Ellena custode del Colle del Nivolet (palestra di Bernal)

10.08.2025
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E’ il 24 maggio 2019 quando il Giro d’Italia affronta le rampe di Ceresole Reale. E’ la tappa numero 13 e la corsa rosa entra nel vivo con le grandi, anzi grandissime montagne. Il finale è nello splendido scenario del Colle del Nivolet, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, uno degli angoli più suggestivi delle Alpi Graie (in apertura foto roadbookmag).

Quel giorno la classifica generale non subisce grandi scossoni, ma avviene un episodio che segnerà l’intero Giro. Vincenzo Nibali e Primoz Roglic discutono su chi debba chiudere il gap su Mikel Landa e Richard Carapaz, che si erano avvantaggiati. Nibali, irritato dalla passività dello sloveno, gli ricorda che in casa ha già degli altri trofei del Giro mentre lui no. Dal canto suo Primoz non la prende bene.

Il giorno dopo, nel continuo marcarsi, i due perdono di nuovo terreno nei confronti di Carapaz. A Courmayeur, negli ultimi chilometri, i più facili, Roglic e Nibali sono praticamente fermi, e l’ecuadoriano va a vestirsi di rosa. Rosa che terrà fino a Verona.

Roglic e Nibali quel giorno sul Nivolet…
Roglic e Nibali quel giorno sul Nivolet…

Ellena, custode del Nivolet

Nonostante la sua magnificenza e la sua bellezza, il Colle del Nivolet non è una salita super nota al ciclismo. La strada è chiusa per buona parte dell’anno e non rappresenta un valico di collegamento. Si sale e si scende (su asfalto) da un solo versante. Per di più la strada è stretta e non consentirebbe l’alloggio di cui necessitano i grandi eventi come il Giro. Tuttavia per alcuni è una vera palestra, un punto di riferimento che va oltre l’essere una semplice salita. Uno di questi è Giovanni Ellena, oggi direttore sportivo della Polti-VisitMalta, che del Nivolet è un po’ il custode.

«Questa è la mia salita sin da quando correvo – racconta Giovanni – parliamo degli anni ’80. All’epoca il tracciato era diverso: la strada che ora passa in galleria non c’era e si saliva per la vecchia via esterna, più panoramica. Oggi però questa via è di nuovo percorribile. Ed è bellissima. Dopo la tappa del Giro 2019, infatti, quella parte è stata riasfaltata come pista di soccorso, così chi pedala può evitare i tre chilometri e mezzo di tunnel».

La salita inizia di fatto a Noasca con due strappi secchi. «Il primo – racconta Ellena – va su al 15 per cento, poi c’è un tratto più dolce e di nuovo un altro muro durissimo. Dopo circa 9 chilometri si entra a Ceresole Reale e la strada sale regolare. Seguono 3 chilometri quasi pianeggianti lungo il lago di Ceresole. Poi ecco una rampa verso il Serrù con pendenze al 7-8 per cento, un breve tratto in discesa ed infine gli ultimi 5-6 chilometri verso il Nivolet. Questo tratto è abbastanza regolare, sul 7 per cento, ma è duro visto che si va sopra quota 2.200 metri. L’altitudine comincia a farsi sentire tanto che si scollina a 2.612 metri».

Ellena conosce il Nivolet metro per metro: «Lo facevo almeno venti volte ogni estate quando ero un corridore e continuo a salirlo ancora oggi, almeno una volta l’anno. La passata stagione scorso, nonostante un infortunio pesante, sono salito da Ceresole fino in cima. Non vi dico che dolori e quanto ci ho messo, ma è stata una soddisfazione importante. Quest’anno ancora non l’ho fatto, ma ci tornerò».

Quanti ricordi…

Il legame di Ellena con il Nivolet è anche emotivo. Qui si intrecciano memorie personali e storie di corsa. «Mi ricordo – prosegue il tecnico della Polti – un Giro della Valle d’Aosta, quello del 1986 mi sembra, quando non correvo. Sempre un Valle d’Aosta ma del 2009 e una tappa del Giro d’Italia femminile (era il 2011 e vinse Marianne Vos, ndr). Ma la vera consacrazione è arrivata con il Giro 2019. Rivedere quelle strade in mondovisione è stato speciale per me».

La salita, però, non è solo asfalto e pendenze: è un luogo che unisce due mondi. «Dalla cima si può scendere in Val d’Aosta solo a piedi o con tratti di mountain bike a spalla. Durante la seconda guerra mondiale era un sentiero usato dai partigiani per portare in salvo prigionieri e trasportare armi. Qualcuno in bici lo fa, ma ci si deve comunque portare dietro le scarpe da ginnastica, perché per almeno 20′-30′ c’è da proseguire con la bici in spalla prima di arrivare a Pont, in Valsavarenche».

«Poco dopo lo scollinamento l’asfalto continua per un po’. C’è un rifugio. Quando correvo, erano i tempi della Brunero, un giorno facemmo questa salita. Arrivammo al rifugio, ci mettemmo a mangiare, poi scese un po’ di nebbia. Nell’attesa ci addormetammo. Al risveglio erano le sei di sera. Impossibile scendere da lassù. Il freddo era pungente e ci voleva tempo. Così chiamammo i nostri della squadra che ci vennero a riprendere dalla pianura. Arrivarono su che era ormai buio. Vi lascio immaginare le parole che ci prendemmo!».

L’aria rarefatta, i laghi alpini e la sensazione di essere sospesi tra cielo e terra fanno del Nivolet un posto che, per chi ama la montagna, diventa un rifugio dell’anima e meta ambita per tanti ciclisti che d’estate non mancano mai. «Ogni volta che torno su – confessa Ellena – è come incontrare un vecchio amico: so già dove mi farà sorridere e dove mi farà soffrire».

Bernal e Sosa in cima. Dall’altra parte la Valle d’Aosta (foto Instagram)
Bernal e Sosa in cima. Dall’altra parte la Valle d’Aosta (foto Instagram)

Le SFR di Bernal

Il Nivolet è anche la “salita di casa” per i colombiani che Ellena ha avuto in squadra. E qui scattano i veri ricordi, quelli più forti e recenti legati ai corridori. Il primo a salirci fu un allora quasi sconosciuto Egan Bernal appena arrivato in Italia. «Gianni Savio, vista la sua giovane e anche quella di Sosa, mi disse di portarli vicino a casa mia per seguirli meglio. Quando lo portai sul Nivolet, si mise a fare le SFR a 2.000 metri. Gli dissi di lasciar perdere che non era il caso di fare certi lavori a quelle quote, ma lui mi rispose: “Giovanni, ma io vivo a 2.600 metri, qui sono ancora basso”. Rimasi in silenzio!».

Un altro aneddoto riguarda il lago Serrù: «Ci fermammo un attimo e gli indicai il sentiero verso il Col de l’Iseran. Si illuminò, perché sentiva la connessione tra quelle montagne e il Tour de France. Erano nomi che aveva solo visto in tv o sentito nominare. Quando era ai massaggi dopo quella grandinata proprio sull’Iseran, gli scrissi chiedendogli se si ricordava di questa storia. Egan rispose che se la ricordava eccome. Incredibile prese la maglia gialla proprio lassù».

Dopo i colombiani dell’Androni il legame fra Ellena e i sudamericani prosegue. Oggi è Germán Darío Gómez ad andarci e in qualche modo l’idea dell’alta quota è un richiamo per loro. «Mi chiedono sempre di salirci. Proprio Gomez quest’anno è arrivato da noi a marzo, ha fatto la Milano-Torino e la settimana dopo era già lassù. Un giorno mi manda la foto che era sulla neve del Nivolet. Anche prima gli altri ragazzi mi inviavano non so quante foto, anche a primavera quando c’era ancora neve e la strada era chiusa. Per loro è casa. A quelle quote si muovono con una naturalezza impressionante, mentre per noi europei ogni pedalata richiede uno sforzo diverso. E’ questo che ogni volta mi colpisce».

Tappa a Yates, Healy in giallo. E i big? Ce lo spiega Ellena

14.07.2025
7 min
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Sul Massiccio Centrale tanto tuonò che non piovve? Sembra proprio di sì… La decima tappa del Tour de France nel giorno più importante per i “cugini”, quello della presa della Bastiglia, ha visto i big stuzzicarsi appena e la fuga andare via. Una di quelle 4-5 fughe che aveva pronosticato Aurelien Paret-Peintre, che infatti era nel gruppo giusto. Tappa a Simon Yates e maglia gialla a Ben Healy.

Come ha detto Stefano Rizzato in diretta Rai, una tappa che ha visto mischiare il rosa e il giallo: a vincere sul Massiccio Centrale è stato il re dell’ultima maglia rosa (appunto Yates) e un altro corridore in rosa si è preso la maglia gialla.

Ma al netto dei colori, che cosa ci ha detto questa frazione? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Ellena, uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa, in questi giorni in ritiro a Bormio con la sua squadra per preparare i tanti appuntamenti di agosto, tra Spagna e Nord Europa.

Giovanni Ellena, direttore sportivo della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Giovanni Ellena, direttore sportivo della Polti-VisitMalta (foto Borserini)
Forse, Giovanni, ci si poteva attendere qualcosa di più da questa tappa?

Il dislivello era tanto, perché comunque 4.500 metri non sono pochi, però alla fine erano tutte salite abbastanza pedalabili. Se mandi due uomini in fuga nella tappa del Sestriere, dove poi c’è da fare tutta la valle e li tieni a 4-5 minuti è un conto. Ma in una tappa del genere lasciarli a quella distanza… a cosa serviva? E soprattutto, dove attacchi? Serve anche il terreno adatto e questa non era la tappa giusta.

Chiaro…

Va bene il 14 luglio, se vogliamo parlare della festa nazionale, ma non era una tappa in cui potevi fare grandi differenze attaccando da lontano. Se attacchi su una salita con pendenze elevate, può funzionare, ma qui era davvero difficile. E poi non è che stai attaccando “Giovanni”, stai attaccando un certo Pogacar.

La sensazione è che l’azione della Visma-Lease a Bike a un certo punto sia passata da “prepariamo l’attacco per Vingegaard” a “vinciamo la tappa”. In fin dei conti alla UAE Emirates che interesse aveva a tenere la maglia?

E infatti si è visto nel finale. Pogacar non ha nemmeno fatto la volata.

Aver perso la maglia gialla a questo punto del Tour lo aiuta ancora?

Un po’ sì. Intanto domani si riposa con qualche riflettore in meno. Non dico che sia stata una scelta voluta, è difficile fare certe valutazioni con i meccanismi attuali, ma sicuramente gli fa bene. Stressa meno la squadra. Anche mercoledì la responsabilità di tenere il gruppo, anche solo nei tratti in pianura, passerà sicuramente a un altro team, la EF Education-EasyPost, per quella legge non scritta che vuole davanti la squadra del leader. Magari si alterneranno con quella di qualche velocista. Tutto questo ti aiuta a salvare qualcosa in termini di energie. In più non scordiamo che ha già perso Almeida.

Nel finale la planimetria ruotava attorno alla meta, il Puy de Sancy, vetta del Massiccio Centrale. In fuga anche Velasco, in primo piano
Nel finale la planimetria ruotava attorno alla meta, il Puy de Sancy, vetta del Massiccio Centrale. In fuga anche Velasco, in primo piano
E Sivakov oggi non era affatto messo bene sin dall’inizio…

Quindi comincia a risparmiare e fa bene. Anche se potrebbe vincere il Tour “da solo”, sa bene che la squadra è importante e che lavorare un filo in meno è utile. E poi ci sono i dettagli: le interviste, il tornare prima in hotel, tutti gli altri protocolli… Sono aspetti che oggi fanno la differenza.

E invece, Giovanni, come ti spieghi quegli attacchi ai 20-25 chilometri della Visma-Lease a Bike?

Probabilmente per cercare di far lavorare la squadra di Pogacar, risparmiando al massimo Vingegaard. Magari hanno deciso di puntare tutto sulle salite vere con Vingegaard, che non si è mai mosso davvero, a parte qualche scattino. Azioni volte a innervosire Pogacar, anche se mi sembra l’ultimo che si innervosisce! E’ difficile combattere con un personaggio del genere. C’è una cosa che mi ha colpito qualche giorno fa.

Quale?

Per radio voleva sapere come fosse andata la gara della sua compagna, Urska Zigart, al Giro Women. Non solo: ha chiesto anche della classifica. Vuol dire che sei disconnesso nel senso buono, che scarichi la tensione. E’ importantissimo nelle corse a tappe. Ti stacchi mentalmente. Sì, stai pedalando, ma non hai lo stress addosso. Ti alleggerisce psicologicamente. Oltre alla condizione fisica – che è incredibile – ha anche questa capacità. Penso alla borraccia al bambino l’anno scorso sul Grappa. Riesce a non essere sempre focalizzato al cento per cento.

Si diceva che con quegli attacchi volessero isolarlo, per evitare che con i suoi uomini potesse imboccare forte la salita. Pertanto gli attacchi dei Visma erano quasi più per difendersi: come la vedi?

Non lo so. Per me ha più senso il discorso del provare a innervosirlo, isolarlo, far stancare la sua squadra che non è al top. La Visma ha vinto la tappa, gli è andata bene, però poi quando in ammiraglia vedi che ti muovi, fai, prendi iniziativa e il tuo rivale a due chilometri ti piazza uno scatto del genere, come a dire “Il più forte sono io”, non è facile. Stasera Vingegaard in camera penserà: «Questo mi scatta in faccia e poi mi aspetta anche».

Forse anche perché voleva perdere la maglia gialla…

Sì, si per quello. Si è messo a ruota di Lenny Martinez che era reduce della fuga. E anche qui non è stata un’azione banale. Perché è vero che si chiama Pogacar ed è il più forte in assoluto in questo momento, ma è anche vero che più amici hai nel gruppo, meglio è. E da oggi avrà qualche amico in più nella EF e anche nella Alpecin-Deceuninck. Ieri a un certo punto era lui a rompere i cambi per favorire Van der Poel. Pogacar si sa gestire su tutto. E torno alla sua capacità di disconnettersi: lo rende più lucido.

Ma secondo te, Giovanni, è davvero il più forte o Vingegaard sta covando il colpaccio come due anni fa, quando alla prima vera salita cambiò tutto?

Potrebbe anche essere. Sin qui, anche per caratteristiche fisiche diverse, non è stato brillante come Tadej, ma non lo vedo affatto male. Se la sua condizione è davvero buona, sulle salite lunghe potrebbe anche fare la differenza. E non sarebbe la prima volta…

Remco, lo vedremo correre solo di rimessa, al netto del piccolo allungo di oggi?

Sì, deve correre di rimessa e sperare di non essere troppo sotto agli altri due. Poi magari mi sbaglierò, ma in questo momento la vedo così.

Ben Healy in giallo. L’irlandese è arrivato 3° a 31″ da Simon Yates. Ora guida con 29″ su Pogacar
Ben Healy in giallo. L’irlandese è arrivato 3° a 31″ da Simon Yates. Ora guida con 29″ su Pogacar

Parola ai protagonisti

Quanto detto da Ellena trova riscontro nelle parole di Simon Yates: «E’ stata una vittoria di esperienza. E’ stato difficile entrare in fuga. C’erano molti corridori forti. Ho volutamente preso il comando nelle ultime curve, alla fine della discesa, prima dell’inizio della salita, perché volevo partire bene e prendere slancio. Lì ho dato il massimo.
«Siamo tutti concentrati su Jonas – ha aggiunto Yates – e sulla classifica generale. E anche oggi era così. Il piano era di essere in fuga nel caso fosse successo qualcosa dietro, ma a un certo punto il distacco era troppo grande, quindi mi sono potuto giocare la tappa».

Un plauso va poi a Ben Healy. Tante volte ha corso peggio di un allievo al debutto, ma in questo Tour de France sta mostrando davvero la sua classe e anche il suo coraggio. A un certo punto ha corso esclusivamente per la maglia e ha centrato di nuovo l’obiettivo, non curandosi di Yates.

«Sono ancora un po’ apatico perché sono così stanco – ha detto Healy – Non ci posso credere. Se qualcuno mi avesse detto che dopo dieci giorni avrei indossato la maglia gialla, non ci avrei creduto. A un certo punto, quando il vantaggio è aumentato, ho semplicemente abbassato la testa e sono partito pensando solo alla maglia gialla. Ho iniziato a spingere e basta. Non ho potuto rispondere a Yates nel finale. Devo ringraziare i miei compagni (in fuga ne aveva tre: Neilson Powless, Alex Baudin e Harry Sweeny, ndr). Se non ci fossero stati loro, ora non avrei la maglia gialla. Harry è andato come un camion e Alex ha concluso alla perfezione».

Ma che bel Bernal abbiamo rivisto. Ed Ellena racconta

19.05.2025
5 min
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VIAREGGIO – Il tempo all’improvviso rallenta. Dopo la frenesia totale dei giorni scorsi, ecco una giornata relativamente tranquilla. Di certo senza stress. Ed E’ senza stress e di meritato riposo anche per Egan Bernal. Negli hotel si lavora comunque. La sgambata per quasi tutti verso le 11, ma forse con un filo in meno di frenesia. Forse… Almeno qui è una bella giornata, anche se per domani sembra che il tempo si guasterà e dovrebbe sfavorire chi partirà nel finale.

Ma torniamo a Bernal. Il colombiano passeggia mano nella mano con la sua compagna. Poi, una volta accompagnata alla macchina, lei se ne va e lui ritorna alla base. E’ sereno, sorridente. Stamattina la sgambata con delle bici che vedremo a Treviso. I massaggi. Qualche chiacchiera con la sua amata. E tra poco la cena.

La Pinarello Bolide di Bernal. Il colombiano oltre ad essere campione nazionale su strada, lo è anche a crono
La Pinarello Bolide di Bernal. Il colombiano oltre ad essere campione nazionale su strada, lo è anche a crono

Giornata di relax

E’ sereno e sorridente e, soprattutto, dopo un bel po’ di tempo ci torna ad apparire muscoloso. Lo scorso anno era solo magro. Insomma, è un corridore.

«Sto bene – ci ha detto Egan – fa piacere essere di nuovo lì. Ieri è stato un momento difficile per tutta la tappa: dalla partenza alla fine».

Intanto i suoi meccanici lavorano sulla Pinarello Bolide che domani sfoggerà nella crono da Lucca a Pisa. Egan spingerà un 64×11.
Due prove fanno (quasi) un indizio: Tagliacozzo e Siena. Chiaramente non si può non partire dalla tappa di ieri, quella degli sterrati. Quanto è stato bello vederlo là davanti in una tappa lunga e dura. Tutti, ma veramente tutti, sono stati contenti di ammirare nuovamente il corridore della Ineos Grenadiers così pimpante.

«Il piano di gara – aveva detto Bernal riferendosi alla frazione di Siena – non era affatto una scienza esatta. Dovevamo essere in testa all’ingresso del primo settore sterrato e da lì in poi correre a tutto gas. Dovevamo solo rimanere in testa, settore dopo settore. Siamo riusciti a concludere in una buona posizione. Mi è mancata un po’ di potenza per non farmi staccare dalla testa della corsa nel finale, dopo aver speso molte energie nei chilometri precedenti».

Non solo, abbiamo scoperto un dettaglio non da poco. Nel finale Bernal si è staccato anche perché molto probabilmente era disidratato. Quando l’ammiraglia gli è piombata finalmente addosso, mancavano ormai meno di 20 chilometri all’arrivo. E appena gli hanno dato da bere, ha preso la borraccia in modo quasi famelico. Di sicuro non beveva già da diversi quarti d’ora. Immaginiamo la sete, la polvere che s’impasta con la saliva… devono essere state sensazioni tremende.

A Tagliaccozzo la maglia rosa 2021 ha messo a segno il primo acuto di questo Giro: terzo. Prima grossa iniezione di fiducia
A Tagliaccozzo la maglia rosa 2021 ha messo a segno il primo acuto di questo Giro: terzo. Prima grossa iniezione di fiducia

Bernal c’è

Fatto sta che a quasi metà Giro d’Italia, domani il colombiano si presenta al via in settima posizione, a 1’10” da Isaac Del Toro.

«Le sensazioni sono buone, molto buone, però bisogna andare piano: giorno dopo giorno», ci ha detto Egan.

I giornalisti colombiani, che sono sempre molto attenti ai loro connazionali, cominciano a muoversi come un tempo. Questo non è più il Bernal del recupero. Adesso si torna a parlare del corridore. Un altro dettaglio. Ieri dopo la tappa di Siena ha voluto fare il defaticamento sulla bici da crono… Questo lo fa chi punta alla classifica.

In questo assalto al podio c’è da metterci anche lui? Molto probabilmente sì. E il Giro e lo spettacolo ne guadagnerebbero non poco. «Egan per me, senza l’incidente, sarebbe stato uno dei pochissimi, se non l’unico, a poter lottare con Pogacar sulle lunghe salite».

Bernal (classe 1997) è alla sue seconda partecipazione al Giro
Bernal (classe 1997) è alla sue seconda partecipazione al Giro

Parola ad Ellena

Questa ultima frase è di Giovanni Ellena, il direttore sportivo che lo ha avuto ai tempi dell’Androni Giocattoli, quando Bernal arrivò in Italia. Ellena, ora in forza alla Polti–VisitMalta, ci ha detto la sua.

«Vedere Bernal, ma anche Brendon Rivera, che si sono divertiti lì davanti, mi ha fatto davvero piacere. Rivera è il suo amico di sempre. Egan ce lo aveva proposto in Androni, ma era un emerito sconosciuto. Andava in Mtb con lui, e ieri sugli sterrati si sono divertiti, ne sono certo».

«Se invece andiamo su un livello psicologico, io ho passato un po’ quello che ha passato Egan sul mio corpo. E pensare che uno si butti a fare quello che sta facendo lui sulle strade vuol dire che ha una testa impressionante. Senza contare il suo recupero fisico. Ora lui non è tanto il campione che va in bicicletta per vincere, ma è quello che dà l’esempio alla gente che ha dei problemi. Dimostra che se ne può uscire».

Per Ellena vederlo buttarsi in questo modo in discesa, in gruppo e nello sterrato è segno di una grande forza mentale da parte di Bernal
Per Ellena vederlo buttarsi in questo modo in discesa, in gruppo e nello sterrato è segno di una grande forza mentale da parte di Bernal

Podio possibile?

Cosa può fare dunque concretamente Egan Bernal in questo Giro d’Italia? Davvero può lottare per il podio? Anche in questo, l’occhio tecnico e di chi conosce l’atleta, quello di Ellena, ci viene in soccorso: «Difficile dire cosa davvero potrà fare – riprende Ellena – bisogna vedere il fisico, che non è più quello di prima. La testa però sì. Ne sono certo. Si vede. Vi racconto questa.

«Un giorno mi sono ritrovato a Madrid per andare al Gran Camino e sull’aereo vedo un cappellino nero sul mio sedile. In inglese chiedo al ragazzo di spostarlo. Quel ragazzo alza gli occhi e mi fa: “Ciao Giovanni”. Era Egan. A un certo punto gli ho chiesto: “Ma tu come stai?”. E lui: “Sono abbastanza ben messo. Vediamo, cosa mi dirà il futuro”. Allora l’ho guardato e gli ho detto: “Il tuo futuro dice che o diventi quello di prima (o quasi), o smetti. Perché tu non sei mediocre”. Mi disse che avevo ragione.
Questo per dire che Bernal non è qui per portare a spasso la bici. Se poi lotterà per il podio, la vittoria, una top five… non lo so. Ma di certo è qui per fare bene».

Ellena poi sottolinea un altro aspetto: la fiducia da parte della squadra. E questa non è cosa da poco. Come tutti i grandi, anche Bernal si è creato il suo ambiente. «Ormai Egan ha il suo massaggiatore di fiducia, il suo compagno di allenamenti e d’infanzia. E poi è un ragazzo che si fa amare e si fa rispettare al tempo stesso».

Il ritorno (a sorpresa) di Maini, grande acquisto per la Polti

27.03.2025
4 min
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Maini ha l’entusiasmo del corridore cui hanno appena consegnato la maglia e la nuova bici. «Oggi è stato il primo giorno sull’ammiraglia con Giovanni Ellena – sorride con pudore – e per l’adrenalina che avevo dentro, se fossi stato un corridore, probabilmente sarei andato in crisi di fame».

Oggi Maini ha debuttato alla guida del Team Polti-VisitMalta alla Settimana Coppi e Bartali (in apertura è sul pullman tra Jesus Hernandez e Giovanni Ellena). L’Astana lo aveva lasciato scivolare indietro e senza spiegazioni alla fine del 2023, lo stesso Martinelli non l’aveva presa affatto bene. Eppure, se lo conosceste, sapreste che adesso “Maio” vuole fare tutto tutto fuorché rivangare il passato. Non l’ha mai fatto. Al contrario, ha soprattutto voglia di normalità e di riallacciare il filo con la grande storia del suo mestiere.

Ivan Basso ha accolto Maini nel Team Polti-VisitMalta a stagione già iniziata (sprintcycling.com)
Ivan Basso ha accolto Maini nel Team Polti-VisitMalta a stagione già iniziata (sprintcycling.com)
Una sorpresona, come è andata?

Ho ricevuto una chiamata qualche settimana fa. Mi hanno detto che ci poteva essere questa possibilità e che mi avrebbero aggiornato. Al di là dei giorni che sono trascorsi tra quando mi hanno chiamato e quando la cosa è andata in porto, la cosa bella è che sia andata veramente in porto. Come ho detto nel comunicato ufficiale, devo ringraziare la dirigenza e i miei colleghi per avermi dato questa opportunità.

Ti aspettavi che sarebbe arrivata un’altra ammiraglia?

Dico la verità: per me è stata una sorpresa molto gratificante. Ho avuto la fortuna di lavorare con dei corridori importanti, ma anche tanto con i giovani e mi è sempre piaciuto molto. Questa cosa mi dà stimolo e accelera ancora di più la mia grande voglia di fare, perché l’ho sempre avuta. Sono sempre stato molto malato di ciclismo.

Sei stato preso con un incarico particolare, proprio legato ai giovani?

No, sono uno dei direttori sportivi, ma ho dato disponibilità totale a coprire qualsiasi ruolo. Mi ha chiamato Zanatta, dicendo che era con Basso, Ellena e gli altri direttori e avevano pensato a me. La squadra aveva fatto il programma delle gare e ha capito di avere bisogno di una figura in più. Così hanno pensato a me e mi fa davvero piacere. Con Ivan non ho mai lavorato, ma non ci sono mai stati screzi o tensioni: sempre grande rispetto.

Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti e poi lavorò con lui alla Mercatone Uno
Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti e poi lavorò con lui alla Mercatone Uno
Nel frattempo hai continuato a seguire il ciclismo?

Appena, appena (sorride, ndr)… Ero arrivato al punto di tenere acceso l’iPad, la televisione e il telefono e vedevo tre corse al giorno, anche contemporaneamente. A un certo punto si sono aggiunte quelle dei dilettanti, per cui vedevo le due dei professionisti e nel telefono lo streaming degli under 23.

Che cosa porta Orlando Maini al Team Polti-VisitMalta?

Porta a se stesso. Porta la spontaneità di un lavoro che sente particolarmente suo. L’entusiasmo, che serve per dare la possibilità a questi ragazzi di porsi degli obiettivi e di realizzare il loro sogno. Mi piacerebbe portare tutto questo, perché prendano consapevolezza delle loro forze e delle loro capacità.

Pantani, Scarponi, Pozzato, Ulissi… L’elenco dei tuoi corridori è lungo e importante: da ognuno di loro hai imparato qualcosa che adesso fa parte del tuo bagaglio?

Da ognuno di loro ho imparato qualcosa che mi è rimasto e soprattutto mi ha fatto capire che si può sempre migliorare, anche se hai una grande esperienza. In questi anni mi sono reso conto che ascoltare i giovani è importante. Puoi trasmettere, ma anche ascoltare e assorbire qualcosa da loro e questo fa sì che si crei un dialogo che può portare a raccogliere dei frutti importanti.

Dicembre 2022, ritiro Astana ad Altea, in Spagna. Con Maini (a destra), ci sono Martinelli e Zanini
Dicembre 2022, ritiro Astana ad Altea, in Spagna. Con Maini (a destra), ci sono Martinelli e Zanini
Tu torni in gruppo e contemporaneamente Martinelli ne esce. Si sta verificando un ricambio anche fra i tecnici…

Martinelli è stato il primo a essere felice quando l’ha saputo, fra noi non c’è solo un rapporto di lavoro. Il ricambio fa parte della logica della vita, non solo del mestiere del direttore sportivo. Però io sono ancora del parere che l’esperienza dei più maturi serva ancora. Serve il giusto mix fra le parti. Il futuro è un’ipotesi, il passato è certo perché è già successo. Però la voglia di immaginare quello che sarà è stimolante e l’esperienza ti permette di spiegare cosa serva davvero e cosa invece sia inutile.

Adesso il programma che corse prevede?

Adesso faccio la Coppi e Bartali, quindi il Giro d’Abruzzo e poi vedremo il resto del calendario.

Si può dire che alla fine le cose tornano sempre?

Sapete come sono fatto, ci conosciamo da tanto tempo. Sapete cosa penso e cosa basta perché io sia contento. Mi basta che scriviate che io ho solo voglia di normalità, che sono uno con i piedi per terra. Ho sempre vissuto così e sono contento quelle volte in cui mi viene riconosciuto.

Il popolo del ciclismo a Torino per l’addio a Gianni Savio

03.01.2025
6 min
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TORINO – «Mi raccomando, teniamoci in contatto». Prendendo in prestito il suo saluto elegante e gentile, gli amici del pedale hanno voluto dire così ciao a Gianni Savio ieri mattina alla Chiesa Gran Madre di Torino, luogo che peraltro ha salutato tanti arrivi celebri del Giro d’Italia negli ultimi anni.

Uomo e diesse d’altri tempi, che ha conquistato tutti con la sua classe e la sua disponibilità, Gianni ha radunato una squadra di oltre duecento persone tra ex corridori, diesse, meccanici, dirigenti, giornalisti e appassionati di ciclismo in occasione del suo funerale, celebrato nello stesso giorno in cui ricorreva anche la morte del Campionissimo Fausto Coppi. Tra i tanti presenti alla cerimonia anche Giovanni Ellena, Wladimir Belli, il presidente federale Cordiano Dagnoni e Franco Balmamion.

Il tributo di Tafi

C’era anche il re delle classiche Andrea Tafi, che con noi ha voluto ricordarlo così: «Il primo pensiero che mi viene in mente è che ha creduto subito in me. Il mio primo contratto da professionista ho avuto il piacere e l’onore di poterlo firmare insieme a lui, nonostante in tanti mi chiedessero perché volessi andare in una piccola squadra come la sua. Ha creduto fortemente in quello che avevo fatto da dilettante, mi ha dato questa grande opportunità e senza di lui non sarei qui a dire che ho vinto la Roubaix o il Fiandre. Questo gliel’ho ripetuto tante volte e, nonostante ci siano stati alti e bassi, sono stati anni bellissimi con Gianni. Ricordo ancora anche quando ha preso Leonardo Sierra, era uno scopritore di grandi talenti e ha dato le opportunità a chi aveva talento i mezzi per poterlo esprimerlo e non è cosa da poco».

Il campione toscano aggiunge ancora: «Come hanno detto in tanti in questa giornata, la cosa che è mi è piaciuta molto in lui è che non è mai cambiato di una virgola, sempre uguale nei suoi modi cortesi e con un solo ideale: l’amore per il nostro sport. Ci lascia una grande persona, un petalo di questo fiore meraviglioso che è il ciclismo».

Tafi ha ringraziato Savio per aver creduto in lui da giovane e avergli permesso di avere la sua grande carriera
Tafi ha ringraziato Savio per aver creduto in lui da giovane e avergli permesso di avere la sua grande carriera

Lo scopritore di talenti

Più di tre lustri, Savio li ha vissuti quotidianamente con Giovanni Ellena, ora al Team Polti-VisitMalta: «Abbiamo condiviso 17 anni di lavoro, ma è difficile fermarsi soltanto a una caratteristica di Gianni. Mi ricordo i nostri “scontri lavorativi”, in senso buono. Entrambi avevamo la testa dura e magari per arrivare a una conclusione ci passava del tempo. Però, da lui ho imparato molto e una caratteristica che ho cercato di fare mia è di non infierire nel momento degli errori, perché tutti ne commettiamo. L’ho visto trovarsi davanti a situazioni complicate, ma lui non ha mai inferito con la persona che aveva commesso qualunque tipo di errore. Anzi, si è sempre comportato in maniera elegante e signorile».

Tanti talenti internazionali, ma anche tanti giovani del nostro Paese lanciati nel mondo del pedale. «Tutti parlano di Bernal o Sosa, ma Gianni ha creduto in italiani che all’inizio nessuno voleva come Vendrame e Ballerini – prosegue Ellena – e che ora tutti vediamo quanto valgono. Loro due, come tanti altri hanno fatto tanta fatica a passare professionisti e probabilmente non ci sarebbero riusciti se non avessero incrociato Gianni Savio sulla loro strada». 

Ellena ha ricordato Vendrame e Ballerini, qui con Savio alla Tirreno del 2017, come alcuni dei talenti migliori scoperti da Gianni
Ellena ha ricordato Vendrame e Ballerini, qui con Savio alla Tirreno del 2017, come alcuni dei talenti migliori scoperti da Gianni

Un terzino alla Maldini

L’ex pro’ torinese Umberto Marengo, suo corridore per una stagione con la Drone Hopper-Androni, lo ricorda con affetto: «Con lui ho vissuto un’annata difficile nel 2022, anche a causa del Covid, ma non mi ha mai fatto mancare il suo appoggio. Ogni volta, ci infondeva tutta la sua grinta e ci dava tante motivazioni. La sua eleganza era il tratto distintivo e ha sempre creduto nei giovani».

C’è poi chi rimembra persino i suoi trascorsi sul rettangolo verde del pallone da ragazzo, prima di salire con classe sull’ammiraglia e non scendere più e lanciarsi alla scoperta di talenti. «Tra il 1975 e il 1976 abbiamo giocato insieme nel Vallorco, in Prima Categoria. Era un terzino fluidificante, alla Maldini, mentre io ero ala sulla stessa fascia, a destra. Era molto generoso e ben dotato tecnicamente. Ricordo che già allora era appassionato di bici e spesso ne parlavamo in spogliatoio, lui sempre con la sua eleganza e la “r” arrotata», racconta un ex compagno di calcio, Michele D’Errico.

Sullo sfondo, mentre Gianni se ne va, la sua amata Torino in una grigia giornata d’inverno
Sullo sfondo, mentre Gianni se ne va, la sua amata Torino in una grigia giornata d’inverno

L’uomo dei sogni

Sport e famiglia, i due capisaldi di Gianni. L’amata “Pablita”, con cui ha festeggiato le nozze d’oro la scorsa estate, ha affidato il suo messaggio nella lettura di un amico per ringraziare dell’ondata d’affetto ricevuta in questi giorni tra visite, telefonate e messaggi ricevuti da lei e dalle figlie Annalisa e Nicoletta. A raccontare le gesta del nonno al piccolo nipote Edoardo Felline ci penserà papà Fabio, ritiratosi ufficialmente due domeniche fa e anch’egli grato nel suo percorso, ciclistico e umano, al compianto suocero.

«Ci mancherai, grande Gianni. Di te mancheranno la gentilezza, la disponibilità, il tuo sorriso e l’attenzione che ponevi ai rapporti umani», le parole in chiesa di Vladimir Chiuminatto, diesse del Madonna di Campagna . «Il ciclismo è stata la tua seconda casa, in cui ti sei mosso sempre in maniera elegante. Ci mancherà vederti camminare con passo spedito nei pressi del traguardo poco prima dell’arrivo dei tuoi ragazzi. Grazie alla tua determinazione e alla tua competenza, hai contribuito a far avverare i loro sogni. Mancherai a tutte quelle persone con cui hai collaborato in questi anni e per cui sei stato un condottiero carismatico, così come ai tuoi tifosi. Non solo quelli italiani, ma a quelli di tutto il mondo, in particolare a quelli sudamericani, a cui hai regalato grandi imprese». 

Noi appassionati siamo certi che il suo sorriso disponibile ci accompagnerà sempre: d’altronde, Gianni si è semplicemente avvicinato in anticipo al traguardo. 

In Venezuela con Savio, sulle tracce di Rujano

31.12.2024
8 min
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Quando il piccolo aereo iniziò a salire verso Merida con il motore che dava inquietanti colpi di tosse, Gianni Savio reagì con un sorriso bonario allo sguardo preoccupato. Era la terza tappa di un viaggio che allora sembrava ancora più avventuroso. Da Roma ad Atlanta, poi Caracas, infine l’ultimo tratto verso Santa Cruz de Mora a casa di Josè Humberto Rujano. Il piccolo venezuelano era arrivato terzo al Giro d’Italia e andare a scoprire quel suo mondo così lontano era parsa un’idea grandiosa. La coincidenza saltata negli Stati Uniti ci aveva permesso di trascorrere una giornata ad Atlanta a dieci anni dalle Olimpiadi, scoprendone una faccia molto meno sfavillante della prima volta. La notte a Caracas, con la raccomandazione di Gianni di non uscire per nessun motivo dall’hotel, era passata rapidamente, l’adrenalina era davvero tanta. E ora il volo verso la principale località delle Ande Venezuelane era il modo più semplice per avvicinarsi e colmare il resto della distanza in auto su strade alte e piene di curve. Le montagne erano là davanti come dei contrafforti.

Gianni se ne è andato ieri. Ha lottato, ma alla fine ha poggiato la bici in un luogo sicuro e ha chiuso gli occhi. Si potrebbe raccontarlo attraverso i talenti che ha scoperto, siamo certi che avrebbero pagine da raccontare. Ma adesso quel che ci assale è l’onda dei ricordi personali attraverso cui imparammo a conoscere e capire quell’uomo che da solo lottava in mezzo ai giganti con la dignità del grande condottiero. Sempre con la giacca e la camicia. Sempre con un sorriso. E sempre con grandi storie in fondo agli occhi, fatte di lunghi viaggi in terre sconosciute da cui, cercatore d’oro, tornava ogni volta con un nuovo nome da proporti.

Giro del 2005, Rujano vince a Sestriere e ipoteca il podio dietro Savoldelli e Simoni
Giro del 2005, Rujano vince a Sestriere e ipoteca il podio dietro Savoldelli e Simoni

Caffè e Rolex

L’abitazione della famiglia Rujano era piccola e allegra, tirata a lucido come quando aspetti una persona importante. Si vedeva che «el señor Giani» fosse di casa. Lo capivi dalla festa dei bambini e dalle facce sorridenti e beate di chiunque venisse fuori dalla porticina con la tenda di fili che toccandosi facevano un rumore allegro. Il padre del corridore era un ometto piccolo e ricurvo, con molti meno anni di quelli che dimostrava. Il tempo che Gianni facesse le presentazioni e per me iniziò la fase delle domande, delle foto e della curiosità. Lui invece si mise in un angolo a raccogliere gli umori e i racconti di quella famiglia cui aveva offerto una chance importante.

Quel giorno Rujano ci portò a fare un giro nei luoghi della sua infanzia. Quelli in cui avrebbe trascorso la sua esistenza di raccoglitore di caffè se non avesse incontrato la bicicletta. Per fare la foto nella piantagione indossò un Rolex nuovo di zecca, preso dalla banca per l’occasione. Non si fidava a tenerlo in casa, perché le rapine erano all’ordine del giorno. Quando quelle foto girarono in Europa, i corridori di qui ironizzarono su quell’orologio che probabilmente per Josè significava avercela fatta, il simbolo dell’emancipazione. Loro cosa ne sapevano di cosa significasse avere fame?

«Sono situazioni che ho visto tante volte – disse Savio la sera mentre tornavamo verso l’alberghetto al Tovar – soldi che gli cambiano la vita e che devono essere bravi a gestire, ma so già che non sarà facile. Una volta forse era più facile, oggi ci sono tante persone che gli girano attorno, sia qui sia in Europa. Gente che chiede e, se il corridore è buono come Rujano, il rischio è che i soldi finiscano presto. Domani ti porto a casa di Leonardo Sierra, quello del Mortirolo al Giro del 1990. Non lo riconoscerai».

Gli occhi di Sierra

Leonardo Sierra, una porta sui ricordi. La prima volta del Mortirolo al Giro d’Italia e il venezuelano in fuga che cadeva in discesa quasi ad ogni curva. Vinse la tappa nel suo secondo anno da professionista e diede l’avvio a una carriera di otto anni, quasi tutta con Savio. Prima alla Selle Italia, poi alla ZG Mobili, quindi nel 1994 il grande salto nella Carrera al fianco di Chiappucci e Pantani. Il tempo di ricordare la sua immagine da indio e il faccione che si affacciò alla finestra della casetta nel prato fu davvero un colpo. Era lui, tanti chili di più. La voce che sapeva di birra anche di buon mattino e gli abbracci al «señor Giani» con quell’affetto sudamericano che supera la barriera del tempo. Lo sguardo era sempre lo stesso, un po’ languido ma con un fondo di fuoco.

«E’ tornato qua – raccontò Gianni – ha speso parecchio, ma alla fine è stato furbo a tenersi qualcosa da parte. Non vive da signore, ma non ha nemmeno l’esigenza di lavorare. E vedrete che farà anche pace col bere».

La conferma venne qualche tempo dopo attraverso la foto di un Sierra più magro spulciata su qualche social e tramite lo stesso Rujano, incontrato nuovamente in Argentina al Tour de San Luis, quando si era rimesso a correre per guadagnare ancora qualcosa e aiutare suo figlio. Gianni aveva visto giusto. Nel 2006 infatti, Josè fu convinto dal suo agente a mollare la squadra durante il Giro e fu portato alla Quick Step di Boonen campione del mondo. Ci rimase per pochi mesi, poi cambiò altre due squadre per tornare infine alla Androni del «señor Giani». Ci rimase in tempo per vincere ancora una tappa al Giro, ma alla fine anche lui appese al chiodo la bici che era diventata di colpo troppo pesante.

A 4.200 metri

Gianni parlava e intanto la strada si arrampicava. Parecchi ciclisti, il clacson che suonava per salutarne alcuni e chiamarli per nome. L’ultimo passaggio di quei pochi giorni in Venezuela, dopo aver rilasciato delle interviste a una radio locale, prevedeva di salire fino a Pico el Aguila, il Teide di laggiù, ma duemila metri più in alto. Rujano all’ultimo momento scelse di non venire, perché disse che avrebbe iniziato ad allenarsi e salire lassù non era adatto al momento. Per cui facevano strada Gianni e un allenatore di cui oggi è impossibile ricordare il nome.

La pendenza sembrava dolce, poca roba e ti accorgevi che qualcosa stesse cambiando quando ti fermavi per guardare il panorama e sentivi la testa pesante. Arrivammo dopo 80 chilometri di salita da Merida. Un rifugio. Delle antenne. E la strada che proseguiva pianeggiante con un anello di una decina di chilometri. Salire di slancio i quattro gradini per entrare nel bar ci fece capire la differenza fra una quota europea e l’assenza di ossigeno in questo avamposto andino.

«A volte quando sento parlare dell’altura in Europa – disse Savio – mi viene da sorridere. Qui siamo quasi a 4.200 metri. Rujano e i corridori di qui ci vengono spesso nei momenti in cui si allenano sul serio. Arrivano quassù e poi hanno questa strada di pianura in cui fanno i loro giri. Credo che qualche volta si fermi a dormire qui. Capito perché quando devono salire sullo Stelvio o sulla Marmolada, per loro non è questa grande preoccupazione?! Anche le corse qui sono tutte abbastanza simili. Prima i chilometri piatti in basso in questi stradoni tutti uguali, poi puntano una salita interminabile e inizia la selezione».

I meriti di Gianni

Il resto è un collage di ricordi che passano per le fughe del Giro e le polemiche per le esclusioni davanti alle quali «el señor Giani» usciva dai gangheri, ma sempre con quel suo stile da signore d’altri tempi. La squadra mista al Tour del 1995, in cui i suoi corridori corsero assieme a quelli della Deutsche Telekom che l’anno dopo il Tour lo avrebbero vinto con Riis e poi con Ullrich. La nuova vita regalata a Scarponi, Rebellin e Bertolini, come pure a Masnada e Cattaneo. La scoperta di Egan Bernal. Nessuno gli ha mai riconosciuto sino in fondo i meriti che aveva.

Questo nuovo ciclismo non sembrava più la casa di Gianni Savio e forse per questo – e per i problemi di salute – tenersene lontano non gli era parso poi così difficile. Invece, dopo la delusione della Drone Hopper, era ripartito con il progetto della Petrolike che gli aveva fatto brillare nuovamente gli occhi. C’era tutto il suo mondo. Il Sudamerica. Il senso di aver scoperto qualcosa di nuovo. E anche il gusto per la sfida contro i più grandi, con l’eleganza e l’ironia di sempre. In questo pedalare veloci verso l’assenza di limiti, sentiremo la mancanza del «señor Giani». Ci piace pensare che sia da qualche parte laggiù, in mezzo alle sue Ande, in cerca di un nuovo nome da proporci.

Caro Ellena, cosa avete fatto per tre giorni a Malta?

29.10.2024
6 min
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Anche il Team Polti-Kometa, ha svolto il “pre-ritiro” di fine o inizio anno, a seconda di come lo si voglia interpretare. E’ questo l’anello di congiunzione tra la vecchia stagione e la nuova. Per l’occasione, la squadra di Basso e Contador ha scelto Malta come sede, un partner importante per il team.

Giovanni Ellena ci ha parlato dei ragazzi, della sua esperienza personale e di quanto fatto nei tre giorni trascorsi nel cuore del Mediterraneo. Il che è stata anche un’occasione per scoprire le bellezze di questa isola situata tra la Sicilia e l’Africa (in apertura foto di Maurizio Borserini).

Una veduta tra città e mare di Malta (foto Pinterest)
Una veduta tra città e mare di Malta (foto Pinterest)
Giovanni, Malta in questo periodo deve essere bellissima…

Sì, è un’isola splendida. Io non c’ero stato l’anno scorso a causa di un piccolo problema di salute, quindi per me quest’anno è stato un ritorno al lavoro al 100 per cento… Anche se prima lo era già, ma non avevo partecipato dall’inizio.

Dopo quello che hai passato, l’importante era esserci…

In effetti mi era mancato. Abbiamo fatto anche due attività extra molto divertenti: una di canoa e una zip line. Non le ho potute fare, o meglio non ho voluto farle, per questioni legate al recupero fisico. Mi sentivo a disagio non partecipando completamente al gioco, e mi è dispiaciuto non essere in prima linea con i ragazzi. Ma il prossimo anno sarò il primo a lanciarmi!

Giovanni, cosa si fa in un ritiro del genere? Che cosa avete fatto a Malta? E come lo chiamate, questo tipo di ritiro?

E’ un ritiro di conoscenza: serve a far incontrare i nuovi arrivati. Abbiamo fatto la prova del vestiario con Gsport, verificato le misure delle scarpe con Sidi piccole accortezze per arrivare al primo training camp con tutto in ordine. Ci sono stati anche alcuni chiarimenti sulle misure delle bici.

Giovanni Ellena (classe 1966) è uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa. E’ arrivato in questo gruppo due anni fa (Maurizio Borserini)
Giovanni Ellena (classe 1966) è uno dei direttori sportivi della Polti-Kometa. E’ arrivato in questo gruppo due anni fa (Maurizio Borserini)
Avete fatto anche la visita medico-sportiva?

No, quella sarà fatta ai primi di dicembre a Firenze, dal dottor Giulio Tempesti, il nostro medico, insieme al suo staff che ci segue costantemente. Quindi in questo ritiro ci siamo occupati di pianificare le visite mediche, organizzare le partenze e stilare una bozza del calendario 2025, oltre a incontrare i preparatori. C’è stato anche spazio per il relax.

Parlaci di questo…

Abbiamo avuto la possibilità di visitare la Basilica di Malta, dove abbiamo fatto la presentazione della squadra insieme al ministro del turismo e dello sport. Abbiamo visitato Malta stessa, le catacombe e le sue coste… Sono esperienze che permettono di condividere pensieri e idee. Alla fine, è risaputo che davanti a un piatto o in momenti di relax emergono conversazioni che in altre situazioni non si farebbero, perché manca il tempo o lo spirito giusto.

Come ti è sembrato il gruppo?

Un bel gruppo, davvero. Non ho trovato nessuna difficoltà d’integrazione, nessuno che facesse fatica a inserirsi. Tutti erano ben integrati. Ho visto un Piganzoli già più maturo, con le idee chiare su dove vuole arrivare e cosa vuole ottenere nel 2025; un Lonardi molto più sicuro di sé; un Peñalver che in Malesia ha capito di poter fare il velocista. E poi ci sono giovani come Crescioli, che entrano in un mondo nuovo, ma ancora a misura d’uomo, senza il ‘trauma’ del WorldTour dove ti chiedono prima il Vo2Max che il tuo nome.

Ivan Basso presenta la squadra agli esponenti di Malta, che ha una partenership sempre più importante (foto Maurizio Borserini)
Ivan Basso presenta la squadra agli esponenti di Malta, che ha una partenership sempre più importante (foto Maurizio Borserini)
Come li hai visti fuori dal loro ambiente? Ad esempio, durante la gara in canoa?

Con un grande spirito competitivo, goliardico ma sempre agonistico, tipico di chi fa questo lavoro: si vuole vincere anche a briscola! Sono uscito dall’albergo in jeans proprio per evitare tentazioni: se fossi stato in abbigliamento adatto, mi sarei unito a loro. Questo è lo spirito coinvolgente del gruppo, grazie anche alle proposte di team building di Basso, che riprende ciò che faceva alla CSC, ma in modo più sicuro e intelligente.

Hai accennato a Piganzoli. Lo vedi già come un leader?

Diciamo che sta lavorando per diventarlo. Sa di poter puntare al tredicesimo posto al Giro d’Italia, di non essere l’ultimo nelle cronometro, e sa che ha margini di miglioramento. Parte con uno spirito diverso. Ricordiamoci che l’anno scorso Davide non aveva ancora vinto una corsa da professionista, mentre quest’anno non solo ha vinto ma ha colto piazzamenti importanti. Sa di poter vincere, di poter fare terzo a un Giro dell’Emilia. Quest’anno non ha brillato al Lombardia, ma bisogna considerare chi c’era, come è partita la gara, e che è ancora in fase di crescita. Era deluso…

Con una divisa neutra, Gsport fa provare il vestiario ai corridori (foto Maurizio Borserini)
Con una divisa neutra, Gsport fa provare il vestiario ai corridori (foto Maurizio Borserini)
Ma era nel gruppo con Pogacar quando Tadej è partito…

Esatto, questo dimostra il livello a cui è arrivato.

Giovanni, hai parlato di momenti conviviali. Ne avete avuti? Avete ricordato qualche momento della stagione?

Tra ragazzi è normale che affiorino ricordi di corse o episodi specifici. E ci sono sempre risate, anche su momenti che magari all’epoca non erano piacevoli, come il freddo tremendo di una tappa in Turchia. Allora non ridevano di certo. Stare 200 giorni l’anno insieme crea inevitabilmente storie e aneddoti.”

Come erano scandite le vostre giornate a Malta? E le biciclette le avevate dietro?

Le bici c’erano perché l’ultimo giorno abbiamo fatto una pedalata cui ha partecipato anche il ministro del turismo (Clayton Bartolo, ndr) e alcuni appassionati. E’ stata organizzata una raccolta fondi per un’associazione di disabili. Ma abbiamo pedalato solo l’ultimo giorno; gli altri giorni erano dedicati ad altre attività. E qualche sera siamo usciti per una birra e due risate.

Poca bici e tanto svago in questo primo raduno a Malta (foto Maurizio Borserini)
Poca bici e tanto svago in questo primo raduno a Malta (foto Maurizio Borserini)
E la sveglia? Presto o libera?

Sempre abbastanza presto. Il primo giorno abbiamo fatto le prove per il vestiario e le scarpe, il secondo giorno la sveglia era alle 7,30 perché alle 8,30 dovevamo essere alla Basilica per la presentazione. Anche per le attività ludiche la sveglia era presto, perché iniziavano alle 9. L’ultimo giorno ci siamo svegliati ancora prima, perché la pedalata iniziava alle 7,30! Giornate di scarso stress, ma intense al tempo stesso.

Avete assegnato i corridori ai rispettivi direttori sportivi?

Abbiamo fatto un’assegnazione dei preparatori, quello sì. Per quanto riguarda i direttori sportivi, ne parleremo nel ritiro di dicembre a Benidorm. Lì ogni corridore incontrerà il suo direttore, si discuterà il calendario… Per ora li lasciamo tranquilli, senza la pressione dei direttori sportivi.

Ellena: «Per Piganzoli è il momento del salto definitivo»

13.07.2024
5 min
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Il fatto che Davide Piganzoli stia bene lo si vede dalle storie su Instagram e dalla costante voglia di scherzare con i compagni. Lui e la squadra, la Polti-Kometa, sono andati in ritiro in Valtellina per preparare la seconda parte di stagione (in apertura foto Maurizio Borserini). Il bilancio per Piganzoli fino a qui è positivo, con un tredicesimo posto al Giro d’Italia inseguendo i migliori. A inizio anno era anche arrivata la prima vittoria da professionista, in salita al Tour of Antalya. 

Abbiamo così bussato alle porte di Giovanni Ellena, diesse del team Polti-Kometa, e con lui si è parlato del nuovo Piganzoli. Di cosa è rimasto nel giovane valtellinese dopo le fatiche del Giro d’Italia e di ciò che potrà fare in futuro.

Per Piganzoli all’Antalya, a inizio stagione, il primo successo tra i professionisti
Per Piganzoli all’Antalya, a inizio stagione, il primo successo tra i professionisti

Costante confronto

Se si pensa a Piganzoli di riflesso la mente va anche verso il nome di Giulio Pellizzari. Entrambi sono stati un binomio indissolubile della nazionale di Amadori e insieme hanno lottato al Tour de l’Avenir lo scorso anno. Dal Giro si è visto come i due siano stati gestiti diversamente dalle rispettive squadre. Piganzoli dopo la Corsa Rosa è andato allo Slovenia, si è ritirato e si è fermato. Pellizzari ha proseguito fino al Giro d’Austria, concluso pochi giorni fa.

«Piganzoli al Giro – racconta Ellena – ha voluto provare a tenere duro e fare classifica, ottenendo un tredicesimo posto finale. Un risultato tutto sommato positivo se si considera che era alla prima esperienza. Pellizzari, invece, è uscito di classifica e ha avuto modo di tentare di vincere una tappa. Gestioni diverse, vero, ma da noi è stato lo stesso Piganzoli a chiedere di provare a tenere duro. Un ragionamento che ci siamo sentiti di incoraggiare».

La decisione di tenere duro al Giro è arrivata da lui, il 13° posto finale è un buon premio
La decisione di tenere duro al Giro è arrivata da lui, il 13° posto finale è un buon premio
Poi è andato al Giro di Slovenia e si è ritirato.

Purtroppo tra la fine del Giro d’Italia e l’inizio dello Slovenia è caduto, e questo ha compromesso il finale della prima parte di stagione. Ha provato a correre, ma alla fine abbiamo optato per fermarlo e ricostruire la condizione per la seconda parte dell’anno. E’ stato un peccato però.

Come mai?

La gamba dopo il Giro era buona e allo Slovenia poteva fare bene, così come all’italiano. Poi avremmo valutato se mandarlo anche allo Slovacchia, ma la caduta ce lo ha impedito. “Piga” avrebbe potuto fare molto bene a mio avviso.

Negli aspetti da migliorare c’è anche la crono, il lombardo va forte, ma serve curarla ancora
Negli aspetti da migliorare c’è anche la crono, il lombardo va forte, ma serve curarla ancora
Dopo il Giro cosa gli è rimasto?

Che la classifica finale può essere una strada percorribile. Anche se il ragazzo ha ancora tanto da imparare, ma ci sta, visto che ha solo 22 anni. La vittoria a inizio stagione ha fatto capire che ha una maturità importante, ma deve ancora scoprirsi totalmente. Se chiedete a lui, il tredicesimo posto al Giro è motivo di orgoglio. Solo che agli occhi della gente nessuno ci fa caso, solamente due o tre addetti ai lavori. Tuttavia il risultato rimane ed è incoraggiante. 

Adesso ha lavorato per ripartire forte?

Sì. La sua stagione riprenderà con calma alla Vuelta a Burgos. Non arriverà al 100 per cento, ma va bene così. Sarà una corsa che servirà in chiave di costruzione. Da lì andrà in altura e poi affronterà tutto il calendario italiano di fine anno. 

Tu che corridore hai trovato dopo il Giro d’Italia?

Sicuro, lui è sempre stato un ragazzo che ostenta sicurezza. Quel che si vede è una crescita mentale e fisica importante, ma non definitiva. La testa c’è, altrimenti un Giro del genere non lo avrebbe fatto. Dal punto di vista atletico deve ancora crescere ma i passi sono quelli giusti. Deve migliorare nello spunto veloce, cosa che cresce provando a vincere. Vero che ha vinto in Turchia, ma era un arrivo in salita, dove la forza emerge in maniera netta. 

Dopo il Giro d’Italia l’idea era di sfruttare la condizione fino all’italiano, ma la caduta ha compromesso i piani
Dopo il Giro d’Italia l’idea era di sfruttare la condizione fino all’italiano, ma la caduta ha compromesso i piani
Ora quindi va a correre per imparare altro?

Il calendario italiano offre chance importanti con gare vicine alle sue caratteristiche che però non hanno un arrivo in salita. All’Agostoni, alla Tre Valli o all’Emilia non vince sempre il più forte, ci sono tanti componenti da considerare: freddezza, lucidità, spunto veloce…

Lo lanciate nella mischia e vedrete che combina…

E’ il momento di imparare ancora e può farlo con la consapevolezza che la squadra c’è e che crede in lui. 

E che ha ancora un anno di contratto.

Scadrà nel 2025 e questa fase di costruzione ulteriore servirà anche a lui. Un conto è presentarsi ad una squadra WorldTour da giovane promessa, un altro è arrivare come un corridore pronto per vincere e fare bene. 

L’Avenir lo avevate preso in considerazione?

Era tutto in mano a Piganzoli. Lui avrebbe deciso se partecipare o meno, chiaramente confrontandosi con noi e con Amadori. La caduta a inizio giugno ha compromesso un eventuale cammino verso l’Avenir, non sarebbe arrivato al massimo della forma. Poi fare delle gare con noi tra i professionisti penso possa fargli bene per crescere ancora.

Il Tour della rinascita. Bernal vuole tornare… Bernal

26.06.2024
5 min
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Per certi versi passa inosservato e potrebbe questo essere anche un vantaggio. A Firenze, tra i partecipanti al Tour de France ci sarà anche Egan Bernal e già questo è un risultato eccezionale se si ricorda quanto gli è accaduto nel gennaio 2022. Parliamo di uno che il Tour l’ha vinto, nel 2019, di uno che sembrava destinato a collezionare grandi giri come caramelle, di uno che era accreditato, in quel maledetto mese, della fama di più grande avversario di Tadej Pogacar, quando ancora Vingegaard era solo un giovane di belle speranze.

C’è voluto tanto tempo per Bernal per tornare a essere Bernal. Forse oggi, per la prima volta, si può dire che il colombiano stia tornando se stesso, solo che sono passati oltre due anni che in questo ciclismo sono un secolo, un lasso di tempo nel quale moltissimo è cambiato e allora il colombiano resta un oggetto quasi sconosciuto, imponderabile.

Bernal è sempre fra i più amati dai tifosi, anche per tutto quel che ha passato
Bernal è sempre fra i più amati dai tifosi, anche per tutto quel che ha passato

Giovanni Ellena, diesse della Polti Kometa conosce bene Bernal, al quale è legato da una sincera amicizia e prima di parlare delle sue possibilità nella Grande Boucle ci tiene a sottolineare un aspetto che non deve mai essere dimenticato: «Il fatto che Egan sia qui è un miracolo. Quando ha avuto l’incidente era dato quasi per morto, la stessa ripresa come essere umano prima che come ciclista sembrava un miraggio. Invece oggi è qui e questa, a prescindere da come il Tour finirà, è una grande vittoria».

Tu gli sei stato vicino anche nei momenti immediatamente successivi al gravissimo incidente?

La sera stessa chiamai la madre che mi disse con molta schiettezza che c’era da far passare la notte per capire se all’indomani Egan ci sarebbe stato ancora. Eravamo a questo punto. A inizio stagione, tornando in aereo da O Gran Camino ci siamo ritrovati fianco a fianco e abbiamo parlato, ci siamo raccontati le nostre peripezie (anche Ellena è caduto durante un’escursione in montagna e ha rischiato di non camminare più, ndr). Entrambi abbiamo non so quante viti che tengono insieme il nostro corpo, ma per lui è diverso. Parliamo di uno sportivo, un ciclista, pensate che cosa significa gareggiare nelle sue condizioni…

Bernal ha vinto il Tour nel 2019 battendo Thomas e Kruijswijk, poi ha trionfato al Giro 2021
Bernal ha vinto il Tour nel 2019 battendo Thomas e Kruijswijk, poi ha trionfato al Giro 2021
Eppure sembra davvero che stia tornando lui, si è visto anche al Giro della Svizzera chiuso al quarto posto.

E’ a buon punto, io dico che è quasi come prima, solo che adesso ci sono fenomeni in giro e non solo loro a ben guardare. La concorrenza è spaventosa. Ma lui è tornato a un livello importante, in Svizzera l’ho visto andare davvero forte, ha trovato anche una notevole costanza di rendimento, finendo ogni corsa a tappe sempre nelle prime posizioni.

L’impressione guardandolo è che siamo di fronte a un corridore che si sta ancora scoprendo e che per questo corre molto coperto, senza prendere iniziative com’era solito fare…

Non è che corra in maniera passiva, è che deve capire ancora dove può arrivare. Ora pensa di più prima di attaccare. Io credo che tutto quel che ha passato l’abbia fatto maturare, ma dal punto di vista psicologico e mentale deve ancora fare un piccolo scatto per tornare completamente quello di prima. Al Tour correrà insieme a due altri capitani, si spartiranno i compiti e questo sarà un aiuto, potrà capire durante la corsa che cosa potrà fare. E’ però consapevole che, in mezzo ai più forti, a quelli che lottano per i quartieri alti della classifica ci può stare.

Il colombiano con Pogacar: dovevano essere grandi rivali a Giro e Tour, l’incidente ha rovinato tutto
Il colombiano con Pogacar: dovevano essere grandi rivali a Giro e Tour, l’incidente ha rovinato tutto
Credi che potrà un giorno tornare a competere ad armi pari con Pogacar e Vingegaard?

E’ una domanda alla quale potrà rispondere solo il tempo. Noi (mi ci metto in mezzo come suo amico ed estimatore) possiamo solo sperarlo. Il fatto è che il ciclismo corre, oggi è già differente rispetto al gennaio 2022. Io però confido nella sua capacità di adattamento: al Tour ad esempio ci sarà una tappa dove si andrà oltre i 2.000 metri, io penso che quello sia il suo pane e se sarà in forma metterà alla frusta gli altri. Tenendo sempre presente che in giro troverà veri fenomeni.

Lui se ne rende conto, di questo cambiamento?

Sì, ma non è uno che si adatta. Voglio dire che non è tornato in bici, si è sacrificato settimane, mesi, anni per essere uno che porta le borracce. Ha grandi ambizioni, vuole emergere e se è lì sa di poterlo fare. Non è uno che si adagia sulla mediocrità. E’ un leader, esattamente come quando vinceva Giro e Tour quindi mi aspetto che sia lì davanti.

Dopo il Tour Egan sarà a Parigi il 3 agosto nella gara olimpica, insieme a Daniel Martinez
Dopo il Tour Egan sarà a Parigi il 3 agosto nella gara olimpica, insieme a Daniel Martinez
Pensi che essere stato scelto per la gara olimpica del 3 agosto, insieme a Daniel Martinez, gli abbia dato motivazione in più?

Non credo, non ne ha bisogno. E’ sempre onorato se può vestire la maglia della nazionale e anche su un percorso certamente non proprio adatto alle sue caratteristiche farà il massimo per essere degno di quella maglia della nazionale, ma non ha bisogno di incentivi particolari. Bernal li ha già dentro di sé, sono sicuro che freme per la partenza da Firenze, per cominciare la lunga lotta…