Andrea Morelli si guarda intorno. Il responsabile ciclismo del Centro Mapei ha seguito il Tour e il Giro, meditando a lungo sulle prestazioni di atleti tanto giovani.
«A parte uno come Ganna che conosco da sempre – dice – e che quando vedemmo da junior era sui livelli di Cancellara, sono stupito per la capacità di tenuta dei più giovani nella terza settimana. La resistenza si costruisce col tempo. Devi avere talento, ovvio, poi il lavoro ti consolida. Per cui vedere Pogacar fare quella crono al penultimo giorno mi ha davvero stupito».
Si va. Taccuino. Domande. Qualche riferimento a quel che ci hanno detto Bartoli e Guercilena. E un fluire di pensieri che ha bisogno appena di essere alimentato da qualche osservazione.
Non c’è solo Pogacar. Evenepoel, Almeida, Hindley, Geoghegan Hart…
Non conosco Remco, ma conosco bene Almeida. L’ho seguito fino al professionismo. Assieme a Oliveira e Guerreiro facevano parte del programma della nazionale portoghese, che si era rivolta al Centro perché gli dessimo una mano ad uscire da logiche troppo portoghesi. Oliveira si è giocato un mondiale inseguimento con Ganna, per intenderci. Correvano per Axel Merckx e noi ne seguivamo la programmazione. Tutti forti. Con loro c’era anche Geoghegan Hart, molto buono anche lui
Da cosa dipende la loro precocità?
Le continental in cui corrono da ragazzini vanno forte, tanto che alcune squadre WorldTour hanno dovuto faticare quando le hanno incontrate. Non credo tanto al discorso delle scuole nazionali, mi sembra una favola. Ci sta che vengano fuori atleti forti, ma al Tour abbiamo visto qualcosa di grande davanti ai migliori del mondo.
Da cosa dipende?
Di sicuro incide la competitività. Sono motivatissimi e non mollano mai. Riescono a reggere meglio la pressione, forse perché sono nati sui social e se ne sbattono di quel che dice la gente. Fanno il forcing e attaccano da lontano. Questo può svantaggiare l’atleta più posato. Hanno un carattere fortissimo. Non è semplice fare tre settimane a tutta.
Quindi anche una spiegazione tattica?
Luca Guercilena mi ha raccontato del loro Simmons, che ha la tendenza ad attaccare a 40 chilometri dall’arrivo, come quando era junior. Magari lo prendono, ma la corsa intanto cambia passo bruscamente. Il modo di correre è cambiato tanto.
Qualcuno potrebbe pagarlo?
Nibali è uno dei pochi che ha mantenuto la temporizzazione classica, usando le corse per prepararsi. Negli anni lo abbiamo visto spesso dietro e poi venire fuori quando serve. Pensavo che quest’anno sarebbe successo lo stesso, invece no.
Che idea ti sei fatto?
Ci sta che abbia pagato per il Covid, anche se ha mantenuto i suoi grossi volumi di lavoro. Mentre uno come Jacopo Mosca, che seguiamo direttamente, non è potuto uscire e ha dovuto lavorare tanto sui rulli. Il lockdown ha ridotto i volumi e alcuni potrebbero averne tratto vantaggio in termini di recupero e freschezza.
Altri invece lo hanno sofferto.
Certo, stare fermi a lungo è un disagio. E’ mancata l’intensità della corsa e magari i più giovani ne hanno tratto vantaggio grazie all’elasticità dell’organismo, mentre l’atleta più esperto ha bisogno di volume e gradualità. Nibali ha questo approccio, usa le gare per gestire la programmazione e per abitudine e struttura deve fare un certo numero di corse. Ma se le corse impazziscono…
Che cosa intendi?
Calendario e abitudini. L’arrivo di Sky (oggi Ineos-Grenadiers, ndr) ha cambiato tutto. Vengono sempre per vincere e non è facile stare in gruppo se a menare sono atleti che dovunque sarebbero capitani. Altre si sono adeguate, come la Jumbo. Il livello è altissimo, non reggi e questo non ti allena molto. Mettiamo sul piatto la programmazione serrata del 2020 e si capisce che forse si è creata confusione nella gestione dei carichi di lavoro.
Si spiega così il Nibali dello Stelvio?
La cosa incredibile dello Stelvio è stato Rohan Dennis. Se Nibali si è staccato è perché la sua soglia era inferiore ai valori dell’australiano. Ma quelle prestazioni ci hanno lasciato tutti di sasso.
Credi che corridori tanto forti da giovani avranno una carriera più breve?
Se ci sono arrivati nel modo giusto, continuano anche in futuro. Non credo possano essere come le ginnaste, che bruciano in pochi anni. E’ uno sport di endurance, si riesce a costruirci sopra, se riescono a tenere la testa sul collo, a gestire i soldi, il divertimento e i social. Poi la differenza la fai sulla bici.
Sono frutto del buon lavoro di qualcuno?
Qualsiasi ragazzo fai lavorare in modo corretto porta frutti. Non devi forzare i tempi. Con Merckx c’era da mediare, perché lui fa allenamenti pesanti e in America il calendario era tutto tosto. Ma se rispettano carichi e igiene dell’allenamento, continueranno a fare bene anche in futuro. Che poi si ripetano è un’altra storia.
Invece da noi?
Arrivano al professionismo con pochi margini e questo li logora. Devi stare sempre concentrato anche semplicemente per essere tiratissimo. E se poi sposti questo stress fra gli allievi, quando passano che cosa fanno?
Eppure c’è la rincorsa al passaggio.
I procuratori cercano di… vendere gli atleti già da allievi, quantomeno li bloccano subito. Le squadre a questo punto li fanno firmare, con l’avallo di alcuni genitori che pensano di avere in casa il Cristiano Ronaldo della bici. Invece fino ai vent’anni lo sport andrebbe vissuto come divertimento. Anche il professionista che lavora controvoglia non rende. Forse all’estero tutto questo non c’è.
Non basta attenersi alle tabelle e va tutto bene?
Il metodo anglosassone per cui esiste solo la potenza per me è sbagliato. Difficile avere una struttura troppo sofisticata nella squadra di paese, ma va bene. Perché da ragazzino devi conoscere il tuo corpo e le percezioni in risposta agli allenamenti. Magari commetti pure qualche sbaglio, ma impari. E magari a 22 anni, quando vai a pescare risorse dovunque, scopri di avere dei margini di crescita.