Buda un anno dopo. Miglior dilettante italiano, ma non passa pro’

06.11.2024
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Con Simone Buda un anno dopo. Il corridore romagnolo è stato il miglior dilettante dell’anno. Per il corridore della Solme-Olmo, 30 top 10, 20 top 5 e ben cinque vittorie. Questo lo ha portato ad avere il miglior punteggio in graduatoria. Eppure, per Buda tutto ciò non basta per passare professionista. Come mai?

A quanto pare la “colpa” è di essere del 1999, pertanto, è considerato “vecchio” per questo ciclismo. Un anno fa, lo stesso Simone ci disse che era difficile migliorare e che si trovava di fronte a un bivio. Ha tenuto duro ed è migliorato ancora. Ma, sul filo dei 25 anni, la strada verso il professionismo non è in salita: è verticale per lui. Ora si sente definitivamente maturo e si percepisce, e non poco, anche da come parla.

Simone Buda (classe 1999) quest’anno ha ottenuto 5 vittorie
Simone Buda (classe 1999) quest’anno ha ottenuto 5 vittorie
Allora Simone, partiamo da questa tua stagione: il miglior dilettante italiano…

Direi che come è andata lo dicono i numeri. Sinceramente, ad oggi sono deluso e stanco di parlarne. Quel che ho fatto è sotto gli occhi di tutti. Lo scorso anno, nonostante la mia buona stagione, mi fu chiesto di migliorare ancora. Ho accettato, nonostante lo scetticismo di molti, increduli che a 23 anni si potesse migliorare ancora. Ci sono riuscito.

Cosa non ha funzionato secondo te?

Io i miei problemi li ho avuti. Di fatto ho perso le mie stagioni migliori con il Covid. Il terzo e quarto anno da dilettante, quando s’inizia davvero ad andare forte, in pratica non ho corso. Nei due anni precedenti ero al servizio dei compagni. Mettiamoci anche l’accelerata da parte dei giovani ed ecco che di colpo le cose per quelli come me sono peggiorate.

Per assurdo, ti sarebbe convenuto essere del 1998: in quel caso la Federazione tese una mano ai ragazzi nel periodo del Covid…

Vero, però siamo di nuovo ai “se e ai ma”. A quel punto cosa potevo fare? Ci credevo e sono andato avanti fino a diventare élite. Ho lavorato tanto, sapevo dove potevo arrivare. Quando dico una cosa la mantengo. Lo scorso anno di questo periodo ero lì, lì per smettere. Mi fu detto di provare ancora. Se dovevo farlo però avrei dovuto dare il 101 per cento. Al team manager Forcolin dissi che avrei vinto cinque gare. Mi prese per matto. Ma io sono così: determinato. Se faccio una promessa la mantengo.

Grande affiatamento nella Solme-Olmo di Forcolin, al centro con i suoi ragazzi (Avigh Foto)
Grande affiatamento nella Solme-Olmo di Forcolin, al centro con i suoi ragazzi (Avigh Foto)
Ora come sei messo?

Ambire ai pro’ è difficile, ma io ho fatto tutto quello che potevo e dovevo. Mi è stato chiesto di migliorare e l’ho fatto. Di vincere più gare e l’ho fatto. Mi sono stati chiesti dei test di un certo livello ed ho risposto alle aspettative. Mi è stato chiesto di migliorare nelle corse più dure e ho fatto anche quello. Davvero, non so più cosa potrei fare. Se non trovo una squadra, chiuderò da numero uno. Poi rifletto anche su una cosa.

Quale?

Se il ciclismo italiano è così ben messo da perdere il suo dilettante migliore, allora mi faccio da parte. Certo, correre mi piace, potrei farlo fino a 35 anni, ma non ne varrebbe la pena. Bisogna guardare in faccia la realtà. Con certi risultati devi fare il salto di categoria; se non lo faccio, dico basta. Poi magari potrei essere il peggior professionista del mondo, anche se non credo, ma a quel punto lascerei tutto. Ma una risposta l’avrei avuta. Quel che mi spettava l’avrei ottenuto.

Veniamo ad aspetti più tecnici: hai parlato di migliorare nelle corse più dure. Come sei migliorato?

Per il corridore che sono (un passista molto veloce, ndr) non andavo piano, ma insieme al mio coach Giovanni Pedretti e al supporto della squadra ho aumentato la tenuta nelle corse più mosse e importanti. Ero stato accusato sulla qualità delle mie vittorie. Ebbene, quest’anno, nelle internazionali, ho sempre fatto bene. Ho vinto in Ungheria, ho fatto secondo al Circuito del Porto e alla Popolarissima. La squadra mi ha supportato al 100 per cento. Ha creduto in me, i compagni hanno creduto in me. Nonostante corressi, e corressimo, con il dito puntato, visto che avevo già più di 23 anni.

Solo nelle ultime due stagioni Buda ha vinto 9 corse, ottenendo 36 top 5 (foto AV)
Solo nelle ultime due stagioni Buda ha vinto 9 corse, ottenendo 36 top 5 (foto AV)
Al Porto ha vinto un certo Jakub Mareczko

Se devo dirla tutta, quel giorno sono caduto a 6 chilometri dall’arrivo e ho fatto la volata col 14. Alla Popolarissima in volata c’è stato un problema con delle transenne spostate… Non ho la prova per dire che sarebbe andata diversamente, quindi sto zitto. Ma è successo anche questo. Lo accetto: certe cose accadono correndo in bici. Ma tutto il resto?

Possibile, Simone, che davvero non ci sia stata neanche una trattativa, un interessamento di qualche team?

Tante parole, ma poi nulla di fatto. Contatti con dei procuratori, anche importanti, che poi sono spariti.

Perché secondo te?

Sinceramente non lo so ed è quello che mi chiedo. Da parte mia, ho sempre voluto far parlare la strada, tenendomi lontano dalle polemiche. Dal management della mia squadra ho cercato di farmi proteggere il più possibile, facendomi stare lontano da eventuali trattative, voci… Volevo avere la serenità e la mente libera: un atleta per rendere ne ha bisogno, non gli bastano solo le gambe. Poi è chiaro che qualche notizia me la davano. Però, per dire, anche in questo caso volevo tenermi lontano dalle polemiche e restare concentrato solo sul ciclismo. Ma pongo io una domanda.

Vai…

Okay i giovani, ma una squadra prende chi va forte o chi potrebbe andare forte? Chi vince o chi potrebbe vincere? Se così fosse, i Ballan, i De Marchi e in qualche modo anche Vingegaard… per dire, non ci sarebbero.

Buda, sprinter, è migliorato anche nelle corse più mosse
Buda, sprinter, è migliorato anche nelle corse più mosse
O anche Tarozzi per restare ad esempi più concreti e vicini…

Tarozzi è praticamente un fratello. Usciamo sempre insieme. Siamo stati anche compagni. Ci siamo visti anche ieri sera. Pensate che gente come lui, ma soprattutto coetanei di altre squadre, rivali, se così possiamo dire, mi chiamano e mi chiedono: «Allora, novità?». Io rispondo: niente. E questo credo sia spaventoso anche per loro. Anche loro sono increduli. Immagino si domandino: «Ma come, se lui che è stato il numero uno della stagione non passa, noi cosa facciamo?».

Prima ti abbiamo chiesto delle trattative e poi ti abbiamo interrotto…

Qualche team continental, italiano e straniero, si è fatto avanti. Mi davano anche dei buoni soldi, ma non accetto questa via, non mi accontento dopo quel che ho fatto. Io voglio diventare professionista. Vorrei che la mia esperienza fosse un insegnamento. Che senso avrebbe se il prossimo anno mi ripresento alla San Geo (una delle prime gare stagionali, ndr)? Cosa direi al Simone Buda ragazzino del 2013?

Chiaro…

Ci pensavo proprio qualche giorno fa. Anche da esordiente vinsi la classifica dell’anno. Ho sempre vinto molto. Quel ragazzino aveva il sogno di migliorarsi, la gioia di andare in bici e di passare professionista. E ora? Cos’è il ciclismo italiano? Se uno vince la Serie B, l’anno dopo passa in Serie A. Idem con la Formula 2 e il passaggio in Formula 1. Perché noi no? Cosa dimostra il ciclismo italiano? Davvero, non so più cosa dire e cosa pensare… Perché non ho un procuratore? Perché non ho soldi?

Come stai passando questi giorni?

Anche se non so cosa farò, come andranno le cose, ho ripreso ad allenarmi. Ho fatto 20 giorni di stacco. Ho corso dal 27 febbraio all’8 ottobre. Adesso magari non faccio sei ore di bici, ma ho ripreso con la corsa a piedi, la palestra…

Le polemiche non scalfiscono la Campana Imballaggi di Coden

05.06.2024
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La Campana Imballaggi-Geo & Tex-Trentino è una delle tre squadre under 23 italiane al via del Giro Next Gen. Tra l’altro la sua presenza non è stata scevra di polemiche, visto che sin qui la squadra di Alessandro Coden non ha raccolto grossi risultati, va detto però, come vedremo, che è anche stata colpita da una buona dose di sfortuna.

Ma proprio per capire come i trentini approcceranno al Giro Next e cosa ci si potrà attendere da loro, ne abbiamo parlato con Coden. Le sue squadre negli anni magari non hanno fatto man bassa di vittorie, ma hanno sempre mostrato solidità e una certa costanza di rendimento.

Il direttore sportivo e manager, Alessandro Coden tra i suoi ragazzi
Il direttore sportivo e manager, Alessandro Coden tra i suoi ragazzi
Alessandro, come sta andando la vostra stagione?

Quest’anno a dire il vero un po’ così e così. Mi spiego. In inverno siamo andati in Sardegna, alla Maddalena, presso un residence che è nostro sponsor. Abbiamo trovato un clima buono, ma anche sin troppo caldo, così quando i ragazzi sono rientrati si sono presi bronchiti, infezioni polmonari, malanni vari. Non solo…

C’è altro?

Quando abbiamo iniziato a correre ecco cadute e infortuni, clavicole rotte e mononucleosi, quindi davvero una grande sfortuna. L’infermeria era piena. Adesso però da 2-3 settimane le cose iniziano ad andare meglio. Siamo stati invitati a tutte le corse nazionali ed internazionali e i ragazzi che erano caduti sono riusciti a portare a termine le gare.

E poi c’è il capitolo Giro Netx Gen…

Abbiamo fatto regolare domanda quest’inverno quando si poteva fare e ci hanno accettato. Per questo abbiamo ricevuto un sacco di critiche, ma di queste non me ne importa nulla. Noi quando siamo rimasti fuori, non abbiamo criticato nessuno. Io non ho chiamato nessuno per interviste sfogo. Ripeto, abbiamo fatto regolare domanda e siamo stati accettati. So bene delle polemiche… Ad una gara, quando eravamo parcheggiati con i mezzi sentivo delle critiche nei miei confronti a voce alta, sul fatto che avessimo pagato, sugli sponsor, che non era giusto andassimo noi… Ho risposto che non pagavamo nessuno, che siamo stati accettati e che l’organizzatore ricorda quel che alcune squadre avevano fatto lo scorso anno (il riferimento è allo scandalo dello Stelvio, ndr).

Il team di Coden sin qui ha avuto molta sfortuna, ma il peggio sembra essere alle spalle
Il team di Coden sin qui ha avuto molta sfortuna, ma il peggio sembra essere alle spalle
E’ chiaro che con tante esclusioni importanti qualche voce si sarebbe sollevata. Alla fine sono rimasti a casa team importanti come Groupama-Fdj o Q36.5…

Okay, ma siamo al Giro Next Gen… d’Italia. Trovatemi una squadra italiana under 23 che abbia davvero fatto tanto meglio di noi con under 23 italiani? Forse la Biesse, ma gli altri no. O almeno non di molto. 

Con che obiettivi partite per il Giro Next?

Noi andiamo con l’obiettivo di finirlo con tutta la squadra, che poi è qualcosa nel nostro Dna. Già nel 2022 portammo alla traguardo finale 4 atleti su 5 e uno lo perdemmo per caduta e non perché non ce la faceva. Tra l’altro, la mia “piccola squadra” fu la terza tra tutte le italiane. Dicono che non lo meritiamo ma abbiamo sempre onorato al meglio il Giro Under 23.

Filippo Gallio è uno dei ragazzi pronti per il Giro Next Gen
Filippo Gallio è uno dei ragazzi pronti per il Giro Next Gen
Alessandro sei stato molto chiaro. Andiamo avanti e veniamo ad argomenti più tecnici. Visti i tanti infortuni, come state lavorando adesso?

Come accennato, stiamo ingranando. Abbiamo fatto 18 giorni di altura sul Pordoi. Siamo scesi il venerdì e il sabato eravamo al via della Due Giorni Marchigiana e Ferroni, uno dei miei ragazzi, si è fatto 140 chilometri di fuga. E anche in quell’occasione tutti i ragazzi hanno completato la corsa. A Fiorano, qualche giorno fa, ne abbiamo piazzati quattro nel primo gruppo.

Chi fa parte del gruppo Giro Next?

Lorenzo Ferroni,  i due gemelli Gallio, Alessandro e Filippo, Leonardo Vardanega, Damiano Obetti e Tommaso Mantovan. Quest’ultimo è un primo anno. Davvero bravo. Viene dalla mtb, mi sembra uno scalatore di buona speranze. Certo, deve imparare tanto, ma in chiave futura, specie in salita potrà fare bene.

Invece una curiosità, con tutte queste critiche come ti comporti con i ragazzi? Fai da “scudo” in qualche modo?

I miei ragazzi ci ridono sopra. Loro restano tranquilli e li vedo molto motivati. Gli ho detto più volte che faremo bene. Prenderanno ore probabilmente, ma avremo la solidità per arrivare fino in fondo.

Giro d’Italia under 23, prime news direttamente da Vegni

25.03.2023
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Quest’anno Rcs Sport organizzerà il Giro d’Italia U23 (in apertura foto Isolapress). Un compito non facile, visto gli elevati standard di qualità a cui ci aveva abituato ExtraGiro, la società organizzatrice uscente. Ma il colosso guidato per quel che riguarda il ciclismo dal direttore Mauro Vegni ha chiaramente tutte le carte in regola per farlo alla grande.

Del prossimo baby Giro però si sa ancora molto poco e per iniziare ad inquadrarlo abbiamo coinvolto proprio patron Vegni. 

Mauro Vegni è il direttore del ciclismo di Rcs Sport
Mauro Vegni è il direttore del ciclismo di Rcs Sport
Signor Vegni, avete preso il Giro U23…

Per il momento abbiamo preso questa corsa, ora vediamo anche di metterla in piedi. Abbiamo vinto il bando della Federazione, un bando a cui ha preso parte solo Rcs Sport, e ci è dunque stata assegnata la gara. Il bando prevedeva anche il Giro Donne, a partire però dal prossimo anno.

Di questo Giro d’Italia under 23 però non sappiamo molto, cosa ci può dire?

Le date previste dal calendario internazionale vanno dal 10 al 17 giugno, quindi da sabato a sabato, il che ci sembra un po’ assurdo. Stiamo cercando di posticipare tutto di un giorno, quindi 11-18, così da abbracciare due domeniche e coinvolgere più appassionati.

E riguardo al percorso?

E’ impensabile fare un tracciato che copra tutta la Penisola con otto tappe. E’ già complicato col Giro d’Italia dei grandi, figuriamoci con quello under 23 che ha molte meno tappe. La nostra idea pertanto è di fare come in passato e cioè di dividerlo per zone. Quindi fare un anno al Nord, uno al Centro e uno al Sud in modo da accontentare un po’ tutti. 

Dalle pianure alle alte montagne: il prossimo “baby Giro” firmato da Rcs offrirà un percorso completo (foto ExtraGiro)
Dalle pianure alle alte montagne: il prossimo “baby Giro” firmato da Rcs offrirà un percorso completo (foto ExtraGiro)
Non si sa molto, ma il tempo stringe…

Adesso che abbiamo finito le fatiche di Tirreno e Sanremo, stiamo andando al massimo per definire il percorso e il resto del Giro under 23. Posso dire che inizieremo dal Nord, quindi la prossima edizione si svolgerà nelle Regioni settentrionali. E per Nord intendo quell’arco di territorio che va dalla Liguria al Friuli. La Romagna, per dire, la metto al Centro. L’idea in ogni caso è di fare un mini Giro. Ci saranno una crono sicuramente, almeno tre tappe, forse quattro, per velocisti, due o tre tappe di montagna e una o due frazioni di media montagna, adatte ai finisseur, così da offrire un percorso equilibrato.

Anche in questo caso è lei che lo disegna? Che lo tesse?

Sì. E il difficile è proprio quello: abbinare le esigenze sportive e tecniche a quelle dei territori, degli Enti. Chi ci ospita ci dà degli input dei punti da toccare, sta a noi trovare un percorso tecnicamente valido. E anche per questo dico che il più bel Giro è quello che non farò mai! E’ quello ideale che non ha vincoli e solo motivazioni sportive. Ma sappiamo bene che il Giro, qualunque esso sia, ha bisogno di sostentamenti da parte dei territori, degli Enti e noi dobbiamo essere bravi ad adeguarci. E a valorizzarli.

A proposito di grandi salite, lo scorso anno la corsa rosa U23 arrivò sul Fauniera. Quest’anno dove si salirà?
A proposito di grandi salite, lo scorso anno la corsa rosa U23 arrivò sul Fauniera. Quest’anno dove si salirà?
Qualche settimana fa in occasione delle firma per il Grand Depart, a Palazzo Farnese Christian Prudhomme, direttore del Tour, ci ha parlato dell’Avenir con orgoglio. Tenne a sottolineare che il Tour de France era proprietario del Tour de l’Avenir… 

Io credo – e non se ne spiacciano gli amici francesi – che il Giro d’Italia Under 23 sia la manifestazione  al mondo più importante per questa categoria ed è un orgoglio programmare questo evento in quella che è la grande casa di Rcs. Così come lo sarà ideare il Giro femminile il prossimo anno. Ci aspettano momenti molto tirati, di lavoro intenso, ma anche di grandi prospettive per il movimento sportivo italiano.

Si potranno imbastire dei discorsi “tipo pacchetto” (Giro + Giro U23) con le città, zone turistiche che ospitano il Giro dei grandi?

In futuro forse, ma per questa edizione no. Il Giro d’Italia del 2023 era già stato definito quando abbiamo partecipato al bando per quello under 23. Di certo faremo dei Giri under 23 con le prerogative di qualità di Rcs.

Okay direttore, non può dirci nulla del percorso, neanche una città ospitante, ma ci dica almeno se ci sono arrivi in quota? O qualche salita storica, come ad esempio lo Stelvio?

Posso dire che non mancheranno delle salite simbolo, di quelle importanti. E che ci sarà un arrivo in quota sopra i 2.000 metri.

Hopplà, Provini punta sulla forza del gruppo

14.11.2022
5 min
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Se si guarda la classifica per rendimento per team, che tiene conto di vittorie piazzamenti, la Hopplà -Petroli Firenze – Don Camillo risulta al sesto posto. Su cinquanta e passa squadre presenti in Italia sarebbe già di per sé un buon risultato. Ma lo diventa ancora di più quando ad un’analisi più attenta emerge che la squadra guidata da Matteo Provini è la prima U23, cioè una “non continental”.

Matteo Provini con i suoi ragazzi. Per i gialloneri ben 31 podi quest’anno, di cui 10 vittorie
Matteo Provini con i suoi ragazzi. Per i gialloneri ben 31 podi quest’anno, di cui 10 vittorie
Matteo, partiamo da questo dato: prima squadra under 23… Che stagione è stata?

Abbastanza buona nel suo complesso, abbiamo raccolto dieci vittorie, anche se poteva andare anche un po’ meglio. L’abbiamo finita con cinque corridori.

Come mai?

Alcuni hanno avuto problemi fisici, alcuni sono caduti e altri non erano più competitivi. Per esserlo devi supportare determinati carichi di lavoro e di concentrazione per tutto l’anno e non tutti ci riescono. E per chi non ce la fa non ha senso continuare a trascinarsi. Penso ai primo anno provenienti dalla Campania, per loro tra la scuola e il fare avanti e indietro con la Toscana è stato dispendioso. E penso anche a Tommaso Nencini che è caduto in vista delle ultime gare, proprio mentre stava andando forte.

Siete la prima under 23, sesta fra tante continental: è motivo di orgoglio per te?

Di orgoglio, ma soprattutto è motivo di riflessione. In questo momento ci sono grosse differenze fra under 23 e continental. A volte c’è troppa differenza e non condivido il fatto che non possiamo fare alcune corse per i limiti di età. Io aprirei tutto a tutti.

Anche ad un corridore di 27 anni, per dire?

Sì, metterei un limite magari a 26 anni.

Così sarebbe un po’ come tornare al dilettantismo di una volta, con “prima e seconda fascia”…

Esatto e infatti era meglio. Tanto tra chi è competitivo e vincente le squadre dei pro’ andrebbero comunque a cercare i più giovani, ma si darebbe comunque la possibilità a tutti. E poi con questi vincoli attuali ci si chiude ancora di più. Sono limiti per il movimento. Alla fine siamo tutti sulla stessa barca.

Andiamo avanti, Matteo: per il 2023 come vi state attrezzando?

Visto che si rischia di perdere molti corridori strada facendo avremo 15, forse 16, atleti (lo scorso anno erano in 12, ndr). Non abbiamo il fenomeno, ma nel complesso è un buon gruppo di ragazzi che con un buon gioco di squadra possono fare bene e migliorarsi individualmente.

Cosa significa “con un buon gioco di squadra”?

Non abbiamo il miglior passista, il miglior velocista o scalatore, ma se si corre bene si può fare qualcosa. E’ l’unico modo per portare a fare bene chi sta meglio. Mentre se hai il fenomeno il gioco di squadra conta relativamente.

Il vostro corridore simbolo è Tommaso Nencini: passa professionista?

No, resta… con la speranza che sia l’ultimo anno! Tommaso è forte, le qualità le ha. Però deve essere più costante. E’ stato anche molto sfortunato. Nel finale di stagione stava andando forte ed è caduto. A metà stagione, la stessa cosa… Cadute che ogni volta lo hanno costretto a fermarsi per un po’ e a perdere ritmo e tempo.

Ci saranno anche dei primo anno? E su che basi li hai scelti?

Sì, due. Si tratta di Christian Piffer che è un buon scalatore, e Lorenzo Montanari, un passista veloce, ben adatto alle corse toscane. Il primo, altoatesino, viene dalla Pavoncelli Ausonia e il secondo dalla Sidermec-Vitali. Ho preso loro perché ho dei buoni rapporti con alcuni diesse tra gli juniores che sanno consigliarmi bene. Piffer per esempio era con Simone Bartoletti, mentre Montanari, romagnolo, me lo ha consigliato Luca Pacioni che collabora con noi.

Per il 2023 previsti ben 16 corridori
Per il 2023 previsti ben 16 corridori
Il calendario sarà quello tradizionale? Pensi anche a qualche gara all’estero?

Non prometto questo genere di corse, ma ci guardiamo… e se ci fosse la possibilità di andare all’estero perché no? Principalmente faremo il calendario italiano, con le gare nazionali e internazionali e con tutte le corse a tappe: dal Giro d’Italia U23, se lo fanno, al Valle d’Aosta. Anche perché poi con 15-16 atleti bisogna anche farli ruotare.

Prevedi di fare dei ritiri?

Sempre! Sono la nostra chiave di volta. A casa non ci sono la stessa applicazione e dedizione. Avrò i ragazzi dal 20 dicembre. Per adesso non è così necessario: devono fare fondo, pedalare tranquillamente e possono farlo anche da loro. Ma quando ci saranno da fare lavori più intensi e specifici voglio averli con me.

Cambierete qualcosa sul fronte dei materiali?

Passiamo a Guerciotti: ci sta dando fiducia, crede in noi. Ma perdiamo, purtroppo, Pissei per quel che concerne l’abbigliamento. Ma la perdiamo non perché i rapporti non siano più buoni, ma perché hanno altri impegni. Ma ci supporterà Marcello Bergamo. Vorrei invece fare un ringraziamento a Claudio Lastrucci di Hopplá, a Sandro Pelatti di Petroli Firenze e ad Andrea Benelli di Don Camillo, che tra l’altro si sta appassionando sempre di più. Sono davvero importanti perché senza di loro non si va avanti.

Sissio Team: nei dilettanti, come Davide contro Golia

12.10.2022
6 min
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Parliamo spesso di un dilettantismo che volenti o nolenti è sempre più professionistico nel vero senso della parola. Le continental hanno alzato l’asticella, è innegabile. Ma c’è anche chi, ed è la maggior parte delle squadre, continua a vivere la categoria elite-U23 essendo del tutto… elite-U23. Non suona bene, ma il concetto è reso. Pensiamo, per esempio, al Sissio Team.

La società di Pastrengo, nel veronese, è stata un po’ la “cenerentola” dell’ultimo Giro d’Italia U23. Era il team più piccolo per budget e risonanza. Come Davide in mezzo a tanti Golia. E in questi contesti, andare in corsa è doppiamente difficile, soprattutto per i ragazzi. Marco Toffali, team manager, ma potremmo dire factotum del Sissio, ci ha aperto le porte.

Marco, Sissio Team, squadra piccola che lotta tra società ben più attrezzate: come si fa?

Con passione e tanto lavoro. Si fa la formichina. Si risparmia di qua, di là, sopra e sotto e alla fine con l’aiuto degli sponsor si riesce a far quadrare i conti e ad andare avanti.

Rispetto ai maggiori team della categoria avete un budget della metà?

Della metà? Molto meno. Le squadre più note arrivano ad un milione di euro o giù di lì, io faccio la squadra con 100.000 euro. Ma proprio perché faccio tutto io. Certo, ai ragazzi non do uno stipendio, ma un piccolo rimborso a fine mese. Non ho un budget apposta per premi e stipendi come alcune squadre.

Quindi l’attività prima di tutto?

Esatto, prima pensiamo a fare le gare e a farle al meglio. Cerco ragazzi che hanno una grande volontà, che hanno fame, cui i tecnici che hanno avuto prima gli hanno lasciato dei valori. E poi magari grazie al mio aiuto emerge un Martin Nessler della situazione. Lui era stato scartato dal Cycling Team Friuli, è venuto con me e la prossima stagione andrà alla #inEmiliaRomagna (divenuta continental, ndr), che farà un calendario pressoché professional. Lo so da fonti certe. Correranno anche all’estero.

Vincendo a Sommacampagna Nessler ha ottenuto una vittoria in questa stagione per il Team Sissio
Vincendo a Sommacampagna Nessler ha ottenuto una vittoria in questa stagione per il Team Sissio
Come recluti i ragazzi?

Faccio un passo indietro. Il problema del nostro movimento, a mio avviso, sono le continental. Ed è un problema che nasce dall’Uci e dalla Fci che gli va dietro. Uno junior vuole andare in una continental, ma per andarci deve avere almeno 10 punti. Ma tolti quei 5-6 ragazzi che li hanno, trovare uno junior bravo che ha qualche punto per portarlo in una squadra under 23 come la nostra è un terno al lotto. 

Ne hai preso qualcuno?

Per il 2023 ne ho presi tre, ma che fatica… Senza contare che fino a giugno-luglio sono impegnati con la scuola e gli esami. Quindi li hai a singhiozzo. L’unica cosa che puoi fare è introdurli nei metodi di lavoro che richiede la categoria. E questo è un problema che oggi incide moltissimo sul passaggio dei ragazzi tra gli under 23, dove si vuole tutto e di corsa. Quest’anno di juniores ne restano a casa tanti. Siamo una cinquantina di squadre, in media ognuna ne prende un paio, ecco che almeno 150 ragazzi smettono. E molti di questi, che magari sono “discretini” e hanno un minimo di punti, neanche possono fare il terzo anno da juniores.

E allora la soluzione quale potrebbe essere?

Togliere le continental da questa categoria. Le continental sono il primo livello del professionismo. Se la fai è perché hai un minimo di budget e dovresti fare come Stefano Giuliani (della Giotti Victoria Savini Due, ndr) e fare gare da pro’ lasciando spazio a chi è veramente un dilettante. Così tra l’altro lusingano i ragazzi, che attratti dall’essere pro’ e di fare certe corse vogliono andare con loro. Salvo poi prendere legnate. Per me hanno ammazzato la categoria U23. Prendiamo un Riccardo Lucca. Uno bravo come lui ha rischiato di smettere. Passa quest’anno a 25 anni (alla Bardiani Csf Faizanè, ndr), ma con un aiuto enorme da parte del suo procuratore, Fondriest, e altre conoscenze. Si dovrebbe tornare al sistema dei dilettanti di prima e seconda fascia. In questo modo tutti erano presi in considerazione. Invece per 4-5 fenomeni che a 22 anni hanno vinto i grandi Giri è cambiato tutto.  Le squadre dei pro’ vogliono gli juniores. Io invece introdurrei due anni obbligatori di under 23.

Cinque su cinque: da Riccione a Pinerolo, tutti i ragazzi della Sissio hanno concluso il Giro U23
Cinque su cinque: da Riccione a Pinerolo, tutti i ragazzi della Sissio hanno concluso il Giro U23
Torniamo alla tua Sissio. Quest’anno siete andati al Giro: è stato un bel traguardo?

Certo. E devo ringraziare molto Marco Selleri che ha creduto in noi e ci ha dato questa opportunità. Erano due anni che stavamo crescendo. La soddisfazione è stata portare alla fine cinque ragazzi su cinque. Un grazie poi va agli sponsor. Sapendo di questa grande vetrina, raccogliendo 500 euro di qua, 500 euro di là abbiamo messo insieme un budget extra per affrontare questa avventura. Sono amanti di questo sport come me.

Quanti mezzi avete?

Quattro. Un furgone a passo lungo diviso in due settori: davanti c’è la zona dei massaggiatori, con la lavatrice, un piccolo lettino, il frigorifero… e dietro quella dei meccanici, la parte più grande, per le bici, i materiali, gli attrezzi. Poi un secondo furgone da sei posti e due ammiraglie.

Quante corse siete riusciti a fare quest’anno?

Settanta, il record. I ragazzi avevano voglia di correre e ci siamo riusciti. Di solito finivamo con 50-55 gare.

Quanti ragazzi ha in rosa il Sissio Team?

Undici, ma il prossimo anno saranno dieci. I costi aumentano, ma io quelli che ho voglio seguirli al meglio, dargli ciò che serve: una buona bici, delle ruote per le gare, tutto il vestiario…

Chi li segue, hanno un preparatore?

No, faccio tutto io, dalla palestra alle uscite in bici. Come detto, è così che posso portare avanti la squadra. Nel tempo ho messo su una “casina”: 130 metri quadrati con 15 posti letto. Per ottenere qualcosa da loro gli sto “col fiato sul collo”, nel senso che li chiamo, li seguo negli allenamenti, ci parlo… perché solo così, con il lavoro e il controllo diretto, rendono. Altrimenti se deleghi raccogli la metà.

Alfio Locatelli: «A 24 anni, troppo vecchio per passare»

04.06.2022
6 min
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Quanta dispersione di talenti c’è nel ciclismo italiano? Tanta, potremmo dire. Causata sia da U23 che vengono fatti passare troppo presto venendo poi bruciati, sia da ragazzi di 23 anni compiuti che vengono considerati già vecchi. Di Evenepoel ce n’è uno solo, così come di Ballan, che diventano pro’ al sesto anno da dilettante, non ne esistono più. Possibile che non ci sia una via di mezzo? Possibile che non ci sia la pazienza di aspettare la crescita fisiologica degli attuali giovani corridori?

«Si deve distinguere fra chi merita e chi no. Perché al contrario ci sono stati miei amici che meritavano e hanno smesso senza avere la possibilità». Le parole per nulla banali sui giovani espresse la settimana scorsa da Jacopo Mosca ci hanno dato ulteriori spunti di riflessione, oltre che a suggerirci il nome di Alfio Locatelli (nella foto di apertura assieme a Mosca dopo la vittoria della Firenze-Mare del 2015). Uno che, secondo il piemontese della Trek-Segafredo, sarebbe potuto stare tranquillamente in gruppo.

Locatelli nel 2012 corre per la Trevigiani. Qui esulta per la vittoria del GP Città di Felino
Locatelli nel 2012 corre per la Trevigiani. Qui esulta per la vittoria del GP Città di Felino

Il bergamasco di Sotto il Monte, classe ’90, che ha trascorso otto stagioni nei dilettanti, ce lo ricordiamo bene e la chiacchierata con lui non solo è stata l’occasione per sentire la sua opinione, ma anche per rinverdire tante memorie.

Alfio innanzitutto come stai?

Dopo aver smesso nel 2016, l’anno successivo mi sono trasferito in Brianza per lavoro. Ora vivo a Giussano e sono dipendente di un’azienda che produce cartoni per imballaggi e tovaglioli di carta. Sto studiando per diventare massaggiatore e, compatibilmente con gli impegni di lavoro, sono stato a fare un po’ di pratica con la formazione di Matteo Provini (il diesse della Hopplà Petroli Firenze, ndr), con cui sono rimasto in contatto.

Com’è il tuo rapporto col ciclismo?

Sereno, direi. Mi manca l’agonismo e il gruppo degli ex compagni. Ero sul Fedaia alla penultima tappa del Giro, a 3 chilometri dal traguardo, dove avevamo preparato il campari per Formolo (ride, sono stati compagni di squadra nel 2013, ndr), ma è passato a ruota di Carapaz e non ha potuto gustarselo. E pensate che proprio dove ero io, ho trovato Dal Col e Collodel, altri due miei compagni alla Trevigiani. Incredibile dopo tanti anni. Non mi manca invece il modo di fare un po’ falso di alcune persone che ancora orbitano nel ciclismo.

Sei stato nominato da Mosca come uno di quelli che avrebbe meritato di passare pro’. Che effetto ti fanno le sue parole?

Jacopo è un grande amico, abbiamo fatto tanti anni assieme. Sono contento di vederlo come uno dei migliori uomini della sua formazione e del gruppo in generale. Non è lì per caso. Lo ringrazio per il pensiero, mi ha fatto piacere. Con un pizzico di presunzione posso dire che sarei stato un buon gregario. Non avevo paura di prendere il vento in faccia o di andare all’attacco.

Tra i dilettanti hai ottenuto 9 vittorie, alcune importanti. Come mai non sei riuscito a passare?

Una serie di cose, penso. Qualcuno mi rimproverava di non essere costante ma io, anche nelle mie annate migliori, più di così non riuscivo a fare. Qualcuno invece ha riconosciuto che ho avuto avuto anche un po’ di sfortuna. I primi due anni da U23 li ho fatti tra la scuola ed il capire la categoria, poi a 24 anni sono stato giudicato vecchio da un procuratore a cui avevo chiesto aiuto, visto che io non ce l’avevo mai avuto.

E poi com’è andata?

Non l’ho presa bene quella “etichettatura”, sebbene sapessi che quel procuratore stava dicendo una cavolata. Non si può dire così ad un ragazzo che fa sacrifici e risultati, senza sapere nulla e senza contestualizzare. Infatti volevo smettere perché avevo capito che per me non ci sarebbero state altre possibilità. Ho fatto altri due anni con la Viris Vigevano perché un po’ ci speravo ancora e perché mi piaceva fare da “chioccia” ai più giovani, come Ganna, Moschetti, Sobrero, Vlasov e tanti altri. Peccato, mi resta il rammarico di non aver provato a passare e vedere cosa avrei combinato.

La figura del procuratore secondo te quanto può incidere?

Tanto, anche quando fai pochi piazzamenti. Penso al mio ex compagno Enrico Barbin che non ce l’aveva e che nel 2012 con 7 vittorie tutte di altissimo livello pensava di trovare tante squadre, anche fuori Italia, grazie ai risultati. Invece lo cercò solo la Bardiani e dopo i primi anni a prendere mazzate in gara a causa di un calendario minore, divenne più rinunciatario. Noi lo vedevamo cambiato, anche se lui ci ha sempre detto di no. Anche questo aspetto influisce.

Situazioni come la tua continuano a verificarsi. Perché secondo te?

Troppa avidità di certi dirigenti e procuratori. Ed anche la mancanza di lungimiranza. Tutti vogliono prendere chi vince e basta. Ma poi chi è che tira? E credo che bisognerebbe dare un giusto peso alle vittorie. Poi c’è ancora gente che, si sa, porta sponsor e gli vengono spalancate le porte del professionismo. Per me mancano umanità e rispetto. Molti dirigenti, anche tra i pro’, ti promettono tante cose e poi cambiano idea improvvisamente. Non ti prendono oppure, come è successo a qualche mio amico senza fare nomi, ti lasciano a casa senza un reale motivo. Meno male che ci sono anche casi fortunati come quelli di Mosca o Masnada, perché anche lui abbiamo rischiato di perderlo. Ho notato un’altra cosa tra l’altro…

Quale?

Che i flop dei giovani ce li abbiamo solo noi in Italia, nelle nostre formazioni. Sembra che ogni giovane interessante debba raccogliere l’eredità dei grandi nostri corridori. Non si può fare continuamente la caccia al fenomeno. Siamo in balia di questa situazione. Abbiamo tanti buoni atleti, ma nessuno riesce ancora a capire che ogni ragazzo ha la propria maturazione. Ai ragazzi che passano adesso e che non riescono ad andare nel WorldTour consiglio di andare nelle professional estere. Là fanno ritiri come si deve, possono fare un calendario più completo e crescere meglio.

Una soluzione a tutto ciò esiste?

Non lo so. Credo che il dilettantismo italiano vada rivisto o trovato un modello diverso. Purtroppo c’è ancora tanta instabilità economica che condiziona. Alcune gare storiche non ci sono più o sono state ridimensionate. Però credo che alla base di tutto ci vorrebbero nuove figure dirigenziali. Serve un ricambio generazionale e culturale, prendendo spunto dall’estero o dai modelli aziendali. Infine tanta pazienza.

Piganzoli “conquistador” basco, fa le prove per la rosa

13.05.2022
5 min
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E poi c’è Davide Piganzoli che zitto, zitto cresce e mette in cascina anche vittorie importanti. Il valtellinese sta maturando bene nella Fundacion Contador, che poi sarebbe la squadra under 23 della Eolo-Kometa di Ivan Basso e Alberto Contador.

Nel team spagnolo hanno le idee chiare sull’evoluzione dei ragazzi e il fatto stesso che abbiano deciso di non fare troppa altura prima del Giro d’Italia U23 la dice lunga su quella che è l’ottica futura e i margini che lasciano ai corridori. Basso crede molto in questo atleta. E lo sta seguendo proprio come ha fatto (e fa) con Fortunato.

Il lombardo (classe 2002) punta deciso alla classifica del Giro U23 (foto Eolo-Kometa)
Il lombardo (classe 2002) punta deciso alla classifica del Giro U23 (foto Eolo-Kometa)

Ma torniamo a Piganzoli. Lo avevamo visto ben destreggiarsi lo scorso anno a Campo Moro, l’arrivo più duro del Giro U23, lo avevamo poi pizzicato in difficoltà al Val d’Aosta e lo abbiamo ritrovato in rampa di lancio quest’anno, fino a vincere la Bidasoa Itzulia, il Giro dei Paesi Baschi U23.

Davide, hai vinto la Vuelta Bidasoa, che in pratica è il Giro dei Paesi Baschi U23. Inizia ad essere una corsa importante…

Eh sì. Quattro anni fa la vinse Juan Pedro Lopez, il ragazzo che ha preso la maglia rosa sull’Etna. Anche lui tra l’altro veniva dalla Fundacion Contador. Non mi aspettavo di andare così bene e tantomeno di vincere, perché sapevo di stare bene, ma anche che ero in una fase di carico. Avevo lavorato molto sul fondo. Insomma non ero al 100 pr cento. Però si dice che quando non si è al top non si ha niente da perdere.

E come è andata?

Nella prima tappa, che non era per noi, visto che l’arrivo era su uno strappo di un chilometro e mezzo che noi soffriamo, siamo rimasti davanti. Nella seconda, su un percorso nervoso, abbiamo provato a fare qualcosa ma il leader non ha perso un colpo. E nella terza tappa, sull’ultima salita ad un certo punto il leader si è staccato. E anche noi. Però poi lui è andato proprio in crisi vera. E così ci siamo ripresi un po’. Sul falsopiano abbiamo accelerato e in discesa abbiamo attaccato. Siamo andati via e abbiamo guadagnato il margine necessario per vincere.

Davide è migliorato molto nelle fasi intense degli attacchi (foto Instagram)
Davide è migliorato molto nelle fasi intense degli attacchi (foto Instagram)
Continui a parlare al plurale…

Sì, mi riferisco al mio compagno Fernando Tercero. Come detto, non avevamo nulla da perdere e in questi casi salti del tutto o fai qualcosa di buono per davvero. Noi ci siamo detti: proviamo ad attaccare, male che va ci staccano loro.

E adesso l’obiettivo è il Giro d’Italia?

Assolutamente sì. Stiamo crescendo e lavorando per fare il massimo possibile al Giro. Quest’anno non andrò in altura, forse è ancora un po’ presto. Il metodo di lavoro che stiamo utilizzando è due settimane di carico e una di scarico. E in quelle di carico sono comprese anche le corse.

Stai correndo molto in Spagna, che differenze ci sono con il nostro ciclismo?

Se parliamo di pianura, il livello è leggermente più basso. E c’è anche meno nervosismo. E infatti anche prendere davanti le salite è meno complicato. Poi per noi della Fundacion Contador se vogliamo è più facile ancora, perché siamo la squadra faro in Spagna e in qualche modo abbiamo più potere in gruppo. Ma in salita… Il ritmo è più elevato e sono un po’ avanti. Non a caso chi va forte in salita in Spagna, poi è davanti anche tra i pro’. Per esempio, Igor Arrieta al primo anno era con i migliori in salita al Tour of the Alps.  

Piganzoli qualche giorno fa è andato alla scoperta della tappa di Santa Cristina al prossimo Giro U23 (foto Eolo-Kometa)
Piganzoli qualche giorno fa è andato alla scoperta della tappa di Santa Cristina al prossimo Giro U23 (foto Eolo-Kometa)
In cosa può e deve migliorare Piganzoli? Nella continuità? Per esempio, lo scorso anno al Val d’Aosta dopo un grande Giro eri un po’ in difficoltà…

Vero, ma in quella prima tappa ero proprio in “giornata no”. Avevo avuto problemi intestinali e infatti mi ritirai. La costanza ormai non credo mi manchi. Dall’inizio dell’anno, a parte una volta, non sono mai uscito dai primi venti e nelle gare internazionali sono arrivato davanti. Semmai devo migliorare nello sprint. Mi riferisco a quelli a ranghi ristretti. Devo essere più freddo, sgomitare di più…

Okay, ma sei pur sempre uno scalatore: certe doti sicuramente le puoi, e le devi, migliorare, ma ci sono dei limiti fisiologici. Piuttosto con la “botta” sull’attacco? Con quei 20”-30” a tutta come va?

Ecco, su questo aspetto sono migliorato perché ci ho lavorato parecchio. Durante l’inverno ho fatto diversi lavori “on-off” e in gara ne risento di meno. Soffro meno certi scatti.

Davide, sei di Sondrio, anche quest’anno il Giro U23 passa dalle tue parti, sei andato a vedere il Mortirolo, o meglio, il Guspessa?

Sì, ci sono andato giusto qualche giorno fa. Mi sono avvicinato un po’ con la macchina. Prima sono salito all’Aprica. Da lì ho girato, ho percorso la discesa e ho fatto questo versante del Mortirolo. Ho poi continuato fino a Santa Caterina Valfurva e sono tornato indietro in bici. Un bella distanza!

E come ti è sembrato questo valico di Guspessa?

Molto duro e lungo, come me lo aspettavo. Si tratta di una salita che non spiana mai, che durerà sui 40′. Anche se è lontana dal traguardo credo che la selezione avverrà lì.

Ultima domanda: farai qualche assaggio con i “grandi” della Eolo-Kometa?

E’ ancora da valutare, ma da agosto in poi qualche gara da stagista dovrei farla.

Daniel Smarzaro, addio al ciclismo e nuova vita sulla ruspa

02.04.2022
4 min
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Nel momento in cui Daniel Smarzaro risponde alla nostra chiamata scorgiamo su Instagram la frase con la quale ha salutato il ciclismo: “Prima o poi tutto finisce… ciao ciao ciclismo”. Poche parole, ma che inquadrano bene lo stato d’animo di chi, dopo tanti anni, abbandona una compagna di vita: la bicicletta. Daniel è un classe 1997, una delle annate che ha subìto maggiormente lo stop causato dalla pandemia.

La sua voce è profonda, forse un po’ stanca dopo una giornata di lavoro in cantiere. Sì, cantiere, perché Daniel si è subito rimboccato le maniche ed ha iniziato a lavorare (foto Facebook in apertura), ma questo avrà modo di raccontarcelo lui.

Con queste poche e semplici parole Daniel Smarzaro ha salutato il ciclismo
Con queste poche e semplici parole Daniel Smarzaro ha salutato il ciclismo

L’ultimatum e la delusione

«A fine 2020 mi sono dato un ultimatum – dice Daniel – o la va o la spacca. Dopo un po’ è anche giusto concludere, viene anche il momento di farsi una vita. Nel dilettantismo non vivi solamente di ciclismo. Le difficoltà sono tante, ti pagano solamente per 10 mesi all’anno e non tutte le squadre ti danno il rimborso spese».

«La delusione più grande – riprende – è che a fine 2021 avevo anche firmato un contratto per passare in una continental, ma alla fine è naufragato tutto», rimane qualche secondo in silenzio. «Sinceramente non avevo più voglia di riprovare, la batosta è stata troppo forte e non avevo neanche la testa per ritornare tra i dilettanti».

Prima di chiudere con la D’Amico, Daniel Smarzaro ha corso 4 anni con la General Store (foto Scanferla)
Prima di chiudere con la D’Amico, Smarzaro ha corso 4 anni con la General Store (foto Scanferla)

Un mondo difficile

Il mondo del ciclismo è complicato, a volte spietato, non è facile emergere. E per uno che ce la fa, sono tanti quelli che, per un motivo o per l’altro, sono costretti ad arrendersi.

«Il ciclismo è bello quando vinci – continua Daniel – ma sotto sotto non è bello affatto. Non sono rimasto contento delle cose che mi sono successe, soprattutto a livello umano. Anche nel 2020, nella squadra di allora, mi era stato detto che avrei avuto il mio spazio e poi alla fine nulla. Per fortuna ho trovato la D’Amico e con loro c’è stata sincerità immediata. Sono stato chiaro: un anno e poi si vede. Non sono rimasto mai da solo, ho sempre avuto accanto persone che tengono a me, dalla mia famiglia alla mia fidanzata. Quando ho annunciato che avrei smesso, ci sono rimasti peggio di me. Io, ormai, mi ero già fatto una ragione».

Per Daniel anche una parentesi nel ciclocross, qui al mondiale di Valkenburg nel 2018
Per Daniel anche una parentesi nel ciclocross, qui al mondiale di Valkenburg nel 2018

Il rapporto con la bici

La ferita, dalle parole di Daniel, non si è ancora rimarginata. E’ difficile che si possa ricucire un taglio lungo 24 anni in sole 13 settimane. 

«La bici – dice il trentino – non la tocco da quando ho deciso di smettere, anche le corse non le sto più guardando. Ci sono rimasto troppo male. Non escludo che un giorno la riprenderò in mano, ma solo per una passeggiata. I compagni li sento ancora, Lucca soprattutto. Con loro scherzo, ci vogliamo bene ed abbiamo condiviso tante emozioni. E’ incredibile che uno come lui sia ancora tra i dilettanti, ma ci sono tanti elite che non trovano spazio perché considerati vecchi».

Alla Coppa San Daniele del 2020 bella vittoria con uno stato d’animo particolare (foto Scanferla)
Alla Coppa San Daniele del 2020 bella vittoria con uno stato d’animo particolare (foto Scanferla)

Un nuovo capitolo

Daniel ora volta pagina, ha una nuova passione: quella del muratore. 

«E’ una passione che porto avanti da quando ero bambino. Mio zio – spiega – ha una ditta nel paese dove abitava mia nonna, lo vedevo sempre e mi sono appassionato al mondo delle ruspe e dei camion. Ora il mio sogno è quello di diventare escavatorista, piano piano sto imparando e mi sto costruendo una vita».

Pietrobon, un italiano in vetta alla Coppa di Spagna

22.03.2022
4 min
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Andrea Pietrobon, dal Veneto alla Spagna. Il corridore della Eolo-Kometa under 23 con il buon piazzamento di ieri è balzato in testa alla “Copa de Espana” (nella foto di apertura eccolo con la maglia di leader), il circuito più importante del dilettantismo iberico.

Il cadorino si è ritrovato in un ambiente del tutto nuovo. Forse anche un po’ inaspettatamente, ma a quanto pare se la sta cavando alla grande e l’ambiente iberico non è poi così male, anzi… Di certo è un’esperienza che si ritroverà in futuro.

Andrea Pietrobon (classe 1999) in azione in una delle gare della Coppa di Spagna
Andrea Pietrobon (classe 1999) in azione in una delle gare della Coppa di Spagna
Andrea, partiamo da ieri, dal Gran Premio de Primavera Ontur. Come è andata?

È andata bene direi! Il percorso era abbastanza facile, non c’erano queste grandi altimetrie. Ha vinto un mio compagno (Francisco Munoz, ndr) e io ho fatto quarto in volata. E con questo piazzamento sono tornato leader della Coppa di Spagna. Avevo perso la leadership domenica scorsa. Con la squadra puntiamo a vincere la generale. Mancano 7 gare e servono punti. Cercheremo di fare il meglio possibile fino a fine maggio, giugno quando termina la Coppa.

Spiegaci bene come funziona questa challenge…

Sono 11 prove in tutto. Vengono assegnati dei punti a scalare fino al 20°. Chi fa più punti vince. In Spagna ci tengono tanto. E’ l’evento under 23 di maggior importanza, visto che non ci sono molte gare internazionali.

Che differenze hai notato rispetto ai nostri under?

Il livello è un po’ più basso rispetto all’Italia. Da noi credo ci sia il livello più alto d’Europa, o comunque tra i più alti. Da noi ci sono molti team di alto livello e tantissime continental e questo alza molto gli standard. In Spagna le continental under 23 non ci sono e questo fa sì che la qualità sia un po’ meno alta. I primi comunque vanno forte!

E per quel che riguarda le dinamiche del gruppo? Hai notato differenze?

In Italia c’è più nervosismo e per uno sprinter, per esempio, è più difficile prendere le salite davanti. Da noi tutti vogliono imboccare le salite davanti, anche chi non ha le gambe. E per questo ci sono più cadute. In Spagna insomma c’è più “relax” in gruppo.

Che poi loro sono più votati agli scalatori, ai corridori da corse a tappe… Detto ciò, tu cosa ci dici: il prossimo anno entrerai a far parte del gruppo professional della Eolo-Kometa?

Non lo so  e non posso dirlo adesso. Adesso il primo obiettivo è la Coppa, dall’estate farò il possibile per fare lo stagista con la professional. E poi si vedrà…

Andrea con suoi 191 centimetri d’altezza svetta tra i compagni del Gp di Primavera, tutti spagnoli tranne Oioli
Andrea con suoi 191 centimetri d’altezza svetta tra i compagni del Gp di Primavera, tutti spagnoli tranne Oioli
Ieri hai fatto quarto in volata, avevi vinto la cronosquadre al campionato italiano col Cycling Team Friuli. Allora ci chiediamo: che corridore è Pietrobon?

Vado bene sulle salite lunghe, quelle un po’ più regolari. Direi quindi un passista scalatore. In Spagna però faccio anche le volate per due motivi: uno, come ho detto, perché il livello essendo meno estremo che in Italia mi consente di farle: è un po’ meno difficile. E poi perché cerco di raccogliere più punti possibili per la Coppa. 

Ma non sei esperto di volate…

Diciamo che in passato tra Zalf Euromobil Fior e CTF a Dainese, Lonardi, Milan le tiravo io. Adesso mi sto adattando alle volate.

E della mentalità spagnola cosa ci dici?

I nostri preparatori sono bravi. Fanno le cose giuste. Alla fine devo dire che tutto è molto simile a quanto si faceva nel CTF. Entrambe curano molti aspetti. Sono molto attenti ai giovani. Ci dicono bene del riposo, dell’alimentazione, dello stile di vita migliore per fare per attività fisica. Sì, cambia poco. Sono due squadre simili, due team buonissimi e preparati.

Parlaci della Spagna: cosa ti piace?

In generale mi piace il modo di vivere, sia con lo staff, che con i compagni. Devo dire che sono molto gentili, calmi e ci tengono a me. Già questo inverno mi hanno aiutato nelle difficoltà.

Andrea Pietrobon è al primo anno nella Eolo, o più precisamente nella Fundacion Contador Team
Andrea Pietrobon è al primo anno nella Eolo, o più precisamente nella Fundacion Contador Team
Quali difficoltà?

Ho avuto dei problemi fisici già sul finire della scorsa stagione e loro mi hanno aiutato nel lasciarmi riprendere con calma. Problemi che non mi hanno più consentito di andare forte. Sarei dovuto andare nella professional ma abbiamo poi deciso che sarei rimasto nella under 23.

La Eolo-Kometa è un po’ spagnola, appunto il team giovanile, e un po’ italiana, la professional: adesso quindi fai la spola con la Spagna…

Esatto, qualche volta resto lì una settimana, altrimenti faccio avanti e indietro. Parto il venerdì e rientro il lunedì. Faccio da Venezia a Madrid, dove abbiamo la casa della squadra e da lì ci muoviamo per il resto della Spagna. 

E cosa ti piace di questa Spagna?

Beh, il mangiare non è male. L’Italia è al primo posto chiaramente per quel che riguarda il cibo, ma rispetto a tanti altri Paesi qui non ci si può lamentare. La “tortilla de papas” è il mio piatto preferito. E poi apprezzo la gentilezza delle persone e il loro calore.