sono subito andato via di casa, però vabbè. In compenso questa Vuelta è una delle corse a tappe di livello più alto che abbia mai fatto. Sul piano dei numeri e dei wattaggi lo standard è altissimo. Personalmente sto bene, altrimenti sarei già andato a casa. Ma guardavo che domenica nelle prime due ore di corsa, ho fatto il mio record degli ultimi 7 anni sui 90 minuti: 339 watt medi».

Con questa foto su Facebook, Cimolai ha reso perfettamente la fatica di essere lontano per la Vuelta
Con questa foto su Facebook, Cimolai ha reso perfettamente la fatica di essere lontano per la Vuelta
Ed eravamo pur sempre alla fine della seconda settimana…

Alla quindicesima e dopo due tappe durissime come quella di venerdì e sabato. Vedendo come sono state disegnate le tappe di questa Vuelta, le squadre hanno deciso di sacrificare i velocisti per portare gente che va di più in salita. Magari questo ha influenzato e sta influenzando le tappe, perché alla fine io con i miei valori mi ritrovo sempre dietro con gli ultimi. Faccio i miei record di sempre e mi ritrovo dietro con altri 30 corridori. Per fortuna sto bene…

Con quale obiettivo sei partito per la Spagna?

Quest’anno mi sono specializzato nel fare l’ultimo uomo, quindi l’obiettivo era provare a vincere con Coquard. Purtroppo le cose sono andate male, lui si è ritirato il quinto giorno per una caduta e io ho provato a buttarmi dentro. Ho pensato che non essendoci i treni dei grossi velocisti, avrei potuto fare delle volate un po’ più facili rispetto al Giro e alla Tirreno. Invece no. Ne parlavo anche con Dainese e qua le volate sono più caotiche che al Giro. Non c’è controllo, quindi il problema è prendere posizione e purtroppo è una cosa che non riesco a fare da solo. E’ veramente uno dei grandi Giri più difficile della mia carriera.

Si tiene duro anche per rinnovare il contratto?

Anche per quello sicuramente. Dovrei rimanere qua (alla Cofidis, ndr), però finché non firmo…

Ti trovi bene in questo ruolo?

Mi reputo un ragazzo intelligente e a 34 anni bisogna capire qual è il proprio ruolo in squadra. Mi sono trovato bene ad aiutare Brian, anche perché so che è un vincente. E’ normale che vorrei giocarmi le mie carte, è sempre bello fare un piazzamento. Però a una certa età bisogna decidere cosa è meglio fare e io ho deciso così. Spero che la scelta venga apprezzata dalla squadra.

Dopo il ritiro di Coquard, la Cofidis ha vinto con Herrada la tappa di Laguna Negra
Dopo il ritiro di Coquard, la Cofidis ha vinto con Herrada la tappa di Laguna Negra
Quante tappe restano alla portata di Cimolai?

L’ultima a Madrid e quella di venerdì a Iscar. Anche lì dovrò essere bravo ad arrangiarmi, perché con tutto il bene che voglio ai miei compagni e tutto il bene che vogliono a me, non hanno le caratteristiche per aiutarmi. Siamo venuti con una squadra attrezzata per le fughe e fortunatamente abbiamo vinto, per le volate vedremo cosa tirare fuori.

Come si vive dall’interno il mega controllo Jumbo sulla corsa?

E’ difficile, perché dal mio punto di vista praticano un altro ciclismo, nonostante io non sia l’ultimo  arrivato. In salita hanno un altro passo. Normalmente nei grandi Giri faccio gruppetto perché voglio farlo, per salvare un po’ di energie. Qui alla Vuelta sono costretto a farlo e impegnarmi a tutta, per non arrivare fuori tempo massimo. Siamo ai livelli del Tour de France e torniamo sempre al solito discorso che il ciclismo è cambiato. Siamo sempre al limite col tempo massimo e alla fine è dura, non lo nego.

Stanno mettendo in difficoltà un po’ tutti, non solo i velocisti. E anche Evenepoel ha fatto la fine di Pogacar al Tour…

Guardavo i numeri rispetto all’anno scorso e nel 2022 siamo andati molto più piano. Per cui, venendo al discorso di Pogacar ed Evenepoel, uno può avere talento, può avere tutto, però in un grande Giro bisogna limitare qualsiasi sparata di troppo. Per quanto io reputi Evenepoel un fenomeno, per quanto abbia solo 23 anni e sia un grande campione, se ti ritrovi contro una Jumbo con Vingegaard e Roglic, devi saperti gestire.

In questa Vuelta, dice Cimolai, fare gruppetto serve per arrivare nel tempo massimo
In questa Vuelta, dice Cimolai, fare gruppetto serve per arrivare nel tempo massimo
Vingegaard, Roglic e Kuss, che ha fatto anche Giro e Tour, eppure ancora va fortissimo…

Credo che lui i nemici li abbia in casa, anche se mi auguro che decidano di proteggerlo, perché se lo merita per tutto quello che ha sempre fatto. Insomma, ecco la storia della Vuelta 2023.

Per dare un voto aspettiamo Madrid?

E’ chiaro che un podio alzerebbe notevolmente il giudizio complessivo. Però bisogna essere anche onesti nel dire: «Okay ragazzi, io più di così sto non posso dare. Sto nel mio piccolo, sto migliorando, ma se il livello è così alto, cosa puoi farci di più?». Ci sono ancora due volate, però sicuramente noi velocisti arriveremo lì stanchi morti noi. Tranne Groves, che ha una condizione veramente stratosferica: non solo in volata ma soprattutto in salita, ha dimostrato di veramente di essere un corridore con la C maiuscola.

Germani, la mia prima Vuelta: si continua tra salite e fatica

11.09.2023
5 min
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La seconda settimana di Vuelta è alle spalle, sei giorni di grande fatica, passando dalla cronometro al Tourmalet. Insieme a Lorenzo Germani continuiamo il diario di questo suo primo grande Giro. Dopo tanti giorni in sella la fatica si sente eccome, ma la determinazione per arrivare fino in fondo è maggiore. 

«Il giorno della crono – racconta Germani poco prima di uscire con i compagni per una sgambata – stavo malissimo. Avevo sensazioni strane, non riuscivo a stare bene in posizione, ero costantemente fuori sella. Sensazioni orribili che mi sono portato dietro per tutta la settimana praticamente».

Durante la cronometro le sensazioni peggiori per Germani: gambe vuote e fatica a stare in posizione
Durante la cronometro le sensazioni peggiori per Germani: gambe vuote e fatica a stare in posizione

Fatica accumulata

Avere una cronometro il giorno dopo quello di riposo non è mai facile, ce lo ha raccontato anche Vincenzo Nibali. Anche quando non si hanno velleità di classifica bisogna comunque spingere, perché in questo ciclismo rallentare sembra quasi proibito

«Nei due giorni dopo la cronometro – riprende Germani – avevo quella sensazione di gamba vuota. Pian piano è andata sempre meglio, ma ho vissuto con una sensazione di stanchezza generale. A questa ha contribuito anche il raffreddore che da qualche giorno condiziona me e i miei compagni. Non credo si tratti di un virus o altro, semplicemente è dovuto agli sbalzi di temperatura e alla fatica».

Per Germani le prime tappe dopo il giorno di riposo sono state difficili (foto Groupama-FDJ)
Per Germani le prime tappe dopo il giorno di riposo sono state difficili (foto Groupama-FDJ)
In squadra che si dice, i tuoi compagni hanno le tue stesse sensazioni?

Più o meno sì. I ritmi sono davvero esagerati, basti pensare che nella tappa di Laguna Negra, il giorno dopo la cronometro, abbiamo tenuto una media di 46 all’ora. Considerando anche la salita finale. 

Ritmi alti, che non permettono mai di rifiatare…

Sì, anche Lenny (Martinez, ndr) li ha sofferti. Praticamente il giorno dopo la tappa del Tourmalet tutta la squadra ha fatto gruppetto. 

Com’è andata sul Tourmalet? E’ stata la tappa che ha scombussolato la Vuelta..

Quel giorno io ho solamente pensato al tempo massimo, dovevo starci dentro e basta. E’ stata una tappa durissima, già dalla prima salita il ritmo era altissimo, tanto che molti corridori si sono staccati subito (tra cui Evenepoel, ndr).

Nella tappa del Tourmalet la testa era focalizzata sul tempo massimo, nient’altro
Nella tappa del Tourmalet la testa era focalizzata sul tempo massimo, nient’altro
C’è stata subito una partenza in salita, anche se corta.

Tosta anche quella, poi i 30 chilometri successivi di discesa sono stati fatti a blocco. La Jumbo ha deciso di fare corsa dura fin da subito ed il rischio per me era il tempo massimo. La tappa era corta, quindi non c’era troppo margine (il limite era a 37 minuti, Germani e compagni sono arrivati a 31’57”, ndr).

Com’è stato gestirsi?

La cosa che ho capito fin da subito era che non sarebbe stato utile fare un fuori giri già dalla prima salita lunga, il Col d’Aubique. L’avrei pagato con gli interessi dopo, quindi ci siamo messi al nostro ritmo, ma comunque abbiamo dovuto menare tanto. Solo sull’ultima salita abbiamo potuto gestire di più lo sforzo. Per fortuna avevo dietro l’ammiraglia, quindi potevo andare a prendere i rifornimenti quando volevo, in più ci davano indicazioni per il tempo massimo. 

Il giorno dopo però avete faticato ancora, e non poco…

Quella tappa è stata difficile per tutti, anche per Lenny Martinez. Lui sul Tourmalet aveva tenuto più di noi, arrivando a 8 minuti. La tappa successiva però non ci ha nemmeno provato, troppa fatica. 

Martinez nella tappa del Tourmalet è stato il primo corridore della Groupama-FDJ a tagliare il traguardo, a 8’25” da Vingegaard
Martinez nella tappa del Tourmalet è stato il primo corridore della Groupama-FDJ a tagliare il traguardo
Come vi siete fatti forza per arrivare al traguardo?

Io quel giorno da Lenny mi sono fatto spingere (dice ridendo ndr). Con tutte le borracce che gli ho portato un aiuto era più che dovuto. Come detto eravamo tutti nel gruppetto, c’era solo Storer in fuga, ha provato a vincere, ma ha trovato un Evenepoel esagerato.

La sua è stata una super reazione dopo il giorno a vuoto…

Da dentro abbiamo tutti detto: «Chapeau!». Reagire così non è da tutti, anzi, il giorno dopo (ieri, ndr) ci ha provato ancora. 

Cosa si dice del dominio Jumbo-Visma?

Ce lo aspettavamo, sono la squadra più forte. Forse non ci si aspettava di vedere Kuss in maglia rossa. Ma fanno davvero paura, erano il team da battere e così è, per il momento in maniera abbastanza incontrastata. 

Germani (dietro) e Martinez (davanti) sono entrambi al primo grande Giro (foto Groupama-FDJ)
Germani (dietro) e Martinez (davanti) sono entrambi al primo grande Giro (foto Groupama-FDJ)
La fatica di quest’ultima settimana si chiama Angliru, cosa ti aspetti?

Fatica, tantissima. In tappe così penso solamente ad arrivare all’imbocco della salita finale e poi sfilarmi. Per fortuna abbiamo un pacco pignoni che va dall’11 al 34 e nonostante questa scala ampia riusciamo a montare il 54-36 davanti. Se avessi dovuto montare il 52 mi sarei sentito come un allievo in mezzo ai professionisti (ride ancora, ndr). 

Da qui a fine Vuelta manca una settimana, obiettivi?

Mi piacerebbe entrare in una fuga, in questi giorni ci ho provato qualche volta, ma è tostissima. Le tappe sono state vinte solamente da grandi campioni, non c’è praticamente spazio per gli altri. Domenica ho provato ad uscire, stavo anche abbastanza bene. Dopo 10 chilometri la strada si stringeva e avevo individuato quello come punto ideale. Invece la fuga è andata via 50 chilometri dopo. Anche questa è tutta esperienza, bisogna saper attendere e muoversi al momento giusto. 

Poi Germani ci racconta del raffreddore che sta passando e di altri problemi. Verso le 11,30 lo lasciamo andare, a breve deve prendere la bici per fare una sgambata, sperando che sciolga un po’ le fatiche di queste 15 tappe.

EDITORIALE / Kuss, la Vuelta bloccata e il ruolo di Remco

11.09.2023
5 min
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Ci sarebbe stato bisogno di Evenepoel per dare a questa Vuelta una parvenza di suspence. E così adesso, pur sapendo che sia pressoché impossibile che rientri nei giochi, siamo tutti lì a chiederci se il belga potrà dare il suo contributo per rendere decisivo l’Angliru di mercoledì. Il guaio della corsa spagnola infatti, che è disegnata per non concedere spazio a vincitori improvvisati, è che tutti i più forti corrono con la stessa maglia: quella della Jumbo-Visma. Questo di fatto li neutralizza, permettendo a un ottimo corridore come Kuss di sognare in grande. E se finora il miglior risultato dell’americano era stato l’ottavo posto del 2021 alle spalle di capitan Roglic, ora la Vuelta rischia di vincerla davvero.

Anche Pogacar al Tour (Courchevel) pagò il riposo, la crono del giorno dopo e i continui scatti contro Vingegaard
Anche Pogacar al Tour (Courchevel) pagò il riposo, la crono del giorno dopo e i continui scatti contro Vingegaard

La lezione di Pogacar

Anche Tadej Pogacar, che di Tour ne ha pur vinti due, si è accorto che contro la Jumbo-Visma non è più tempo di gesti sconsiderati. I “calabroni” hanno eletto la concretezza ad arma suprema e corrono con il massimo cinismo, trangugiando estratto di barbabietola dopo ogni arrivo. Colpiscono quando serve e guidano il gruppo nel tempo che resta. Niente di troppo inedito: il Team Sky si muoveva in modo identico.

Evenepoel non l’ha ancora capito. E se nelle corse di un giorno gli riesce ancora la giocata ad effetto, nelle grandi corse a tappe continua a commettere errori da eccesso di esuberanza. Il belga una Vuelta l’ha pur vinta, quella del 2022. Però aveva davanti solo Roglic al rientro dopo la caduta del Tour, che per giunta sul più bello decise di… suicidarsi (la caduta di Tomares resta fra i misteri mai spiegati).

Questa volta invece si è trovato sulla strada un buon Vingegaard e un ottimo Roglic e non ha capito che certe cose non può (ancora) farle. In questo ciclismo dei massimi livelli, ogni azione di troppo svuota il serbatoio. Non avere accanto un campione da grandi Giri da cui imparare e sull’ammiraglia qualcuno che ne abbia guidato uno alla vittoria è una lacuna che la Soudal-Quick Step dovrebbe colmare alla svelta. Altrimenti Remco se ne va.

Attenzione: nessuno vuole imporre al belga di vincere il Tour, si diventa grandissimi anche senza. Finora ne ha parlato soltanto lui. Ma la strada è lunga e parte proprio dal capire che non è sbagliato avere dei limiti: anzi, è il punto di partenza per superarli.

Gregari extra lusso

Leggendo la classifica generale, si apre però la porta su una serie di considerazioni. La prima è che i rivali dichiarati della vigilia, da Mas ad Ayuso, passando per Almeida, Buitrago e Landa, hanno nuovamente mostrato la loro poca consistenza: ciascuno con le sue motivazioni. Ayuso ad esempio è così giovane (e come lui anche Uijtdebroeks) che sarebbe ingiusto puntare il dito: da loro ci aspettiamo che continuino a correre non in difesa delle posizioni acquisite, ma per scardinare la situazione imparando a prendersi le misure. Ayuso può ancora puntare al podio, se Kuss avrà un passaggio a vuoto. Il belga invece potrebbe voler fare meglio del compagno Vlasov e (in un duello belga) dello stesso Evenepoel.

In ogni caso, non è davvero semplice immaginare di attaccare il leader della corsa in salita, se fra i suoi gregari c’è uno che ha vinto per due volte il Tour e un altro che ha vinto il Giro d’Italia e per tre volte la Vuelta.

«Prima del via – ha spiegato Kuss – il piano era di correre per i nostri due capitani, ma ora le opzioni sono diventate tre. Le gambe sono buone, anche meglio di una settimana fa. Ogni giorno mi sento meglio, con ancora più voglia. Oggi il leader sono io, ma di noi tre, deve vincere il più forte. Ci sono ancora tappe molto difficili: io mi sento pronto per raccogliere la sfida, ma se vedo che non è possibile, ci sono Primoz e Jonas pronti a subentrare».

Vingegaard è ben contento di supportare Kuss, così pure Roglic. Fra i tre ci sono amicizia e gratitudine reciproca
Vingegaard è be contento di supportare Kuss, così oure Roglic. Fra i tre ci sono amicizia e gratitudine reciproca

Il sogno di Kuss

Il sogno di Kuss è lo stesso di tanti gregari fortissimi che in anni diversi tentarono la sorte, mettendosi in proprio. Viene da pensare a Wouter Poels e Porte che lasciarono Sky cercando fortuna per sé. Oppure ai gregari di Armstrong, da Heras a Hamilton passando per Landis. E dato che in quel caso il capo non permetteva loro di brillare di luce propria, anche loro si staccarono e si misero in proprio. Il solo che riuscì a coronare il suo sogno, rimanendo nella squadra americana, fu Heras nel 2003, che vinse la Vuelta, ma in assenza del texano.

Alla Jumbo-Visma c’è ben altro rispetto. E dato che l’americano in maglia rossa ha scortato in precedenza Roglic alla vittoria del Giro e poi Vingegaard al Tour, nonostante i due potrebbero pretendere di avere in mano la squadra, sembrano davvero contenti di concedergli la chance che, in ogni caso, Sepp si è conquistato e sta difendendo con le sue forze. Kuss ha il contratto fino al prossimo anno: lo prolungheranno subito oppure qualcuno cercherà di portarlo via?

Nibali vinse il Tour 2014 grazie a una solidità eccezionale e al coraggio di attaccare Froome
Nibali vinse il Tour 2014 grazie a una solidità eccezionale e al coraggio di attaccare Froome

La storia si ripete

Purtroppo per la Vuelta, questa gestione rischia di addormentare la corsa. Evenepoel sarebbe servito esattamente a questo, con la sfrontatezza come arma per far saltare gli schemi dello squadrone invincibile. Certi blocchi non li batti con le stesse armi: devi trovare il mondo di portarli sul terreno sudato e sporco del corpo a corpo. E Remco, quando sarà maturato e avrà l’autonomia atletica per poterlo fare, è uno dei pochi al mondo a non aver paura di provarci. Come fece Nibali sul pavé per far saltare gli schemi di Froome. Come Pantani per mandare in tilt Indurain, Ullrich e Armstrong. Prima che qualcuno trovasse il modo per toglierlo di mezzo.

Le voci del Tourmalet: il dominio Jumbo, la resa di Evenepoel

08.09.2023
6 min
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Vingegaard, Kuss e poi Roglic. Già sembra insolito che succeda alla Roubaix, figurarsi sulla cima del Tourmalet. Oggi alla Vuelta va così, con la Jumbo-Visma che domina e gioca con gli avversari. Qualcosa di mai visto, ma niente di strano, considerato il livello degli atleti in ballo. Negli ultimi due anni uno solo ha provato a contrastarli – Tadej Pogacar – che però non è alla Vuelta. E anche lui comunque negli ultimi due Tour ha dovuto chinare il capo.

L’altro grande favorito, Remco Evenepoel, è uscito di scena prima ancora che la tappa entrasse nel vivo e a pensarci bene è questa la vera notizia. Si è staccato con tutta la squadra a 90 chilometri dall’arrivo ed è arrivato dopo 27 minuti. Nei giorni scorsi la Soudal-Quick Step aveva escluso che stesse male, soprattutto dopo che era andato a casa Bagioli, vedremo che cosa verrà fuori stasera. Di sicuro doveva essere il giorno in cui scoprire le sue attitudini per le salite lunghe e stando al risultato, l’esame andrà quantomeno ripetuto. Anche per lui e i suoi 23 anni tuttavia, il livello di Vingegaard, Roglic e del sorprendente Kuss è ancora troppo alto. Ma quanto va forte Kuss, che ha fatto il Giro e anche il Tour?

A più di 90 chilometri dall’arrivo, Evenepoel alza bandiera bianca: basta guardarlo, non è giornata
A più di 90 chilometri dall’arrivo, Evenepoel alza bandiera bianca: basta guardarlo, non è giornata

Ayuso testa dura

Alle loro spalle ha provato a tenere alta la testa il solo Juan Ayuso, che di anni ne ha appena venti ed è stato il solo fra quelli del gruppetto di testa a provare una reazione. Sul traguardo c’è arrivato quarto a 38 secondi. Non abbastanza per sognare in grande, ma quanto basta per coltivare la possibilità di un piazzamento a ridosso dei marziani.

«Vanno forte davvero – dice Manuele Mori che ha seguito lo spagnolo dall’ammiraglia del UAE Team Emirtates – non c’è niente da dire, ma anche Ayuso va forte. Rischiano di far primo, secondo e terzo, anche perché Juan è rimasto uno contro tre, purtroppo. Almeida invece sta prendendo l’antibiotico, perché da due giorni non si sente bene. Da dopo la crono ha iniziato a combattere col mal di gola. Se c’era lui, per la gamba che aveva, era lì di sicuro e allora eravamo in tre contro tre. E poi al conto della sfortuna, va aggiunta la caduta di Jai Vine. Ma adesso bisognerà cercare di inventarsi qualcosa, anche se non è facile. Ayuso sta bene, due giorni fa è caduto pure lui e oggi l’ha sentita. Però è l’unico che ci ha provato, gli altri stavano passivi. Dispiace anche per Remco, non se lo aspettava nessuno. Lui poteva essere un valido alleato…».

La resa di Remco

Nei primi minuti dopo l’arrivo, il belga non ha trovato la voglia di parlare e lo si può ben capire. In ogni caso il suo carisma di leader è stato confermato dal fatto che tutti i compagni gli siano rimasti intorno, a conferma del fatto che se anche la classifica è persa, si lotterà per altri risultati. Sempre sperando che Remco non prenda la palla al balzo per lasciare la compagnia.

«Ovviamente siamo delusi – ha detto Pieter Serry – Remco ha avuto una brutta giornata, non c’è certamente nulla di cui vergognarsi. Ha vissuto una stagione fantastica, solo perché non ha reso oggi non significa che non ci riuscirà in futuro. Ha dato una spiegazione? Non proprio. Mi ha semplicemente chiesto scusa”. Cos’altro dovrebbe dire? Se non va, non va. L’intenzione ora è girare l’interruttore e provare a vincere un’altra tappa. Questa finora è sempre stata la mentalità nella nostra squadra».

«Non c’è molto da dire su questa tappa – ha aggiunto il diesse Klaas Lodewyck – è stata semplicemente una brutta giornata per Remco: non era malato né ferito. E’ un peccato, ma può succedere. Il ciclismo non è correre su un simulatore, siamo tutti esseri umani. Stasera ci siederemo tutti insieme, valuteremo cosa è successo e troveremo nuovi obiettivi per il resto della gara».

La dedica di Vingegaard

Ben altro sentire nel clan dei vincitori, con le strade francesi che restano favorevoli a Vingegaard, commosso e sfinito dopo l’arrivo. Dominati gli ultimi due Tour, il danese è venuto a prendersi una vittoria sul Tourmalet, su cui la Vuelta ha sconfinato. Questa volta però non ci sono state scene di abbracci familiari dopo l’arrivo ed è proprio lui a spiegare il perché.

«Questo è il posto migliore – ha sorriso Jonas – per la mia prima vittoria di tappa alla Vuelta. Ha reso la giornata ancora migliore. Sono così felice perché oggi è il compleanno di mia figlia e volevo vincere per lei. Sono felice, questa è una vittoria per Frida. Il nostro piano era di guadagnare tempo quando se ne fosse presentata l’opportunità e anche questo ha funzionato. E’ stato anche meglio di quanto avessimo previsto».

Uijtdebroeks quinto sul Tourmalet a 38″ da Vingegaard: ha vent’anni, un battesimo speciale
Uijtdebroeks quinto sul Tourmalet a 38″ da Vingegaard: ha vent’anni, un battesimo speciale

La grinta di Uijtdebroeks

In questa sorta di antologia di voci dal Tourmalet, non si può non sottolineare anche la prestazione di Cian Uijtdebroeks. Il giovane belga, quinto all’arrivo, ha vent’anni come Ayuso che l’ha preceduto e nel 2022 ha vinto il Tour de l’Avenir: non è sempre immediato riuscire a confermarsi a certi livelli.

«Mi sono sentito benissimo fin dall’inizio – ha detto – e sull’ultima salita è come scattato un interruttore. Non ho pensato più a niente e ho cercato di tenere duro il più possibile. Seguire Vingegaard non era possibile, sarei scoppiato. Quindi ho semplicemente provato a stare con gli altri. Quando ho ricevuto la notizia che Vingegaard e compagni avrebbero partecipato alla Vuelta, ho pensato che la classifica fosse un capitolo proibito, ma è fantastico aver potuto partecipare a questa tappa. Le gambe mi fanno male, soffro di piaghe al soprassella, ma la testa sta benissimo. E’ un processo di apprendimento fantastico».

Roglic e Vingegaard alla Vuelta, Van Aert tra le gravel

30.08.2023
5 min
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Wout Van Aert e il gravel. Se ci si pensa potrebbe essere il suo terreno naturale, la specialità per lui più congeniale in assoluto: “Dio del cross, asso su strada”: da questo connubio il risultato sembra scontato. E infatti nel suo debutto ha vinto con nove minuti di vantaggio.

Il fatto è avvenuto alla Houffa Gravel, ad Houffalize, località che tra l’altro Van Aert ben conosce in quanto tappa storica del coppa del mondo di ciclocross, dove sull’ondulato percorso di 110 chilometri tra le Ardenne ha dominato. Evidentemente gli è bastata una manciata di giorni di riposo dopo Glasgow per ripresentarsi subito al top.

Al via circa 1.200 appassionati. Davanti gli elite: si nota (in giallo) Van Aert
Al via circa 1.200 appassionati. Davanti gli elite: si nota (in giallo) Van Aert

Assolo di potenza

Wout si è messo “di passo” e dopo neanche 40 chilometri era in testa da solo. La sua è stata una cavalcata solitaria. Il tutto mentre i suoi illustri colleghi, Vingegaard e Roglic iniziavano la Vuelta. Loro ad un grande Giro e lui in una gara nascosta tra le colline delle Ardenne: sembrava un “quadro al ribasso”, il fil rouge di un campione che non ha brillato come ci aveva abituato durante l’estate.

Sin da subito, Van Aert ha detto di affrontare il gravel per divertimento. Tuttavia nel suo programma figura già un appuntamento importante: il campionato mondiale, previsto in Veneto per l’8 ottobre.

«Non sapevo cosa aspettarmi – ha detto Van Aert a fine gara – volevo stare davanti (probabilmente per non incappare in nessun rischio, ndr) e così ho fatto. Quando è iniziata la salita ho preso il mio ritmo e sono rimasto da solo. Per il resto mi sono divertito. Alla fine sì, gare come il Tour o il campionato del mondo sono importanti, ma non ci sono solo quelle».

Poco dopo questo passaggio in salita Wout è rimasto da solo. Era il chilometro 40, più o meno
Poco dopo questo passaggio in salita Wout è rimasto da solo. Era il chilometro 40, più o meno

Test dei materiali 

Il percorso di Houffalize era anche relativamente tecnico, non è mancato qualche passaggio “roccioso”, diciamo di grandi sassi, ed è stato anche un test per i materiali. Anche in questo caso Wout e la Jumbo-Visma non lasciano nulla al caso.

«In effetti – ha spiegato Van Aert – volevamo correre qui anche per testare il materiale proprio in vista del mondiale. Sentivo che la bici rispondeva e potevo guidare bene in discesa. Mi sentivo sicuro. Il gravel è un buon punto d’incontro fra la strada e il cross: non è tecnico come il cross, appunto, ma è più lungo… quasi come una gara di strada».

Van Aert ha utilizzato la Cervélo Áspero-5, montata con il monocorona Sram e le coperture Vittoria Terreno Dry il cui diametro sembrava – il condizionale è d’obbligo – da 45 millimetri. Questa è infatti la sezione massima che può ospitare il carro di una gravel bike aerodinamica come la Áspero-5. E infatti di spazio tra ruota e telaio ce n’era davvero poco. In caso di fango Wout dovrà optare per altre soluzioni.

Alla fine il belga ha chiuso con 32,9 di media oraria, e poco di 2.000 metri di dislivello su 110 chilometri
Alla fine il belga ha chiuso con 32,9 di media oraria, e poco di 2.000 metri di dislivello su 110 chilometri

Obiettivo iridato

«La mia idea è quella di vincere il titolo mondiale gravel. Ogni volta che parto per una gara è quello il mio obiettivo. Certo, ci sarà un altro livello», ha detto Van Aert.

Al mondiale il livello sarà differente: questo è certo. Lo scorso anno la coppia della Alpecin-Deceuninck, Mathieu Van der Poel e Gianni Vermeersch, fu dominante. Ci sarà anche Valverde, che di fatto per sua stessa ammissione, non ha smesso di allenarsi come una volta. Ci sarà qualche punta della nazionale italiana, viene da pensare a Daniel Oss che lo scorso anno salì sul podio. Magari ci sarà anche Sagan. E ci saranno due atleti che a questa disciplina danno del tu: Lutsenko e Pidcock.

Gli stradisti, spinti anche da un mercato delle bici che “tira”, alla fine non mancheranno.

Van Aert si è preso Houffalize con 9′ sul connazionale (e grande amico) Dan Soete e il tedesco Paul Voss
Van Aert si è preso Houffalize con 9′ sul connazionale (e grande amico) Dan Soete e il tedesco Paul Voss

Ma prima l’europeo

Van Aert è stato il primo a scoprire le carte tra i grandi che puntano al mondiale gravel. Questa sua presenza a Houffalize è stata dettata soprattutto da un prendere coscienza con l’ambiente, per capire certe dinamiche. Una prova generale dei materiali come effettivamente è stato e anche per allenarsi e competere con meno stress, come ha detto lui stesso.

Tuttavia, tra il mondiale gravel, che si terrà ad ottobre, e questi giorni di mezzo c’è il campionato europeo, su strada chiaramente.

«L’europeo è il mio obiettivo principale di fine stagione. La gara di Drenthe, dove si disputa, mi piace», ha detto Wout. Il corridore di Herentals ci arriverà passando dal Tour of Britain (piccola corsa a tappe) e un’altra piccola gara di un giorno in Belgio.

Roglic, una finestra sulla Vuelta… con Burgos nel sacco

21.08.2023
4 min
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«Sono venuto qui per stare un po’ meglio e penso di esserci riuscito»,Primoz Roglic come sempre è diretto, sincero e pratico. Lo sloveno parla così della Vuelta Burgos, classico appuntamento di avvicinamento al grande evento, la Vuelta in questo caso.

L’ex saltatore con gli sci viaggia dunque verso la “sua” Vuelta. Il grande Giro che ha già vinto tre volte. Lo attende la sfida con Evenepoel, in primis, Ayuso, Thomas, ma forse il rivale più pericoloso ce lo ha in casa, come vedremo.

Primoz Roglic (classe 1989) all’ultima Vuelta Burgos ha vinto tre tappe e la generale precedendo di 39″ Vlasov e di 42″ Adam Yates
Primoz Roglic (classe 1989) all’ultima Vuelta Burgos ha vinto tre tappe e la generale precedendo di 39″ Vlasov e di 42″ Adam Yates

Veni, vidi, vici

Come “d’abitudine” il corridore della Jumbo-Visma è tornato in corsa dopo molti mesi. Non lo si vedeva col numero sulla schiena da Roma, 78 giorni fa, al Giro d’Italia. Ha vinto e ha subito messo in chiaro il suo stato di forma.

Roglic è uno dei migliori in assoluto nel sapersi preparare stando parecchio lontano dalle corse. E’ andato per tre settimane a Tignes, in Francia, con gran parte del “gruppo Vuelta”. La gara di Burgos era una sorta di rodaggio, di prova generale. 

E proprio di prova generale ha parlato il direttore sportivo, Marc Reef: «La Vuelta Burgos è stata una buona prova generale. Le temperature, il percorso e il modo di correre sono paragonabili a quelli che ci saranno alla Vuelta.

«L’obiettivo principale era compiere gli ultimi passi, rifinire la gamba e ci siamo riusciti. Ma non sono contento solo per Roglic. Ho visto che anche gli altri ragazzi hanno dimostrato di essere pronti, uno su tutti Jan Tratnik che veniva dall’incidente pre-Giro e ha fatto una lunga riabilitazione».

A Burgos superati spesso i 40 gradi: prova perfetta per l’imminente (calda) Vuelta. Tratnik rinfrescava così il suo capitano
A Burgos superati spesso i 40 gradi: prova perfetta per l’imminente (calda) Vuelta. Tratnik rinfrescava così il suo capitano

Percorso di crescita

Eppure Primoz non ha dominato. Ha sì vinto. Si è dimostrato pronto ed efficiente, ma in salita non ha staccato tutti i rivali. Anzi, se proprio cerchiamo il pelo nell’uovo, nel giorno della seconda vittoria, ad un certo punto quando si è trovato in testa ad un paio di chilometri dal traguardo e faceva lui il passo, l’andatura è anche calata un po’, testimonianza di ciò è stato il rientro di Vine. Poi nel finale ha risposto agli attacchi e in volata ha battuto tutti. Ma ha vinto per le sue caratteristiche e non da “schiacciasassi”.

Magari c’erano delle motivazioni tattiche. Magari non voleva fare più fuorigiri del necessario, magari faticava anche lui.

«La giornata era di nuovo calda – ha detto Roglic alla tv slovena dopo l’ultima tappa – ma mi sentivo benissimo. I nostri ragazzi hanno controllato la tappa tutto il giorno, ma direi tutta la corsa. Io volevo mettere intensità nelle gambe. Sono davvero soddisfatto della mia condizione e chiaramente anche della vittoria. Era la prima volta che facevo la Vuelta Burgos e mi è piaciuta moltissimo. Ho visto tanta gente lungo le strade».

«In questi giorni ho visto anche una squadra forte. I ragazzi avevano tutto sotto controllo».

La Jumbo-Visma ha vinto la cronosquadre. C’erano 4 elementi degli 8 che vedremo alla Vuelta, che si aprirà proprio con una prova così
La Jumbo-Visma ha vinto la cronosquadre. C’erano 4 elementi degli 8 che vedremo alla Vuelta, che si aprirà proprio con una prova così

Dream team

E il tema della squadra torna forte. Proprio poche ore fa la Jumbo-Visma ha ufficializzato la sua formazione per la grande corsa spagnola.

Oltre a Roglic ci saranno Tratnik, Vingegaard, Kuss (al terzo grande Giro stagionale), Kelderman, Gesink, Van Baarle e Valter. Un roster mostruoso.

«Andare con più punte ci potrà essere utile – ha aggiunto Reef – Primoz dopo il Giro si è riposato e ha trascorso un lungo periodo in altura, quindi è andato a Burgos. Vingegaard dopo il Tour ha staccato, ha ripreso ad allenarsi e ha già lanciato ottimi segnali».

Lo stesso Roglic si è mostrato sereno di questa formazione. Vingegaard non sembra essere un rivale, almeno per ora. Secondo molti – tecnici, ma anche corridori presenti a Burgos – potrebbe essere determinate il caldo. In tal senso Vingegaard sin qui si è sempre mostrato all’altezza, ma potrebbe pagare le fatiche ravvicinate del Tour. Mentre Primoz è più fresco. E’ un dilemma aperto.

Ma ci piace chiudere con le parole dello stesso Reef prima della Vuelta Burgos: «Roglic punta alla vittoria generale e possibilmente ad una di tappa. Quelle finale è molto esplosiva e adatta a lui», obiettivi centrati alla lettera.

E ancora: «Dal 2019, Primoz non ha avuto una preparazione così buona per la Vuelta. È stato in grado di riposarsi e di ricostruire la condizione secondo i piani. Ora è in buona forma».

Sul rettilineo di Opole, Kooij distrugge e Thomas costruisce

01.08.2023
5 min
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OPOLE – Il rettilineo finale di questa cittadina del Sud della Polonia tira un po’. Ai lati ci sono due ali di folli, sembra che l’intera popolazione di Opole, 126.000 abitanti, si sia riversata sulle strade. Ed è bello. Di questo gruppo che sfreccia fanno parte anche Olaf Kooij e Geraint Thomas.

Il giovane della Jumbo-Visma si porta a casa la tappa distruggendo i muscoli degli sprinter avversari. Il “vecchio” della Ineos-Grenadiers invece i suoi muscoli li “costruisce”. Lui continua a mettere chilometri di gara nelle gambe in vista della Vuelta.

E di gambe ne servivano davvero tante per questo sprint. Gli ultimi 500 metri avevano quell’infida pendenza (1,7 per cento), che se non sei del tutto in spinta ti massacrano. L’acido l’attico arriva alle stelle e perdi per distacco, non sulla linea d’arrivo.

Olav Kooij (classe 2001) è al settimo sigillo stagionale. Ad Opole ha preceduto Van den Berg e Moschetti

Il ritorno di Thomas

Muscoli che, come detto, non poteva certo massacrare Thomas. Al contrario lui è qui per costruire. Il gallese ha riattaccato il numero sulla schiena, cosa che non faceva dal Giro d’Italia. La gamba è subito buona, ma non è al top.

“G”, come lo chiamano in squadra, pedala spesso in testa gruppo, prende aria quando c’è da portare avanti Michal Kwiatkowski, colui che sembra lo abbia convinto a venire al Tour de Pologne. Nella seconda frazione in particolare, Thomas ha allungato il gruppo in vista della rampa finale e i compagni lo hanno seguito alla lettera nel lavoro per il leader polacco.

Geraint è stato secondo al Giro e dopo aver ben recuperato è pronto a fare rotta sulla Vuelta. Prima però passerà dalla cronometro iridata.

Quello che stiamo vedendo in questi giorni è un corridore più rilassato rispetto a quello lasciato al Giro, forse perché ancora deve entrare nella modalità “race”.

«Sì sono tranquillo, sereno – dice con tono squillante Thomas – rientro alle corse dopo il Giro. Sto bene. Ho fatto un buon lavoro e sono qui per mettere intensità nelle gambe.

«Voglio completare la preparazione ed aiutare i miei compagni. Voglio arrivare nel modo migliore possibile alla Vuelta. Nelle ultime settimane mi sono anche allenato in quota per questo».

Geraint Thomas (classe 1986) è pronto per la sfida della Vuelta
Geraint Thomas (classe 1986) è pronto per la sfida della Vuelta

Verso la Vuelta

Thomas viene dal ritiro ad Andorra. Con il team c’è stato grande affiatamento. E non vede l’ora di andare alla Vuelta. La sensazione è che sia molto più interessato alla sfida spagnola che non all’altro grande appuntamento che lo attende prima, vale a dire la prova iridata contro il tempo.

Eppure sulla Vuelta, lo stesso Thomas ha cercato di nascondersi un po’. Lascia che i riflettori illumino i Roglic, gli Evenepoel…  «Io penso a me – ci ha detto – voglio fare bene. Chiaramente la classifica generale è un obiettivo, ma intanto penso a vincere una tappa».

Noi abbiamo avuto la sensazione che Thomas abbia voluto gettare acqua sul fuoco più del necessario e tutto sommato Salvatore Puccio, che conosce Geraint come pochi altri, ci conferma che non è proprio così. Uno come lui, specie dopo un Giro d’Italia corso a quel livello, in Spagna punta a fare bene. Molto bene.

«Forse – spiega Puccio – Thomas ha detto così perché alla fine lui la Vuelta l’ha fatta una sola volta e magari non la conosce benissimo. Ma è stato in altura con i ragazzi che andranno Spagna e so che ha lavorato bene. Qui in Polonia, nelle tappe più impegnative nel finale si è staccato ma è normale. Gli manca un po’ di ritmo. Anche De Plus ha fatto lo stesso, ma è così quando si viene da un grande blocco di lavoro».

Il gallese si è visto poco, come per il Giro del resto. In Polonia si è messo a disposizione della squadra
Il gallese si è visto poco, come per il Giro del resto. In Polonia si è messo a disposizione della squadra

Seconda giovinezza

L’atleta della Ineos-Grenadiers sta vivendo una seconda giovinezza. Lo si vede anche dal contorno, non solo da come si muove in gruppo (tra l’altro si vocifera di un suo rinnovo per altri due anni). Sembra più sereno e più spigliato adesso che non qualche anno fa. Questione di pressioni? Probabile. Si sente più consapevole? Sicuro.

«Ma sì – conferma il gallese – in generale mi sento molto bene. Vado ancora forte perché mi piace il mio lavoro. Mi diverto a pedalare e a correre». 

Alla tv polacca Thomas ha detto una cosa per noi affatto secondaria e cioè che il Giro d’Italia gli ha dato nuove motivazioni. Che è stata una bella spinta.

Tutto sommato Geraint era arrivato al Giro con un basso profilo. Nessun risultato di riferimento prima della corsa rosa e alla fine ha agguantato il podio. Magari riuscirà a fare la stessa cosa alla Vuelta.

L’abbraccio di Opole

Intanto Opole torna alla sua normalità. Questa cittadina dell’Alta Slesia ha regalato un grande abbraccio al Tour de Pologne. C’era davvero tanta gente. Mentre scriviamo, dalla sala stampa “open view”, vediamo il pubblico lasciare la piazza centrale. Anche qui come al Tour, il ciclismo sta richiamando un pubblico sempre maggiore e sempre più giovane.

Per quanto riguarda la corsa, domani c’è forse la frazione decisiva. O almeno quella che ci dirà chi non vincerà questo Polonia. Mohoric dice che l’obiettivo non è quello della classifica generale ma di portarsi a casa un’altra tappa. Kwiato ha il dente avvelenato per lo “sgarbo” – a suo dire – che ieri gli ha riservato Majka, reo di averlo portato fuori traiettoria.

Il polacco potrà contare proprio su Thomas e sulla crono con finale che gli sorride. E in tutto ciò Almeida è in agguato. Lui e il compagno della UAE Emirates, Majka, inseguono lo sloveno a 10″, mentre lo stesso Kwiato è a 12″.