Che il ciclismo femminile stia somigliando sempre più a quello maschile è ormai evidente. Sia nei montepremi, sia nelle strutture dei team ma anche nelle tattiche e, con le dovute proporzioni, nelle distanze. E quindi vedere gare femminili ben oltre le quattro ore è sempre più frequente.
I 176 chilometri della quinta frazione del Tour de France Femmes hanno destato certamente scalpore e rappresentano il record stagionale ma non sono una novità assoluta per quel che riguarda i lunghi percorsi di tappe o classiche. Tanti anni fa c’erano gare negli Stati Uniti, come il Tour de Toona (in Pennsylvania), che avevano chilometraggi importanti.


Oltre le deroghe
Negli anni ci sono stati tanti esempi di gare-fiume come la prima tappa in linea del Giro Rosa del 2007 di 168 chilometri. Oppure la crescita esponenziale del Giro delle Fiandre: dai 94 chilometri, vale a dire 2 ore e mezza di sforzo, della prima edizione nel 2004 ai 159 di quest’anno, 4 ore e un quarto di fatica.
O ancora, nel 2020 al Giro Rosa la Assisi-Tivoli misurò 182 chilometri: 170 di gara e 12 di trasferimento per quasi 3.500 metri di dislivello. Non una passeggiata insomma, che sollevò più di una discussione in merito al ciclismo femminile.
A termini di regolamento l’UCI ha fissato un limite di 160 chilometri per le gare WorldTour, fatta salva qualche deroga. Su questo argomento abbiamo voluto fare un giro di pareri per capire se questa tendenza potrà allargarsi sempre di più e di conseguenza come possono cambiare le preparazioni e gli svolgimenti delle corse femminili.


Non troppi chilometri
«Personalmente spero che non si vada oltre – ci spiega Davide Arzeni della Valcar Travel&Service – anche perché il risultato non cambierebbe. Sono un po’ contro a queste distanze perché diventano uno spauracchio per le atlete e poi si rischierebbe di avere una gara noiosa. Poi le ragazze si distraggono e arrivano le cadute. Se ci va di mezzo lo spettacolo non va più bene per il nostro movimento.
«Bisogna tenere conto delle ore e del dislivello, come è successo in Francia per le tappe di montagna. Però anche in quel caso con un po’ di buon senso. Aggiungere salite su salite o rendere le gare eccessivamente dure per me non ha molto senso. Ripeto, il risultato finale non cambierebbe».
«Tuttavia capisco le esigenze degli organizzatori – prosegue il “Capo” – che vogliono accontentare le sedi di partenza e arrivo. Ci sono interessi economici che comportano queste decisioni. Ma anche in questo c’è da tenere conto dei vari trasferimenti.
«Per arrivare alla partenza della quinta tappa del Tour Femmes avevamo fatto già un’ora e mezza di trasferimento. Pensate infine alle ultime ragazze che arrivano al traguardo. In quella tappa lunga o nella settima con arrivo a Le Markstein, le atlete che sono arrivate in fondo hanno pedalato per quasi cinque ore, alcune arrivando fuori tempo massimo. Le mie ragazze ad esempio, tranne qualche raro caso, non hanno mai fatto sopra le cinque ore di allenamento e credo che facciano così tante altre».
Ad Arzeni fa eco il suo collega Fortunato Lacquaniti.
«Non bisogna esagerare, i chilometraggi devono crescere in modo graduale – analizza il diesse della UAE Team ADQ – ma fino ad un certo punto. L’UCI cerca di spingere molto su alcuni aspetti per fare crescere il ciclismo femminile però non si devono forzare i tempi. Il livello si è alzato ma non tutte le ragazze hanno la giusta competitività per gareggiare nel WorldTour.
«La media deve essere attorno ai 130-140 chilometri, ce n’è già abbastanza. Pensate alla tappa di Cesena al Giro Donne che ne era solo 120 e ha creato distacchi incredibili. Detto questo, non so se sia un bene o un male voler alzare le distanze nel femminile. C’è un calendario sempre più intenso e ravvicinato. Diventa difficile gestirlo con team da quattordici atlete e staff limitati, seppur si stia crescendo anche in quel senso».
Tipica situazione tattica. Foto nello stesso punto: la fuga a quattro… E dietro il gruppo allungato che insegue
Tipica situazione tattica. Foto nello stesso punto: la fuga a quattro… E dietro il gruppo allungato che insegue
Tattiche che cambiano
«C’è stata una evoluzione anche a livello tattico – riprende Arzeni – dove le fughe possono ricoprire un ruolo importante, come capita nel ciclismo maschile. Anche se poi ci sono casi particolari. Ad esempio nella sesta tappa del Tour Femmes erano fuori una quindicina di atlete di quindici formazioni diverse. Probabilmente nel ciclismo maschile quella fuga sarebbe arrivata, da noi invece no. Sono state riprese nonostante i team più importanti avessero una loro ragazza. Noi della Valcar non eravamo presenti in quella fuga e abbiamo aiutato a chiudere, però non nascondo che sia stata una tappa strana».
Il livellamento verso l’alto ha portato tante squadre ad avere più soluzioni per ogni tappa.
«Una volta c’era la Boels-Dolmans (l’attuale SD Worx, ndr) che la faceva da padrona in tutte le corse – conclude Lacquaniti – mentre adesso ci sono più team che possono fare la corsa. Quando si arriva in volata ora si possono contare almeno otto treni che tirano per ricucire sulla fuga per le proprie velociste».
«Sia al Giro che al Tour abbiamo visto le battistrada avere discreti vantaggi ma tenute sotto controllo dal gruppo. Che quando poi decide di chiudere lo fa. Oppure penso anche che adesso si trovano squadre che finiscono le stagioni con almeno quindici vittorie. Penso che sia un bene questa uniformità di livello».