Giovedì scadono i contratti dei tecnici federali. La storia è nota. Nonostante l’elezione del nuovo presidente della Federazioneavvenuta il 21 febbraio, per non sconvolgere lo svolgimento delle Olimpiadi, degli europei e dei mondiali, si è deciso di prolungare il rapporto con i cittì sino alla fine di settembre. Così, nonostante alcuni scivoloni di cui si poteva fare anche a meno, sono arrivati i successi di Tokyo, quelli di Trento, quelli di Bruges e quelli di Leuven.
Nel frattempo fiorivano i nomi di coloro che a vario titolo sono stati sentiti dal presidente per rivestire il ruolo di tecnico dei professionisti, alle… dipendenze di Roberto Amadio, nominato nel frattempo responsabile di tutte le nazionali. Prima Fondriest. Poi Pozzato. Ora Bennati. I nomi si rincorrono e forse anche per le sue doti in volata, pare che l’aretino sia in vantaggio nell’arrivo a tre. Ma sarà poi un arrivo a tre o nel frattempo le consultazioni sono andate avanti?
Secondo Malori Pozzato poteva essere cittì a Leuven, avendo corso tanto al Nord e nella Quick StepSecondo Malori Pozzato poteva essere cittì a Leuven, avendo corso tanto al Nord e nella Quick Step
Malori getta il sasso
E allora succede che mentre si parlava di crono e campioni e malgrado quello che hanno detto vari tecnici fra cui Bettini e Cassani, Adriano Malori s’è zittito un attimo e ha fatto una domanda.
«Ma è proprio necessario – ha chiesto – che il commissario tecnico sia soltanto uno?».
Sul momento ci ha spiazzato. Ma siccome in questa fase storica è bene avere le antenne dritte e la capacità di intercettare il cambiamento, abbiamo voluto approfondire il suo punto di vista.
Che cosa intendi?
Non facciamo nomi se non per qualche esempio, ragioniamo soltanto. A capo di tutto c’è Amadio, questa è l’unica cosa sicura. Facciamo allora che lui è il direttore generale e poi a seconda dell’evento sceglie il tecnico di riferimento?
Vai avanti.
Punti su personaggi che nella loro carriera sono andati forte in eventi simili o hanno guidato la loro squadra in modo vittorioso. Ad esempio, per il mondiale di Leuven, seguendo il discorso potevano starci Ballan che ha vinto il Fiandre o Pozzato che ha corso nell’ambiente Quick Step e sa come si muovono.
Amadio, fra Scirea e Amadori, è il team manager delle nazionali: sarebbe lui a scegliere i cittìAmadio, fra Scirea e Amadori, è il team manager delle nazionali: sarebbe lui a scegliere i cittì
Anche Bartoli ha vinto il Fiandre, anche Tafi…
Non andrei troppo indietro nel tempo, perché il ciclismo cambia in fretta. Ad esempio il prossimo anno è per velocisti? Chiamiamo Petacchi. Serve gente che abbia corso in questo stesso ciclismo. Chiaro che non glielo dici alla fine, ma all’inizio dell’anno, in modo che possa fare le sue osservazioni, valutare gli uomini e formare il gruppo. Un commissario tecnico a tutti gli effetti.
Cassani non lo ha mai vinto da corridore, ma ha pur portato a casa un secondo posto e quattro europei.
Perché ha avuto la fortuna o è stato bravo a formare un gruppo di ragazzi che corrono insieme sin da quando erano dilettanti e sono amici, fra loro c’è un’unione naturale. Ai mondiali non si è visto lo stesso.
Per le crono, Malori vedrebbe benissimo Pinotti come cittì per le cronoPer le crono, Malori vedrebbe benissimo Pinotti come cittì per le crono
Bettini ha vinto due mondiali da corridore, ma non li ha vinti da tecnico…
Bettini si è trovato l’incarico fra capo e collo per la morte di Ballerini. Nel 2011 il mondiale era per velocisti e una regola impediva a Petacchi di partecipare. A Valkenburg non aveva il corridore adatto. E a Firenze, senza la caduta Nibali vinceva di sicuro.
E nella crono come si fa?
Non serve cambiare ogni anno, basta chiamare uno competente. Uno come Pinotti, secondo me. Che ha imparato dai migliori e poi ha fatto il tecnico di specialità alla BMC. Almeno io farei così…
Fra i temi che tengono in ansia una parte della stampa – in questo scorcio d’estate che conduce agli europei, ai mondiali e poi all’autunno – ci sono il pullman azzurro eil nome del prossimo tecnico della nazionale. Interesse legittimo, va detto, e curiosità giustificata nel secondo caso dal modo un po’ goffo con cui la federazione ha gestito la comunicazione legata al cosiddetto caso Cassani.
Però come accade quando si insiste tanto sullo stesso tasto, dopo un po’ ti assale il dubbio che forse il pianista non sappia cosa farsene del resto della tastiera. Se davvero tutto ciò che basta per essere felici è sapere se il tecnico azzurro sarà Fondriest oppure Pozzato e sottolineare che forse il pullman azzurro ha già fatto parecchi chilometri, allora il presidente della Fci Dagnoni può davvero dormire sonni tranquilli. E le ragioni sono due. La prima è che se queste sono le sole contestazioni, allora forse sul resto sta lavorando bene. La seconda è che magari non saranno tanti a disturbarlo su temi più urgenti e di difficile soluzione.
Richiamare la memoria di Martini non serve se non ci si attiene alle sue parole. Qui, Alfredo con PozzatoRichiamare la memoria di Martini non serve se non ci si attiene alle sue parole. Qui, Alfredo con Pozzato
L’eredità di Martini
Per dare la linea su colui che dovrebbe guidare la nazionale, a un certo punto si sono tirati in ballo Martini e la sua storia. E’ bene dire subito che per chi scrive queste righe, Alfredo è stato uno straordinario maestro di vita. E forse proprio per questo, ricordandone gli insegnamenti, una sua frase continua a tornare alla memoria.
«Quando sono davanti a dei giovani – amava dire Alfredo – mi rendo conto che a loro non interessa sapere che cosa accadeva ai miei tempi, ma sentire da me quello che potrebbe succedere domani».
Alfredo guardava avanti, lo ha sempre fatto. Non è mai stato ancorato al passato per paura del futuro. E magari avrebbe letto con interesse e reagito con veemenza al singolare momento del nostro ciclismo in cui frotte di giovani talenti vengono mandate allo sbando senza alcuna tutela credibile.
Sul podio finale del Lunigiana, il presidente DagnoniSul podio finale del Lunigiana, il presidente Dagnoni
Problema juniores
E’ questo uno dei primi fronti, presidente Dagnoni. Ne parlammo con Amadio appena venne nominato. Era il 18 maggio, Roberto ricorderà di certo. A noi del pullman e del nome del cittì interessa, ci mancherebbe, ma preferiamo guardare avanti.
Il primo comma dell’articolo 3 della Normativa per l’abilitazione all’esercizio dell’attività di corridore professionista prescrive che per ottenere l’abilitazione, i corridori devono aver gareggiato con continuità nelle categorie agonistiche direttamente disciplinate dalla Federazione e dell’UCI nei tre anni sportivi antecedenti a quello per il quale si chiede l’abilitazione (tre anni come corridore under 23 e/o élite o un anno come corridore junior e due anni come corridore under 23).
E’ una regola che c’è da sempre. I procuratori e i team manager interessati si affrettano a dire che ce l’abbiamo solo in Italia. Vero, però ce l’abbiamo. Come abbiamo il divieto di usare la tenda iperbarica e non la usiamo. Non in Italia, almeno. E’ una regola che ad esempio impedirebbe alle squadre professionistiche di tesserare corridori direttamente dagli juniores, come sta regolarmente accadendo, proponendo loro un contratto da professionista.
Anche la limitazione dei rapporti oggi viene spesso aggirata. Qui Lorenzo Giordani, che corre e si allena con quelli giusti…Anche la limitazione dei rapporti oggi viene spesso aggirata. Qui Lorenzo Giordani, che corre e si allena con quelli giusti…
Incubo Remco
Mandare così tanti ragazzini allo sbando è la quasi garanzia di non trovare mai più un Nibali, un Simoni, persino un Cipollini o un Pantani. Nomi, non a caso, di grandi campioni che hanno fatto la loro trafila fra gli juniores e i dilettanti, avendo il tempo necessario per maturare e sbocciare. Invece siamo tutti qui a cercare il novello Evenepoel, costi quel che costi. Quanto avranno smesso di correre prima che ne se ne sia trovato uno?
Non vi dice niente il fatto che sull’arrivo di Fosdinovo al Lunigiana, ben 10 juniores abbiano fatto meglio di Pogacar che 5 anni fa vinse la corsa? Va bene il miglioramento della specie, ma quanto si sta già spingendo sul gas, con alimentazione e preparazione magari già dagli allievi, perché questi ragazzi facciano già gola a qualche team professionistico?
Perciò presidente, aspetteremo il primo ottobre per sapere chi guiderà i nostri professionisti e anche il settore velocità, sperando che nel frattempo il pullman azzurro funzioni bene e mandando un bel ringraziamento a Vittoria che per anni ha messo a disposizione il suo. Ma nel frattempo, ci fa sapere come intende muoversi su questo fronte?
Spesso sono mode, altre evoluzioni, ma una cosa è certa: siamo in piena era di “gravelmania”. Questo particolare mondo di matrice americana sta spopolando tra gli amatori e sta iniziando a catturare anche i professionisti. Abbiamo l’esempio di Lachlan Morton e soprattutto c’è l’interesse di Peter Sagan per questo modo di andare in bici, di fare ciclismo. Le dichiarazioni dello sloveno hanno messo un boost al gravel. E anche gli organizzatori hanno addrizzato le antenne. In Italia più avanti di tutti per quel che riguarda i pro’ c’è Filippo Pozzato, ma c’è un suo corregionale, Massimo Panighel che di grandi eventi e di innovazione ne sa qualcosa, che si sta muovendo.
Massimo Panighel (classe 1968) è un organizzatore di successo dell’offroadMassimo Panighel (classe 1968) è un organizzatore di successo dell’offroad
Verso il gravel
Panighel ha organizzato due edizioni dei mondiali marathon di Mtb e anche i campionati italiani sono passati tra le sue mani. Adesso sta lavorando alla Mythos (altro evento di Mtb) e ha nel cassetto tre progetti gravel.
«Premetto che io ho le mie idee – dice l’organizzatore veneto – per me il gravel prima ancora di essere una disciplina è una filosofia di vita, o quantomeno di fare ciclismo. E’ un modo per vivere il territorio, un cicloturismo particolare. Poi c’è sempre quell’assonanza con la Parigi-Roubaix. Anche io quando passo da un tratto di veloce asfalto ed entro nello sterrato ho un’emozione.
«Il gravel in questo momento sta vivendo una fase incerta: cosa si vuole? E’ una gara o un semplice pedalare?».
Sagan (dietro a Bodnar) a Campo Felice al Giro. Lo slovacco non perse l’occasione per rilanciare sui social: montagne, pioggia e… gravelSagan (dietro a Bodnar) a Campo Felice al Giro. Lo slovacco non perse l’occasione per rilanciare sui social: montagne, pioggia e… gravel
La spinta di Sagan…
E qui scatta il dibattito vero e proprio. In America ci sono delle gare: un misto tra un cross country poco tecnico e tratti di asfalto da fare con bici gravel (che comunque sono di derivazione stradistica). La visione europea invece è più legata al viaggio, al divertimento, ed è poi quello che ci ha detto anche Daniel Oss. «Già, quel che ha fatto Morton è un po’ troppo spinto. Noi, io Sagan, vorremmo divertirci, viaggiare, tenere un ritmo slow: il Just Ride».
«Se Oss e Sagan dicono questo ben venga! Gente come loro fa tendenza, attira le masse, muove gli sponsor e i marchi. Io ho tre progetti gravel – riprende Panighel – e non guardano alla prestazione o al cronometro. Il traguardo è il viaggio. Quello che intende Pippo invece è una gara con tratti sterrati. Le due basi sono diverse. So che la Federazione sta studiando un protocollo, ma sempre su una base agonistica. Si è parlato di cronometrare solo i segmenti offroad. O anche di premiazioni. Noi per esempio le intendiamo come squadra: si parte e si arriva in quattro».
Spingere forte, pancia a terra: questo è gravel…
Ma anche viaggiare lentamente con le borse al seguito è gravel
Spingere forte, pancia a terra: questo è gravel…
Ma anche viaggiare lentamente con le borse al seguito è gravel
E quella del Covid
Panighel fa poi un’analisi più generale, che si può legare all’esigenza di avere un momento di tranquillità per sé stessi. Per il grande pubblico l’esigenza è quella di evadere, per i corridori è quella di vivere la propria passione con meno stress.
«Il Covid ha cambiato molto le cose. La gente ha scoperto la bici e i tanti che già ci andavano non pensano più solo alle granfondo. Lo vedo sul campo, i numeri sono in sofferenza. Si ha voglia di libertà, di divertimento: “vado in bici come, dove e quando dico io”. E immagino che anche un pro’ voglia viverla diversamente.
«Se penso ad un evento gravel, penso ad una festa, anche di più giorni, con dei timbri da mettere magari in luoghi di particolare pregio e se si va a visitarli a fine percorso si avrà un premio ulteriore. C’è un evento, fatto con Stefano De Marchi, che si chiama La Ronda – Fiandre Trevigiane.E’ un mix tra la Roubaix (tratti sterrati) e il Fiandre (i muri della zona del Prosecco), non c’è crono e quest’anno ha visto al via 800 partenti a fronte di 2.200 richieste».
In ogni caso c’è prima da capire bene cos’è il gravel: è una gara? Una competizione simil cross country con una bici specifica? Una gara con prove speciali tipo un rally o un enduro? E’ un viaggio? Si va con le borse o senza? Il discorso è solo all’inizio…
Guerciotti lancia il modello Brera dedicato alla specialità gravel. Una bici che può affrontare qualsiasi terreno, leggera e confortevole con freni a disco
Immaginate che spettacolo se a casa di Pozzato e Johnny Mole il 15 ottobre si presentassero Sagan e Van der Poel, magari il fresco vincitore della Roubaix e il campione olimpico Pidcock per la prima edizione della Serenissima Gravel? E’ tutto talmente in costruzione e ricco di suggestioni, che sognare non costa molto. Del percorso ci aveva parlato proprio Moletta ai primi di maggio: partenza da Jesolo e arrivo a Piazzola sul Brenta. Pochi corridori per squadra, tre o quattro al massimo, e percorso abbastanza tecnico da risultare credibile. Quella che qualche mese fa suonava come una suggestione ora sta prendendo forma, ma perché funzioni occorre un regolamento tecnico. Una bella gatta da pelare, che al momento è fra le mani di Massimo Ghirotto (responsabile della Commissione fuoristrada) e Gianluca Crocetti (presidente dei giudici di gara). Come si fa una corsa gravel perché non sia una Strade Bianche e insieme una gara di cross country?
Pidcock rivelazione su strada, campione olimpico della Mtb e star del cross: perfetto profilo gravelPidcock rivelazione su strada, campione olimpico della Mtb e star del cross: perfetto profilo gravel
Bici gravel o da cross
Per la gara di Pozzato&Mole, che ha tempi stretti, è allo studio ed è in dirittura di arrivo un regolamento speciale, che in qualche modo permetterà di fare la fotografia esatta dell’evento e da quella sarà possibile comporre un regolamento tecnico definitivo.
«Bisognerà che le bici – dice Ghirotto –abbiano certe caratteristiche. Al massimo potrebbero essere bici da ciclocross per i corridori il cui sponsor non avesse la gravel in catalogo. Il percorso dovrà avere una percentuale di fuoristada superiore al pavé della Roubaix o allo sterrato della Strade Bianche».
Van der Poel dovrà farsi perdonare lo svarione di Tokyo, fra mondiale, Roubaix e…Van der Poel dovrà farsi perdonare lo svarione di Tokyo, fra mondiale, Roubaix e…
Agonismo e poi turismo
La Serenissima Gravel sarà una gara a invito, per cui il fattore imprevedibilità si potrà ragionevolmente tenere sotto controllo, ma in ogni caso nel predisporre il regolamento speciale si è guardato anche a cosa fanno in Australia e negli Stati Uniti, in cui tuttavia simili eventi sono più simili a raduni cicloturistici. Ed è vero che il ritorno turistico è ciò che si augurano Pozzato&Mole, ma prima va predisposta una gara, un numero zero di quello che potrebbe diventare un format destinato a durare. Sul lato commerciale, il gravel tira davvero forte. Ma per fare in modo che la formula agonistica sia convincente, occorre differenziarlo dalla mountain bike e da un certo modo di fare strada.
Assistenza fissa
«Fra gli aspetti che si stanno valutando – spiega ancora Ghirotto – c’è il delicato fronte dell’assistenza tecnica sul percorso. Non è possibile immaginare che il gruppo abbia dietro della ammiraglie. Allora vedo più una soluzione simile a quella che nella mountain bike si usa nelle marathon. Un numero di postazioni fisse di assistenza meccanica e rifornimento, che il personale dei team può raggiungere facendo dei tagli. Niente radioline. E se fori in un determinato punto lontano dalle postazioni fisse, non cambi la bici, ma devi essere in grado di sistemarla. Si deve capire che lo spirito è diverso, deve passare il principio della diversa cultura del fuoristrada, in cui forature e cadute hanno un’incidenza superiore rispetto alla normalità delle gare su strada».
Lachlan Morton e Alex Howes nella Dirty Kanza: uno così andrebbe invitato a scatola chiusa…Lachlan Morton e Alex Howes nella Dirty Kanza: uno così andrebbe invitato a scatola chiusa…
Uci alla finestra
E allora, mentre si aspetta la definizione del regolamento speciale (se l’Italia apre la strada, l’Uci sarà ben contenta di mettersi a ruota) e del campo dei partenti, continuiamo a sognare una bella sfida di Sagan contro Van der Poel, con un occhio di riguardo per Pidcock, che magari potrebbe beffarli con uno scatto nel tratto più sconnesso. Ci muoviamo in un regno indefinito fra il ciclocross, la mountain bike e la strada. Dal Covid in avanti, le gravel hanno invaso strade e sentieri. Quando Giancarlo Brocci parlò di Eroica per professionisti tutti storsero il naso, anche i cosiddetti esperti, poi però davanti al successo arrivò Rcs e si prese tutto. Siamo certi che non potrebbe accadere di nuovo?
L’articolo sull’Academy della Jumbo Visma e su come lavorino con i giovani e il team development e ci ha fatto rivenire alla mente la Mapei Giovani. Quello fu un progetto davvero innovativo. Un progetto che col senno del poi lanciò moltissimi personaggi di spicco. Sono passati da lì corridori come Fabian Cancellara e Filippo Pozzato, ma anche tecnici Roberto Damiani eLuca Guercilena. Di quello staff faceva parte anche un tecnico, bravissimo, che spesso lavora nell’ombra e che all’epoca era giovanissimo: Andrea Morelli.
Oggi lui è una colonna portante del Centro Mapei ed è la persona ideale per ricordare quella avventura, ma anche per capire come lavoravano. Furono quattro stagioni (dal 2000 al 2003) molto costruttive.
Andrea Morelli con Fabian Cancellara, qualche stagione dopo gli anni della Mapei: rapporti sempre buoniAndrea Morelli con Fabian Cancellara, qualche stagione dopo gli anni della Mapei: rapporti sempre buoni
Rivoluzione Mapei
«Il progetto Mapei giovani nasce a cavallo del 1999-2000 – spiega Morelli – ha anticipato i progetti attuali delle squadre che lavorano con i ragazzi. L’idea era di centralizzare il monitoraggio degli atleti, soprattutto per quel che riguarda la preparazione, visto che qualcuno aveva dei preparatori esterni. Si davano delle linee guida generali sulla vita da tenere anche oltre la bici, ma certo per vedere se il corridore faceva il furbo avresti dovuto vivere con lui notte e giorno. E non era semplice.
«L’idea di Squinzi e Sassi fu rivoluzionaria. Si voleva far crescere l’atleta a 360°, avere un gruppo omogeneo e da lì la squadra giovani. Capirono per primi che se non hai una base su cui costruire poi è difficile mantenere un alto livello tra i grandi».
Aldo Sassi e Giorgio Squinzi, alla presentazione della Mapei-Quick Step nel 2001Aldo Sassi e Giorgio Squinzi, alla presentazione della Mapei-Quick Step nel 2001
L’importanza del vivaio
Il vivaio resta un qualcosa di centrale. E sempre di più è così. Lo vediamo con i grandi team WorldTour attuali, ma anche nel calcio e persino nella F1, ci sono le cosiddette Academy, anche la Ferrari ne ha una.
«Anche il calcio che ha più risorse economiche lo sta facendo. Guardiamo il Sassuolo per esempio con Generazione S. Oggi si analizzano i dati di alcuni allievi e se sono buoni li fai allenare come i pro’. No, noi volevamo un vivaio allargato per far crescere i corridori con gradualità. All’epoca, per capacità o per fortuna, avevamo tante squadre satellite. Ho detto per fortuna perché Mapei essendo così grande e internazionale spesso aveva dei rivenditori privati che sponsorizzavano delle società. Un anno tra junior e dilettanti avevamo 18 team. Iniziava ad essere un bacino ampio.
Anche oggi come allora tanti campioni passano dal Centro Mapei Sport, ecco Elisa Longo BorghiniAnche oggi come allora tanti campioni passano dal Centro Mapei Sport, ecco Elisa Longo Borghini
Okay la cultura, ma i test…
La Jumbo valuta i corridori dai dati e anche sotto il profilo umano, andando a casa dei genitori, esaminando anche l’aspetto culturale. La Mapei giovani come faceva?
«Sicuramente i tempi sono cambiati e l’aspetto esterno al ciclismo è importante, ma i dati restano fondamentali. Bisogna vedere i risultati storici e i risultati in laboratorio, perché comunque se non hai quei valori fisiologici non puoi andare avanti. Poi ci sono le capacità: guidare bene la bici, leggere la corsa, avere testa… ma se non hai il “motore” è difficile che tu possa diventare corridore. E poi gli interessi di un corridore nel privato possono essere diversi. C’è quello super informato che studia e quello che invece vuole salire in sella e basta. E’ anche una mentalità diversa da soggetto a soggetto: meno pensieri, meno stress, essere più rilassato…».
In ammiraglia Mapei anche Roberto Damiani, qui con BettiniIn ammiraglia Mapei anche Roberto Damiani
Una fitta rete di scouting
«Nei nostri screening fisiologici si vedeva che Cancellara anche da junior aveva dei valori molto alti per appartenere a quella categoria. Sapevi che poteva diventare qualcuno. E lo stesso, in tempi più recenti, Ganna.
«Noi i ragazzi li trovavamo come ho detto tramite le nostre squadre satellite, ma poi anche grazie ai nostri tecnici e talent scout, o il passaparola che vale ancora molto. Magari c’era un U23 che non vinceva tanto ma era costante e otteneva bei piazzamenti. Individuati i soggetti si faceva loro un test.
«Mettiamoci che Mapei aveva interessi economici anche all’estero. E quindi era interessata ad altri mercati. Ecco che dal’Ungheria arrivò Bodrogi, dall’Inghilterra (che non era la potenza ciclistica di adesso, ndr) arrivò Wegelius, individuammo già anni prima Vandenbroucke in Belgio, Rogers dall’Australia… Poi non è detto che il corridore diventi un campione. Anche da noi ci furono dei casi di gente durò una stagione o due.
«I ragazzi erano seguiti da Guercilena e Damiani. Prendemmo Cancellara e Pozzato direttamente dagli juniores. Oggi è quasi la normalità, all’epoca fu un caso eclatante. Ma l’idea della crescita graduale fu subito centrale. Ed è questa forse la cosa che manca di più oggi, quando vedi questi ragazzini che passano dagli junior al WorldTour. Noi facevamo delle brevi corse a tappe di 3-4 giorni e ogni anno un po’ di più fino alle corse di “prima categoria“.
«Per esempio Cancellara. Al primo anno – dice Morelli mentre ogni tanto fa delle pause e verifica i vecchi dati – fece il Recioto, il Circuito Franco Belga e qualche altra gara. Nel 2001: Algarve, Tour di Rodi, Noekere, Gp Berna, Alentejo, Slovenia, Ain e altre gare singole. O Pozzato: nel 2000 fece gli Etruschi, Almeria, una corsa a tappe in Austria e l’anno dopo il Giro del Lussemburgo, quello di Danimarca, il Limousin, delle gare in Giappone».
Meno conoscenze sull’alimentazione, ma grande collaborazione con Enervit già in quegli anniMeno conoscenze sull’alimentazione, ma grande collaborazione con Enervit già in quegli anni
Alimentazione e ginnastica
«Non c’erano certo le conoscenze che ci sono adesso sull’alimentazione – spiega Morelli – Si davano delle indicazioni generali, c’era la plicometria e lì finiva. Tuttavia Sassi collaborò molto con Enervit e già riuscimmo a dare delle indicazioni in tal senso. Semmai il problema di quegli anni era lo stacco invernale che era davvero lungo. E si vedevano anche casi di gente che metteva su 7-8 chili. Oggi al massimo riposano dieci giorni in totale e poi già riprendono con altre attività.
«Anche la palestra serviva quasi più come attività alternativa che per la preparazione vera e propria. C’erano i classici esercizi per l’irrobustimento della parte superiore e quelli più mirati per la bici.
«Mapei Giovani era un progetto di “evidence based coaching” cioè l’insieme di dati scientifici ed esperienze sul campo. Per esempio avevi visto e capito che quel determinato allenamento faceva bene, ma c’era già un riscontro scientifico».
Incontro con Trentin a fine ritiro della Tudor Pro Cycling. Il punto sulla preparazione e il nuovo team. E una riflessione sui giovani troppo “accelerati”
Andrea Morelli, direttore del ciclismo al Centro Mapei, avverte sui rischi di un'attività giovanile spinta, che porta a precocità e problemi psicologici
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
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Nei giorni scorsi Bikeen, digital start up, che mette in contatto diretto fra loro negozianti e privati, ha ufficializzato la nomina di Filippo Pozzatocome global brand ambassador. Si tratta di un ulteriore e significativo step di crescita per una realtà ancora giovane, ma che ambisce a diventare il supporto ideale per chi desidera vendere o acquistare bici usate.
Spazio per acquirenti e venditori
L’obiettivo di Bikeen è quello di creare il più grande canale in Italia e in Europa dedicato alla vendita di bici usate o a Km0. Fino ad oggi il mercato dell’usato a due ruote non aveva un punto di riferimento specializzato. Un punto dove fosse possibile non solo vendere o acquistare bici, ma anche noleggiarle. Bikeen risponde a questa mancanza fornendo un servizio di alta qualità.
Ai negozianti e a chi noleggia bici viene così offerto uno spazio virtuale dove promuovere prodotti e servizi, stabilendo così un contatto diretto.
Filippo Pozzato con Marco Ferron, Giambattista Callegari e Gianluca Galliano, soci di maggioranza di BikeenPozzato con la dirigenza di Bikeen
Pozzato, scelta perfetta
Ad inizio 2021 Marco Ferron, Giambattista Callegari e Gianluca Galliano, soci di maggioranza di Bikeen, hanno avuto l’opportunità di presentare la loro giovane realtà a Pozzato. Erano alla ricerca di una figura che potesse promuovere e rappresentare al meglio la loro start up. Facilitati dalle comuni origini vicentine, hanno trovato fin da subito nel vincitore della Sanremo 2006 e di tante altre corse di prestigio la persona giusta. Il profilo ideale per rappresentare al meglio il brand e condividere valori e mission aziendali.
«Bikeen è un incubatore di passione perché siamo i primi a credere nel valore di questo mezzo. Non si tratta solo di due ruote: dentro ci sono obiettivi, sfide, fatica, desideri, libertà – hanno affermato i tre soci – E’ un progetto imprenditoriale digitale, tutto italiano e abbiamo riconosciuto in Filippo il volto giusto per rappresentare l’immagine della nostra azienda e per incrementarne la brand awareness».
Campionati italiani 2020, Filippo Pozzato al centro dell’organizzazioneCampionati italiani 2020, Filippo Pozzato al centro dell’organizzazione
Progetto sposato in pieno
Filippo Pozzato, dopo una carriera ricca di successi, a partire dal 2019 si è dedicato a sviluppare e concretizzare diversi progetti legati al ciclismo. Lo ricordiamo come vera e propria “anima” dell’edizione 2020 dei Campionati Italiani svoltisi tra Bassano del Grappa, Marostica e Cittadella. Fin da subito l’ex campione vicentino ha colto le potenzialità di Bikeen.
«Ho deciso di entrare a far parte del progetto Bikeen perché in esso ho individuato valori e prospettive che mi appartengono da semprequali la mobilità sostenibile e l’economia circolare con la bici sempre al centro di tutto – ha detto Pozzato – Il fatto di essere anche testimonial mi rende felice e orgoglioso in quanto spero che i miei successi sportivi, determinanti nella costruzione della mia immagine attuale, possano contribuire alla massima diffusione e conoscenza del progetto Bikeen a livello nazionale e internazionale».
Battistella da solo sul traguardo della Veneto Classic. Per il trevigiano dell'Astana, ritorno alla vittoria dopo due anni. Decisiva la fiducia di Martinelli
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«L’idea di una gara gravel è di Jonny – dice subito Pozzato – e sarebbe davvero una figata. Lo vogliono le aziende, si vede da come spingono. L’altro giorno sono uscito sui Colli Berici e di 20 bici che ho incontrato, 15 erano gravel. Ma una gara da sola non reggerebbe, per cui si è pensato di inserirla in un programma più completo. Anche la formula va capita, perché come dicevamo già nei giorni scorsi, non esiste un regolamento tecnico. Non puoi far correre dei professionisti per 300 chilometri in linea, quindi l’idea è quella di un circuito finale, tipo kermesse, per vederli tante volte. I corridori si divertirebbero e avvicineremmo un pubblico diverso dal solito. Appassionati più giovani. Perché la bici da corsa sembra una condanna a morte, sempre dipinta nel segno di una fatica disumana. Ma per i dettagli sentite Jonny, lui ha le idee più chiare di me…».
Jonny Mole è partner diPozzato nell’organizzazione di gare (foto Instagram)Jonny Mole è partner diPozzato nell’organizzazione di gare (foto Instagram)
L’idea di Jonny Mole
Jonny Moletta, in arte Mole, è suo compagno di mille avventure. Titolare a Cittadella dello studio di design che porta il suo nome, è stato uno dei motori dei campionati italiani in Veneto dello scorso anno. E quando c’è da progettare qualcosa, Pozzato sa di avere una spalla ricettiva e capace di rilanciare. Così è stato per le gare di ottobre e per la gravel.
«E’ stata un’intuizione – spiega il diretto interessato – osservando che nel calendario di date possibili, c’era un giorno libero. Il programma prevede il Giro del Veneto mercoledì 13 ottobre, la Gran Fondo sabato 16 e la Veneto Classic domenica 17. Allora ho messo insieme il fatto che ci siano tante ciclabili spesso su strade bianche e mi sono messo a pesare al modo per valorizzarle. La risposta? Mettiamoci i pro’. Ovviamente poi c’è da fare i conti con la praticabilità e qui si è aperto uno scenario infinito».
Le gare in linea di gravel sono già molto diffuse. A sinistra, Lachlan Morton della EfLe gare in linea di gravel sono già molto diffuse. A sinistra, Lachlan Morton della Ef
Di che tipo?
In primis sul tipo di gara. Forse la soluzione più semplice è farla tipo kermesse, come i circuiti dopo Giro, valutando semmai un ingaggio per i partecipanti e senza assegnare punti Uci. Poi c’è il regolamento tecnico, perché sarebbe difficile far seguire dalle ammiraglie. Così l’idea potrebbe essere creare dei punti di assistenza ogni 18-20 chilometri e se buchi devi tenere duro, oppure devi essere in grado di riparare la ruota.
Quanti corridori immaginate al via?
Altro fronte: la sicurezza. Vedrei 3-4 atleti per squadra, proprio perché le sedi stradali non sono larghe come per una corsa su strada.
Del percorso si è già parlato, in parte…
Partenza da Jesolo e arrivo a Piazzola sul Brenta, transitando per Treviso. A Piazzola, non è un caso, si incrociano due delle ciclabili più importanti: la Treviso-Ostiglia e la Ciclovia del Brenta. Il punto di raccordo e il quartier generale saranno in una spettacolare Villa di proprietà della Regione Veneto, intorno alla quale faremo il circuito finale. Non vogliamo snaturare l’essenza del gravel e insieme vogliamo mantenere quella della prova in linea.
Un regolamento tecnico impedirà però l’uso della bici da stradaUn regolamento tecnico impedirà però l’uso della bici da strada
Dici che funzionerà?
Volete sapere una cosa? Fra i partner che ci sono vicini, è la prova che più fa gola.
Quale messaggio si vuol far passare oltre al possibile ritorno commerciale?
Che in un’epoca nel segno dell’elettronica, si può tornare alle origini del ciclismo in chiave moderna. Ma siccome sarà una gara dovremo trovare il modo per evitare che si presentino con bici da strada, per cui sarà dettato un regolamento tecnico.
Magari anche il percorso potrebbe dissuadere…
Esatto, ci saranno dei passaggi con pietre, cercando di trovare il giusto compromesso fra tecnicità e sicurezza. Non deve succedere nulla ai corridori: questa è la prima regola.
Perché pensi che accetteranno?
Perché le squadre e i corridori hanno senso di responsabilità nel promuovere il ciclismo e se si tratta di spingere per allargare la base e farlo in sicurezza su ciclabile, penso che possa funzionare.
Come si chiamerà?
Serenissima Gravel, lasciateci ispirare ai fasti della nostra storia.
L’arrivo e il circuito finale di Serenissima Gravel a Piazzola sul Brenta, famosa per Villa ContariniL’arrivo e il circuito finale di Serenissima Gravel a Piazzola sul Brenta, famosa per Villa Contarini
Movimento in crescita
Provando a sondare il terreno avevamo già provato a immaginare una tappa gravel in una corsa a tappe, interpellando chi come Lachlan Morton della Ef Education-Nippo già gareggia nella specialità e sentendo addirittura Marco Selleri, organizzatore del Giro d’Italia U23 che ci aveva già pensato da solo. Ieri Moreno Moser ci ha raccontato lo stupore per la nuova disciplina. Una cosa è certa: i professionisti, soprattutto quelli più giovani, non disdegnano le contaminazioni. Immaginate solo che dopo essersi sfidati nel ciclocross e poi alle classiche, nel prossimo weekend Pidcock e Van der Poel saranno a sgomitare nella Coppa del mondo di mountain bike ad Albstadt…
Incontro casuale con Nicolas Roche alla Nova Eroica, gara gravel che si è corsa sabato a Buonconvento. Quello che fa. quello che ha fatto. Quel che farà
Fare squadra è uno dei tanti obiettivi di ExtraGiro. Nei giorni scorsi Marco Pavarini, co-direttore generale insieme a Marco Selleri, ci aveva detto che Filippo Pozzato è uno di quegli organizzatori che più si avvicinano alla loro mentalità moderna di allestire e gestire manifestazioni. L’ex pro’ di Sandrigo, ora manager della PP Sport Events, ha già testato la sua organizzazione lo scorso agosto con i campionati italiani a crono e in linea e recentemente lo abbiamo incontrato a Mondaino.
Pippo sei stato alla Strade Bianche di Romagna, ospite di ExtraGiro. E’ stata un’occasione per parlare di collaborazioni e organizzazioni future?
Ci eravamo già visti a metà aprile con Marco Pavarini per diverse cose. Lui mi ha portato ad un appuntamento e io qui ho ricambiato portandogli un potenziale sponsor che già lavora con me. Non mi rende geloso, perché so come lavora ExtraGiro. Diciamo che condividiamo molto, forse siamo gli unici che riescono a dialogare, facendo anche un po’ di sinergia che è la cosa più importante. A parte Rcs Sport non ci sono tante strutture organizzative, noi altri siamo tutti piuttosto piccoli e secondo me è abbastanza stupido farsi la guerra l’uno con l’altro. Se invece si riesce a fare un po’ di squadra, penso si possa sfruttare e ottimizzare su costi e tutto il resto.
Giacomo Nizzolo campione italiano 2020 sul percorso disegnato da PozzatoGiacomo Nizzolo campione italiano 2020 sul percorso disegnato da Pozzato
Sia per giovani che pro’, giusto?
Sì, l’idea mia è fare qualcosa per i giovani, perché sono loro la linfa per arrivare ai professionisti. Dobbiamo pensare di animare e far crescere la categoria. ExtraGiro lo sta già facendo molto bene, sono andato volentieri alla Strade Bianche di Romagna per vedere la loro struttura. Con loro c’è un rapporto sia di amicizia sia di stima reciproca, ma anche uno scambio di idee e spunti. Credo siano aspetti fondamentali e anche belli, se vogliamo.
Quindi anche tu Pippo, insieme alla tua società, vuoi essere portavoce di questo nuovo pensiero di collaborazioni sempre di più trasversali? Secondo te è molto difficile farlo capire agli altri organizzatori?
Penso di sì, perché c’è proprio un problema culturale a livello generazionale ed è un po’ la mentalità italiana. Lo vedo in Veneto dove tutti ci tengono ad avere il proprio orticello, guai a chi glielo tocca. Mentre io invece penso sia meglio aiutarsi per ottimizzare i costi e fare qualcosa di più bello ancora. Se tutti alziamo il livello, tutti ne guadagniamo. Farsi la guerra è la cosa più stupida che ci sia, anche se so che è molto difficile da mettere in pratica.
Il vicentino, in una foto presa dal suo profilo Instagram, al lavoro su molti frontiIl vicentino, in una foto presa dal suo profilo Instagram, al lavoro su molti fronti
Cosa c’è in comune con gli amici di ExtraGiro?
Le generazioni più giovani sono un po’ più aperte e riescono a vedere oltre. Con Pavarini ho in comune che non guardo all’uovo oggi e magari neanche alla gallina, piuttosto direttamente a un pollaio domani. Penso che serva una visione a lungo termine perché adesso ci sono delle opportunità e prima si fa squadra meglio è.
Le organizzazioni 2021 della PP Sport Events cosa prevedono?
Abbiamo in programma 4 giorni di corse, tutte ad ottobre: Giro del Veneto mercoledì 13, una gara gravel per professionisti ancora da fissare, una Gran Fondo sabato 16 e la Veneto Classic domenica 17. Avrei preferito farle a settembre, ma le uniche finestre libere del calendario Uci erano ottobre o luglio e non volevo andare in competizione col Tour de France.
Una gara gravel? Sembra interessante, com’è nata questa idea?
E’ la moda del momento, quasi tutte le case costruttrici di bici ne hanno un modello e sicuramente è una cosa molto importante. Questa gara sarà un esperimento, stiamo cercando di capire come poterlo realizzare visto che ad oggi non c’è ancora un regolamento vero e proprio e l’Uci non sa come farlo. Stiamo lavorando insieme a loro e anche al settore fuoristrada Fci per crearlo. L’idea è quella di partire da Jesolo e arrivare a Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova.
Lachlan Morton e Alex Howes impegnati su bici gravel nella Dirty Kanza in Kansas (foto Fsa)Morton e Howes su gravel alla Dirty Kanza in Kansas (foto Fsa)
Vuoi dare qualche dettaglio in più sulle altre gare?
Il Giro del Veneto partirà da Padova, toccando le province di Vicenza, Verona e stiamo pensando ancora al traguardo. La Veneto Classic dovrebbe partire da Venezia e finire a Bassano passando da Treviso e Vicenza.
E immagino siano in cantiere anche gare giovanili.
Stiamo già parlando con ExtraGiro per fare squadra assieme perché ci sono opportunità interessanti da cogliere, però non voglio anticipare nulla. Ve ne parlerò non appena avrò qualcosa di concreto in mano.
Coppolillo e i ragazzi del suo #inEmiliaRomagna Cycling Team alla vigilia delle corse di Extra Giro. Per il team una fase molto importante della stagione
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Era Pasqua anche quel giorno, l’8 aprile del 2007. Ballan aveva vinto la Tre Giorni di La Panne ed era tra i favoriti per il Giro delle Fiandre, ma svegliandosi quel mattino non aveva le sensazioni migliori. La stagione non era cominciata bene. Nel Gp Chiasso era caduto, battendo la schiena e per qualche ora non aveva più sentito le gambe. Per fortuna era uscito dall’ospedale con la certezza che non ci fosse nulla di rotto, ma ugualmente per una settimana era stato costretto a usare le stampelle. Una maledizione per un corridore che aveva nella testa il Giro delle Fiandre sin dalla prima volta che l’aveva disputato e che alla corsa dei muri dedicava ogni pensiero sin dall’inverno. Il primo anno era arrivato 83°, ma nel 2005 e nel 2006 erano venuti un sesto e un quinto posto che avevano dato l’ispirazione. In quel giorno di Pasqua, i suoi familiari si erano dati appuntamento in venti in un ristorante vicino casa e avevano chiesto di avere accanto la televisione, per seguire la corsa.
Verso l’arrivo con Hoste sempre a ruota, spendendo forse troppoVerso l’arrivo con Hoste sempre a ruota
Per fortuna i postumi della caduta svanirono…
Feci una gran fatica nelle corse successive, ma quando mi presentati a La Panne, stavo bene. A quel tempo era una corsa a tappe di tre giorni e la prima era quella che faceva la classifica, perché si correva sui muri. Mi trovai in fuga con Paolini, che vinse la tappa. Io poi feci meglio nella crono del terzo giorno e vinsi la classifica. A quel punto ero uno di quelli da guardare e mi venne addosso parecchia tensione.
Come si manifestava la tensione?
La notte prima non mi riuscì di prendere sonno. Ero in camera con Baldato e solo alle 4 del mattino chiamai il dottore perché mi desse qualcosa. Non volevo svegliare Fabio e così dormii solo un paio d’ore, arrivando alla partenza con brutte sensazioni. La gamba non girava, facevo fatica, tanto che ogni 20 chilometri Baldato mi veniva accanto e chiedeva come andasse. E io, sempre negativo, gli dicevo che andava male.
La volata a due con Hoste è da brivido, ma arriva la vittoriaLa volata a due con Hoste è da brivido, ma arriva la vittoria
Fiandre classico
Era il Fiandre della tradizione. Si partiva dalla Markt Place di Bruges e si arrivava a Meerbeke, su quel rettilineo in leggera salita che veniva dopo il Muur e il Bosberg. Il Muur, che tutti in Italia chiamavamo Muro di Grammont, era il giudice supremo della corsa.
Quando si sbloccarono le gambe?
Nella mia testa la corsa era andata. Prima del Muur si era formata una fuga con dentro Cancellara, che non era ancora Spartacus, ma l’anno prima era arrivato sesto. Dissi a Baldato di lasciarli andare, che io non stavo bene. Invece lui prese l’iniziativa di testa sua.
Cosa fece?
Mise la squadra davanti a tirare assieme alla Lotto. In ammiraglia c’era Guidone Bontempi che alla radio sbottò, si arrabbiò parecchio. Era convinto che avessi preso io l’iniziativa e mi attaccò. «Adesso Ballan – disse – sono fatti tuoi!». La reazione fu che mi innervosii. Riprendemmo la fuga prima del Muur, affiancai Boonen che aveva vinto le due edizioni precedenti e partii.
Pasqua 2007: «Dopo l’arrivo – racconta – capii subito che la vita stava cambiando»«Capii subito che la vita stava cambiando». Che Pasqua…
Devi dire grazie a Baldato?
Fabio mi aveva capito e me ne accorsi quando me lo trovai come direttore alla Bmc. Se voleva tirare fuori qualcosa da me, trovava sempre il modo per farmi innervosire.
Dal Grammont a Meerbeke proprio breve non era…
Infatti sul momento presi paura, anche perché dietro la Quick Step di Boonen avrebbe potuto organizzarsi per venirmi a prendere. Per fortuna mi ritrovai con Leif Hoste, che pedalava bene. Da parte mia, sapevo che in volata potevo batterlo e per questo nelle foto sono sempre davanti, mentre lui un po’ si risparmiava. E alla fine batterlo non è stato facile come pensavo, perché dopo 259 chilometri le forze si livellano. Quando lui è partito sono stato bravo a non demoralizzarmi. E così il giorno di Pasqua del 2007 ho vinto il Giro delle Fiandre. Non fu come al mondiale, in cui impiegai un po’ per capire. Quando passai per primo la riga, mi resi conto che dal quel giorno la mia vita sarebbe cambiata.
Vincesti il Fiandre stando male o alla fine le sensazioni tornarono giuste?
Una spiegazione me la sono data. A me piaceva mangiare tanto prima delle grandi corse. Ho sempre avuto paura della crisi di fame, così mi riempivo lo stomacoe nei primi chilometri ero sempre ingolfato. La situazione di solito si sbloccava nei finali di corsa. La sera prima mangiavo anche tre piatti di pasta e poi la pasta tornava anche la mattina della corsa. Ricordo una Sanremo in cui la sera prima mangiai tre piatti di pasta, un piatto di riso, una bistecca e una fetta di crostata. A colazione di solito prendevo prima latte e cereali. Poi la pasta, un panino con la Nutella e alla fine mi preparavo una baguette con Philadelphia e prosciutto che di solito mangiavo sul pullman.
Nel 2011 arriva 12° nell’ultimo Fiandre sul vecchio percorsoNel 2011 arriva 12° nell’ultimo Fiandre sul vecchio percorso
Meglio il percorso di allora o quello di adesso?
Il percorso attuale è stato disegnato per il pubblico, per permettergli di vedere tre volte i corridori senza spostarsi. Piano piano sta entrando nel gusto e nei discorsi, però l’altro secondo me era meglio. Il passaggio sul Muur con le ali di folla e la cappella sulla cima erano un momento troppo bello. Del percorso di adesso non mi piacciono quegli ultimi 8 chilometri di pianura con il vento contrario. Qualcuno come Sagan e Bettiol è riuscito ad arrivare da solo, ma quel tratto favorisce gli inseguitori.
Quando nel 2012 arrivasti terzo dietro Boonen e Pozzato, il percorso era già quello nuovo, giusto?
Era il primo anno, ma siccome era morto mio suocero non ero riuscito ad andare su per la ricognizione. Ignoravo come fosse fatto il finale. Di quel giorno mi resta ancora il dubbio della tattica di Pippo. Rinunciò a provare e dice ancora oggi di essere stato convinto di poter battere Boonen in volata. Boonen che la settimana prima aveva vinto in volata la Gand-Wevelgem, mentre lui era finito nono.
Che cosa significa per la gente di lassù incontrare Ballan?
Si entra in una dimensione superiore. Mi riconoscono anche quando sono in giro vestito con abiti civili. Ancora oggi mi arrivano a casa cartoline da firmare. In Belgio per una vittoria come quella ti fanno sentire importante.
Nel 2012, 3° dietro Boonen e Pozzato: «Non capii la tattica di PIppo»Nel 2012, 3° dietro Boonen e Pozzato: «Non capii la tattica di PIppo»
Ti ricordi con quale rapporto scattasti sul Muur?
Di sicuro non c’erano quelli di oggi, al massimo avevo il 25, per cui andai via quasi sicuramente con il 36×25. Rispetto a oggi erano diverse anche le ruote. Ricordo che corsi con cerchi bassi in alluminio e tubolari Vittoria da 25, quelli con la spalla verde e al centro la riga nera. Oggi usano i cerchi ad alto profilo in carbonio, da 40 o da 50.
Altre bici…
I telai erano in carbonio, non troppo diversi da quelli di adesso. E cambiata però l’aerodinamica, per il disegno dei tubi e il fatto che non ci siano più i cavi fuori. Ho ancora a casa quella bici e negli ultimi anni non c’è stato il cambiamento radicale che invece si ebbe negli anni del passaggio dai telai in metallo a quelli in fibra.
Oggi ci sono anche i freni a disco.
E io ero uno di quelli sfavorevoli, anche le vecchie bici frenavano bene. Ho sempre pensato che non ci fosse bisogno di introdurli. Poi li ho usati e ho capito la differenza tornando a quelli tradizionali. Andai a fare un sopralluogo sul Mortirolo e arrivato in cima, mi buttai giù in discesa. Mi accorsi della differenza di frenata alla prima curva. Andai per staccare e finii di sotto, perché usando i freni a disco, avevo preso l’abitudine di staccare all’ultimo…
La sera del Fiandre dormisti in Belgio oppure rientrasti a casa?
Dormimmo su e facemmo festa con la squadra. Eravamo in hotel da Luc, al Park Hotel di Courtrai. E il giorno dopo presi l’aereo per tornare a casa. Ad aspettarmi non c’era nessuno, era mattina presto di Pasquetta, immagino che avessero altro da fare.
Ci vediamo domani alla partenza?
La Rai ha preferito non mandare nessuno per evitare il rischio di quarantene al rientro. Faremo il commento da Milano. Lavorerò il giorno di Pasqua e anche stavolta sarò a casa per Pasquetta. Se volete un consiglio da vecchio vincitore del Fiandre, copritevi bene. Mi hanno mandato le previsioni per domani. Sei gradi e vento teso. Sarà un Fiandre d’autore…