«Vincenzo, io ti capisco». Parla (dal cuore) l’amico Visconti

12.05.2022
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Sarà bello fra qualche tempo incontrarli sulla cima di Lamporecchio, nella Toscana che li ha uniti dopo che la Sicilia gli ha dato la vita, davanti a una birra e con le bici poggiate al muro. Giovanni e Vincenzo, Visconti e Nibali. Due nomi che hanno pedalato accanto per una vita e che hanno scelto di ritirarsi nella stessa stagione.

«Quando ho annunciato che stavo smettendo – dice Visconti – Vincenzo mi ha chiamato e aveva qualcosa di strano nella voce. Credo che anche lui stesse vivendo un momento difficile…».

Al Giro del 2013, Giovanni vince sul Galibier, Vincenzo consolida la rosa
Al Giro del 2013, Giovanni vince sul Galibier, Vincenzo consolida la rosa

Giovanni è appena rientrato a casa da tre giorni al Giro d’Italia, portando in giro per la Sicilia il marchio MCipollini di cui è testimonial e raccogliendo a ogni tappa splendide dimostrazioni di affetto. E ieri che il suo rivale di sempre, poi diventato amico e comunque accomunato da una storia simile, ha annunciato che a fine anno smetterà di correre, quello che li ha sempre uniti è diventato anche più forte.

Te lo aspettavi?

Non avevo collegato il fatto che la tappa arrivasse a Messina e che potesse essere un bel momento. Ma sì, avevo capito che si stesse avvicinando anche il suo tempo.

Hai parlato di un momento difficile.

A Vincenzo ho sempre invidiato la capacità di fregarsene di tutto, di farsele scivolare addosso. Però provo a mettermi nei suoi panni. Negli ultimi tempi potrebbe aver pensato: “Io sono Vincenzo Nibali, ho vinto quello che ho vinto, perché devo subire tutte queste critiche?”. E’ sempre andato forte, ma ultimamente i risultati arrivavano meno. La gente ti dice di tenere duro, ma non sa da quanto tempo uno è lì che ci pensa e ripensa. Il mio travaglio interiore è durato due anni, chissà lui da quanto ci riflette.

Insieme in azzurro a Geeolong 2010, nel primo anno del cittì Bettini
Insieme in azzurro a Geeolong 2010, nel primo anno del cittì Bettini
Perché tante critiche?

Lo trovo incredibile. Cosa vogliono chiedergli ancora? Ha 37 anni, non pensano sia normale che ci siano atleti giovani che vanno più forte? E’ assurdo come attorno a lui si sia concentrato lo stesso gruppo di persone che prima ha sminuito le sue vittorie, attribuendole alle cadute degli avversari. E adesso che non vince perché il tempo è passato, lo attaccano ancora. Giuro che lo capisco Vincenzo.

La sensazione è che nel dirlo si sia tolto un peso.

Un peso enorme, anche se forse sarà difficile convivere con questa cosa sino alla fine dell’anno. Spero che adesso cominceranno a volergli nuovamente bene ed elogiarlo, perché pur avendo deciso di smettere, sarà sempre lì a onorare le corse. E poi diciamoci una cosa…

Che cosa?

Uno come lui non può smettere da oggi a domani, come magari ho fatto io. Se ti chiami Nibali, se sei Vincenzo Nibali hai la squadra che poggia su di te e dei contratti con gli sponsor. La gente la fa facile, ma non si tratta di scendere di sella e chiuderla lì.

Insieme in azzurro anche al Memorial Pantani del 2015, sulla via dei mondiali di Richmond
Insieme in azzurro anche al Memorial Pantani del 2015, sulla via dei mondiali di Richmond
Credi che essersi tolto quel peso gli permetterà di correre questo Giro divertendosi di più?

Forse sarà più tranquillo e, come ha detto anche lui, riuscirà a divertirsi. Spero solo che esca ancora un po’ dalla classifica, perché le gambe per arrivare nei dieci le ha di certo. Solo che penso sarebbe più bello nell’ultimo Giro della carriera riuscire a tagliare un traguardo con le braccia al cielo piuttosto che lottare per arrivare quinto.

Ha parlato di voglia di stare più in famiglia.

Poi sarà finalmente più libero e potrà divertirsi ad andare in bici. Ma come sintesi, credo che la cosa da dire sia una e una sola.

Quale?

Io sono fiero di aver diviso tutta la mia carriera con lui. Contro e assieme. E in futuro sarà anche bello ricordarlo, perché Vincenzo Nibali è la storia del ciclismo e io a modo mio l’ho vissuta con lui. Abbiamo cominciato la carriera insieme. E poi, come ho già detto altre volte, lui si è avviato verso un altro pianeta (in apertura, i due sono assieme nel Tour del 2014 vinto dal messinese, ndr). Ci siamo stuzzicati e motivati a vicenda e negli ultimi tempi mi è capitato anche di difenderlo da tutte quelle critiche ingiuste. Perché quando è troppo, è troppo. Ora spero che possa godersi quel che resta del suo viaggio nel ciclismo.

Hanno corso insieme al Team Bahrain-Merida nel 2017 e nel 2018. Qui al Giro del primo anno
Hanno corso insieme al Team Bahrain-Merida nel 2017 e nel 2018. Qui al Giro del primo anno
Sai qual è l’altra cosa da dire?

No, qual è?

Che alla fine voi avrete mollato, invece Pozzovivo sarà ancora lì a lottare almeno per un altro anno. Della squadra di Verona (dei mondiali U23 del 2004), Domenico si rivelerà il più longevo.

Scoppia a ridere. E’ stato un onore raccontare le loro carriere, anche noi ne siamo fieri. E magari quel giorno, se lo vorranno, ci siederemo accanto ordinando un’altra birra. Rinfrescando i ricordi o parlando volentieri anche d’altro.

Valverde al Giro, Visconti ricorda l’abbraccio di Vinadio

06.05.2022
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Allo stesso modo in cui Nibali aveva abbracciato Scarponi a Risoul, l’indomani a Sant’Anna di Vinadio, Valverde si fermò in mezzo alla strada per aspettare Visconti. E quando il siciliano arrivò, lo spagnolo lo abbracciò così forte che ancora oggi Giovanni ne sente la stretta. Grazie al suo aiuto, il podio al Giro 2016 era cosa fatta.

Al Giro col sorriso. Il verbo preferito di Valverde è “disfrutar”: godersi la vita e la bicicletta. La ricetta di tanta longevità
Al Giro col sorriso. Il verbo preferito di Valverde è “disfrutar”: godersi la vita e la bicicletta

L’ultimo saluto

Il rapporto fra Valverde e l’Italia era diventato difficile. Nella sua scelta di stare alla larga aveva inciso il coinvolgimento nell’Operacion Puerto: fu il prelievo eseguito dagli ispettori del Coni a Prato Nevoso, in quel solo giorno in cui il Tour passò per l’Italia, a portare alla sua squalifica. Quando però la scontò e tornò più forte di prima, in lui nacque il timore che il pubblico italiano non lo volesse tra i piedi. Fu proprio l’affetto percepito al Giro del 2016 a fargli cambiare idea. Tornarci a distanza di sei anni ha il sapore del saluto.

Il podio finale di Brescia nella prima partecipazione al Giro per Valverde, dietro Nibali e Chaves
Il podio finale di Brescia nella prima partecipazione al Giro per Valverde, dietro Nibali e Chaves

Il ragazzo di sempre

Le foto di Valverde alla partenza da Budapest hanno la luce del bimbo alle giostre. La pensa così anche Visconti, che a dispetto delle offerte e delle scelte successive, al Movistar Team ha vissuto alcuni dei momenti più belli della carriera.

«Conobbi bene Alejandro – racconta Visconti – quando firmai con Movistar. La sera stessa gli scrissi che era un onore correre con lui e mi rispose subito, dandomi il benvenuto. Si merita tutto l’affetto di cui gode, perché fondamentalmente è rimasto lo stesso ragazzo di sempre. Non è il tipo di ciclista che se la tira. Ha saputo superare momenti difficili, ma non ha mai smesso di sorridere».

Sul traguardo di Sant’Anna di Vinadio, l’ufficialità del podio per Valverde al Giro 2016
Sul traguardo di Sant’Anna di Vinadio, l’ufficialità del podio per Valverde al Giro 2016
Capita spesso di leggere tuoi post su di lui.

Mi viene spontaneo. Con Valverde ho imparato a essere corridore, il ciclismo fatto di sacrifici, umiltà e grinta. Ho iniziato a mangiare bene grazie a lui. Quando eravamo in Belgio, fu lui a convincermi a fare merenda con riso e tonno. Carboidrati e proteine, si metteva lì e mi spiegava. Oppure mi suggeriva come fare le borracce con aminoacidi e maltodestrine. E’ un generoso, condivide i suoi segreti. E in questo ciclismo di minime differenze, non tutti lo fanno.

Visto come è contento anche se fa secondo?

Perché anche quella è una vittoria. Ha più di 40 anni, ne è consapevole. Sa che ci sono ragazzi molto più forti. Per cui arrivare secondo è un grande risultato e insieme è capace di emozionarsi per la vittoria di un altro.

Visconti in fuga verso Vinadio viene fermato per aspettare e aiutare Valverde
Visconti in fuga verso Vinadio viene fermato per aspettare e aiutare Valverde
Hai parlato del Belgio, com’è stato vivere le Ardenne con lui?

La gara comincia il venerdì, durante la ricognizione. Fa le salite a tutta, anche perché non ha mai avuto un metodo di lavoro, come quelli di cui si parla e si scrive. Sono stato ad allenarmi a casa sua, altro che tabelle. Ha il suo gruppo di amatori, li stacca e rientra con allenamenti a 35-38 di media. Per cui il venerdì, lui deve sentirsi forte.

E poi?

E poi, non ci sono tensioni, soprattutto al via della corsa. E’ sul pullman che fa lo scemo, battute su battute, e Unzue che di solito è seduto sul primo sedile, quello più basso, solleva rassegnato lo sguardo. In corsa però si trasformava.

Come?

Fino a metà gara non faceva che lamentarsi. Veniva a chiedere se stessi bene o se anche io avessi mal di gambe come lui. E io, anche se stavo bene, mentivo e dicevo che ero a tutta. Così lui prendeva morale e alla fine vinceva.

Consapevole del tempo che passa, Valverde è gioviale con i campioni emergenti
Consapevole del tempo che passa, Valverde è gioviale con i campioni emergenti
E’ davvero contento di tornare al Giro?

Era una vita che non veniva. Temeva di non essere ben visto, poi si è reso conto di essere amato. Il podio del 2016 per lui fu una gioia incredibile. Certo che torna felice.

Cosa ricordi di quel Giro?

Volavo in salita. Arrivai 13° in classifica, pur avendo lavorato per la squadra. A Sant’Anna, sarei arrivato secondo, ma mi fermarono e rimasi ad aspettarlo per tirare 500 metri. Un vecchietto mi vide fermo e mi chiese se stessi bene. La stessa cosa a Sestola, sarei arrivato secondo anche lì. La squadra mi lasciava i miei spazi, ma se non si lottava per vincere, era naturale che aiutassi. Lo facevo volentieri, perché era gratificante. Mi sentivo forte. Il giorno migliore fu quando vinse Nieve a Cividale del Friuli e io arrivai secondo (dietro di lui, staccati, Nibali e Valverde, ndr).

Nello stesso giorno a Vinadio, Scarponi lanciò Nibali verso l’insperata maglia rosa
Nello stesso giorno a Vinadio, Scarponi lanciò Nibali verso l’insperata maglia rosa
Secondo te perché Alejandro sta andando avanti tanto?

Per me ha paura di smettere. Non gli mancano soldi o un lavoro, gli dicevo sempre che ha il cervello a misura di bici. E’ un ciclista vecchio stampo, può fare solo bici, mentre i giovani fenomeni di oggi potrebbero vincere in qualunque disciplina. Per questo mi tengo un 10 per cento di possibilità che continui, anche se l’hashtag che mette nei post – #LaUltimaBala – fa pensare che abbia deciso. 

Hai lasciato quella squadra per non fare il gregario?

Non ero gregario, non lo sono mai stato perché non sono in grado di farlo. E con questo riconosco massima stima a quei corridori che invece lo sono e lo fanno. Quella sarebbe stata la squadra giusta in cui chiudere la carriera. Invece arrivò la chiamata di Slongo e poi quella di Nibali. Dopo 5 anni volevo forse stimoli nuovi che in realtà non servivano. Unzue non aveva garanzie per farmi firmare subito e andai al Bahrain.

Perché ricordi così tanto quell’abbraccio?

Perché è l’abbraccio di Alejandro all’amico Giovanni. C’erano dentro e ci sono ancora le fatiche del Giro e le difficoltà superate insieme. Ne ho una foto, anche bruttina, che custodisco gelosamente. Anzi, se ne avete una migliore, mi piacerebbe averla. Al primo risultato di Alejandro in questo Giro, scrivo qualcosa su di lui.

Visconti, il gravel e la collaborazione con il Gruppo Zecchetto

20.04.2022
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Dopo la recente esperienza vissuta in occasione della Sicily Divide, “pedalata” assieme all’amico Paolo Alberati, Giovanni Visconti ha sempre più presente il mondo gravel: anche e soprattutto per il prossimo futuro. L’ex corridore siciliano ha difatti raggiunto un’intesa con i brand del Gruppo Zecchetto – Dmt, MCipollini e Alè – per rivestire il ruolo di “ambassador”, ma soprattutto per pianificare assieme a loro nuove iniziative e nuove imprese da realizzare in questa specifica disciplina.

Abbiamo allora approfittato di questa notizia per capire qualcosa in più relativamente questa nuova passione di Visconti. Una passione quella per il gravel che sta “contagiando” moltissime persone in Italia, tra cui molti neofiti che al ciclismo si avvicinano per la prima volta perché incuriositi da questo diverso approccio.

Giovanni Visconti ha iniziato fin da subito il suo percorso di avvicinamento al mondo gravel
Giovanni Visconti ha iniziato fin da subito il suo percorso di avvicinamento al mondo gravel
Giovanni, questo per il gravel è un amore a prima vista…

Onestamente sì. Paolo Alberati mi ha spinto a percorrere assieme a lui la Sicily Divide. Per pedalare liberamente, per pensare al mio futuro. E devo dirvi che l’esperienza è stata a dir poco entusiasmante! Ero convinto che una volta appesa la bicicletta al chiodo non ne avrei più voluto sentirne parlare…

E invece?

E invece tornato a casa ne ho sentito subito la mancanza. La bici da gravel che ho pedalato in Sicilia, una MCipollini MCM ALLroad, mi ha divertito e mi ha trasferito un senso di libertà assoluto. Senza poi tralasciare il fatto che abbiamo pedalato su sterrati fantastici, immersi nella natura e soprattutto in assoluta sicurezza.

Un maggior contatto con la natura gli ha permesso di scoprire un nuovo modo di vivere la bici
Un maggior contatto con la natura gli ha permesso di scoprire un nuovo modo di vivere la bici
Che emozioni ti trasmette questo nuovo approccio al ciclismo?

Pedalare su una gravel è un esperienza che cambia il tuo modo di guardare al ciclismo e al territorio che attraversi. Io stesso, per molti anni, allenandomi nei dintorni di casa o correndo in giro per il mondo non mi sono mai reso conto di cosa avessi attorno. Probabilmente avrò attraversato posti magnifici, ma in tutta onestà non mi è rimasto addosso un granché. Il traffico e le automobili adesso sono un ricordo già lontano: finisce la strada asfaltata ed entri nel bosco, tutto diventa mano a mano meno frequentato, e poi finalmente arriva il silenzio.

Sei più in contatto con il mondo che ti circonda?

In bici, sullo sterrato, riesci a sentire i profumi della natura e soprattutto torni a sentire te stesso. Un intreccio di situazioni che sfociano in un’emozione unica. In sella alla mia gravel riscopro la voglia di uno scatto su una salita, la voglia di sentire il rumore della mia fatica, assaporo le discese che magari mi portano in riva ad un lago che non sapevo esistesse. In sella alla mia gravel riesco finalmente a fermarmi e ad immortalare la bellezza del ciclismo.

Questo percorso di riscoperta non poteva iniziare che dalla sua Sicilia
Questo percorso di riscoperta non poteva iniziare che dalla sua Sicilia
Perchè hai scelto di affiancarti ai brand del Gruppo Zecchetto? 

In realtà non ho scelto: è stata una conseguenza naturale… Con Federico Zecchetto mi lega un’amicizia di lunga data. Gli ultimi anni ho corso con le scarpe Dmt ai piedi e ho sempre pedalato MCipollini. E con loro mi trovo davvero molto bene. E poi la linea gravel di Alè è davvero fantastica. Presto faremo dei programmi assieme e non vedo l’ora di potermi cimentare in qualche bella iniziativa in giro per l’Italia, oppure all’estero, per proseguire a praticare la mia passione… Ma questa volta su una bici da gravel!

Cipollini

Dmt

Alé Cycling

La Sicily Divide di Visconti: un viaggio nell’anima

10.04.2022
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«Qui Trapani! Da domani inizia la mia Sicily Divide! Ho deciso di fare una sorta di blog per raccontarvi un viaggio all’interno di me stesso attraverso la bici, la stessa bici che tanto mi ha dato, ma senza mai permettermi il lusso di guardarmi attorno e soprattutto di guardarmi dentro…».

Siciliy Divide taglia la Sicilia da Trapani a Catania: una dorsale magica
Siciliy Divide taglia la Sicilia da Trapani a Catania: una dorsale magica

La sua terra

Cominciava così, il 29 marzo, il viaggio in Sicilia di Giovanni Visconti e Paolo Alberati. Un viaggio inaspettato per il palermitano di San Baronto, che aveva da poco annunciato il ritiro. Si poteva pensare che avesse voglia di starsene a casa, ma evidentemente mancava qualcosa. Non si possono chiudere 17 anni di professionismo semplicemente andando via. C’era da fare i conti con il se stesso più profondo e la terra da cui partì molto giovane per conquistare il mondo, senza probabilmente avere il tempo di conoscerla.

«Quando sono giù – sorride – conosco le strade dove mi alleno e poco di più. Non so il nome delle vie di Palermo, che la gente snocciola dando riferimenti di negozi e monumenti. Ho visto paesaggi che non pensavo potessero esistere, ho visto la vera Sicilia. In certi momenti mi è parso di essere in un altro posto, invece era la terra che mi ha permesso di diventare quello che sono. Quando Paolo mi ha chiamato, gli ho detto subito di sì. Io che negli ultimi anni facevo fatica a staccarmi da casa, ho capito che modo migliore non c’era. Un vero ritorno alle origini».

Un viaggio dentro

Ore e chilometri per pensare e soprattutto parlare. Luoghi magici. Fatica. L’ironia di partire anche se pioveva. E alla fine la riscoperta della bicicletta per quello che è davvero.

«Parlare in bici è una cosa che non avevo mai fatto. Così come non mi ero mai guardato intorno. Invece quel paesaggio e quell’andatura invitavano a farlo. Ho detto e sono riuscito a fare un viaggio dentro me stesso attraverso la bici e così è stato. Tramite questo tipo di esperienza e grazie a tutto quel silenzio, ho scoperto lati di me che non conoscevo. Quando sei nel ritmo delle gare, non c’è mai il tempo di ascoltarsi davvero e le cose restano dietro. Magari qualcosa che fingi di non aver visto comincia a crescere e alla fine per tirarlo fuori c’è bisogno del mental coach. Pensavo che alla fine del mio percorso, avrei appeso la bici al chiodo. Invece ho scoperto che non ho la nausea, ho voglia di usare la bici. Sono tornato a sentirla come quando ci montai sopra la prima volta».

Il punto sulla vita

Giorni nel vento. Luoghi che segnano l’anima come il Cretto di Burri e il ricordo di un terremoto dimenticato. La discesa da Mussomeli attraverso colline verdissime verso Serradifalco, casa di Rosario Fina, passando sotto creste simili alle Tre Cime di Lavaredo. La scoperta, dentro e fuori di sé. E un’idea di futuro tutto da scrivere.

«Posso dire che per ora – ammette – me la sto godendo. Sto mettendo vari punti nella mia vita e non mi sento ancora di dire cosa voglio fare. Forse non ho voglia di rinchiudermi in un’ammiraglia per fare il direttore sportivo o davanti a un computer. Ho parlato con Federico Zecchetto (titolare di MCipollini e DMt, ndr), che è un amico vero. Mi ha sempre rispettato, io ho sempre rispettato lui. Ci sono proposte. Vediamo cosa viene fuori. Non sparisco, a qualche evento ci sarò, non credo che farò una vita tanto diversa. Il ciclismo è il mondo in cui continuerò a vivere».

Una rinascita

La nuova vita ha un sapore diverso e strano. L’andirivieni da casa a scuola con i bimbi, che intanto crescono. Il giretto in bici quando se ne hanno tempo e voglia. Il non dover comunicare ogni giorno i propri spostamenti.

«Io sono cresciuto con l’Adams – dice – e la necessità di comunicare ogni cosa che facessi, fosse anche andare a pesca o a funghi. Ho mandato una lettera all’UCI e mi è stato risposto che non devo più aggiornarlo. Non ho più questo pensiero e non potete capire quanto sembri strano potermi muovere in questa nuova libertà. Quando corri non ci fai caso, ora è stranissimo. Sono contento. E sono contento anche per Katy, mia moglie. Mi ha detto che se avesse immaginato di avermi così rilassato in casa, mi avrebbe fatto smettere prima. E io, lo sapete, sono uno che si porta dietro i malumori. Pensate che peso deve essere stato avermi in casa negli ultimi tempi… Oggi piove, stavo per uscire in bici, mentre prima ne avrei avuto disgusto e rabbia. Ora capisco certi amatori appassionati e la loro grinta. Questo viaggio con Alberati è quello che serviva. Era da tempo che mi trascinavo, c’era solo da ammetterlo. Aspettare significava volersi male. Questo viaggio è stato una rinascita».

Inverso e polarizzato: come cambia l’allenamento? Parla Slongo

01.04.2022
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Lo aveva detto Visconti l’ultima volta che l’abbiamo incontrato: «Ho vissuto tre generazioni di ciclismo, vedo come si lavora oggi. E’ finito il periodo dell’allenamento di quantità, ora si fa tanta qualità».

Le sue parole si sono sommate all’osservazione di abitudini diverse. Il rendersi conto che quasi più nessuno fa le vecchie distanze di sette ore. E che sempre meno corridori alla vigilia di una corsa importante aggiungono ore o chilometri alle gare precedenti. L’eccezione ovviamente c’è sempre, dato che dopo la tappa di San Marino alla Coppi e Bartali (di 147 chilometri), Van der Poel se ne è tornato a Riccione in bicicletta (40 chilometri), per poi vincere a Waregem.

Dopo la tappa di San Marino alla Coppi e Bartali, Van der Poel ha allungato di 40 chilometri fino all’hotel
Dopo la tappa di San Marino alla Coppi e Bartali, Van der Poel è tornato in hotel in bici

Un limite alle ore

Di questo e delle nuove tendenze parliamo con Paolo Slongo, una vita con Vincenzo Nibali e ora nello staff della Trek-Segafredo (in apertura Pedersen e Stuyven ieri in allenamento sul percorso del Giro delle Fiandre). Il progresso di cui parla Visconti si è verificato tutto sommato in un periodo limitato che il trevigiano ha attraversato adattando le metodiche di lavoro.

«Ho sempre detto – spiega – che all’inizio della carriera magari fai un incremento progressivo di ore. Poi arrivi a sommare tante stagioni di professionismo, com’è stato per Visconti e Nibali e chi ha qualche anno sulle spalle, e non puoi aumentarle di tanto. Comunque più di 25-30 ore al massimo per settimana non riesci a farle. Così vai ad aumentare la qualità».

Vincenzo Nibali sta seguendo un avvicinamento al Giro coerente con quello delle stagioni precedenti
Nibali sta seguendo un avvicinamento al Giro coerente con quello delle stagioni precedenti
Mantenendo il tempo di allenamento?

Siccome quello resta uguale, aumenti la qualità. In teoria un bravo allenatore dovrebbe aumentarla gradualmente. Se l’anno scorso il corridore faceva dei volumi, quest’anno ne farà un po’ di più. Quindi devi avere sotto controllo tutti questi aspetti. Anche 10-15 anni fa c’era questa attenzione, ma era meno esasperata. Se l’atleta ha l’attitudine mentale di vivere per un po’ di anni solo per la bici, tra preparatori, alture e nutrizionisti, se è in grado di… esasperare il suo lavoro, riesce davvero a fare la differenza. Ci sono vari modi di interpretare le cose. Quello che cambia è altro.

Che cosa?

Si è passati dall’allenamento classico a qualcosa di diverso. Lo schema di una volta rimane ancora come scuola di pensiero: un allenamento graduale, sia di qualità che di quantità. Due-tre giorni di carico e uno di scarico. Due-tre settimane di carico e una di scarico. Oggi oltre a questo ci sono altre opzioni.

Quali? 

Ho letto che Van Aert fa l’allenamento inverso, nel senso che inizia proprio d’inverno a fare qualità senza aver una base di lavoro, che farà in un secondo tempo. E’ quello che ho visto fare lo scorso anno da Nibali, anche se non lo seguivo più. E poi c’è un terzo modo di allenarsi, più vicino alle squadre anglosassoni ed è quello polarizzato.

Nel corso del ritiro di Alicante, Van Aert ha raccontato il suo allenamento inverso
Nel corso del ritiro di Alicante, Van Aert ha raccontato il suo allenamento inverso
In cosa consiste?

Fanno una settimana di qualità o potete chiamarla anaerobica o di VO2Max, prevedendo un blocco di lavoro di soglia, fuori soglia o magari capita anche la gara che sarebbe l’ideale. Nelle due settimane restanti fanno tantissimo volume di lavoro, tante ore quasi senza riposi, lavorando prevalentemente su frequenze aerobiche. Fai tanta sella, tanto medio, tanto lungo, quindi un lavoro più blando. E poi ricominci allo stesso modo.

Perché questa divisione?

Partono dal presupposto che la parte aerobica inizi a perderla in due settimane, invece quella anaerobica la mantieni per più di tre. Quindi da una volta che si aveva l’allenamento classico un po’ per tutti, adesso ci sono queste possibilità. Vi dirò che l’allenamento inverso lo faceva già qualche russo o negli anni della DDR, è una cosa già vista. Invece il polarizzato è più recente e secondo me è nato prevalentemente col ciclismo inglese.

Sono schemi cui gli atleti si adattano tutti allo stesso modo?

Il punto è questo. Qua secondo me la differenza sta nella bravura di conoscere l’atleta e fargli il metodo su misura. Van Aert ha dichiarato di allenarsi al contrario degli altri con il programma inverso, che con lui funziona. Altri hanno provato lo scorso anno, ma non hanno raccolto i frutti sperati. Ognuno deve assecondare le sue caratteristiche, anche perché quel metodo a Van Aert probabilmente va bene perché d’inverno vuole essere già brillante per il ciclocross.

La preparazione polarizzata si è diffusa fra i team anglosassoni (foto Ineos Grenadiers)
La preparazione polarizzata si è diffusa fra i team anglosassoni (foto Ineos Grenadiers)
Il polarizzato può funzionare anche durante la stagione?

Per chi lo fa a livello professionistico, direi proprio di sì. Se uno fa per esempio la Coppi e Bartali e Larciano, che si possono considerare come una settimana di lavoro, nelle due settimane successive comunque starà tanto in sella. Magari senza grande intensità, però farà 25-30 ore a settimana, che vuol dire quasi 5 ore al giorno. Vige il principio che l’intensità l’hai acquisita, recuperi e ti resta. E magari a casa ti dedichi alla parte che tendi a perdere, quella più aerobica.

Come cambia la situazione se l’atleta è molto giovane?

Il principio resta uguale, ma per i carichi di lavoro farà meno di un corridore che ha 5 anni di più. Come ad esempio la Balsamo sta facendo meno della Longo Borghini, perché la Longo Borghini ogni anno ha aumentato di un po’. La Balsamo che è più giovane e ha un’altra storia, fa molto meno, ma fra 5 anni dovrà anche lei arrivare a volumi superiori.

Questi carichi minori non li rendono però meno performanti…

No, perché ci sono altri fattori. Innanzitutto non hanno problemi di peso, perché hanno un metabolismo più veloce che consuma di più e quindi magari il chilo lo perdi più facilmente o non lo prendi neanche. Secondo punto, riescono a essere brillanti subito, prima degli altri, con meno gare e meno volume di lavoro. Gli atleti maturi diventano un po’ più diesel, hanno bisogno di più allenamento.

La misurazione del lattato (qui al ritiro della Alpecin a Benicasim) resta una necessaria fase di valutazione
La misurazione del lattato (qui al ritiro della Alpecin a Benicasim) resta una necessaria fase di valutazione

Resta dunque nella soggettività il ragionamento sull’opportunità di introdurre cambiamenti nella propria preparazione dopo anni di scelte sempre uguali. Difficilmente l’atleta si stacca dallo schema che gli ha dato i risultati migliori, rinunciando forse con questo a esplorare aspetti che potrebbero essere ugualmente redditizi. Visconti aveva ragione, anche se adesso più che mai, in questo ciclismo così capillare, l’imperativo è personalizzare.

Quanti anni insieme. Stavolta è Scinto che racconta di Visconti

26.03.2022
7 min
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Qualche screzio non può rovinare una rapporto di una vita. I battibecchi se vogliamo ci sono sempre stati tra Luca Scinto e Giovanni Visconti. Ma sono stati ben più i momenti di gioia, di crescita, di abbracci e di successi.

Qualche giorno fa, il nostro direttore Enzo Vicennati vi ha raccontato di Visconti con Giovanni stesso, stavolta vi racconto del siciliano tramite i ricordi di Scinto. Eravamo alla Ballero nel Cuore, a casa loro in pratica, e ce li siamo divisi. Uno a te, uno a me.

Seduti su una panchina al sole di primavera Scinto racconta…

Luca Scinto in ammiraglia: il tecnico toscano ha seguito Visconti da U23 e due volte da pro’ (2009-2011 e 2019-2020)
Luca Scinto in ammiraglia: il tecnico toscano ha seguito Visconti da U23 e due volte da pro’ (2009-2011 e 2019-2020)
Luca, i ricordi sarebbero tantissimi e allora seguiamo la storia: qual è il primo che hai di Visconti?

La prima volta che l’ho visto in allenamento. Io ancora correvo. Mi stavo allenando per il mondiale. Era settembre, forse fine agosto. L’ho visto e lui è tornato indietro. Gli faccio: chi sei tu? Io sono Visconti. Sai che il prossimo anno vengo a correre nella squadra in cui tu fai il direttore sportivo?

Fu bello diretto!

Io non ero sicuro ancora di farlo. Però mi sembrò bravo. Gli dissi: dai, accompagnami a Montecatini. Praticamente mi accompagnò a casa. Io andavo da mia mamma a Galleno, che distava una cinquantina di chilometri dal punto in cui eravamo. Pedalavamo, ad un certo punto gli chiesi: ma tu dove abiti? A Vaiano, mi rispose. Come a Vaiano, esclamai io. E quanti chilometri fai? Lui era uno juniores. Credo che quel giorno finisse intorno a 170 chilometri per venire con me. Pensai: questo è suonato come le campane! Quando smisi di correre me lo trovai effettivamente in squadra (la Finauto, team U23, ndr) e capii subito che era uno buono per davvero.

Come?

Una volta, a gennaio, facemmo il Serra. Chiamai Citracca. Gli dissi: gli altri non sono super, ma questo Visconti è un bel corridore. Ha fatto un tempo sul Serra che non lo facevo neanche quando ero professionista. Da lì cominciò l’avventura coi dilettanti. Riuscimmo a vincere. E anche grazie alle sue vittorie, mi feci conoscere come direttore sportivo. Non lo posso negare. Poi ci sono stati parecchi alti e bassi con lui, come sapete. Però credo di aver fatto del bene e mai del male. Giovanni sapeva che gli potevo dare tanto e sapeva che ciò che gli dicevo nell’ambito ciclistico era valido. A prescindere poi dalle discussioni che abbiamo avuto…

Siete anche caratteri simili per certi aspetti. Due caratteri forti…

Più carismatici direi. Io non rinnego le mie decisioni. Gli devo anche tanto: ragazzo serio, professionale, grintoso, che non mollava mai….

Lo spirito del “Marines” è venuto fuori con te…

Il “Marines” lo tirai fuori io quando vinse il primo italiano da professionista. Lo allenavo io, lo seguivo io e mi ricordo che quattro, cinque giorni prima si fece un allenamento dietro macchina. Facemmo il giro dei Bagni di Lucca. E gli dissi: se non arrivi nei primi 3-4 al campionato italiano, io di ciclismo non ci capisco niente. Stava andando veramente forte. E infatti vinse.

Visconti conquista a Conegliano il secondo dei suoi tre titoli nazionali. Eccolo col tricolore consegnatogli poco prima da Scinto
Visconti conquista a Conegliano il secondo dei suoi tre titoli nazionali. Eccolo col tricolore consegnatogli poco prima da Scinto
Qualche rammarico?

Che poteva aver vinto tanto di più. Ha vinto tanto, ma gli manca una classica. E non capisco come mai non sia riuscito ad imporsi in una Sanremo o un’Amstel Però ha fatto 20 anni ad alti livelli.

E invece qual è il ricordo più importante?

La vittoria del secondo campionato italiano, quando gli ho dato la bandiera tricolore. Credo non sia mai successo che un diesse nascondesse la bandiera tricolore. L’avevo messa sotto al sedile dell’ammiraglia. E all’ultimo chilometro gliela consegnai. Non lo sapeva neanche lui. Ecco, Giovanni che arriva con questa bandiera in mano che sventola è un’immagine unica. E per poco mi dimenticavo di dargliela! Quel giorno presi anche 1.000 euro di multa.

Come mai?

Perché non dovevo passare il gruppetto che lo inseguiva per andare su di lui. Eravamo ai 15 chilometri all’arrivo. Multa o espulsione dalla corsa non mi interessava. Con 40” di vantaggio, anche se non potevo, gli sono andato dietro. Quando è arrivato il presidente di corsa, mi ha guardato e si è messo le mani nei capelli. Gli ho detto: fai come ti pare, scrivi pure, ma io non mi muovo. Anzi, dissi al meccanico di slacciare il cinghietto della bicicletta di scorta che per ogni evenienza avremmo cambiato subito la bici. Mancavano ormai 14 chilometri dall’arrivo. Dissi alla giuria: se il gruppo rientra è interesse mio fermarmi. Non gli farò da punto d’appoggio. Però meglio io che il cambio ruote della corsa. 

Giovanni Visconti_Giro 2020_ Etna
Giro 2020: sull’Etna Visconti sfiora l’impresa con Scinto in ammiraglia, furioso poiché il giudice gli impedì di rifornire il suo atleta
Giovanni Visconti_Giro 2020_ Etna
Giro 2020: sull’Etna Visconti sfiora l’impresa con Scinto in ammiraglia, furioso poiché il giudice gli impedì di rifornire il suo atleta
Se tornassi indietro qual è una cosa che non rifaresti e una cosa che invece rifaresti, con Giovanni?

Sia le discussioni che gli insegnamenti, sono stati fatti in buona fede. Mi ci sono dedicato tanto, forse anche troppo. Con me si sentiva protetto, si sentiva in un’altra dimensione. E per questo è ritornato. Il fatto che oggi (domenica scorsa, ndr) è qui a dare il via alla nostra corsa, è segno che tante cose sono state dimenticate. E poi io credo che sia anche umano discutere, perché nei rapporti veri le persone che stanno tanti anni insieme si beccano. Se non c’è mai discussione c’è falsità. Quando invece c’è allora il rapporto è vero, sincero.

Invece, Luca, quando vedevi Visconti vincere con le maglie delle altre squadre cosa pensavi?

Mi ha fatto piacere. Anche perché un corridore che dalle mie mani passa ad una WorldTour e vince è segno che ho lavorato bene. Ed è una soddisfazione personale. Non c’è invidia. L’unica cosa che gli ho detto quando è tornato da me è stata: hai vinto tappe al Giro con altre squadre, adesso regala una soddisfazione anche a me! Sull’Etna non ce l’ha fatta. Quello forse è stato l’ultimo colpo. Non ce l’ha fatta, però non cambia niente.

Di aneddoti ne avrai a milioni, ma ce n’è qualcuno in particolare?

Trofeo Melinda. Litigata furibonda… in corsa. Giovanni aveva vinto la Coppa Agostoni, mi pare. Quel giorno dopo 50 chilometri si voleva ritirare, era quasi sceso di bici. Io l’ho infamato, ma di brutto… Tralasciando le parolacce, gli dissi: in bicicletta bisogna soffrire. Fai più di 100 chilometri e vedrai che ti sblocchi perché la condizione c’è. La stanchezza è solo apparente. Vedrai che ti sblocchi…

Visconti vince il Melinda 2009 (davanti a Garzelli) dopo essere stato ad un passo dal ritiro
Visconti vince il Melinda 2009 (davanti a Garzelli) dopo essere stato ad un passo dal ritiro
E lui?

Mi mandò a quel paese! Mi rispose: ti sto a sentire solo perché sei il diesse. E sapete come andò? Vinse il Trofeo Melinda battendo Garzelli. Fu una soddisfazione, per la vittoria e per il mio ruolo di diesse. Lo presi sull’orgoglio. Pensò: vado avanti per farlo contento e alla fine ha vinto!

Un aneddoto stavolta te lo lanciamo noi. Un aneddoto vissuto in prima persona da dentro il gruppo. Corsa under 23 ad Indicatore, nell’aretino, eravamo in un gruppo di una trentina di corridori. Al chilometro 100 spaccato sei piombato con l’ammiraglia. Ero a ruota di Giovanni e gli dicesti: fermo, fermo. Basta così. Quattro giorni dopo Visco vinse l’italiano…

Aveva corso parecchio in quel periodo. E lo vedevo un po’ stanco. Non che fosse finito, però sentivo che doveva recuperare. Così lo fermai. Ricordo anche che lui voleva continuare… E anche lì, la sera aveva il muso lungo. Ma poi vinse l’italiano. E fu il primo titolo della squadra e il mio da diesse. Poi vinse anche l’europeo. Dai, qualcosa gli ho insegnato! E magari è anche grazie a me se ha capito cosa significasse davvero fare il corridore.

Beh, tu ne avevi di esperienza anche come corridore…

Anche quando era diventato professionista mi sono dedicato a lui moltissimo, perché sapevo che era importante il momento del passaggio. Lui era abituato bene ed è stato nel ritiro con i dilettanti anche da pro’, si allenava con loro. Poi quando gli under finivano lo portavo a fare dietro moto. E arrivava alle corse sempre pronto. Questo per due anni. Credo siano stati i più importanti per la sua carriera da professionista. Il tutto grazie anche ad Angelo (Citracca, ndr) che mi ha dato l’opportunità di farlo stare lì.

Visconti si è ritirato, il Marine c’è ancora

22.03.2022
7 min
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A San Baronto, non per caso. E’ una mattina fresca di marzo, i dintorni sono silenziosi. Lungo la strada abbiamo incontrato ben più di un ciclista, la vallata in basso respira piano. Giovanni aspetta davanti al bar, la barba, i jeans e il giubbino nero. Sono passati venti giorni dall’annuncio del ritiro, prima non era tempo di venire. Serve tempo per chiudere la pagina, anche se la sensazione è che in cuor suo il viaggio si fosse già fermato prima. L’ultima volta si prese qui un caffè a dicembre 2020. Contratto con la Bardiani, tanta grinta e voglia di fare. Ma niente è andato come avrebbe voluto. Ora Visconti (in apertura nella foto di Alessandro Federico) ha lo sguardo sereno, il volto rilassato. Ma non è stato facile.

Appuntamento a San Baronto, nel bar di mille interviste
Appuntamento a San Baronto, nel bar di mille interviste

«La prima volta a San Baronto – pensa voltandosi indietro – fu uno di quei viaggi con mio padre e la Fiat Uno. Giravamo l’inverno per fare le gare di cross e un inverno ci fermammo nell’albergo qui accanto. Mio padre aveva portato un fornellino e mi fece la pasta. Avevo 15-16 anni e una bicicletta messa male. Ora San Baronto è la mia casa. Amo la mia terra, ma qui mi sento a casa. Non sono un siciliano di mare, dopo una settimana che sono giù mi viene la voglia di tornare. Non sono come Fiorelli, che senza il mare non ci sa stare…».

Da quanto tempo avevi capito che era finita?

Da un anno e mezzo, da quando cominciai a stare male. Al Giro del 2020 mi svegliavo e dicevo a Mirenda che avevo mal di testa. Pensavo fosse la cervicale, per cui andavo dall’osteopata. Poi scoprii di avere la tiroidite, scatenata dal Fuoco di Sant’Antonio, che è davvero una brutta bestia. La prima reazione fu una magrezza eccessiva, poi il tempo di andare alla Bardiani e mi diede l’effetto opposto. Presi peso e non riuscivo a buttarlo giù, avevo sensazioni tremende. Mi sono rasserenato quando ho capito che anche guarendo del tutto, non sarebbe cambiato niente. A 39 anni e con 17 stagioni da professionista sulle spalle, ho capito che non sarebbe bastato contro questi giovani che sgommano. Fosse stato per me, avrei smesso lo scorso luglio…

Accanto a Bettini nel Giro del 2008, quando tutto sembrava possibile
Accanto a Bettini nel Giro del 2008, quando tutto sembrava possibile
Invece decidesti di continuare.

La squadra mi è stata vicino. Reverberi mi ha invogliato a crederci e ho ripreso. Un nuovo allenatore (Alberati), il mental coach, sono anche dimagrito. Sono andato a Benidorm con Fiorelli, ero 63 chili, facevamo allenamenti bellissimi. Invece ho preso il Covid e quella è stata l’ultima batosta. A Mallorca il terzo giorno ho fatto 60 chilometri da solo fra le macchine. Sono arrivato che Valverde scendeva dal podio e neanche mi hanno classificato. A Laigueglia stessa cosa. Le ammiraglie mi passavano e io immaginavo i commenti su come mi fossi ridotto. Mi sono fermato, morivo dal freddo. Un cicloturista mi ha dato una mantellina mezza rotta e mi ha scortato all’arrivo. Volevo smettere, ma Reverberi ha insistito e sono andato alla Tirreno.

Cosa è successo?

Il secondo giorno siamo passati da Capannoli, dove avevo vinto la prima da dilettante. Poi siamo passati da Peccioli, la prima vittoria da pro’. Ho pensato che non fosse un giorno a caso, ho collegato quei due momenti. Ero staccato, ma sono stato zitto finché Roberto (Reverberi, ndr) non ha detto dove fosse il furgone del rifornimento. E a quel punto ho parlato alla radio. «Io finisco qui – ho detto – chiuso il discorso». Mi sono scusato con i ragazzi e li ho incitati a non mollare. E poi mi sono ritirato. Quando sono salito sul bus, mi sono sentito sereno. Ho scritto un messaggio a Roberto, per dirgli che sarebbero venuti a prendermi mio padre e mio figlio. Non era organizzata, la mattina era venuta a trovarmi mia moglie visto che poi la corsa passava sull’Adriatico…

Alla Per Sempre Alfredo, un premio speciale: gli appunti di Martini sul suo secondo tricolore
Alla Per Sempre Alfredo, un premio speciale: gli appunti di Martini sul suo secondo tricolore
La lettera d’addio?

Avevo già iniziato a scriverla durante il Gran Camino, poi di volta in volta l’ho corretta. Questo non lo sa nemmeno Alberati, l’avevo detto solo alla psicologa, Cristiana Conti, bravissima. Le dissi che io a certe cose non credo, invece mi ha aiutato tanto.

Cosa pensi della tua carriera?

Sono fiero. Sono stato per tutta la vita un musone anche con me stesso, anche se con gli anni sono migliorato. Sono passato con l’idea, che mi hanno inculcato, di diventare il nuovo Bettini. Non ci sono riuscito e questo mi è pesato. Negli ultimi 2-3 anni ho cominciato a vedermi in modo diverso, più aperto, purtroppo però è coinciso con il momento in cui ho iniziato a stare male. Tanti però vorrebbero aver fatto la mia carriera…

Tante dimostrazioni di affetto e stima.

Mi ha scritto Quintana. Mi ha scritto Valverde. Anche Chiappucci, invitandomi a essere fiero di quello che ho fatto, perché di solito tendo a sminuirmi. Mi ha chiamato anche Stanga. «Sono Gianluigi Stanga, posso parlare con Giovanni Visconti che ho fatto passare professionista?». Mi ha spronato a fare qualcosa…

Già, cosa farai da grande?

La mattina mi sveglio, ma non ho un’idea ben precisa. Mi piacerebbe diventare un diesse importante. Ho vissuto tre generazioni di ciclismo, vedo come si lavora oggi. E’ finito il periodo della quantità, ora si fa tanta qualità. L’esempio di Guercilena, che è passato attraverso tanti ruoli, potrebbe essere quello da seguire.

Nel 2009, Visconti ha lasciato la Quick Step per tornare da Scinto
Nel 2009, Visconti ha lasciato la Quick Step per tornare da Scinto
Ti sei mai sentito il Visconti campione che tanti si aspettavano?

Ci sono stati dei momenti. Alla Quick Step, quando a 24 anni ho vinto il primo tricolore. Oppure quando ho vinto alla Sabatini con Bettini campione del mondo che lavorava per me. Poi ho fatto un passo indietro, passando in una professional. Ho vinto ancora, ma è calata la qualità. Già allora tra WorldTour e professional c’era tanto divario, ora tocca fare a botte.

Fare a botte?

Vanno bene le differenze, ma non c’è rispetto. Quando si affiancavano a me, vedevano le strisce tricolori sulla manica e si calmavano. A Laigueglia, è venuto un francesino e pretendeva che mi spostassi, perché lui doveva stare davanti e io no. I ragazzi oggi crescono così e i loro direttori hanno fatto tutta la carriera allo stesso modo. Il gruppo non è più composto di tante maglie, ma da blocchi di squadre. Davanti le WorldTour, dietro le altre. Mi ricordo quando ero alla Movistar che un paio di volte andai davanti a urlare perché facessero partire la fuga. Si fa tanta fatica a stare dietro e ottenere risultati, non avete idea quanto.

Nibali è un buon amico, ma in passato è stato la molla per migliorare
Nibali è un buon amico, ma in passato è stato la molla per migliorare
Che cosa ha rappresentato Scinto nella tua carriera?

Una figura importante, anche se a volte ha avuto dei comportamenti per cui abbiamo litigato. Anche per il Visconti del WorldTour sarebbe servita una persona come Scinto. Avendo accanto uno con la sua passione, avrei reso di più.

E Nibali?

Lo reputo un amico. Mi ha fatto crescere, è stato un bel guanto di sfida. Siamo partiti uguali, poi lui è andato su un altro pianeta. E’ stato bello correrci insieme, credo che ora siamo ottimi amici. Nel fine settimana è stato in Toscana, dovevamo andare in bici insieme, poi è saltata.

Hai più preso la bici?

La prima volta con mio padre: 31,5 chilometri in un’ora e 20′. C’era vento, me la sono goduta. Ho voluto ringraziare mio padre. Ci eravamo allontanati. La mia carriera ormai stava calando e lui è stato male anche perché mi vedeva soffrire. Ora si è liberato anche lui.

Suo padre Antonino è stato il primo a credere nelle possibilità di Giovanni
Suo padre Antonino è stato il primo a credere nelle possibilità di Giovanni
E tu sei contento?

Vedo i bambini felici. Prima ero un vecchio corridore, ora sono un giovane uomo. Anche in casa non ero sereno, tornavo sempre in condizioni pietose e mi svegliavo con le occhiaie. Avevo addosso la rabbia, un bambino se ne accorge. Ora mi alzo alle 6,30 per portarli a scuola e non ho altri pensieri. Ho voltato pagina, ma per un po’ continuerò a pensarci. Alla gente è piaciuto come sono uscito. Volevo chiudere con l’immagine del combattente. E quanto è vero Iddio, ho combattuto con tutto me stesso, ma vanno tanto forte che non mi vedevano neanche…

Resta in silenzio. Nello sguardo passano gli anni e i tanti romanzi che ciascuno di essi potrebbe raccontare. Ordina un altro caffè. Scherza con la barista. Il corridore ha dismesso i panni da gara. Il Marines lampeggia ancora nello sguardo.

Gaerne G.STL, come guanti ai piedi di Visconti e Modolo

29.01.2022
4 min
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La stagione 2022 è appena cominciata, sono tante le novità che il team Bardiani-CSF-Faizanè ha presentato, a partire dal suo roster. I Reverberi sono però ripartiti da alcuni punti saldi, a partire dalle MCipollini di cui vi abbiamo parlato qualche giorno fa, per continuare con Gaerne e le sue calzature.

La casa trevigiana ha infatti firmato un accordo anche per questo anno, in virtù della sua presenza nel professionismo, ma anche in vista del 60° anniversario della fondazione dell’azienda. Le scarpe prescelte sono le G.STL, un concentrato di performance e affidabilità che ha convinto fin da subito subito anche due campioni come Giovanni Visconti e Sacha Modolo.

Parola ai pro’

La collaborazione appena rinnovata ha trovato un riscontro positivo anche dagli atleti che saranno i protagonisti di questa stagione appena avviata. Giovanni Visconti conferma il suo feeling con la G.STL: «Per me sarà la seconda stagione con questa calzatura, ma sappiamo bene che per i problemi fisici avuti lo scorso anno sarà come la prima. Con il vantaggio però di conoscere già molto bene tutte le caratteristiche tecniche della mia Cipollini Dolomia e delle mie Gaerne G.STL».

La calzatura è stata una piacevole scoperta anche per i nuovi arrivi, come Sacha Modolo: «Al mio ritorno in Bardiani-CSF-Faizanè ho trovato un ambiente familiare, ma materiali tecnici da top team. Abbiamo già testato varie situazioni, simulando sprint ad alta velocità, dopo molte ore di allenamento e la scarpa ha reagito alla perfezione. Prima comoda nelle lunghe ore di allenamento e grazie alla regolazione rapida, molto reattiva negli sprint con la tomaia che aderendo bene in tutti i punti, favorisce la spinta riducendo al minimo la dispersione». 

Come sono fatte

Il design pulito e le caratteristiche tecniche, fanno di questa G.STL una calzatura adatta a ogni corsa, realizzata in un unico pezzo di microfibra con foratura a laser per garantire un’ottima ventilazione. Il Tallone Anatomic Heel Cup 1.0 dalla nuova forma anatomica, combinato con la tecnologia Tarsal Support System 1.0 garantisce la posizione perfetta del piede all’interno della calzatura, per una trasmissione e un controllo della potenza senza pari. Il sistema di chiusura Infit Closure System dispone di otto zone di fissaggio che forniscono infinite possibilità di regolazione e una chiusura precisa.  

Dinamiche e leggere

Pronta ad affrontare le più difficili corse al mondo, la G.STL dispone dell’innovativo rotore BOA Li2, dotato di micro-regolazione progressiva. Facile, rapida e precisa, questa chiusura assicura un supporto dinamico per qualsiasi tipo di corridore della Bardiani CSF Faizanè. Analizzando la scarpa in ogni suo dettaglio infatti si percepisce una qualità costante in ogni particolare.

La linguetta Fit Tongue 1.0 utilizza uno spessore variabile nella sua sezione longitudinale e trasversale, ottenuto grazie alla tecnica di costruzione senza cuciture. La soletta EPS comfort Insole, garantisce una traspirazione ottimale in ogni condizione. Per tradurre tutte le caratteristiche tecniche di questa G.STL il non plus ultra è il Gaerne EPS light Weight Full Carbon Sole 12.0. La suola realizzata in fibra di carbonio intrecciato, leggera e ultra sottile, assicura il trasferimento di ogni watt di potenza sui pedali. Un connubio alla caccia di successi, quello tra Bardiani e Gaerne, pronto a battagliare in mezzo al gruppo fianco a fianco. 

Una festa per due. Visconti e gli auguri al Pirata che non molla mai

13.01.2022
5 min
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«Pronto, Giovanni? Il 13 gennaio è il tuo compleanno e sarebbe stato anche quello di Pantani, che avrebbe compiuto 52 anni. Ti va di fare un pezzo per ricordare il Pirata? Per dirci cosa è stato per te Pantani?». Silenzio.

«Mmm, così a voce? – ribatte perplesso Visconti – lasciatemi del tempo, ci voglio pensare. Anzi, preferisco scriverlo io, perché per un articolo così ci devo pensare. Parole e ricordi devono venire da dentro».

E allora caro Giovanni ecco a te la “penna”. Buona lettura. E buon compleanno a te… E al Pirata.

Il monumento dedicato al Pirata sul Galibier. Fu posto nel giugno 2011 a 2.301 metri di quota, dove scattò quel 27 luglio 1998
Il monumento dedicato al Pirata sul Galibier. Fu posto nel giugno 2011 a 2.301 metri di quota, dove scattò quel 27 luglio 1998

Un piccolo Pirata

Pantani segna la nascita della mia carriera, ma ne segna anche e soprattutto la rinascita. 

Ricordo le battutine dei miei compagni di scuola quando in classe raccontavo che sarei partito per andare a fare delle gare in Toscana. Mi dicevano ridendo: «E chi sei, Pantani?». Chiaramente non lo ero, ma non sapete che brividi avevo nel sentirmelo dire. Io che sono nato il suo stesso giorno, il 13 gennaio. Io che ho cominciato a masticare pane e ciclismo con le sue imprese. 

Che Marco sia un mito lo dimostra il fatto che tutt’ora le battutine dei miei ex compagni di scuola siano sulla bocca dei ragazzini. Il Pirata lo conoscono tutti, non sarà mai dimenticato ed io oltre a non dimenticare la sua grandezza non scorderò mai ciò che involontariamente ha fatto per me in quella bellissima tappa del Giro d’Italia 2013, la quindicesima frazione per la precisione.

Ecco la paura

Vi spiego un po’ come sono andate le cose per farvi capire le straordinarie coincidenze di quel giorno, IL MIO GIORNO. 

Appena un anno prima, proprio nella quindicesima tappa del Giro 2012, vissi il mio giorno più brutto. Senza “girarci intorno” cominciarono le mie crisi di panico. Sono in fuga, la fuga buona che poi va in porto con Rabottini vincitore. Ad un certo punto smetto di pedalare. Sento che mi manca l’aria, non respiro.

Mi strappo la maglia. Piango. Ho paura. Mi assiste il medico di gara, ma non riesce a tranquillizzarmi. Così mi fermo da una parte letteralmente terrorizzato. Salgo in ambulanza e chiedo, anzi ordino, di mettermi la maschera dell’ossigeno.

Faranno fatica i medici e gli infermieri a convincermi, dopo non so quanto tempo, a toglierla e che sarei stato bene. Io non ci credevo. Avevo paura. Me la sono fatta addosso su quel lettino… e non è solo un modo di dire. 

Inizia così un calvario lungo un anno esatto. Un anno dove ormai le crisi le aspettavo. Sapevo quando sarebbero arrivate, ma ogni volta era la stessa paura di non farcela. Ripeto, un anno…

Sul Galibier come Pantani

Sì, perché poi succede che alla 15ª tappa del Giro d’Italia 2013 scatto sul Moncenisio all’inseguimento di Pirazzi, Rabottini ed altri corridori. Scatto e rimango “a bagnomaria” tra il gruppo e la fuga. Sento che arriva di nuovo la crisi e così è. Smetto di pedalare quasi rassegnato, ma poi la salita finisce. Riesco a fare un sospiro e a ripartire.

Scatto ancora sul Telegraphe e questa volta rimango da solo. Davanti a me solo la montagna di Marco, il Galibier e solo due minuti circa di vantaggio dal gruppo della maglia rosa, Nibali.

Nevica e tutto è così incredibile. Un anno dopo, ugualmente nella tappa numero 15, mi ritrovo in fuga verso un’impresa (in apertura la foto di questo trionfo, ndr) ed è ancora più incredibile che al mio inseguimento ci sia solo Rabottini, colui che un anno prima vinse proprio nel giorno della mia crisi. Rabottini non ce la fa. Il gruppo maglia rosa recupera, ma non troppo. L’ultimo chilometro è un misto di gioia, di rabbia, d’incredulità. 

Penso che sto vincendo sulla salita di Marco. Marco che è nato il mio stesso giorno. Marco che ha dato il “la” alla mia carriera. E’ Marco che mi dà di nuovo una spinta e non una spinta per vincere la tappa, ma per vincere le mie paure. Per ripartire.

L’abbraccio di Tonina con Giovanni, qualche anno dopo il trionfo sul Galibier…
L’abbraccio di Tonina con Giovanni, qualche anno dopo il trionfo sul Galibier…

Ecco Tonina

La sera di quella giornata pazzesca, ecco anche le prime parole al telefono con Tonina (la mamma di Pantani, ndr) grazie ad un amico in comune.

Da lì nasce un rapporto particolare con lei che mi chiede sempre come sto. Mi dice che tifa per me da dietro le quinte. E’ arrivata a dirmi che se si è riavvicinata al ciclismo ed è tornata al Giro a vedere una tappa è stato solo per me.

Poche settimane fa l’ho risentita. Anzi, l’ho rivista in videochiamata. Il mio amico Davide Lombardi l’ha incontrata a Firenze e insieme hanno deciso di chiamarmi per un saluto.

Un’emozione grande perché TONINA E’ MARCO che non molla. E’ Marco che ancora lotta contro tutto e tutti. E tutti lo vogliamo ancora rivedere vincitore. 

Ecco, questo è il mio Pantani.