L’ALBIR (Spagna) – Arvid De Kleijn arriva nella hall con il passo stanco di chi si è appena svegliato. Il ritiro del Tudor Pro Cycling Team è agli sgoccioli, a gennaio ce ne sarà un altro e a giudicare dal tanto lavorare di ogni membro dello staff, per allora la squadra avrà salito un altro gradino.
De Kleijn, il cui significato in olandese è letteralmente “il piccolo”, è effettivamente un velocista compatto e guizzante, alto 1,71 per 68 chili di peso forma. Fra i suoi meriti sportivi, fra le circa 15 vittorie da quando corre in bicicletta, c’è che la sua prima del 2023 sia stata la prima anche per la neonata squadra svizzera. Ottenuta sulle strade italiane, battendo Gaviria alla Milano-Torino. Attorno alle ammiraglie della Tudor si respirava una gioia da campionato del mondo.
Arvid ha i capelli corti con la riga a sinistra e lo sguardo simpatico. Al ciclismo c’è arrivato tardi, avendo alle spalle buoni trascorsi nel calcio. Evidentemente però ci ha messo poco a prendere le misure, se è vero che nel 2023 oltre alla Milano-Torino ha portato a casa altre cinque vittorie (in apertura la terza tappa dello ZLM Tour).
Che cosa significa per te essere stato il primo vincitore della squadra?
Significa molto, in realtà. Inoltre, vista la gara che ho vinto, è stato ancora più bello. E quello che più conta è che dopo la Milano-Torino ho avuto una stagione davvero molto positiva, per me e per il mio treno. Non avevamo avuto tanto tempo per conoscerci, invece ha funzionato subito. E’ davvero bello avere intorno un gruppo di compagni che si fidano di me, come io mi fido di loro. E’ stata davvero una buona stagione. Ero certo che, con un treno che mi supportasse davvero, potessi fare cose del genere. Ma tra il dire e il fare c’è il mare. E vincere è la parte difficile del ciclismo.
Sei arrivato abbastanza tardi nel gruppo, come mai?
Ho cominciato a 16 anni e sono diventato professionista che avevo già 25 anni. Prima sono stato abbastanza forte a livello regionale, al punto da farmi vedere in alcune corse tra i professionisti e questo mi ha permesso di firmare un contratto con la Riwal, una squadra danese. Da lì sono passato alla americana Rally Cycling che l’anno dopo, nel 2022, è diventata Human Powered Health. Non abbiamo fatto grandissime corse, ma mi hanno permesso di mostrare il mio potenziale e mi hanno messo a disposizione un treno. Così alla fine mi ha notato la Tudor e adesso eccomi qui.
Cosa facevi prima di scoprire la bicicletta?
Altri sport. Tanto calcio e anche ginnastica. Il ciclismo era nell’aria, pur non avendo avuto altri esempi in famiglia. Mi ha sempre interessato molto e a un certo punto, intorno ai 16 anni, ho voluto provarci. Però ero forte anche nel calcio, ero davvero bravo. Vincevo, per un po’ è stato bello, poi però ho smesso di divertirmi. Fino al momento in cui un ragazzo venne a dirmi che secondo lui avevo talento per il ciclismo. Mi diede una bici ed è cominciato tutto.
Sei sempre stato un velocista?
Il contrario (sorride, ndr). All’inizio e per qualche anno ho sempre pensato di essere uno scalatore. Fisicamente ho avuto uno sviluppo tardivo, per cui ero davvero piccolo e leggero. Da junior ero uno scalatore veloce, diciamo un finisseur. Poi, quando ho compiuto 23 anni, ho iniziato il vero sviluppo e da ragazzo sono diventato uomo. A quel punto mi sono scoperto capace di sprintare davvero bene. I miei numeri erano così alti che ho pensato di convertirmi in velocista.
E adesso preferisci l’atteggiamento mentale dello scalatore o dello sprinter?
Quello del velocista: tutto o niente. Lo sprint è come un gioco. Le corse in salita sono belle da guardare. I corridori soffrono e a volte è davvero spettacolare vedere quanto possano essere grandi i distacchi. Ma per me che sono un velocista, è più eccitante vedere gli sprint, se capisci veramente cosa sta succedendo.
Dopo una stagione come l’ultima, che inverno stai vivendo e quali sono i tuoi obiettivi per il 2024?
Ho 29 anni, ma come ho detto sono sbocciato tardi e credo di poter migliorare ancora. Quindi non vedo l’ora di fare gare più grandi con il mio treno e metterci alla prova a livelli più alti. Mi piacerebbe avere continuità ed essere capace di giocarmi le corse per tutto l’anno: che poi si vinca o no, non dipende solo da noi. La squadra sta crescendo molto velocemente ed è super bello da vedere.
Te lo aspettavi?
E’ impressionante vedere la velocità con cui avvengono i cambiamenti, per questo mi piacerebbe continuare a crescere con loro. E’ un ambiente molto bello e penso che faremo davvero un buon lavoro. A volte ho la sensazione che si vada troppo veloce, ma non è così. La verità che la Tudor Pro Cycling ha molte ambizioni e i corridori non sono da meno. Quindi tutti spingono per avere di più. E’ davvero un ottimo ambiente in cui trovarsi.
Cosa pensi di Fabian Cancellara come titolare della squadra?
E’ fantastico averlo vicino. Fabian ha molta esperienza, non soltanto con le classiche e le crono, ma in generale come persona. Penso che possiamo imparare tutti da un uomo del genere, che è anche molto gentile.
Cosa ricordi della Milano Torino?
Che ero caduto e ugualmente ero davvero ansioso di fare bene. Nella riunione prima della corsa, ho detto ai ragazzi che avremmo dovuto crederci e che avremmo potuto fare bene nonostante il livello così alto. E guardandoli ho visto che ci credevano anche loro. Avevamo un buon piano, lo abbiamo seguito, abbiamo vinto ed è stato fantastico. Erano tutti super felici e ho scoperto che erano venuti anche i miei genitori.
Dall’Olanda per la Milano-Torino?
Non mi avevano detto niente. Hanno una casa in Francia, nelle Alpi, vicino alla valle del Rodano. E io in un primo momento avevo pensato che sarebbero potuti venire. Tuttavia dato che non li avevo più sentiti, mi ero convinto che l’avrebbero vista in televisione, perché quando vengono alle corse sono sempre stressati. Invece dopo il traguardo, all’improvviso è sbucato dal nulla mio padre e mi ha abbracciato. Ci sono anche dei video che lo mostrano. E’ stato bellissimo. Ecco cosa ricordo della Milano-Torino, è stata proprio una bella giornata.