Uijtdebroeks miglior giovane: la bianca diventa un obiettivo

07.05.2024
4 min
Salva

FOSSANO – La squadra del vincitore uscente, orfana dell’infortunato Van Aert, sta pedalando lungo i primi giorni del Giro con la maglia bianca di Cian Uijtdebroeks sulle spalle. Il belga, che quando hai imparato a scriverlo sei un passo avanti e durante l’inverno ha fatto carte false per passare dalla Bora alla Visma, viaggia in quinta posizione a 56 secondi da Pogacar. Come lui c’è anche Einer Rubio.

Se ieri a Fossano la sua prestazione è stata nella norma, il settimo posto sul traguardo di Oropa a 30” dallo sloveno volante dice che il livello di questo 21 enne vallone è già decisamente interessante. Non potrebbe essere diversamente, del resto, per un corridore che a 19 anni ha portato a casa il Tour de l’Avenir.

«E’ fantastico – ha detto felicissimo domenica – per me è stata una salita un po’ troppo breve e questo in alcuni casi mi si addice meno. Non sapevo come avrei reagito a questa cosa. Però mi sentivo davvero bene. Ho semplicemente spinto più forte che potevo fino al traguardo. Non l’ho fatto pensando alla maglia bianca. Ma quando ho saputo che l’avrei presa, è stato semplicemente fantastico!».

Settimo a Oropa a 30″, Uijtdebroeks si è difeso molto bene
Settimo a Oropa a 30″, Uijtdebroeks si è difeso molto bene

La sorpresa di Oropa

Anche se al Giro fosse venuto Van Aert, era palese che il leader per la generale sarebbe stato il giovane belga. Nessuna pressione addosso, tuttavia, più di quella che Uijtdebroeks mette già da sé. Il posizionamento in classifica, pur buono, non lo distrae da quella che sarà una lenta scalata, gradino dopo gradino.

«Resta comunque una gara molto lunga – dice Cian – e ho tante tappe da superare. L’alta montagna deve ancora arrivare e in questo Giro sono previste anche due cronometro. Anch’io posso sempre avere una brutta giornata, ecco perché dobbiamo affrontarlo giorno per giorno. Ma so anche che portare in giro la maglia bianca sarà divertente».

Giorno di Oropa, partenza dal Velodromo Francone di San Francesco al Campo
Giorno di Oropa, partenza dal Velodromo Francone di San Francesco al Campo

I tifosi italiani

Eppure per la squadra olandese le cose non vanno troppo bene. Il ritiro di Gesink, ad esempio, per Uijtdebroeks è un danno con cui è difficile fare pace. Il magrissimo olandese avrebbe dovuto scortarlo lungo i percorsi della corsa italiana che di certo conosce meglio di lui.

«Il ritiro di Robert – dice il giovane belga – è un peccato, come pure le cadute di Attila Valter e Kooij nella tappa di Oropa. La fortuna non è dalla nostra parte. Eppure nonostante tutta la sfortuna, i ragazzi della squadra hanno fatto un ottimo lavoro e nella tappa di Oropa sono rimasti al mio fianco per tutto il giorno. E fantastico essere tutelati in questo modo. Sapevo che all’arrivo non sarei stato il più veloce del nostro gruppetto, ma nei tratti ripidi sono riuscito a tenere un buon ritmo. I tifosi italiani lungo la strada mi hanno fatto dimenticare per un po’ il dolore alle gambe. Volevo solo raggiungere la vetta il più velocemente possibile e sono contento. La bianca è la mia prima maglia in un grande Giro».

La maglia del belga e la rosa dello sloveno: Pogacar gioca su un altro tavolo
La maglia del belga e la rosa dello sloveno: Pogacar gioca su un altro tavolo

Pogacar e gli altri

Alla Visma-Lease a Bike, che oltre a Van Aert (che si sta allenando in Spagna) deve ancora recuperare l’infortunio di Vingegaard, le buone prove di Uijtdebroeks vengono finora vissute come una sorta di miracolo.

«Nella prima tappa – dice il diesse Maarten Wynants – il posizionamento è stato un po’ difficile, mentre a Oropa è andata molto meglio. Cian era sempre dove aveva bisogno di essere. Avevamo calcolato che avrebbe potuto perdere tempo nel weekend di apertura, invece col senno di poi possiamo dire che ha fatto un ottimo lavoro. Siamo già in una posizione migliore di quanto pensassimo alla vigilia, ma il Giro è ancora lungo. Ci sono parecchi corridori vicini tra loro, se escludiamo Pogacar. Ogni tappa sarà importante».

Merlier, Milan e Pogacar: i tre volti di Fossano

06.05.2024
5 min
Salva

FOSSANO – Trovare una tappa più strana di quella di oggi al Giro d’Italia è un bel grattacapo. Lo ha detto anche il vincitore Tim Merlier. «Dopo che noi velocisti siamo andati in fuga forse abbiamo fatto arrabbiare gli uomini di classifica nel finale!».

A Fossano ci si attendeva la prima volata e prima volata è stata. Ma per arrivare a questo epilogo non bisogna pensare ad una frazione dallo svolgimento classico. 

Da questo caos emergono tre personaggi: Tim Merlier, il vincitore, Jonathan Milan, lo sconfitto, e ancora lui: Tadej Pogacar, padrone e mina vagante al tempo stesso.

Il vincitore

La Soudal-Quick Step ha avuto il merito di restare più unita di altri team. E di entrare in azione nel momento perfetto. Davide Bramati, il direttore sportivo della squadra belga è stato un compendio tattico.

«Con questo finale così tecnico e difficile – ha detto Brama – era impossibile muoversi ai 2.900 metri, cioè quando finiva lo strappo. Avevamo ipotizzato che qualcuno potesse guadagnare 3”-4” secondi, ma sapevamo che quella curva quasi a gomito ai 1.200 metri avrebbe inciso parecchio. Avrebbe abbassato la velocità e poi ripartendo quasi da fermi con la volata li avrebbero riacciuffati, anche perché c’era un filo di vento contro.

«Così ho detto ai ragazzi di entrare veramente in azione ai 1.300 metri. Anche solo ritardare la frenata gli avrebbe fatto guadagnare posizioni importanti. E così è andata».

I ragazzi di Brama, oggi anche con un bell’Alaphilippe, hanno eseguito alla lettera le sue indicazioni. E Merlier ha fatto il resto.

«Come vi avevo detto qualche giorno fa Merlier sta bene. Abbiamo portato una buona squadra e oggi questa vittoria sinceramente ci fa piacere. Tanto piacere, visto che non vincevamo da diverse settimane».

Lo sconfitto

C’è poi Jonathan Milan. Su un arrivo non proprio ideale per il suo fisico, aver sfiorato il successo non è poi così male. Certo, Fossano ha un po’ strozzato l’urlo di gioia, ma guardando il lato positivo la gamba c’è.

Ma c’è anche un pizzico di dispiacere. Sarebbe un problema se non ci fosse. A chiarire tutto è Simone Consonni, il “capotreno”. E Simone era quasi più dispiaciuto di Milan dopo l’arrivo. Nell’ultima curva si sono un po’ persi i quattro vagoni della Lidl-Trek: due da una parte e due dall’altra. 

«Potevamo fare meglio a livello tecnico e tattico – ci dice Consonni mentre si dirige verso i bus – però è anche vero che era il primo sprint del Giro ed è già bello non aver messo il “sedere per terra”, tanto più che era così difficile.

«L’allungo di Pogacar e Thomas ci ha rotto le scatole, ma non tanto a livello tattico quanto di gambe. E infatti Jonathan e Jasper (Stuyven, ndr) hanno preso la curva in prima e seconda posizione, mentre io ed Eddy (Edward Theuns, ndr) eravamo un po’ più dietro. Abbiamo sprecato tanto per rientrare sotto».

«Il finale non era facile e se noi del treno eravamo tutti lì, negli ultimi 500 metri, vuol dire che stiamo bene. Domani ci riproveremo».

Honorè, Pogacar e dietro Thomas: la fiammata dei big che ha acceso il finale… e le discussioni
Honorè, Pogacar e dietro Thomas: la fiammata dei big che ha acceso il finale .. e le discussioni

La mina vagante

E poi c’è lui. Sempre lui: Tadej Pogacar. Il corridore della UAE Emirates continua ad incantare, ma anche a sprecare e qualcuno inizia ad imputargli questo suo modo di correre. Lo sloveno però glissa.

«Modo di correre dispendioso? Ma no è tutto pagato!», come a dire che non costa nulla fare certi scatti. Mentre si fa più serio quando gli chiedono se voglia vincere tutte le tappe. Pogacar replica con un secco: «No comment».

Tadej quando sta bene non si ferma, non c’è niente da fare. Anche Rafal Majka ce lo ha ripetuto pochi giorni fa. Pogacar si difende col dire che l’attacco non lo ha propiziato lui, ma ha solo seguito Honorè. «Ero davanti, stavo bene e l’ho seguito. Anzi, quando Thomas è rientrato è stato lui a dare il primo cambio. E anche forte. A quel punto abbiamo spinto. Peccato non essere arrivati».

Mentre ci è piaciuto, ed è indice d’immensa lucidità, il racconto del traguardo volante di Cherasco. Traguardo che arrivava dopo un ripido strappo.

«Ero davanti – ha spiegato Pogacar – ho visto che c’era anche Thomas e a quel punto ho deciso di andare. Due secondi sono sempre due secondi. Meglio a me che a lui».

EDITORIALE / Si puntava alla sfida fra Pogacar e Remco?

06.05.2024
6 min
Salva

NOVARA – Dopo l’assaggio di Torino, ieri a Oropa è iniziato definitivamente il Giro d’Italia numero 107 e già qualcuno ha da ridire. Si è già letto di Giro noioso, il più noioso della storia e come farete a raccontarlo? Letture che di prima mattina, mentre già pregusti la volata di Fossano e hai gli occhi pieni di Pogacar sulla salita del Panta, fanno andare il caffè di traverso e anche scemare la voglia di fare questo mestiere, cercando spunti diversi dall’ovvio. Però una riflessione si impone e la condividiamo volentieri.

Chiunque sia in grado di arrivare sul podio del Tour – figurarsi chi è in grado di vincerlo – al Giro viene per giocare. Al contrario e restando negli ultimi 30 anni – quelli di cui chi scrive ha memoria diretta – si contano sulle dita di una mano i protagonisti del Giro che lo siano stati anche al Tour con piazzamenti nei primi cinque. Bugno. Chiappucci. Pantani. Basso. Nibali. Gli altri vincitori della maglia rosa, dal 1990 in avanti, in Francia non hanno mai ottenuto classifiche all’altezza delle attese. Da Chioccioli a Simoni, passando per Cunego, Savoldelli, Garzelli e Di Luca. Solo Gotti tirò fuori dal cilindro il quinto posto nel 1995, due anni prima di conquistare la maglia rosa. E anche Basso, che ha vinto due Giri, vi arrivò dopo aver lottato al Tour e il gap rispetto ai rivali italiani fu subito evidente.

La sensazione è che ieri a Oropa, fatto salvo lo scatto, Pogacar abbia controllato, per risparmiarsi e non infierire
La sensazione è che ieri a Oropa, fatto salvo lo scatto, Pogacar abbia controllato, per risparmiarsi e non infierire

Per amore o per denaro

Lo scorso anno il Giro fu entusiasmante perché a scontrarsi furono Roglic e Thomas. Il primo che una maglia gialla l’aveva praticamente vinta e ha comunque nel palmares tre Vuelta España e l’altro che il Tour lo ha vinto davvero. Fra loro e il resto del gruppo, fatta salva la resistenza di Almeida, c’era il baratro.

Tadej Pogacar ha vinto per due volte il Tour e altre due volte è stato secondo: chi pensate che possa infastidirlo, al di là della cattiva sorte o di tattiche che lo mettano in crisi? La sensazione, vedendolo voltarsi di continuo è che neanche abbia voluto infierire sugli inseguitori. Come ha raccontato, è scattato con violenza per piegarli e poi ha proseguito col suo passo. Per non spendere troppo in vista di ciò che lo attende e magari per non umiliare la concorrenza.

E’ stato previsto un pagamento da parte di RCS per la sua presenza? La domanda fu posta a Matxin quando a dicembre annunciò che Tadej avrebbe corso il Giro. Lo spagnolo, astuto e saggio, disse di non occuparsi di questi aspetti. Gianetti preferì sorridere e non rispondere. Chiaramente quando Pogacar annunciò che sarebbe venuto al Giro, Vingegaard non era ancora caduto. E volendo fare l’avvocato del diavolo, dopo due anni di batoste, in casa UAE qualcuno potrebbe aver pensato che davanti al rischio del terzo smacco, sarebbe stato meglio vincere la Liegi ed il Giro e arrivare in Francia con il cuore più leggero.

Lo scorso anno Evenepoel vestì la maglia rosa per quattro tappe, prima di ritirarsi per il Covid
Lo scorso anno Evenepoel vestì la maglia rosa per quattro tappe, prima di ritirarsi per il Covid

Remco vs Pogacar

E’ di questi giorni, esattamente di venerdì 3 maggio, un articolo di Patrick Lefevere su Het Nieuwsblad. Il quotidiano belga gli riserva una rubrica e il manager della Soudal-Quick Step se ne serve spesso per sparigliare le carte. A volte è così diretto, che ieri Alessandro Tegner, responsabile di marketing e comuncazione del team belga, ha preferito non commentare l’ultima uscita.

«Per Remco il Giro è un affare in sospeso – ha scritto – dopo che lo scorso anno dovette rinunciare a causa del Covid. Come sappiamo, l’organizzazione allora – giustamente – ci ha incolpato per non averli informati personalmente che Remco non poteva continuare. E’ stato molto emotivo e molto italiano. Secondo l’amministratore delegato di RCS Mauro Vegni la maglia rosa era partita come un ladro nella notte.

«Fino a qualche mese fa – prosegue Lefevere – c’era ancora un contenzioso finanziario con RCS a riguardo. Poiché Remco non ha terminato il Giro, non hanno voluto pagare la quota di partenza concordata. Non voglio essere troppo cinico su questo, ma nessuno può sostenere che Remco non abbia svolto il suo ruolo di testimonial del Giro, con video promozionali e interviste prima e durante».

Lefevere va avanti a spiegare che non si parla di importi enormi, ma comunque ben accetti e utili. «Per dare un ordine di grandezza – spiega – il denaro per avere Remco al Giro e in altre corse RCS ci avrebbe garantito il budget per un corridore in più. Durante lo scorso inverno, quando la doppietta Giro-Tour era ancora sul tavolo, RCS ha proposto una sorta di accordo amichevole. Se Remco avesse corso di nuovo il Giro, avrebbero corrisposto l’importo dovuto, oltre alla quota di partenza per il 2024».

L’accordo sarebbe sfumato quando l’allenatore Koen Pelgrim ha posto il veto, dato che il doppio impegno non sarebbe stato sostenibile per Evenepoel, che dopo il Tour ha nel programma le Olimpiadi e poi i mondiali.

A questo punto potrebbe essere chiara la probabile strategia di RCS Sport, che con Remco e Pogacar (anche se Tadej potrebbe essere qui per semplice interesse sportivo) avrebbe avuto nuovamente garantito un duello di prima categoria. Non tutte le ciambelle però riescono col buco.

Al Giro del 1993, Indurain vinse su Ugrumov (che lo staccò proprio a Oropa) e Chiappucci
Al Giro del 1993, Indurain vinse su Ugrumov (che lo staccò proprio a Oropa) e Chiappucci

Per battere Tadej

Si è sempre sentito dire che a suo tempo anche Indurain e la Banesto abbiano percepito una gratifica per venire al Giro. Nel 1992 e 1993, Miguel lo vinse e poi fece doppietta col Tour, sfidando Bugno e Chiappucci, ben più forti degli attuali corridori italiani. Nel 1994 fu terzo e poi vinse nuovamente la maglia gialla, avendo però trovato sulla sua strada Berzin e un certo Pantani.

Nessuno quando c’era Indurain ha mai parlato di Giro noioso, forse semplicemente perché non c’erano ancora i social e perché le sfide c’erano eccome. La gente seguiva la corsa in televisione e sulla strada, ma siamo pronti a scommettere che anche le migliaia di tifosi assiepati ieri sulle rampe di Oropa siano tornate a casa col sorriso e non certo deluse. Perché il ciclismo è fatto così: uno vince, tutti gli altri perdono. E non può essere la bandiera del vincitore a rendere la sfida noiosa oppure esaltante. Indurain era il più forte eppure si ricordano azioni di disturbo emozionanti che lo costrinsero a rimboccarsi le maniche e sputare dallo sforzo.

Siamo certi che Pogacar sia imbattibile? E siamo certi che il solo modo per sfidarlo sia il testa e testa e non provare a far fuori la sua squadra? Cari direttori sportivi, siete capaci di inventare qualcosa in questa direzione?

Ripartiamo da Novara con questa domanda e la promessa che continueremo a fare la nostra parte. Lasciando a certi commenti il minimo spazio che meritano, cercando spunti e sprazzi di talento italiano e godendoci il Giro. Che è splendido per la sua gente, i corridori che meritano sempre rispetto, le strade e i panorami. Chi lo ritiene noioso forse farebbe meglio a cercare nella poesia di una curva di calcio quello di cui ha effettivo bisogno.

Fossano, primo sprint: chiacchiere da velocisti con Consonni

06.05.2024
4 min
Salva

NOVARA – Oropa alle spalle, la vittoria di Pogacar conferma che il Giro ha trovato il padrone che tutti ci aspettavamo e ora starà agli attaccanti e ai cronoman cercare di metterlo in difficoltà. Nell’attesa delle tappe che più si prestano allo scopo, oggi sul traguardo di Fossano andrà in scena il primo confronto/scontro tra i velocisti. E quest’anno in corsa, tolto Philipsen, ci sono proprio tutti.

Jonathan Milan e Simone Consonni sono arrivati al Santuario di Biella rispettivamente con 24’34” e 25’09” di ritardo da Pogacar, al pari di tutti gli altri velocisti. In certi casi si salva la gamba, pensando alla sfida che li attende. Il solo problema per i due della Lidl-Trek è non aver avuto tante occasioni per fare volate insieme. Per cui la prima sarà un grande test, in attese delle successive. Consonni è tranquillo, ha fatto quel che doveva e adesso non resta che scoprire le carte degli avversari. Da Novara a Fossano ci sono 166 chilometri, con un paio di strappetti e il finale che tende a salire.

Consonni e Milan hanno vinto due volate alla Tirreno-Adriatico: la loro intesa dà buoni frutti
Consonni e Milan hanno vinto due volate alla Tirreno-Adriatico: la loro intesa dà buoni frutti
Quante volte hai fatto un treno con Jonathan?

Diciamo cinque, più o meno. Però l’ho portato a ruota parecchio anche in pista. In realtà quando sei nel velodromo non puoi provare i meccanismi della volata, perché le variabili sono troppe. La strada, le rotonde, le mosse degli avversari. I meccanismi veri e propri si trovano con il feeling e col tempo. Però sicuramente il fatto che negli ultimi quartetti mi è sempre stato a ruota, può dargli una fiducia in più. Visivamente potrebbe sentire, passatemi il termine, di sentirsi a casa, in un posto più “familiare”. Se poi parliamo del livello di gestione degli arrivi, è tutto un fatto di feeling. Si fa una tattica prima di ogni sprint, però poi penso che solo il 5 per cento delle volte va come si pianifica.

Impossibile dimenticare il tuo urlo di fine Tirreno, quando Johnny stava per partire troppo presto. Si parla mai delle volate fatte?

Lo ricordo anche io. Sicuramente si guardano gli sbagli e anche le cose che si è fatto bene. E’ tanto importante la comunicazione durante la corsa, poche cose. Dirsi okay se il velocista c’è, ad esempio. Ogni treno trova il suo meccanismo, le sue parole chiave, però è molto questione di fiducia l’uno dell’altro.

Ieri verso Oropa, Consonni ha mollato finendo a 25’09”, Trentin ha tenuto arrivando a 12’45”
Ieri verso Oropa, Consonni ha mollato finendo a 25’09”, Trentin ha tenuto arrivando a 12’45”
Il velocista farà la volata su altri velocisti, l’ultimo uomo quali riferimenti sceglie?

Personalmente, mi fido più di me stesso senza guardare troppo gli altri. Cerco di prendere alcuni riferimenti a livello visivo, mandando a memoria la curva ai 500 metri e il rettilineo ai 3 chilometri, come sarà oggi.

Già ieri nel giorno di Oropa, sapendo di doverlo passare indenni, si pensava a Fossano?

Sì, sicuramente ci pensiamo da un po’. Siamo anche andati a fare una ricognizione. Non è semplice, perché è la prima volata di un grande Giro, perché ci sono tanti lead-out e tanti velocisti e il finale sarà impegnativo.

Quanta tensione c’è alla vigilia della prima volata?

Si cerca di vivere il Giro giorno per giorno, l’adrenalina è una cosa che verrà poi di conseguenza. Resta il fatto che il solo finale che abbiamo visto è quello di Fossano. Alla fine ormai, con tutta questa tecnologia, puoi sederti davanti a un computer e pensare di essere sul posto. Puoi farti un’idea e alla fine scopri che le cose sono andate come avevi pensato. Sul momento non mi ricordo mai nulla di quanto succede ai 3-4 chilometri dall’arrivo. Poi, rivedendo la volata, mi torna tutto in mente.

Da Novara a Fossano ci sono 166 chilometri. Ultimi 1.300 metri diritti con strada larga 9 metri
Da Novara a Fossano ci sono 166 chilometri. Ultimi 1.300 metri diritti con strada larga 9 metri
Perché lo sprint di Fossano è complicato?

Perché vincere è sempre complicato. Dai meno 4,5 ai meno 3, la strada tira. Prima c’è una discesina che sicuramente metterà il gruppo in fila. E siccome siamo al Giro, tutti vorranno stare davanti, quelli di classifica e i velocisti, per cui la discesa sarà dura come la salita.

A Oropa era indispensabile salvarsi?

Prima della salita finale, abbiamo lavorato per dare una mano a “Juanpe” Lopez, poi abbiamo cercato di limitare i danni. Basta aspettare poche ore per capire se sarà bastato.

Pogacar re di Oropa, sotto gli occhi del Pirata

05.05.2024
6 min
Salva

OROPA – Marco c’era. C’è stato anche un grande Pogacar, sia chiaro, ma quando hai vissuto certe storie, quelle emozioni diventano la lente attraverso cui leggi le altre. E Marco da Oropa non se ne è mai andato, solo che oggi, a 25 anni da quella volta, la sensazione è che ci fosse più gente e che nessuno di loro voglia ancora dimenticarlo.

Detto questo, Tadej Pogacar ha fatto quello che tutti si aspettavano facesse: lui per primo. Voleva vincere anche ieri e lo vedi che gli scoccia ammettere di aver commesso qualche errore. L’idea forse era davvero portarsi a casa un Giro rosa dalla prima all’ultima tappa, ma di certo la svista di Torino ha dato allo sloveno la cattiveria giusta per non commettere la minima sbavatura. Anche quando è finito per terra a causa di un cambio bici mal orchestrato.

«Ho preso una buca in quel tratto sulle pietre – spiega – non era certo una buona strada. Stavo arrivando la curva e io avevo pensato di fermarmi prima. Invece dalla macchina mi hanno detto di farlo dopo la curva. Normalmente sarebbe stato meglio, ma stavo già pedalando sulla ruota anteriore con zero pressione, ero sul carbonio. Così sono arrivato alla curva e sono caduto. Ma niente di pazzesco, solo un po’ più di adrenalina. Ero abbastanza fiducioso. C’era tutto il tempo per rientrare con la squadra e lo abbiamo fatto. I ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro. Siamo tornati davanti, abbiamo impostato il ritmo che ci stava meglio ed è stato perfetto».

Attacco ai meno 4,3

Marco c’era, anche in quella curva con il muraglione e gli archi da cui la bandiera gigantesca calava sulla terra come un mantello incantato. E poco prima di quel punto, in un tratto dove la strada era più severa, approfittando dell’ultima tirata di Majka, Pogacar ha aperto il gas e ha preso il largo. I tifosi del Pirata lo hanno incoraggiato e lui è sparito dietro la curva con cui il cammino di Oropa si infila nel bosco. Luogo mistico questo Santuario, meta di pellegrinaggi a piedi e ora anche in bicicletta. Un luogo davvero magico.

«Già ieri – spiega Pogacar – il piano era vincere, però nell’ultima parte c’è mancato qualcosa. Oggi per noi era una tappa più adatta e la squadra è stata fantastica. Sono davvero felice di aver vinto, significa molto, come qualsiasi altra vittoria di tappa in cui prendi la maglia di leader. Durante la salita, l’atmosfera era incredibile, quindi è stato davvero un piacere percorrere gli ultimi due chilometri da solo. Il supporto dei fan è stato incredibile».

La curva Pantani ha accolto e incitato Pogacar all’attacco
La curva Pantani ha accolto e incitato Pogacar all’attacco

Attacco programmato

Sull’arrivo, sorridendo, Majka diceva di aver pagato un po’ i 20 chilometri di ieri a tirare su un tratto di strada a lui poco adatto, quindi che questa volta ha potuto fare meno del solito. Però era contento. Si è infilato il fischietto al collo ed è sceso verso Biella, dove a 14 chilometri dall’arrivo hanno fermato i pullman. Anche il quartier tappa è giù a valle e forse per questo attorno allo sloveno siamo stranamente in pochi.

«Non dite che ho fatto la salita senza spendere – va avanti a raccontare – posso confermare che ero abbastanza al massimo. Semplicemente ho tenuto il mio ritmo e quando Rafal ha iniziato a prepararsi per l’attacco, ero già abbastanza al limite. C’era un piano, l’ho detto, ma nel ciclismo non puoi dire che quello fosse il punto prestabilito, non è matematica. Bisogna sempre improvvisare e avere feeling. Con Majka passo molto tempo in allenamento e in corsa, ci conosciamo. Sa come fare.

«E io sapevo che dovevo attaccare con violenza per creare il gap sugli avversari e poi continuare con un ritmo normale verso la vetta. E’ stato un grande sforzo oggi. Vincere era uno dei sogni, il mio obiettivo. Ora ho anche la maglia rosa, che è il mio sogno da tanto tempo. E sono super orgoglioso e super felice. Non molti corridori hanno raggiunto questo obiettivo nella loro carriera, sono contento».

Nulla da festeggiare

Pantani quel Giro non lo finì, lo fermarono prima. E in gruppo nei giorni che portarono a quel momento, erano tutti pronti a lamentarsi per il suo dominio schiacciante. A quel tempo chi vinceva troppo era antipatico, fortunatamente i tempi cambiano. Marco quella sera qui ad Oropa era scuro in viso, stranamente nervoso, Pogacar invece sorride, pur consapevole di avere davanti 19 tappe.

«Se anche perdessi la maglia rosa per qualche giorno – dice – non ne farei un dramma. Quando vinci una classica, penso alla Strade Bianche o la Liegi, sai che dopo l’arrivo è tutto finito. Qui invece siamo ancora agli inizi. Sto ancora pensando alle prossime 19 tappe, non è finito niente e il grande obiettivo è vincere il Giro. Non possiamo andare a festeggiare adesso, liberarci e andare fuori di testa. Domani ci sarà un’altra gara, quindi è ancora tempo di fare sul serio».

Il dubbio delle crono

L’approccio è quello giusto, anche se come diceva scherzando Majka qualche giorno fa, la cosa più difficile è tenerlo a bada quando fiuta un traguardo.

«Penso che la tappa di Rapolano con gli sterrati – dice analizzando la settimana che inizia – più che un momento in cui fare la differenza, dovrebbe essere una tappa in cui non perdere tempo. Il giorno dopo ci sarà la prima cronometro e lì davvero vedremo quali sono i valori in campo. Geraint Thomas è uno specialista e sarà interessante vedere come si muoverà. Nella mia carriera non ho fatto cronometro così lunghe, di solito nei grandi Giri ne facciamo un paio, ma più corte (la crono di Perugia è lunga 40,6 chilometri, quella di Desenzano ne misura 31,2, ndr). Quindi troverò altri avversari con cui confrontarmi. Ma preferisco concentrarmi su me stesso, provando a ottenere il masssimo giorno per giorno. Quella di Perugia sarà una bella crono. Ho fatto la recon e non vedo l’ora che arrivi quel giorno. Tutto qui. Cosa dite se vado a riposarmi un po’? Per oggi ho già fatto abbastanza interviste…».

La Bora ne piazza due. Gasparotto si gode Martinez e Lipowitz

05.05.2024
4 min
Salva

OROPA – Mentre tutti scappano verso il basso, Enrico Gasparotto cammina verso l’alto. Il tecnico della Bora-Hansgrohe risale il traffico di ammiraglie e ciclisti. Non appena il suo Florian Lipowitz lo ferma, gli mette le mani attorno le guance quasi come un papà. Qualche pacca sulla spalla e inizia a parlarci.

Inizia a parlarci ma qualche secondo dopo si ferma. Quasi di corsa, si volta e va in ammiraglia. Il corridore trema. Forse gli dice che ha ancora freddo. Lo fa spogliare, gli passa una maglia asciutta ancora più pesante di quella che in precedenza gli aveva dato il massaggiatore. I due riprendono a confabulare. Poi Lipowitz, sorridente, parte in bici per scendere a Biella.

Gasparotto ascolta e consiglia Lipowitz che col 5° posto di oggi riscatta la non bella prestazione di ieri
Gasparotto ascolta e consiglia Lipowitz che col 5° posto di oggi riscatta la non bella prestazione di ieri

Sorriso ritrovato

«Ho provato a seguirlo – replica il tedesco a chi gli aveva chiesto della sua scalata – ma Pogacar era nettamente più veloce. Da parte mia sono felice, mi sono sentito bene lungo la scalata. Avanti così».

«Sono venuto incontro a Florian – spiega Gasparotto – perché ieri ha avuto una giornata no, ma noi sappiamo che sta bene visto quello che ha fatto al Romandia. E anche oggi ha fatto un gran lavoro. E’ un ragazzo giovane, alla prima esperienza al Giro d’Italia e ci è rimasto male per ieri. Lui sperava di rimanere davanti con i migliori. Pertanto era un po’ giù, non dico demoralizzato, però iniziava ad avere dubbi sulla condizione, che magari era già sparita rispetto al Romandia. Vediamo come va giorno per giorno. Sia lui che noi dobbiamo scoprire il suo potenziale».

Gaspa ha consolato il suo atleta insomma. Un direttore sportivo è, e deve essere, anche psicologo.

In questo primo arrivo in salita del Giro d’Italia ha dominato, come ci si attendeva, Tadej Pogacar, ma ad oggi è chiaro che la seconda forza della corsa rosa è la Bora-Hansgrohe. Gaspa ne ha due lì davanti. Lipowitz, appunto, e Daniel Martinez.

Lipowitz (a sinistra) e Martinez (al centro) allo sprint al Santuario di Oropa

Martinez c’è

Gasparotto va di nuovo controcorrente. Stavolta la sua meta è Daniel Martinez. Lo trova mentre fa i rulli per il defaticamento. E’ nell’area dell’antidoping. Il colombiano è stato chiamato per il controllo. Stavolta lo sguardo è meno “da padre”, anche Martinez è più maturo e sa il fatto suo. Ma Gaspa ascolta e parla con la stessa attenzione.

«Con Daniel – riprende Gasparotto – ad un tratto c’è stato del nervosismo, perché proprio nel punto più duro della salita, tra i meno 5 e i meno 4, ha avuto un problema con la bici. Voleva sostituirla, ma noi eravamo dietro con l’ammiraglia e la giuria non ci ha fatto passare. Non abbiamo potuto fare niente, se non lasciargli vicino Lipowitz».

«Io credo che riuscire a stare là davanti e a sprintare per il secondo posto vuol dire che le gambe ci sono. Con Dani poi dovevamo essere un po’ conservativi perché è tanto tempo che non correva, dalla Tirreno. Pertanto in queste situazioni si cerca sempre di non esagerare all’inizio. E se in una giornata nella quale dovevamo essere conservativi Dani fa secondo penso che vada bene».

Dopo il 2° posto di Oropa Martinez è secondo nella generale (con Thomas) a 45″ da Pogacar
Dopo il 2° posto di Oropa Martinez è secondo nella generale (con Thomas) a 45″ da Pogacar

Sorprese possibili

Il diesse svizzero-friulano recrimina un po’ sul fatto che il suo atleta non si sia potuto esprimere al massimo, ma sottolinea anche come sprintare per un secondo posto vuol dire molto. Martinez, e lo scrivemmo in tempi non sospetti, punta forte sul Giro. E’ l’obiettivo della stagione.

Così obiettivo che lui e Gaspa avevano visionato diverse tappe di questa corsa rosa. Il direttore sportivo della Bora-Hansgrohe non è nuovo a colpi di teatro e averne due davanti è stuzzicante. Qualcosa ci si può inventare?

«Eh domani è una tappa per velocisti – glissa e sorride Gasparotto – e ci punteremo con Van Poppel. Perché no: si può provare a fare qualcosa. La strada è ancora lunga, lunghissima. Ci sono tappe critiche e anche tappe interessanti, movimentate. L’importante però è che i ragazzi stiano bene… come hanno dimostrato oggi».

Ballerini è tornato ed è pronto a mordere l’asfalto

05.05.2024
4 min
Salva

La voglia di mettere le ruote su strada morde Davide Ballerini e lo scuote da dentro. Parliamo con lui all’avvio del Giro d’Italia, un giorno trascorso tra il caldo e la ricognizione della prima tappa. Il canturino dell’Astana Qazaqstan è tornato in gara al Giro di Turchia prima di mettersi in viaggio per la corsa rosa. Lo intercettiamo mentre è in stanza, in sottofondo il rumore degli ultimi preparativi. 

L’Astana Qazaqstan Team alla presentazione delle squadre per il Giro
L’Astana Qazaqstan Team alla presentazione delle squadre per il Giro

Il ritorno dopo 9 mesi

Ballerini ha riattaccato il numero sulla schiena nove mesi dopo la caduta al Tour de Wallonie, il 25 luglio 2023. Una botta al ginocchio che sembrava poter rientrare facilmente e che invece si è trascinata fino a qualche giorno fa. 

«Avevo sbattuto la rotula contro il manubrio – ci dice – dopo qualche tempo ero tornato in bici con il permesso del fisioterapista, ma il dolore non passava. Sono riuscito a risolverlo con delle infiltrazioni a fine stagione e ne ero felice, perché al ritiro di dicembre tutto stava andando bene. Poi il buio, a febbraio il dolore è tornato e sono stato costretto a fermarmi di nuovo. Il muscolo non aveva recuperato e la gamba destra lavorava molto di più di quella sinistra. Il risultato? Ho saltato le Classiche».

Prima tappa del Giro, Ballerini guida il gruppo accanto a Velasco, Scaroni e Lutsenko
Prima tappa del Giro, Ballerini guida il gruppo accanto a Velasco e Scaroni
Come ti sei sentito in quel momento?

E’ stato un momento davvero duro perché lo aspettavo, era la mia parte di stagione, sono le gare che mi si addicono di più. Ero molto felice di poterle correre.

In che modo lo hai superato?

Grazie al supporto degli amici e ho trovato un grande fisioterapista con il quale ho lavorato tutti i giorni. Mi sono rifugiato nel lavoro, con costanza e tanta grinta. Alcuni giorni non è stato semplice, ad esempio quando c’erano le gare non le ho guardate in TV, altrimenti l’avrei distrutta. Tutta la rabbia l’ho messa nel recupero: in palestra, nella riabilitazione e sui pedali.

Hai lavorato tanto a secco?

Ho dovuto ricostruire gran parte della gamba sinistra perché avevo perso il 20 per cento del tono muscolare. Non è stato facile o veloce, ma abbiamo lavorato nel modo giusto. Ogni giorno uscivo alle 14 e tornavo a casa alle 20, ma la differenza nel ciclismo la fai nel lavoro a casa. La gara è solo quello che succede in bici, tanto passa anche da quello che si fa fuori. 

A proposito di bici quando sei tornato a pedalare?

Nella seconda metà di febbraio in maniera tranquilla e da marzo con convinzione e carichi importanti. Poi ad aprile sono andato in ritiro sul Teide con la squadra. 

Il Giro di Turchia ha permesso a Ballerini di esordire con la maglia dell’Astana
Il Giro di Turchia ha permesso a Ballerini di esordire con la maglia dell’Astana
Sei tornato in gara al Turchia, quanto l’aspettavi?

Come la prima gara quando sei ragazzo. Non vedevo l’ora di partire era da fine luglio che non mettevo le ruote in gruppo. Il ginocchio ha reagito bene, certo va tenuto sotto controllo e curato, ma sto bene. Tanto da decidere insieme al team di partecipare al Giro, non era in programma a inizio stagione ma sono felice di esserci.

Hai già guardato qualche tappa?

A dire il vero no. Quando ci hanno dato il Garibaldi, ho sfogliato qualcosa, ma sono uno che guarda le cose giorno per giorno. Vedremo come sto durante le tre settimane, l’obiettivo è mettermi a disposizione della squadra, poi magari mi ritaglierò i miei spazi. 

Il ritorno in gruppo ha portato morale e gli ha permesso di ritrovare il sorriso
Il ritorno in gruppo ha portato morale e gli ha permesso di ritrovare il sorriso
La condizione com’era?

Al Turchia cresceva giorno per giorno, ho aiutato tanto la squadra e siamo anche riusciti a vincere una tappa con Kanter. Sapevo di aver lavorato nel modo corretto e duramente, come detto gli allenamenti a casa hanno fatto la differenza. La prima gara è sempre un test, vero non era una categoria WorldTour, ma i segnali sono stati positivi. Dal punto di vista mentale è una spinta forte. Ora si inizia il Giro e sono pronto.

Narvaez in rosa. Pogacar ha capito che non sarà una passeggiata

04.05.2024
5 min
Salva

TORINO – Tadej Pogacar non ha vinto. E questa è già una notizia, se non altro per come la sua UAE Emirates ha impostato la corsa. Nel clan dello sloveno assolutamente non ci sono musi lunghi, però quel pizzico di amarezza aleggia. E ci sta. Jhonatan Narvaez è stato più veloce in volata e scaltro a sfruttare scia e lavoro dello sloveno.

I compagni di Pogacar hanno lavorato sodo per tutta la tappa e perdere per un soffio non fa piacere, tanto più che sul piatto c’era anche la maglia rosa. Segno che non è stato (e non sarà) tutto così facile come ci si poteva attendere da parte di tutti. Tifosi, media, team, atleti.

Il forcing di Pogacar sullo strappo di San Vito. Narvaez, che s’intravede dietro di lui, resiste e poi vince in volata
Il forcing di Pogacar sullo strappo di San Vito. Narvaez, che s’intravede dietro di lui, resiste e poi vince in volata

Un solo gregario

Di bello è che Pogacar e la UAE Emirates hanno fatto divertire. Hanno corso a carte scoperte sin da subito, all’attacco già dalla prima frazione.

«Se sarà tutti i giorni così? Speriamo – ha detto a caldo il Ceo della UAE, Gianetti quando ancora Pogacar doveva sfilare tra i fotografi e i giornalisti dietro il traguardo – Siamo stati davanti, peccato che non abbiamo vinto. Ma il Giro d’Italia è lungo».

Il Giro è lungo. Tadej sta bene perché comunque è arrivato davanti e ha già messo un piccolo gap tra se e gli altri uomini di classifica, però è innegabile che qualcosa non abbia funzionato. Di fatto è rimasto con un solo uomo, Rafal Majka, un po’ troppo presto. E da quel momento ha avuto di fatto l’intero gruppo contro più che mai. Se non è un campanello d’allarme poco ci manca.

Mentre Pogacar, dapprima silenzioso e serio e poi un po’ più sciolto fa defaticamento sui rulli, intercettiamo Fabio Baldato, il direttore sportivo che lo ha guidato in ammiraglia.

Fabio, subito spettacolo…

Sì, spettacolo… l’idea era di correre aggressivi. Il tracciato era tecnico, le discese insidiose e rischiose. Volevamo appunto fare corsa dura per stare davanti, ridurre il “traffico” e appunto evitare rischi e pericoli. E facendo corsa dura sono rimasti in pochi presto.

Corsa dura, ma non si è potuto fare a meno di notare che siete rimasti con un solo uomo, Majka. C’è qualche dinamica che non ha funzionato?

Un paio di ragazzi hanno reso un po’ meno del previsto. Non sono stati all’altezza di quel che ci aspettavamo ma non ne facciamo un dramma. Siamo al primo giorno di corsa e può succedere. In più era una tappa di 140 chilometri, quindi breve, e gente come Novak e Grosschartner hanno fatto un po’ più di fatica. Forse qualcosa è andato storto, ma davvero nulla di particolare.

In molti hanno pagato in effetti…

Tappa corta, esplosiva che qualcuno ha digerito bene e qualcun altro ha pagato. Ma non credo sia oggi che si capiscano i reali valori del Giro. Si può andare a vedere chi è stato più in difficoltà di altri, quello sì. Ma un primo giorno così esplosivo poteva riservare qualche sorpresa. Tanto più dopo tre giorni tra prove, interviste, presentazioni… 

C’era incertezza?

E’ facile trovarsi imballati e con le gambe non a posto. E’ successo ad un paio dei miei, ma anche ad altri. Adesso aggiusteremo il tiro e sono convinto che tra qualche giorno ognuno troverà il suo posto.

La sensazione è che Pogacar sullo strappo fosse il più forte, nonostante Narvaez lo abbia tenuto. Lo sloveno sembrava in pieno controllo, come se avesse avuto l’input di non esagerare con i fuorigiri. E’ così?

Sarebbe stato bello vincere la tappa, ma non era comunque qui che si sarebbe vinto il Giro. Adesso ci devo parlare e vediamo cosa dice. Tadej era lì e questo è l’importante. Gli altri hanno corso sulla sua ruota e su di noi.

Ecco: “Hanno corso su di noi”. Sarà questo il leitmotiv di questo Giro?

Sicuramente. E noi dovremmo essere bravi a non perdere il controllo, la pazienza, la lucidità. Questa tappa ci servirà da monito che non bisogna abbassare la guardia e non si deve sottovalutare nessuno.

Fabio, hai detto che ci devi parlare. Nel ciclismo dei numeri il dialogo resta importante dunque?

Certo, almeno per capire le sue sensazioni e cosa si può fare meglio. E’ il primo giorno di gara, ne abbiamo altri venti davanti ed è importante trovare la giusta armonia.

La UAE Emirates ha preso in mano la tappa, ma nel finale aveva un solo uomo vicino a Pogacar
La UAE Emirates ha preso in mano la tappa, ma nel finale aveva un solo uomo vicino a Pogacar

Fare meglio

Intanto il bus inizia a richiudere i battenti. Anche Molano, l’ultimo della UAE Emirates, al traguardo ha finito di fare il defaticamento sui rulli, come per primo aveva fatto Pogacar.

Si parla di crampi: in tanti ne hanno avuti. Oggi a Torino non era caldo, ma neanche così fresco. All’ombra serviva in giacchino, ma al sole i raggi picchiavano. E in questi casi l’umidità è forte. Questo meteo variabile ha messo in crisi più di qualcuno sul fronte dell’idratazione. 

La UAE Emirates ci dicono è solita fare il debriefing sul bus mentre si ritorna in hotel. «Adesso – dice Matxin – dovremmo parlare. Non è andata male, volevamo correre così, ma sicuramente c’è qualcosa da mettere a punto». 

Quinto a Torino, ma Conci comincia col piede giusto

04.05.2024
5 min
Salva

TORINO – Quando si è voltato a pochi metri dallo scollinamento di San Vito, Nicola Conci ha avuto la percezione del sogno che finiva. Quella sagoma bianca non lasciava spazio a dubbi, ma non ha cancellato la bellezza della sua azione. Il trentino ha attaccato, come pure Caruso e l’indomito Pellizzari. E per la prima volta da qualche anno ha sentito che tutto funziona come deve. La gamba spinge, il cuore la sostiene: a queste condizioni sognare non è più vietato.

Quella sagoma bianca

Prima tappa del Giro d’Italia, la sconfitta di Pogacar fa sembrare tutto più grande di quanto sia davvero. La UAE Emirates ha frantumato il gruppo e alla fine è lì a masticare sul terzo posto di Tadej. Lo sloveno non ce l’ha fatta a stare fermo e ha subito l’astuzia e la freddezza di Narvaez, ma quando ha preso e saltato Conci, la sensazione era che avrebbe fatto di tutti un sol boccone.

«E’ stata come ci si aspettava – dice Conci – una corsa dura nella seconda parte, soprattutto nel momento in cui la fuga cominciava ad avere un vantaggio discreto, considerata la lunghezza della tappa. Ho visto due ragazzi che si muovevano, uno era Honoré e l’altro Echachmann. Sono dei pedalatori, mi sono inserito ed è nata una bella azione. Stavo molto bene. Ho visto il momento in cui c’era un piccolo gap dietro di me. Ho accelerato un attimo e sono riuscito a prendere vantaggio. Fino a metà della salita finale ci ho creduto abbastanza, non nascondo che un pochino il sogno l’ho cullato.

«Poi mi sono girato. Ho visto una sagoma bianca con i colori della Slovenia e ho capito. Certo un po’ di rammarico c’è, perché sono esploso negli ultimi cento di metri di salita. Se non avessi fatto un fuorigiri così, magari sarei riuscito a rimanere con i primi tre. Anche se dubito che poi avrei avuto le gambe per fare una buona volata…».

Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe
Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe

Lo avevamo sentito ad aprile, deluso per non aver corso le Ardenne eppure motivato per arrivare bene al Giro. Vedendolo inquadrato durante la fuga, nel box dei giornalisti all’arrivo si ragionava su quanto sembrasse predestinato da junior e i mille intoppi degli ultimi anni. Finalmente però si comincia a vedere un bel Conci al Giro d’Italia…

Era ora?

Non nascondo che il Giro sia una corsa a cui tengo fin da bambino. L’ho detto più volte: i primi quattro anni da professionista sono stati difficili. Il quinto è stato travagliato con la storia della Gazprom e l’anno scorso non nascondo di aver preso una batosta a livello morale non indifferente, dovendomi ritirare dopo solo sei tappe. Quindi quest’anno ho mantenuto la calma, ho avuto qualche malanno di influenza. Sono caduto ai Baschi, quindi non sono riuscito a esprimermi al meglio, ma negli ultimi dieci giorni ho cominciato a stare veramente molto bene.

Quel che serve per arrivare giusti alla partenza?

Sapevo di aver lavorato bene, quindi arrivo a questo Giro fiducioso di poter far bene e con la voglia di godermelo fino in fondo. Non lo nascondo, ma uno dei miei primi obiettivi è quello di arrivare a Roma e godermi queste tre settimane. Finire un grande Giro sembra scontato, una volta che si è professionisti, ma è comunque un sogno. Nel momento in cui si arriva al traguardo finale ci si rende conto di aver fatto qualcosa di grande. Quindi ho la condizione, cercherò di far bene in diverse tappe, ma uno dei miei obiettivi rimane quello di vedere il Colosseo.

L’attacco di Conci è venuto nel tratto di pianura che precedeva l’ultima ascesa a San Vito
L’attacco di Conci è venuto nel tratto di pianura che precedeva l’ultima ascesa a San Vito
Eri partito per andare in fuga?

Sì. Ieri ho fatto un paio di lavoretti cosiddetti opener, azioni ad alti giri, e in certi momenti mi domandavo se il power meter funzionasse, perché veramente stavo bene. Oggi ero anche molto nervoso e un po’ lo sentivo nelle gambe. Poi ho visto il momento, stavo bene, ho capito che era un buon momento e sono andato. E alla fine è venuta fuori una bella prestazione.

Com’è la sensazione di quando si vede arrivare Pogacar? Probabilmente nelle prossime tre settimane la vivranno in tanti…

Sinceramente non è che fossi tanto sorpreso. Ho sentito che avevo 20 secondi sul gruppetto e 25 dal gruppo dietro. Fino a poco prima della salita avevamo un gap maggiore rispetto al grosso, quindi ho immaginato che avessero aperto il gas. Se c’era un corridore che mi aspettavo di vedere per primo era lui e così è stato.

E’ parso che per un po’ abbiate discusso in fuga…

C’era la sensazione che si andasse via con il freno non tirato, ma non al massimo. Ognuno sapeva che anche se fossimo arrivati insieme e ci fossimo giocati la tappa, avremmo dovuto combattere tra noi sulla salita, quindi ognuno giustamente ha cercato di risparmiarsi. Restano la bella sensazione e l’orgoglio di aver fatto una mossa intelligente.

Quindi è stata un’azione voluta?

Sinceramente era già qualche minuto che acceleravo, poi frenavo. Acceleravo e frenavo, perché alla fine tutti giustamente guardavano Tadej e lui ormai aveva solamente Maika a tirare. Sapevo che se ci fossero stati degli attacchi, alla fine sarebbe toccato a Rafal tirare contro gli elementi della fuga. E di conseguenza sapevo che c’era la possibilità di andare lontano. E così ci ho provato. Io e anche altri…