Il primo scatto per provare le gambe e guardarli un po’ negli occhi. Il secondo per andare via. Alaphilippe sembra stordito, di sicuro è stanco, ma ha vinto il mondiale per il secondo anno di fila. Per questa edizione, il protocollo ha subito un rimescolamento diabolico. Il tre del podio hanno ricevuto per la prima volta maglia e medaglie sul palco piccolo dopo l’arrivo. Poi sono stati portati in auto nella Ladeuzeplein, la piazza in cui si trovava il podio grande. E da qui, esaurito il secondo ciclo di premiazioni, sono tornati alla zona mista per rispondere alle domande delle televisioni. Solo dopo sono arrivati alla conferenza stampa, avendo ancora da fare il controllo antidoping. Forse per questo quando Alaphilippe ha salutato i giornalisti, ha augurato a tutti un buon Natale…
Il primo attacco di Alaphilippe per saggiare i rivali, poi a testa bassa fino al traguardoIl primo attacco di Alaphilippe per saggiare i rivali, poi a testa bassa fino al traguardo
Un anno faticoso
Non è stato un anno facile per lui. Quel modo spavaldo di correre, con la maglia iridata addosso si è in breve trasformato in un tiro al bersaglio. Ogni cosa è diventata più complicata. Anche perché il primo anno normale dopo quello del Covid di normale ha avuto ben poco.
«L’anno scorso ero pronto per vincere – dice – il mondiale era il mio obiettivo più grande dopo il Tour. E’ stato bello riuscirci. L’anno da campione del mondo è stato bellissimo, ma essere all’altezza della maglia è stato molto faticoso. Ho appena saputo che nessun francese l’ha mai vinta per due volte di seguito, potrò raccontarlo a mio figlio. In realtà ero rassegnato a riconsegnarla e mi sono detto che fosse il momento di concentrarsi su qualcosa di diverso.
«Poi sono venuto qui. Il percorso non era adatto, ma la forma era giusta. Ho lavorato duro per essere pronto. Abbiamo fatto una bella corsa con la squadra. Senechal era concentrato sullo sprint. Io ero libero, se mi fossi sentito bene, di fare la mia corsa. Così ho deciso di attaccare. Non immaginavo che sarei arrivato da solo e di fare più di un giro al comando. E’ stata dura, ma me la sono goduta di più».
Il finale è stato una lunga celebrazione, davanti al pubblico belga deluso
Dopo la riga, finite le celebrazioni, quasi un gesto di distensione
Il finale è stato una lunga celebrazione, davanti al pubblico belga deluso
Dopo la riga, finite le celebrazioni, quasi un gesto di distensione
Finale duro e doloroso
Il primo scatto per provare le gambe e guardarli un po’ negli occhi. Il secondo per andare via. Dice Cassani che gli è sembrato di vedere il miglior Bettini, capace di fare 3-4 scatti prima di mollarli tutti.
«Quando mi sono trovato con Colbrelli – conferma – volevo provare le gambe, per vedere chi c’era. Ho visto che Sonny era forte, ma anche che il Belgio aveva ancora due o tre corridori. Non era necessario continuare, perché ero ancora lontano dal traguardo. Poi mi sono reso conto che Evenepoel era il solo a lavorare duro sul circuito di Overijse e ho cominciato a chiedermi come mai nessuno lo aiutasse. Vuoi vedere che Van Aert non sta bene? Ho detto però a Senechal di salvare le energie e di concentrarsi sullo sprint. E’ stato utile per me avere Florian dietro. Ognuno era concentrato sulla sua corsa. Tutti sapevano che Van Aert era uno dei più veloci e dei più forti, ma anche Colbrelli e Van der Poel facevano paura. Non ero concentrato su uno solo, ma ho provato a fare la differenza. Ho smesso di pensare e sono andato a tutta. Gli ultimi 20 chilometri sono stati davvero duri e dolorosi».
Alaphilippe sul podio con Van Baarle e Valgren: il danese ha preceduto Stuyven. Belgi beffatiAlaphilippe sul podio con Van Baarle e Valgren: il danese ha preceduto Stuyven. Belgi beffati
Con cuore e fantasia
Le domande si succedono e lui un paio di volte svia il discorso. Come quando gli chiedono che cosa significherà correre il prossimo anno ancora da iridato e lui risponde che non lo sa.
«Ragazzi – spiega – io quasi non mi rendo conto di essere davanti a voi con questa maglia. Ho bisogno di tempo, è un’emozione speciale. C’era grande tifo oggi. E’ stato bello vedere tanta gente, anche se nell’ultimo giro tanti belgi mi dicevano di rallentare. A uno ho fatto cenno che non potevo, ma li capisco. In ogni caso mi hanno dato grande motivazioni. In qualche modo sono un po’ belga anche io, la mia squadra è belga e fra agosto e settembre sono venuto a correre qui. E’ stato importante, come quando fai le ricognizioni delle tappe. Capisci dove correrai e io ero pronto per queste strade. Abbiamo avuto un grande spirito. L’ho visto sulle facce dei miei compagni dopo l’arrivo, che erano più felici di me.
«Ora però ho bisogno di tempo per capire e dire cosa farò. Se mi conoscete, sapete che spreco molte energie quando corro. Ma quando hai questa maglia, tutti ti guardano, tutti ti distruggono perché devi vincere. Io sono sempre lo stesso corridore dal 2014, provo sempre lo stesso piacere nel correre e per me è importante rimanere così. Non voglio diventare un robot, voglio continuare con questa grinta, sempre provare a vincere con il cuore e farlo con la maglia iridata sarà anche più bello. Buonasera a tutti, amici. E buon Natale…».
Il tempo di capire che i due per terra fossero Trentin e Ballerini e si è capito che stavolta sul mondiale degli azzurri avrebbe brillato una stella nera come la pece. Nella corsa impazzita voluta dai francesi e dai belgi, con la prima ora a 46,6 di media e quella finale di 45,137, trovarsi senza due uomini di quel peso poteva significare essere scoperti quando i fuochi di artificio avessero lasciato spazio ai colpi di cannone. E così è stato.
«Sono dispiaciuto per il risultato perché stavo bene – dice Sonny Colbrelli – La caduta all’inizio si è fatta sentire nel finale, perché sicuramente Trentin e Ballerini potevano essere lì con me e quando Alaphilippe e gli altri sono partiti, potevano entrare loro. Io avevo Bagioli e Nizzolo, però avevano già lavorato prima. Nizzolo ha detto che lavorava per me perché non aveva grandissime sensazioni. Ho provato sul primo strappo a seguire Alaphilippe, però ho visto che dietro tirava sempre il Belgio. Allora ho fatto la corsa su Van Aert, invece sono andati via quelli lì e cosa ci posso fare? O guardo l’uno o guardo l’altro ed è andata così…».
Duro lavoro per Bagioli, alla fine tradito dai crampiDuro lavoro per Bagioli, alla fine tradito dai crampi
Fregato da Van Aert
Colbrelli dice tutto d’un fiato, con il berretto calato sugli occhi, dopo aver regalato la maglia azzurra a un tifoso che l’ha subito passata a sua figlia. Lei l’ha indossata immediatamente, mentre Sonny diceva che avrebbero dovuto lavarla, perché era la maglia con cui aveva appena finito la corsa.
«Avevo già chiuso su Alaphilippe – prosegue – ma non sapevo se scattava perché non ne aveva o perché voleva anticipare. Ma visto il numero che ha fatto, ha spazzato via ogni dubbio. Avevo sensazioni buone, ero sempre davanti quando la corsa si è accesa. Ho chiuso anche io su un paio di buchi ed è stata grande la squadra a chiudere sulla prima fuga. Ma non possiamo tornare indietro. La vigilia è stata super tranquilla, ero sereno. Ero più teso all’europeo, qui siamo stati tutti insieme a ridere e scherzare. Questo gruppo è anche la nostra forza».
Trentin dolorante e deluso, si consola con i figliTrentin dolorante e deluso, si consola con i figli
Trentin acciaccato
Nella zona dei pullman si smantellano sogni e ammiraglie. Non si dovrebbe entrare, ma grazie al cielo siamo riusciti a passare e a parlare con i corridori. Claudia e i bimbi, aspettano Trentin, che ha le movenze di un eroe azzoppato, anche se la sensazione è che a far male sia soprattutto il morale. Dice di aver picchiato parecchio forte, poi fa spallucce e va a sedersi su di un frigo.
«Non riuscivo a pedalare – ammette – per questo ho tirato. Mi faceva un male cane, ma alla fine la fuga l’abbiamo ripresa. Non ci voleva. Il mio mondiale è andato così».
Nizzolo sfinito, si è messo a disposizione di Colbrelli nel finaleNizzolo sfinito, si è messo a disposizione di Colbrelli nel finale
Il lavorone di Remco
Bagioli e i suoi 22 anni hanno tenuto tra i denti la ruota di Evenepoel lungo i tanti chilometri di fuga, senza sapere che alle loro spalle si stavano avvicinando vanamente minacciosi gli altri corridori del Belgio.
«Il mio lavoro era più o meno quello – racconta Andrea – anche perché i nostri piani sono stati scombussolati e abbiamo dovuto reinventarci la corsa. Prima del giro grande ho visto che Madouas ha provato ad attaccare e l’ho seguito. Poi è arrivato Remco ed eravamo un bel gruppetto. Ho provato io sullo strappo e siamo rimasti in 4-5.
«Successivamente è rientrato il gruppo dei migliori e Remco ha fatto un grande lavoro. Non credo che prima sapesse che dietro c’erano i belgi. Senza radio è difficile da capire la situazione. Dal circuito grande fino in città, ha tirato lui. Io ero in seconda posizione e faticavo a stargli a ruota. Poi mi sono venuti i crampi e addio…».
Nel finale del mondiale Colbrelli ha corso su Van Aert e la corsa è andata viaNel finale del mondiale Colbrelli ha corso su Van Aert e la corsa è andata via
L’uomo mancante
E poi c’è Cassani, che avrebbe immaginato e meritato un finale diverso, mentre il presidente Dagnoni rimanda tutti i discorsi all’incontro che avranno mercoledì al Vigorelli e ribadisce che non si sarebbe mai sognato di augurare ai nostri una prestazione scialba per poter legittimare l’allontanamento del cittì.
«La sfortuna è stata grande – dice Davide – perché abbiamo perso presto Ballerini e Trentin, che ci sono mancati nel finale. Tra l’altro sono caduti proprio nel settore di gara in cui è andata via l’azione e per fortuna siamo riusciti a rimediare. Anzi, ci sono riusciti loro due. Perché stavano male, non riuscivano a pedalare, ma si sono messi a disposizione e ci hanno permesso di riaprire la corsa. Su 17 uomini in testa, tre erano i nostri. Abbiamo cercato di fare il massimo, ma Alaphilippe è stato incredibile. Niente da dire, oggi ha vinto il più forte».
Cassani ha chiuso con i brividi il suo ultimo mondiale: «Non ho rimpianti, a parte la sfortuna»Cassani ha chiuso con i brividi il suo ultimo mondiale: «Non ho rimpianti, a parte la sfortuna»
I brividi di Nizzolo
Il dubbio resta sulla corsa del Belgio, che ha incastrato Colbrelli e forse ha costretto il gruppo ad attendere l’attacco di Van Aert che in realtà non aveva le gambe per farlo.
«Abbiamo subito visto che Evenepoel – riprende Cassani – si era messo a disposizione e ha tirato fortissimo. Alla fine Sonny ha tergiversato un pochino, ha perso l’attimo o forse ha cercato di dare un’occhiata a Van Aert e Van der Poel. Loro avevano due uomini, a noi ne è mancato uno nel finale, nonostante Nizzolo sia stato grande, si sia sacrificato e abbia cercato di rimediare».
«Non ho rimpianti, se non maledire la sfortuna. Senza la caduta, invece di tre uomini davanti, ne avremmo avuti cinque e forse la corsa poteva avere una piega diversa. Con i se ed i ma non si fa niente, per cui onore ad Alaphilippe. E’ sembrato di vedere il miglior Bettini, in grado di fare due, tre, quattro scatti. Sapevamo che era forte. Sabato prima della corsa ha fatto 60 chilometri, aveva puntato deciso a questo mondiale. Quanto a me… Me ne vado con la pelle d’oca. Finire la mia avventura qui a Leuven, dove c’erano migliaia di persone è stato comunque speciale. Si parla di un milione e mezzo di persone? Li abbiamo sentiti tutti. Pensate che Giacomo Nizzolo mi ha detto grazie di averlo portato qui, perché oggi anche in corsa ha avuto anche lui i brividi».
Matej Mohoric si è preso la Roubaix sulle spalle e l'ha onorata sino in fondo, finché i campioni non hanno aperto il gas. Ha corso pensando a Colbrelli
Le Sidi Wire 2 Carbon sono il modello di scarpe che hanno supportato Sonny Colbrelli nella sua stagione ricca di successi. Leggere e performanti adatte ad ogni stagione.
Ancora una volta Wout Van Aert si conferma un grande signore. Era l’uomo più atteso, è diventato il grande sconfitto. Nonostante tutto, nonostante fosse deluso (il suo volto parlava chiaro), è tra i primi a presentarsi ai giornalisti. E mentre attacca a parlare si sente in lontananza l’inno francese. A quel punto il campione della Jumbo-Visma si lascia andare ad una smorfia, tra le guance impolverate. Sorseggia di tanto in tanto una Coca e racconta…
Van Aert si concede ai microfoni a fine gara. La sua delusione è tantaVan Aert si concede ai microfoni a fine gara. La sua delusione è tanta
Van Aert senza gambe
«Ho capito che le cose non erano al meglio sul primo attacco di Alaphilippe nel circuito grande – dice Van Aert – Ci ho messo un po’ a rispondere al suo affondo e soprattutto non me la sono sentita. E questo non era un buon segno. Però poi la corsa tutto sommato si era messa bene. Siamo andati via in 17 e in 3 eravamo del Belgio. Potevamo vincere. E ci abbiamo anche provato. Remco (Evenepoel, ndr) ha fatto un lavoro egregio. Andava talmente forte che mi ha permesso tutto sommato di essere tranquillo dal punto di vista tattico. Perché nessuno poteva scattare con quel ritmo.
«Piuttosto ci ha sorpreso l’attacco dei francesi al primo giro nel circuito esterno, quando hanno cercato metterci pressione con Cosnefroy. Io non me lo aspettavo. Lì si è rotta la corsa – come a dire che sia stato il momento chiave – mancavano 180 chilometri. Abbiamo fatto un’ora folle. Io l’attacco me lo aspettavo al secondo passaggio».
Stuyven, stanchissimo, ha perso il podio in volataStuyven, stanchissimo, ha perso il podio in volata
Quella voce a Stuyven
Van Aert però continua a difendere la squadra. E in effetti il Belgio il suo lavoro lo ha fatto.
«La tattica – riprende Wout – era giusta, non credo che abbiamo commesso errori. Nel finale eravamo in tre e con me e Jasper (Stuyven, ndr), cioè coloro che dovevano esserci. Il problema è che nessuno di noi aveva le gambe per le medaglie.
«Forse l’unico errore l’ho fatto io e me ne prendo la responsabilità: e cioè non avere detto un po’ prima a Stuyven che non ero al massimo, magari poteva fare qualcosa di diverso. Però è anche vero che in quella situazione eravamo ancora in tre. Più che altro se glielo avessi detto prima, al momento dello scatto decisivo di Alaphilippe poteva stargli dietro. Magari gli avrei dovuto dire proprio io: “vacci Jasper”. Non credo che avrebbe vinto, ma magari avrebbe preso una medaglia, cosa che sarebbe stata una ricompensa per lui, per la squadra, per la sua città…».
“Fiandre, dove nascono i campioni”, recita lo slogan alle spalle del bimbo. Anche lui aspettava Van Aert
Persino le vetrine inneggiavano a Wout (ecco una sua caricatura)
“Fiandre, dove nascono i campioni”, recita lo slogan alle spalle del bimbo. Anche lui aspettava Van Aert
Persino le vetrine inneggiavano a Wout (ecco una sua caricatura)
Scuse al Belgio
Waout “porta la croce” dunque. Forse si dà sin troppe colpe. Una cosa è certa: il pubblico era tutto per lui. Anche ieri sera le strade e le piazze di Leuven inneggiavano a lui. E chi lo conosce ci dice che non è questione di pressione. Ci è abituato. Ogni domenica nel cross, in ogni grande evento Wout è chiamato a vincere.
A questo punto ci si chiede perché, essendo Van Aert così veloce, il Belgio non abbia addormentato la corsa e puntato alla volata. Un po’ come hanno fatto le olandesi ieri.
«Perché non abbiamo aspettato il gruppo con i compagni dopo l’attacco di Alaphilippe? Perché meglio essere in 3 su 17 che in sei nel gruppo – ribatte lui – Tanto più che quei tre erano i nomi previsti. E poi una volta nel circuito la corsa si sarebbe rotta di nuovo. No, quella era la situazione giusta.
«Sono deluso chiaramente, per me e per la squadra. Chiedo scusa al Belgio. Ero preparato e non so perché non ero in forma. Però non ho rimpianti. Sarebbe stato peggio se avessi fatto secondo. O se avessi perso per aver commesso errori tattici. La verità è che alla fine ha vinto il corridore più forte».
Con i suoi attacchi, Evenepoel ha decimato le altre nazionali. Anche se la Francia ha tenuto botta, per sua stessa ammissioneCon i suoi attacchi, Evenepoel ha decimato le altre nazionali. Anche se la Francia ha tenuto botta, per sua stessa ammissione
Evenepoel uomo squadra
E a proposito di Evenepoel. Il folletto della Deceuninck-Quick Step dopo l’arrivo è stato molto chiaro. Si è lasciato andare anche a qualche sorriso distensivo. Prima del via era finito nel tritacarne mediatico di colui che non avrebbe corso per la squadra, ma solo per sé stesso. Invece…
«Stamattina prima del chilometro zero – racconta Remco – ho ripetuto a Wout che nel finale se ci fossero stati tutti e due avrei lavorato per loro. E’ successo che mi sia ritrovato davanti molto prima del previsto, ma a quel punto ho spinto per far lavorare gli altri. E infatti l’Italia soprattutto e anche l’Olanda hanno perso dei corridori.
«Io ho dato il massimo. E credo che abbiamo corso bene. Purtroppo c’è chi è andato più forte, ma noi siamo arrivati nel finale esattamente come volevamo e con chi volevamo».
Continua il botta e risposta tra Van Aert e Van Der Poel. Questa volta, nella prova di Coppa di Dendermonde, il belga schiaccia tutti volando sul fango
Sul podio piccolo dopo l’arrivo degli under, accanto a Baroncini che sprizzava entusiasmo e addentava la medaglia, Biniam Ghirmay Hailu sembrava fin troppo serio. Per essere il primo eritreo su un podio mondiale, ci saremmo aspettati tutti che saltasse di gioia. Ma a volte la gioia ha altri modi per manifestarsi e la sua già dopo l’arrivo aveva iniziato a scavargli dentro.
«La sera prima avevo sentito la mia famiglia – ricorda – e ci siamo ricordati di quando ero piccolo e mio padre mi seguiva. Mi hanno detto che potevo farcela a realizzare i miei sogni. E ritrovarmi sul podio in un mondiale, fra i più grandi atleti del mondo è quello che sognavo. Là sopra pensavo a tutti loro. Mi hanno dato grandi motivazioni per tutto il giorno. E così quando è iniziato lo sprint ero nervoso, ma non pensavo che avrei perso. Ho corso per vincere. Questo è stato uno dei giorni più importanti della mia vita».
Al Polonia per Ghirmay l’ottavo posto nella prima tappa a LublinAl Polonia per Ghirmay l’ottavo posto nella prima tappa a Lublin
Nervoso in corsa
Biniam è del 2000, ma come accade spesso con i ragazzi delle sue parti, dimostra più anni. Aveva cominciato la stagione con la Delko-Marseille, ma alla fine di maggio è passato alla Intermarché Wanty Gobert. Un po’ perché l’assetto della Delko non lasciava presagire un grande futuro. E un po’ perché se ti vuole una WorldTour, l’occasione va colta. E lui che aveva all’attivo vari piazzamenti e anche qualche vittoria, l’occasione non se l’è fatta sfuggire.
«E’ andata bene che per un po’ Olanda, Belgio e Francia abbiano controllato la corsa – dice – io non dovevo muovermi. Come squadra non abbiamo grande capacità di muovere la corsa, perciò dovevamo solo stare tranquilli, aspettare lo sprint e fare il nostro meglio. Ero nervosissimo, i miei compagni mi hanno tirato fuori dai guai in un paio di occasioni. Nel finale c’era una gran lotta per le posizioni. Ho cercato di muovermi quando Baroncini ha attaccato, ma ho visto che nessuno reagiva. Così sono rimasto fermo nel mezzo e mi sono mosso solo alla fine»
Prima del mondiale, Biniam ha battuto Vendrame in volata al Classic Grand Besancon Doubs (foto JM Merlin)Prima del mondiale, Biniam ha battuto Vendrame in volata al Classic Grand Besancon Doubs (foto JM Merlin)
Obiettivo iridato
La sua storia è simile a quella di tanti ragazzi africani che sognano di diventare corridori. Sentendolo parlare ci è parso di riascoltare le parole di Natnael Tesfatsion, che come lui viene da Asmara.
«Da noi ogni domenica ci sono corse – sorride – alla gente piace il ciclismo. Io ho cominciato a 12 anni con la Mtb e poi a 15 sono passato su strada. Sono molto orgoglioso della mia terra e sono stato davvero felice di venire a correre nelle Fiandre. I mondiali del 2025 in Rwanda saranno una grande occasione e una grande motivazione, magari per fare meglio di adesso e conquistare la maglia iridata. Il nostro futuro è splendente, ne sono sicuro. Abbiamo buon potenziale e non da poco. Stiamo facendo esperienza e progressi mentali e fisici, lavorando e combattendo nelle gare di livello WorldTour. E tanti altri sono nelle continental».
Vigilia iridata: Biniam Ghirmay è il primo da sinistra, poi Mulubrhan della Qhubeka e Testatsion dell’AndroniVigilia iridata: Biniam Ghirmay è il primo da sinistra, poi Mulubrhan della Qhubeka e Testatsion dell’Androni
Svolta ad Aigle
Ma perché il sogno di concretizzi, occorre partire. E Ghirmai lasciò casa nel 2018, per approdare in Svizzera, nella sede di Aigle dell’Uci. Si era guadagnato la chiamata vincendo in tre giorni i campionati africani della cronosquadre, della crono individuale e su strada. Gli allenatori dell’Uci colsero le sue potenzialità. E nella prima corsa europea che disputò, la prima tappa della Aubel-Thimister-Stavelot con traguardo ad Aubel, andò in fuga con un giovane belga e lo batté in volata. Era un certo Remco Evenepoel, nel 2018 in cui avrebbe dominato in lungo e largo fra gli juniores.
«E’ stato molto importante arrivare a Aigle – ammette – prima di entrare nel grande gruppo, devi imparare tecnicamente e fisicamente. E’ stato molto importante fare quella grande esperienza da ragazzo. Ogni anno ho fatto nuovi step e nuove esperienze. Ho imparato tanto e ieri si è sommato tutto. Se fossimo arrivati tutti insieme, avrei lottato per vincere. Ho pensato per un po’ di fare il mondiale con i pro’, ma devo essere onesto. Per il momento sarebbe stato troppo duro per me correre con loro. Ho fatto corse in Belgio e Francia e mi sono visto fra i grandi corridori. Un giorno sarò come loro, adesso non sono ancora pronto».
Si piazza secondo al Laigueglia del 2020, in maglia Delko, dietro Ciccone e prima di RosaSi piazza secondo al Laigueglia del 2020, in maglia Delko, dietro Ciccone e prima di Rosa
Birra, no grazie
Il presente parla di un corridore dal fisico filiforme, che all’occorrenza sa buttarsi nelle volate, come quando devi organizzarti per saper fare tutto. Nell’avvicinamento al mondiale, ha battuto Andrea Vendrame nel Classic Grand Besancon Doubs e pochi giorni dopo è arrivato secondo del Nout du Doubs.
«La Intermarché mi ha dato grandi opportunità – spiega – mi ha spinto, mi ha motivato. Sono super contento di essere in questa squadra. E’ davvero una grande famiglia, non guardano solo alle corse, ma anche a noi come persone. Voglio dimostrare nei prossimi due anni di essere un grande corridore e li ringrazio per l’opportunità. Quando ero piccolo mi piacevano gli sprinter e mi piaceva molto Peter Sagan, non sono solo come ciclista, ma anche per la sua spensieratezza. Per ora guardo alle classiche con qualche salita, oppure quelle che finiscono in volata. Questo è quello che so fare e sto lavorando per questo. Però credo che non mi trasferirò in Belgio, ma rimarrò a vivere in Italia, a Lucca con gli altri amici eritrei. Perché? Perché non mi piace la birra…».
A Leuven per Biniam Ghirmay il secondo posto alle spalle di Baroncini, dopo la volata in rimontaA Leuven per Biniam Ghirmay il secondo posto alle spalle di Baroncini, dopo la volata in rimonta
Soddisfazione Piva
Valerio Piva i mondiali li segue da casa, ma in quanto tecnico della Intermarché si frega le mani: l’acquisto è stato davvero azzeccato.
«Quando ce lo proposero – dice – era interessata anche la Deceuninck-Quick Step, ne parlavamo con Bramati. Che fosse veloce lo sapevo, soprattutto in corse selettive. Ha talento, questo è sicuro. E’ il classico corridore moderno, esplosivo sui percorsi veloci e duri di oggi. Lo avrò con me alla Tre Valli Varesine, al Giro del Veneto e poi fino al Lombardia. Siamo contenti di averlo con noi, vista l’apertura del ciclismo all’Africa e l’assegnazione dei mondiali al Rwanda».
Figli dell’altura
Ride, adesso Biniam ride. La prossima settimana riattaccherà il numero alla Route Adelie. Venerdì in corsa con la sua stessa maglia c’era anche Tesfatsion, il “Natalino” dell’Androni, ma è caduto ed è arrivato sei minuti dopo il compagno. Fra gli eritrei in corsa oggi tra i professionisti, ci sono invece Behrane e Kudus, rispettivamente corridori di Cofidis e Astana. Sono atleti forti, resistenti, nati e cresciuti oltre i duemila metri degli altipiani. Quella che sembrava una prospettiva remota, promette di farsi più concreta. I mondiali del 2025 probabilmente non sono stati assegnati a caso.
«Non ho visto l’arrivo, mi sono praticamente perso per Leuven». Davide Arzeni, diesse della Valcar-Travel&Service, è stralunato, commosso, contento…
La sua ammiraglia rosa è impolverata all’inverosimile. E’ passato persino sulle strade sterrate pur di arrivare in tempo.
Nessuno più di lui conosce così bene Elisa Balsamo. In tempi non sospetti ci disse che prima o poi avrebbe vinto un mondiale e tutte le più grandi corse. Adesso queste parole trovano riscontro con la realtà.
A fine gara finalmente Arzeni è riuscito a raggiungere il clan azzurro (da notare alle sue spalle l’ammiraglia impolverata)A fine gara finalmente Arzeni è riuscito a raggiungere il clan azzurro (da notare alle sue spalle l’ammiraglia impolverata)
“Capo” (il soprannome di Arzeni, ndr) ti aspettavi questa vittoria?
Aspettarsi di vincere un mondiale, no. Come ho sempre detto Elisa può vincere tutte le corse su strada. Siamo venuti a marzo a vedere il percorso, in occasione della Freccia del Brabante, e avevamo notato che era un tracciato sicuramente adatto a lei. Da quel momento lei ha preso consapevolezza e con Dino (Salvoldi, che gli è accanto, ndr) abbiamo lavorato in sintonia. Soprattutto subito dopo le Olimpiadi perché l’obiettivo era questo.
Un lavoro corale, dunque…
Sì, devo ringraziare anche Salvoldi che ha messo a disposizione delle campionesse per Elisa. Come in tutte le vittorie la squadra è importantissima. Ha dato fiducia ad Elisa. Le ha messo vicino ragazze di spessore tipo Longo Borghini o Bastianelli, per dire le più grandi, ma anche tutte le altre. Capite, tutti questi nomi per un’atleta giovane come Elisa.
Dopo le Olimpiadi, dalle quali non è uscita benissimo, come l’hai ripresa mentalmente e fisicamente?
Questo era un obiettivo. E noi ci credevamo. Quello che ci spaventava un po’ era la distanza, quindi siamo andati prima a fare il Simac Ladies Tour, che aveva due tappe di 160 chilometri, poi alla Vuelta, poi ancora all’Europeo. Ho fatto un qualcosa come 6.000 chilometri in ammiraglia. Tutto questo per cercare la resistenza che avendo dovuto preparare Tokyo era un po’ il dubbio che ci affliggeva.
Quanta fatica in Spagna. Ma Arzeni, la Balsamo e Salvoldi hanno creduto fermamente nel programma di avvicinamento iridatoQuanta fatica in Spagna. Ma Arzeni, la Balsamo e Salvoldi hanno creduto fermamente nel programma di avvicinamento iridato
Quindi sullo spunto non ci avete lavorato più tanto tra Olimpiadi è mondiale?
Sulla forza aveva lavorato tanto prima di andare alle Olimpiadi – dice Arzeni in coro con Salvoldi – Quindi, come ripeto, abbiamo cercato più la distanza, e anche il ritmo gara gara. Poteva sembrare una stupidata, ma per me quello era l’obiettivo per arrivare in fondo. E giocarsela.
E come se l’è giocata! Come ha fatto secondo te a restare così fredda? In fin dei conti sul penultimo strappo si era staccata…
Sono state fondamentali le sue compagne di squadra, Marta Bastianelli, Maria Giulia Confalonieri, la Longo Borghini che l’hanno protetta nel finale. Mentre nella prima parte di gara ci avevano pensato la Cecchini e la Guazzini. Sapere di poter contare su nomi così importanti ti moltiplica le forze e ti dà serenità. Credo che dipenda da questo la reazione al momento di difficoltà.
Davide, segui Elisa da quando era una bambina, da anni… che percorso c’è stato per arrivare sin qui?
Siamo venuti a marzo a vederlo. Elisa è rimasta concentrata fino ad oggi. Al di là della volata secondo me ha corso bene tutti e 160 i chilometri. L’ho sempre vista nelle prime posizioni, soprattutto sotto ai muri. Con tutta l’esperienza che ha accumulato in questi cinque anni è venuta qui con la “valigia piena”.
Quanto c’è di tuo in quello che è successo ieri? Mentre la vedevi cosa ti passava nella mente?
Eh – si commuove definitivamente Arzeni – mi viene in mente la squadra. Il nostro presidente Valentino Villa è un grande. Una cosa del genere lo ripaga di tutto quello che ha investito su questi giovani in questi anni. E’ stata una scuola. La gente magari non lo sa, ma per una squadra come la nostra sono sacrifici enormi. Anche economici. Andare a correre in quel periodo di fine agosto non è stato facile: Spagna, Olanda… e nello stesso tempo eravamo con le altre al Giro di Toscana. Ma per il nostro presidente se c’è da fare… si fa. Adesso andremo a fare la Parigi-Roubaix, poi in Inghilterra, ma ci andremo con la maglia iridata. E’ un impegno. Pensate che solo di tamponi spendiamo quasi 4.000 euro per queste due trasferte.
Elisa ha esordito nel 2016, a 18 anni, con la Valcar. A fine stagione passerà con la Trek-SegafredoElisa ha esordito nel 2016, a 18 anni, con la Valcar. A fine stagione passerà con la Trek-Segafredo
Sabato sera l’hai sentita? Cose le hai detto?
Non le ho parlato. Le ho mandato un messaggio con le indicazioni del vento. Mi sono raccomandato con le altre ragazze, bravissime, anche se sanno come correre qua. Ho detto loro di crederci e che dopo 160 chilometri tutte avrebbero avuto mal di gambe. Le ho detto che era la sua occasione. La sua prima vera occasione di vincere il mondiale e non l’ha fallita. Ma sicuramente ne avrà altre. Lo so…
Per te cambierà Elisa?
Sicuramente avrà qualche consapevolezza in più, ma sarà sempre la solita insicura! Però un’insicura con una maglia iridata sulle spalle!
Qual è il primo ricordo che hai di lei?
La prima riunione che facemmo in Valcar nel 2015. Io sapevo che questa ragazza era già fortissima, volevo prenderla. Aveva battuto un mio ragazzino, che poi è Alessandro Covi. Glielo dissi anche ad Ale, scherzando: ci hai fatto battere da una donna! E poi qualche giorno fa, Facebook, mi ha mostrato un ricordo: era Elisa che vinceva il mondiale juniores nel 2016. E’ stata sin da subito una ragazza quadrata, fin troppo quadrata! Però col tempo si è anche un po’ sciolta con me. Quest’anno si chiude un ciclo direi. Almeno si chiude così..
Scorrendo l’ordine di partenza balza agli occhi un nome che desta curiosità. O meglio, la Nazione a cui è associato. Il numero 118 infatti dice:Cesare Benedetti, Polonia.
Il corridore trentino della Bora Hansgrohe lo abbiamo incrociato poco prima del via da Anversa del mondiale 2021. Serio e anche un po’ teso, ma sempre super disponibile, ci ha raccontato questa sua storia.
Tantissimi i tifosi polacchi in BelgioTantissimi i tifosi polacchi in Belgio
Polonia seconda patria
«Ormai da quasi quindici anni sono legato alla Polonia – racconta Benedetti – la mia compagna con la quale sono sposato da otto anni è polacca e così ho ufficializzato questo legame. Ho avuto la possibilità di avere il passaporto polacco e di conseguenza anche a livello sportivo ho potuto prendere questa decisione. Che dire: sono motivazioni e possibilità in più.
«Sono molto contento e mi sono anche ben integrato in Polonia. Mia moglie Dorothea è del sud, nella zona dove negli ultimi anni c’è stato anche il Tour de Polonia, a 30 chilometri da Katowice».
Cesare Benedetti (34 anni) dopo la Vuelta ha corso anche a Francoforte. Per lui quest’anno anche il Giro (in foto)Cesare Benedetti (34 anni) dopo la Vuelta ha corso anche a Francoforte. Per lui quest’anno anche il Giro (in foto)
Tutto all’improvviso
Benedetti ha dovuto attendere a lungo per ottenere il doppio passaporto. E una volta che questo è arrivato, in estate, ha fatto richiesta all’Uci. Lui immaginava che il tutto potesse partire dal 2022 e invece…
«Pensavo che il processo durasse un po’ di più – continua il trentino – Sapevo che c’erano dei tempi da rispettare per cui ho fatto la richiesta a luglio e ad inizio agosto era tutto tutto fatto. A quel punto ho iniziato davvero a pensare al mondiale. In Bora ci lavora Sylwester Szmyd, che è anche il tecnico nazionale. Con gli altri ragazzi poi ci siamo incontrati spesso in corsa.
«Come l’ho preparato? Ho corso talmente tanto che non ho dovuto fare chissà cosa. Siamo qui per Michael Kwiatkowski. Lui sta bene, anche a Denain è andato forte e sa come si vince un mondiale! Non parte da favorito e questo può essere anche un vantaggio. A livello emotivo può stare tranquillo, non ha niente da perdere».
Kwiatkowski in zona mista, prima del via da Anversa. Sembra assonnato!Kwiatkowski in zona mista, prima del via da Anversa. Sembra assonnato!
Debutto iridato
Per Benedetti questo è il primo mondiale. Un qualcosa di simile lo avevamo visto l’anno scorso con Enrico Gasparotto, che corse ad Imola per la Svizzera. Dice che è una vera emozione. Che si respira un’atmosfera particolare, tanto più che si corre in Belgio.
«Sicuramente è una grande emozione. Non nascondo di essere un po’ nervoso, anche se poi è una corsa come le altre… Come parlo in corsa? In polacco. Per ottenere il passaporto ho dovuto superare degli esami e anche a casa con nostra figlia si parla anche polacco. Tornare indietro? Si può cambiare due volte, ma dubito che a 34 anni suonati avrò ancora molte possibilità!».
Davide Ballerini ci ha raccontato l'ultimo mese all'università del ciclismo. La nuova squadra. La cura dei dettagli. E la scoperta della sua nuova dimensione
«A volte – Cassani sorride – succedono cose che ti fanno capire che è tempo di cambiare mestiere. Sto vivendo questa fase nel modo migliore, ho il piglio giusto. Non ho mai preso di petto i corridori come ho fatto quest’anno. E’ il mio carattere. Quando nel 1995 Ferretti mi disse che non mi rinnovava il contratto perché ero vecchio, mi misi di impegno e vinsi tre corse. Forse è per il mio orgoglio, ma se mi mancano di rispetto tiro fuori il meglio di me».
Oggi sarà l’ultimo. Da Anversa a Leuven, a capo di 268,3 chilometri e 2.562 metri di dislivello. Se le cose non cambieranno (e non si vede come e perché dovrebbero), il mondiale è l’ultima tappa nel viaggio di Davide Cassani sull’ammiraglia azzurra. Vinti gli europei di Trento, Flanders 2021 chiuderà otto anni che meritano un racconto.
Per questo, con il pretesto di un caffè alla vigilia della sfida, ci siamo presentati con una lunga serie di domande. Anche se da un certo punto in poi è stata la storia a guidare il racconto.
Il 2014 è l’anno del Tour di Nibali e della morte di Martini. Mondiali a Ponferrada
Per la trasferta spagnola, coinvolge il vecchio maestro Ferretti
Il 4 gennaio del 2014, Cassani aveva ricevuto da Martini e Di Rocco la proposta di diventare tcittì
Il 2014 è l’anno del Tour di Nibali e della morte di Martini. Mondiali a Ponferrada
Per la trasferta spagnola, coinvolge il vecchio maestro Ferretti
Il 4 gennaio del 2014, Cassani aveva ricevuto da Martini e Di Rocco la proposta di diventare tcittì
Come la vivi?
Nel modo giusto, con la cattiveria agonistica che a volte mi è mancata. E ogni tanto ricordo. La telefonata di Di Rocco il 29 dicembre del 2013. L’incontro a casa di Alfredo Martini il 4 gennaio. Il primo mondiale. Le delusioni. Le arrabbiature. Sono stati anni intensi come quelli da corridore. Per il mio cammino personale, non potevo chiedere di più.
Hai sempre sognato questo posto…
Era la mia idea di una vita, ma appena smesso di correre non mi sentivo di farlo. Però quando me lo hanno proposto ho accettato subito. Ero in Rai da 18 anni, bisognava cambiare. Ho sempre vissuto di sfide e nuovi sogni, ma sapevo che non sarei durato per sempre.
Se non ci fosse stato il cambio di presidente, probabilmente saresti durato più a lungo.
Probabilmente sì.
Mondiali del 2015 a Richmond, nulla possiamo contro il primo Sagan
Il primo degli azzurri a Richmond è Nizzolo: 18° nel gruppo dietro Sagan
Richmond è però il mondiale di Malori argento a crono
Mondiali del 2015 a Richmond, nulla possiamo contro il primo Sagan
Il primo degli azzurri a Richmond è Nizzolo: 18° nel gruppo dietro Sagan
Richmond è però il mondiale di Malori argento a crono
Primo mondiale, Ponferrada 2014.
Facevo riunioni tutte le sere, cercando di trasferire ai corridori quello che avevano insegnato a me. Dopo il Tour, Nibali aveva perso smalto. Ulissi non c’era per squalifica. Aru era più adatto alle corse a tappe. Avevo coinvolto Ferretti e Luca Paolini, che correva con lo scooter sulla salita e poi mi riferiva. Ferretti mi diede consigli molto preziosi. Io non avevo mai guidato una squadra, lui poteva aiutarmi.
Secondo mondiale, Richmond 2015.
Sbagliai completamente, andò male per colpa mia. Non avevo corridori, perché al tempo Viviani e Nizzolo erano al di sotto dello standard di adesso. Mi interrogai molto sul mio ruolo, sull’incapacità di dare le indicazioni giuste. Applicai le dritte di Alfredo, senza rendermi conto che i corridori non erano come noi. Avevano bisogno di indicazioni e incarichi precisi, per svolgere il loro compito. Io non fui in grado di darli.
Nel 2016 mondiali a Doha, vince ancora Sagan. Nizzolo è quinto
A Doha Guardnieri tira la volata, Nizzolo deve arrendersi a quattro giganti
Le Olimpiadi di Rio fallirono per una caduta. Per Cassani il colpo più duro
NEel 2016 mondiali a Doha, vince ancora Sagan. Nizzolo è quinto
A Doha Guardnieri tira la volata, Nizzolo deve arrendersi a quattro giganti
Le Olimpiadi di Rio fallirono per una caduta. Per Cassani il colpo più duro
Quasi fossero meno autonomi di quanto foste voi?
Parlerei di abitudini e necessità. In ogni caso, dopo quel mondiale mi isolai per un mese. Andai in America da amici e da lì le cose cambiarono. Nel 2016 sappiamo bene come andarono le Olimpiadi, ma la squadra fu perfetta e disegnata bene. Perdemmo per una caduta che ad oggi resta la delusione più grande. Più del mondiale di Trentin, perso da uno più forte.
Terzo mondiale, Doha 2016. Dicemmo che forse si poteva puntare su Bennati.
Facemmo una bella corsa con Nizzolo capitano. Eravamo presenti nel ventaglio. Bennati fece un lavoro straordinario per tenere il gruppo. Guarnieri lanciò benissimo la volata e Giacomo arrivò quinto. Battuto da Sagan, Cavendish, Boonen e Matthews. Non gente di poco conto, insomma.
Eppure sembra che tu abbia miglior rapporto con il gruppo degli europei…
Si è creato un gruppo di corridori che si fidano l’uno dell’altro e hanno un grande attaccamento nei miei confronti. Non nascondo che se sono ancora qui lo devo anche a loro e alla vicinanza che mi hanno dimostrato un mese fa quando ho avuto un piccolo problema.
Spesso mi capita. Per la passione che ci mettevo, l’attaccamento per la maglia azzurra. Trentin è più forte di me, ma in tante cose è com’ero io. Oggi è tutto più esasperato, ma la loro voglia di esserci è identica.
Dopo il tris di Sagan a Bergen, nel 2018 c’è Valverde. E Peter lo incorona
Nel 2018, dice Cassani, a Moscon mancano 100 metri per agganciare Valverde
Il 2018 è però anche l’anno del primo europeo con Trentin, qui con Cimolai
Dopo il tris di Sagan a Bergen, nel 2018 c’è Valverde. E Peter lo incorona
Nel 2018, dice Cassani, a Moscon mancano 100 metri per agganciare Valverde
Il 2018 è però anche l’anno del primo europeo con Trentin, qui con Cimolai
Quarto mondiale, Bergen 2017.
Quello della scoperta di Bettiol, ma anche quello di Moscon squalificato.
Brutto episodio.
Nulla che non si veda di frequente in corsa. C’era stato un barrage e proprio mentre Gianni stava per rientrare, una macchina della giuria si fermò in mezzo alla strada. Gli dissi di prendersi alla borraccia e lo tirai per 7 secondi. Non l’ho più fatto da allora.
Bettiol e Moscon, due ragazzi da seguire…
Che a volte non si rendono conto del loro talento. Ho cercato di stargli sempre vicino, provando a motivarli. Una cosa che Alfredo sapeva fare da grande maestro. Moscon in nazionale ha sempre fatto ottime corse, anche quando nella sua squadra faceva fatica.
Quinto mondiale, Innsbruck 2018. Tutti ad aspettare Nibali…
Ma Nibali cadde sull’Alpe d’Huez. A ben vedere non ho mai avuto la fortuna di fare un mondiale con i più forti al top della condizione. Nel 2018 vincemmo il primo europeo con Trentin, ma prima di Innsbruck ci fu la caduta di Vincenzo. Provammo a recuperare, ma andò male. Mentre a Moscon mancarono 100 metri sullo strappo per tenere Valverde.
LA volata che non ti aspetti: ad Harrogate 2019, Pedersen piega Trentin
Dopo il traguardo il trentino è incredulo, Moscon prova a tirarlo su
Sul podio, Matteo ha lo sguardo livido: Pedersen iridato
Nel 2019 Viviani vince l’oro agli europei di Alkmaar: secondo titolo per Cassani
LA volata che non ti aspetti: ad Harrogate 2019, Pedersen piega Trentin
Dopo il traguardo il trentino è incredulo, Moscon prova a tirarlo su
Sul podio, Matteo ha lo sguardo livido: Pedersen iridato
Nel 2019 Viviani vince l’oro agli europei di Alkmaar: secondo titolo per Cassani
Dopo l’argento di Malori nel 2015, negli anni è cresciuto anche il settore crono…
I successi di Ganna sono frutto di quel lavoro. Me ne parlò Villa, poi lo portammo a fare la Roubaix da junior e lo ripresero sono alla fine. Quando passò U23, chiamai Pinarello e gli dissi di trovargli una bici da crono e Fausto gli diede subito una Bolide. Giorni fa è venuto e mi ha regalato la maglia iridata di Imola con una dedica che mi ha toccato molto. Ma non è merito mio, bensì del lavoro trasversale e delle società che hanno accettato di collaborare con la federazione.
Un lavoro di cui sei orgoglioso?
Ma io non ho inventato niente. Ho ripreso il lavoro di Bettini, che a sua volta discendeva da quello di Ballerini. Ho sempre avuto una bella intesa con i cittì e i risultati si sono visti.
Hai lavorato anche tanto per propiziare eventi e far entrare sponsor.
E ne vado orgoglioso, ma non ho mai fatto l’organizzatore. Con il Giro d’Italia under 23 ho trovato due amici molto bravi (Marco Selleri e Marco Pavarini, ndr) che hanno fatto crescere il ciclismo dei giovani in Italia. Con Extra Giro è ripartito il ciclismo dopo il Covid. I mondiali di Imola sono stati un incontro tra forze diverse e sono costati un settimo di questi in Belgio. E quanto agli sponsor, non ho mai preso un euro. Tutto quello che è entrato, l’ho riversato sull’attività. Sono nate corse e ne vado molto orgoglioso.
Imola 2020, si corre dopo il Covid: Ganna ora nella crono
Villa, Cassani e Velo: l’intesa porta grandi frutti
Sul podio, l’iridato con Marco Selleri, l’uomo di extra Giro
Il 2020 sotto la guida di Cassani è anche l’anno di Nizzolo campione d’Europa
Imola 2020, si corre dopo il Covid: Ganna ora nella crono
Villa, Cassani e Velo: l’intesa porta grandi frutti
Sul podio, l’iridato con Marco Selleri, l’uomo di extra Giro
Il 2020 sotto la guida di Cassani è anche l’anno di Nizzolo campione d’Europa
Bettini ha detto che forse sei stato poco con i tuoi corridori.
Può avere ragione, ma quest’anno ho cambiato tutto e sono stato tanto con loro. Comunque l’unione c’è sempre stata, non mi hanno mai tradito.
Corridori oggi, corridori ieri…
Adesso è complicato. Hanno mille impegni, le squadre sono più esigenti. Prima erano famiglie, ora sono aziende. Hanno bisogno di compiti precisi e qualcuno che glieli dia, poi diventano infallibili. I giovani hanno la testa sulle spalle. In un momento in cui la fragilità riguarda tutti i ragazzi, i ciclisti sono persone solide. Abituati a faticare e correre. Ma alla base di tutto deve esserci la passione. Se manca quella, sono finiti.
Corridore, cronista, cittì: cosa ti resta di tutto questo?
Diventare corridore era il mio sogno. Da commentatore ho capito che potevo fare anche altro nella vita. Ho scoperto la capacità di scrivere che mi ha aperto il mondo del giornalismo. Ho visto il ciclismo da un altro punto di vista, dopo anni in cui con i corridori avevo soprattutto un rapporto di complicità.
E da tecnico?
Ho capito che non si può piacere a tutti. A un certo punto te ne devi fregare e lavorare con la massima onestà. Sei quello che sceglie fra un sogno che si realizza e un altro che naufraga. Fare le scelte è la parte più difficile.
I corridori ti hanno riconosciuto come uno di loro?
Direi di sì, all’istante. Se mi avessero percepito come un giornalista, non avrei avuto possibilità di entrare in sintonia con loro (lo ringraziamo, ridendo e ride anche lui alzando le mani, ndr). In questi giorni in Belgio abbiamo avuto un rapporto fantastico. Quando Ganna mi ha chiesto di non fare la prova su strada, era dispiaciuto perché ci teneva a correre il mio ultimo mondiale da cittì.
Il 2021 ha portato il titolo europeo di Colbrelli, qui con Cassani
Poi è venuta la crono iridata di Ganna
E agli europi di Trento anche la vittoria nel Team Mixed Relay
Il 2021 ha portato il titolo europeo di Colbrelli, qui con Cassani
Poi è venuta la crono iridata di Ganna
E agli europi di Trento anche la vittoria nel Team Mixed Relay
La riunione di ieri sera l’hai improvvisata o te l’eri preparata?
Sono andato a braccio, come sempre del resto. Ma sono stato determinato come all’europeo. Sono andato a braccio e li ho seguiti nelle loro risposte.
Alla fine puoi dire che ne sia valsa la pena?
Decisamente sì, è stata un’esperienza straordinaria per cui ringrazio la Federazione. E adesso mi godo l’ultimo mondiale. Al futuro e alle proposte che mi saranno fatte ci penseremo poi.
«Non so cosa dire, mi mancano le parole. Lo sapevo che sarebbe potuta finire così, però in una gara di 160 chilometri non si sa mai cosa può succedere. Quando ho sentito a 5 chilometri dall’arrivo che aveva vinto, mi è venuto freddo. Avevo i brividi. Sono contentissima per “Eli”, perché se lo merita. Io dovevo stare attenta nelle prime fasi di gara. Ho dato tutto finché ne avevo e poi sapevo che avrebbero fatto il loro».
Vittoria Guazzini di solito ride e da buona toscana dissacra ogni cosa che le passi a tiro, ma stavolta piange e ha davvero i brividi. E’ più emozionata di quando due settimane fa ha vinto la cronometro agli europei di Trento. E questo la dice lunga sul clima e la partecipazione che si è creata questi giorni nella squadra.
Marta Cavalli ha chiuso alcuni buchi nel tratto di collegamentoMarta Cavalli ha chiuso alcuni buchi nel tratto di collegamento
Nella baraonda del dopo arrivo, prima di andare a saltare e abbracciarsi con Elisa ai piedi del podio, le azzurre trovano il tempo di raccontare la loro corsa. E lentamente, una parola dopo l’altra, si va componendo una sorta di antologia fiamminga. L’antologia dell’Italia che ha vinto il mondiale di Leuven, facendo sembrare piccole anche le grandi olandesi.
Cavalli al gancio
«Non ho chiuso tantissimi buchi – racconta Marta Cavalli, stremata e felice – ma quelli che ho chiuso mi hanno lasciato al gancio. Due mi sono toccati nel tratto di raccordo fra il circuito dei muri e quello cittadino. Un paio di attacchi di Ellen Van Dijk e Chantal Vanden Broeck, ho pensato di staccarmi dalla loro scia. Sono atlete che sul passo hanno molto di più rispetto a me, però sapevo che dovevo sputare sangue, perché se gli lasci solo pochi secondi, non le riprendi più. Per poter finalizzare il lavoro era giusto così.
Elena Cecchini si è sacrificata nei chilometri inizialiElena Cecchini si è sacrificata nei chilometri iniziali
«Sono contenta – aggiunge ancora l’atleta della Fdj Nouvelle Aquitaine – perché in una squadra non è importante solamente concludere la corsa con un bel risultato, ma anche avere la fiducia delle proprie compagne e del proprio direttore, che in questo caso è Dino. Quindi sono veramente contenta, perché Elisa se lo merita. Noi abbiamo corso come squadra e il tratto fra gli ultimi 800 e i 500 metri erano miei, quindi ho fatto la mia parte. E’ una grande soddisfazione fare un lavoro se poi la tua compagna finalizza nel migliore dei modi».
Maria Giulia Confalonieri ha rintuzzato almeno tre attacchi nell’ultimo giroMaria Giulia Confalonieri ha rintuzzato almeno tre attacchi nell’ultimo giro
Confalonieri, orgoglio puro
«Ho tanto sognato questa maglia azzurra – dice Maria Giulia Confalonieri – e metabolizzato l’esclusione dalle Olimpiadi. Erano un po’ di anni che non rappresentavo il mio Paese ai mondiali ed è stato un onore. Era il nostro percorso e sapevo quanto ci tenesse Elisa dopo le Olimpiadi. Diciamo che era un percorso molto adatto a noi, anche se ovviamente c’erano tante incognite. Sapevamo che le olandesi ci avrebbero attaccato, che però la volata forse sarebbe stata dalla nostra. Abbiamo fatto un lavoro perfetto e un treno ancora migliore, dalla prima all’ultima. Credo che la maglia oggi sia un pezzettino di tutti».
Vittoria Guazzini non trova le parole: commossa dopo l’arrivo, è in lacrime per l’amica ElisaVittoria Guazzini non trova le parole: commossa dopo l’arrivo, è in lacrime per l’amica Elisa
Rivelazione Cecchini
«A un certo punto mi sono avvicinata ad Anna Van der Breggen – dice Elena Cecchini, che dell’olandese è compagna alla SD Worx – e le ho chiesto per chi avrebbero corso. Quando mi ha risposto che avrebbero fatto la volata con la Vos, ho sentito che avremmo vinto noi. Io ho lavorato con la Guazzini nella fase iniziale, perché era importante essere presenti in tutte le fasi. Sapevamo che era un mondiale per noi, sembrava Glasgow dove la Bastianelli vinse gli europei. E sulle olandesi… Non le ho viste molto brillanti, ma neanche le ho viste sacrificarsi in volata per la Vos. Abbiamo vinto noi perché abbiamo corso da squadra. Ed era un bel po’ che arrivavano solo i piazzamenti, finalmente stasera si brinda ad una vittoria».
Elisa Longo Borghini ha lanciato la volata di Elisa Balsamo e si è divertitaElisa Longo Borghini ha lanciato la volata di Elisa Balsamo e si è divertita
Bastianelli, esperienza regina
«E’ stato un po’ difficile gestire la situazione senza radio – racconta con parole chiare Marta Bastianelli, che aveva carta bianca e ha provato a infilarsi nelle fughe – per questo ho cercato di capire cosa succedesse. Quando abbiamo visto che si poteva arrivare in volata, abbiamo cercato di tenere chiusa la corsa. Eravamo ovunque, c’eravamo sempre, sia per un arrivo a gruppo ristretto, sia per come poi è stato. Abbiamo fatto tutto quello che si doveva fare, quindi non possiamo che goderci questa vittoria.
«Avevamo detto di fare il finale con Elisa, io potevo giocarmela diversamente. Quindi ho cercato di stare su tutte le fughe possibili. E’ andata bene e sono felice. Ho provato anche negli ultimi 2 chilometri con la Van Vleuten, ma credo che meglio di così non potesse finire».
Marta Bastianelli ha giocato le sue carte, poi ha lavorato per la squadraMarta Bastianelli ha giocato le sue carte, poi ha lavorato per la squadra
La “Longo” e la volata
«Mi sono divertita da morire – dice Elisa Longo Borghini, che per un giorno è diventata ultima in volata – mi sentivo bene, ho fatto quello che dovevo fare e a me piace da morire fare il mio lavoro. Elisa ha dovuto fare solo la volata – ride – e l’ha fatta bene. Ha vinto. E’ stata una bellissima vittoria di squadra, molto bello anche l’ultimo chilometro. Non è servito parlarsi. Maria Giulia mi ha detto che non aveva le forze per fare l’ultima e ho risposto che potevo provarci io. Poche volte mi era capitato di fare certe cose, ma stavo bene e ho provato. Elisa poi ha fatto tutto quello che serviva. Ha vinto lei la corsa, non io, ed è molto bello».
L’abbraccio tra Dino Salvoldi e Maria Giulia Confalonieri: non servono tante paroleL’abbraccio tra Dino Salvoldi e Maria Giulia Confalonieri: non servono tante parole
La commozione di Salvoldi
Salvoldi ha seguito il podio oltre le transenne, abbracciando le ragazze mano a mano che passavano, deglutendo la grande commozione e cercando le parole. Il suo orgoglio è pienamente giustificato.
«Non ci sono mai stati momenti imprevisti, da quando la corsa è entrata nel vivo abbiamo mantentuto il controllo di ogni situazione e soprattutto grande attenzione e grande serenità, che soprattutto le atlete più esperte hanno saputo trasmettere a Elisa. Quando si assiste a una gara così, credo che sarebbe giusto rivedere anche il podio e le premiazioni. Giusto dare la maglia iridata a chi arriva per primo, ma sarebbe giusto anche riconoscere il merito anche a tutte le altre ragazze.
«Questa convinzione è maturata già da tempo, una volta visto il percorso. L’alchimia perfetta si è iniziata a respirare negli ultimi tre giorni, quando abbiamo fatto la riunione tecnica. E’ nostra abitudine anticipare molto, in modo che ciascuna possa concentrarsi sul suo compito. E questa volta c’era la netta convinzione di potercela fare, più di altre volte.
«Le olandesi sono fortissime e oggi hanno corso da squadra e non da individualità, che mettevano le altre nelle condizioni di soffrire e non giocarsi le loro possibilità. Ci hanno provato, avevano anche loro la velocista, ma mi pare che non ci sia stata storia. Negli anni, la Vos ha trovato Bastianelli, Giorgia e adesso questa qua, la nostra Elisa, che ha 23 anni».
Dopo il faticoso passaggio olimpico e il Tour per rimettersi in bolla, Balsamo riparte dalla primavera e dalla voglia di divertirsi. Il tunnel è alle spalle
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Il bello di Elisa è che dopo l’esplosione della gioia, delle lacrime e delle urla, torna come per incanto nei suoi panni posati e gentili, con quel fuoco che continua però a bruciarle in fondo agli occhi. Chi l’ha vista dopo l’arrivo del mondiale di Leuven, vinto davanti a Marianne Vos, ha potuto vederla fuori di testa e in trance agonistica. In lacrime ha abbracciato le compagne e intanto cercava faticosamente di mettere ordine nei pensieri. Poi è salita sul podio. E dietro la mascherina, cantato l’Inno di Mameli, la piemontese ha iniziato a mettere in fila i pensieri. Sono campionessa del mondo, è andato tutto come nei piani di Salvoldi. Come quella volta nel 2016 a Doha. Ma quelle erano junior. Queste erano le più grandi del mondo. Cos’altro vuoi dire senza essere banale?
La corsa è partita da Anversa e ha preso la direzione delle FiandreLa corsa è partita da Anversa e ha preso la direzione delle Fiandre
Rettilineo traditore
«Mi sono resa conto di quello che ho combinato dopo aver passato la linea – dice – perché sotto vedevo che lei stava rimontando. E allora mi sono detta: “Elisa, non devi mollare!”. Poi mi sono resa conto che anche lei doveva avere un po’ di mal di gambe. La volata è stata lunga. La Longo si è spostata ai 200 metri, ma avevo capito che quel rettilineo è traditore. Ero troppo lunga, per quello ho tardato a partire. A quel punto mi sono detta: “Stacca la testa e vai a tutta!”. E solo sulla riga mi sono resa conto. E mi sono resa conto soprattutto di aver battuto Marianne Vos: qualcosa di surreale».
Fidanza, Consonni, Balsamo, Paternoster, Doha 2016: Elisa campionessa del mondo junioresFidanza, Consonni, Balsamo, Paternoster, Doha 2016: Elisa campionessa del mondo juniores
Dieci anni fa, in Danimarca
Sono le 18 del 25 settembre. L’ultima volta fu nel 2011 con Giorgia Bronzini, che nelle intenzioni sarebbe dovuta essere suo direttore sportivo il prossimo anno alla Trek-Segafredo. Anche quella volta arrivò seconda Marianne Vos, così come l’anno prima sempre dietro alla Giorgia nazionale e pure nel 2007 quando il mondiale lo vinse Marta Bastianelli. Eppure l’olandese continuava a sorridere, come quando corri per passione e anche se vorresti sempre vincere, sai riconoscere il merito alle rivali. Intanto Elisa racconta.
«Sono sorpresa io per prima – dice – ma la squadra ha corso benissimo. Negli ultimi due mesi ho lavorato per arrivare qui. Non è stata una stagione facile per me. Avevo investito tanto sulle Olimpiadi di Tokyo, che non sono andate come volevo. Dal giorno che sono tornata, ho cominciato a lavorare pensando a questo giorno. Ho fatto due corse a tappe cercando di trovare la condizione e devo dire che il mio allenatore (Davide Arzeni, tecnico della Valcar, ndr) ha fatto davvero un ottimo lavoro e per questo lo ringrazio».
La Vos si arrende, sulla riga Elisa capisce di aver vinto il mondialeLa Vos si arrende, sulla riga Elisa capisce di aver vinto il mondiale
Cinque anni fa, a Doha
Anche allora, sulle strade di Doha, il mondiale arrivò in volata. E anche allora vinse la ragazzina che nel frattempo è diventata la donna capace di piegare le migliori del ciclismo mondiale. Sembrava già straordinariamente concentrata e lucida, accompagnata dai genitori che oggi invece sono rimasti a casa.
«Sono due maglie completamente diverse – dice – quella da junior è bella, te la godi ed è lo stimolo per lavorare di più e crederci tanto. Ma questa è molto più importante. Ed è per sempre. Faccio fatica a pensare a quello che sarà il prossimo anno, a cosa saranno le prossime corse. So che farò la Roubaix e so che il prossimo anno andrò in un team WorldTour da campionessa del mondo. Ma non voglio pensarci ora, voglio pensare alla mia squadra: la Valcar&Travel Services. Penso e spero che questa maglia serva a fare il salto di qualità e a trovare nuovi sponsor per diventare ancora più grande».
Prima le braccia al cielo, per celebrare la vittoria
Poi le mani sulla testa, con l’incredulità per il risultato
Infine le braccia abbassate, come una resa alle tante emozioni
Prima le braccia al cielo, per celebrare la vittoria
Poi le mani sulla testa, con l’incredulità per il risultato
Infine le braccia abbassate, come una resa alle tante emozioni
Frutti da raccogliere
Il resto è il rendersi conto che il lavoro e la semina degli ultimi anni della gestione Di Rocco, con il coordinamento di Cassani e il grande lavoro dei tecnici sta portando risultati come messi abbondanti, che anche il presidente Dagnoni dimostra di apprezzare parecchio.
E poi restano le curiosità che saltano fuori quando qualcuno vince il mondiale e si cerca di aggiungere colore alla vittoria. Le domande suoi studi in lettere (quattro esami alla laurea: primo impegno per l’inverno). E sulla passione per Diabolik, che è per lei il modo di pensare al nonno. Fuori la aspetta il suo mondo. Davide Arzeni, in lacrime. Davide Plebani, il suo compagno di vita. E tutte le ragazze azzurre, vincitrici oggi come lei di una gara indimenticabile.
Dopo lo smacco di Leuven (per il quale ha tenuto un contegno ineccepibile), Marianne Vos è tornata nel cross vincendo in CdM. Per lei la nuova Cervélo R5CX
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