In Francia, si sa, mettono l’accento su tutto, ma il loro attuale campione nazionale potrebbe essere tranquillamente quello italiano. Il nome tradisce le sue radici: Remi Cavagna – che il 10 agosto ha festeggiato il suo 26° compleanno – pedala forte con un pizzico di sangue del nostro Paese.
Lo abbiamo avvicinato in Polonia per capire meglio le origini e le caratteristiche dell’atleta della Deceuninck-Quick Step.
Remi come sta andando il Tour de Pologne?
Sta andando bene finora con due vittorie di Joao (Almeida, ndr) che guida anche la generale. Per me è davvero bello anche se non ho ancora vinto. Dobbiamo scegliere ogni tanto perché abbiamo lui che è leader, ma avrò una buona opportunità nella crono domattina e vedremo come andrà.
Al Polonia ha lavorato per Almeida, pensando alla crono del penultimo giornoAl Polonia ha lavorato per Almeida, pensando alla crono del penultimo giorno
Appunto, la crono di Katowice di 19 chilometri dove tu sei uno dei favoriti. Immaginiamo sia il tuo obiettivo di questa corsa.
Sono molto motivato, mi sento forte e in buona forma. Lo mostro ogni giorno qui lavorando per il team fino ai finali di tappa. Penso che sia una delle prime volte che mi sento gambe come adesso e la crono è davvero una grande occasione su una giusta distanza. Guardavo già a questa cronometro da tempo perché ho fatto le Olimpiadi e a Tokyo non è andata bene (ha disputato sia la prova in linea, senza finirla, sia contro il tempo chiudendo al 17° posto, ndr) come invece al campionato francese. Volevo una rivincita e posso rifarmi a Katowice.
A proposito di cronometro. Quest’anno al Giro d’Italia hai fatto secondo dietro Ganna nell’ultima tappa a Milano. Senza quella caduta avresti vinto? Raccontaci quell’episodio.
No, ho fatto il mio massimo. In quella ultima curva sono arrivato molto forte, a blocco. E così a cinque metri dalla caduta stavo ancora pensando a quando arrivava la curva per girare a sinistra. E’ stato un mio errore. Mi sono alzato da terra subito perché volevo riguadagnare il tempo per vincere. Ho perso per dodici secondi che sono niente, ma Ganna ha bucato ed io sono caduto, quindi è stato uguale.
Nella crono di Milano del Giro, Cavagna è finito secondo a 12″ da Ganna, malgrado una caduta rovinosaAncora al Giro era in fuga verso Cittadella, prima che su di lui arrivasse BettiolNella crono di Milano del Giro, Cavagna è finito secondo a 12″ da Ganna, malgrado una caduta rovinosaAncora al Giro era in fuga verso Cittadella, prima che su di lui arrivasse Bettiol
Tu hai un cognome italiano. Raccontaci le tue origini italiane, che dovrebbero essere bergamasche, e che legame hai con l’Italia.
Si, mio padre e mio nonno vengono dall’Italia, da un piccolo paese vicino a Bergamo. Non ricordo il nome, non ci sono mai stato, ma è vicino a Serina (il paesino è Lepreno, ndr). Sono stato lì attorno col Giro d’Italia, ma non conosco la famiglia. Ci sono molti Cavagna nella zona, potrei organizzare qualche giorno di allentamento lì e in quella occasione incontrarli, sarebbe fantastico. Anzi farei un giro in bici, mi fermerei per prendere un caffè e poi proverei a cercare la casa.
Vai forte a crono, hai vinto già qualche semi-classica al Nord ed una tappa alla Vuelta nel 2019. Che tipo di corridore è Remi Cavagna? Cosa vuol fare da grande?
Cerco di essere veloce e di arrivare in tempo come il mio soprannome che è TGV, ma ogni tanto anche quel treno in Francia arriva in ritardo (ride, ndr). Mi piace la salita, pedalare forte in pianura nelle cronometro ma non sono uno sprinter. Cerco di allenarmi sulle montagne perché posso diventare un corridore più completo. Un giorno mi piacerebbe vincere qualche vera classica e sarà bello scoprire una gara come il Fiandre. Potrei essere un corridore adatto a piccole gare a tappe come la Parigi-Nizza, sarebbe bello vincerla. Questi sono i miei obiettivi.
Al Romandia di quest’anno, ancora campione nazionale della crono, Cavagna ha vinto quella di FriburgoAl Romandia di quest’anno, ancora campione nazionale della crono, Cavagna ha vinto quella di Friburgo
La gara che vorresti vincere?
I mondiali a crono sono uno dei miei principali obiettivi di fine stagione. Vincere la crono di Katowice mi darebbe tanto morale e tanta confidenza. Certo, dovrò avere la buona forma di adesso.
Per l’anno prossimo hai già rinnovato il contratto con la Deceuninck o vuoi avere più spazio in un’altra squadra.
Questa è buona domanda, ma dovrete attendere le prossime notizie (a microfoni spenti ce lo ha detto, aspettiamo e rispettiamo il comunicato ufficiale, ndr).
Tour de Wallonie, seconda metà di luglio. Una corsa a tappe per velocisti e pesi massimi, tanto che il campione uscente era Arnaud Demare.La prima tappa va a Dylan Groenewegen. Il giorno dopo ecco che ad alzare le braccia al cielo è Fabio Jacobsen. Il quarto giorno il Jumbo concede il bis, il quinto ribatte il colpo il Deceuninck. Una coincidenza più che particolare. I due olandesi sono tornati a gareggiare insieme quasi ad un anno di distanza dal “fattaccio” (era il 5 agosto) e anche stavolta si sono rincorsi in qualche modo. In realtà si erano già incrociati al campionato nazionale, ma senza nessun acuto da parte di entrambi.
La caduta al Giro di Polonia. I destini dei due iniziano a incrociarsiLa caduta al Giro di Polonia. I destini dei due iniziano a incrociarsi
Il fattaccio
Ricordiamolo il fattaccio. Giro di Polonia. Su un arrivo che già si sapeva essere pericoloso, l’olandese in volata commette una scorrettezza. Dylan stringe verso la transenna Fabio che cade rovinosamente a terra. A terra ci finisce anche il corridore della Jumbo-Visma. Il problema è che quello della Deceuninck-Quick Step prima di toccare l’asfalto tocca (toccare è un eufemismo) le transenne e il cielo. Schizza talmente veloce che comunque la vittoria è sua.
Subito divampa la polemica e i fucili sono tutti puntati sul Groenewegen, il “cattivo”, l’orco. Lui si rompe clavicola e riporta varie contusioni. Jakobsen finisce in coma, ha fratture multiple ovunque e persino sul volto, perde i denti. Lefevere, team manager della Deceuninck, vuole denunciare Groenenwegen.
Col tempo le polemiche non si smorzano poi tanto. Sembra, che Jakobsen volesse anche tendere una mano verso il rivale, ma che proprio Lefevere volesse tenere alta la tensione anche in ottica di un risarcimento. Groenewegn è squalificato dall’Uci, si dichiara colpevole. In pochi però puntano il dito sul perché le transenne si siano aperte, perché non erano state messe a norma. Perché Groenewegen avrà anche sbagliato, ma alla fine non ha fatto una scorrettezza più cattiva di tante altre che si sono viste in passato. Di certo gli effetti su Jakobsen gli hanno remato contro. Alla fine anche i colleghi velocisti, pur ammettendo che non sia un simpaticone, dicono che non è un ragazzo cattivo. E per vincere non ha bisogno di certi gesti.
Fine di un incubo per Groenewegen, la 1ª tappa del Wallonie è suaFine di un incubo per Groenewegen, la 1ª tappa del Wallonie è sua
Il ritorno di Dylan…
Ma torniamo al presente. Quel giorno ad Heron, dopo 185 chilometri di su e giù, Dylan mette in fila tutti.
«È un grande sollievo sapere che adesso sto bene e che so ancora vincere – disse Groenewegen – Ho attraversato un lungo momento molto difficile. In più ho corso pensando a mio nonno, scomparso da pochissimo. La squadra è stata molto importante perché mi ha aiutato oggi e anche nei quei mesi meno belli».
«Avevo ripreso a correre al Giro d’Italia e oltre a soffrire molto per mancanza di ritmo, nelle prime gare, ma anche nelle prime uscite in bici dopo l’infortunio, pensavo all’incidente tutto il giorno e tutto il giorno risentivo il rumore di quella caduta. E’ stato uno shock».
E 24 ore dopo, eccolo “gioire” per il successo di Jakobsen. «Fabio merita questa vittoria. Vederlo vincere è un sollievo, provo ammirazione per lui. Sono felice di poter correre di nuovo contro». I destini sono ufficialmente incrociati adesso.
Jakobsen vince la 2ª tappa del Wallonie e torna anche lui al successoJakobsen vince la 2ª tappa del Wallonie e torna anche lui al successo
E quello di Fabio
E Jakobsen? Come accennato Fabio è stato meno “caloroso” rispetto all’olandese. Almeno in pubblico. Vuoi perché veramente non abbia digerito la cosa (e sarebbe più che comprensibile), vuoi perché queste sono le direttive del team, ma ha teso meno la mano rispetto a Groenewegen.
«Non ho parole per descrivere questo momento – ha dichiarato l’atleta della Deceuninck dopo il suo successo – Non so quanta gente devo ringraziare: medici, fidanzata, famiglia, squadra, amici… Questa vittoria è anche loro. Sono contento di essere tornato velocista».
Jakobsen era rientrato alle gare e questa era la prima volta che ritrovava in corsa Groenewegen. In realtà la seconda, un primo approccio c’era stato al campionato nazionale olandese.
Entrambi hanno sottolineato il fatto di aver ritrovato lo sprinter che era in loro. Segno che anche questi mostri di potenza hanno le loro insicurezze, le loro fragilità.
Adesso si attende una volata tra i due, un testa a testa. Quello sì che sarebbe la vera chiusura del cerchio. Magari già oggi nella Heylen Vastgoed Heistse Pijl, ennesima gara belga per ruote veloci… e destini incrociati.
Le performance di Vingegaard superiori a Roglic possono spaccare la Jumbo Visma. Con Garzelli ripassiamo situazioni simili, per capire come potrebbe finire
La seconda vita di Mattia Cattaneo, s’è già detto, è iniziata con l’approdo alla Deceuninck-Quick Step. E se il 2020 ha avuto come per tutti il freno del Covid, la stagione in corso sta mostrando il bergamasco sotto una luce finalmente limpida. Il Tour de France concluso in dodicesima posizione, con il secondo posto di Tignes, il quarto di Quillan e le due crono in crescendo – 8° a Laval, poi 6° a Saint Emilion – lo hanno riproposto all’attenzione del grande gruppo come fu alle origini quando ci mise piede. Il terzo posto al tricolore di Faenza unito agli altri bei risultati di stagione nella specialità hanno detto chiaramente che il rapporto fra Mattia e il cronometro sta tornando quello di un tempo. E la cosa genera interesse. Perché abbiamo fatto l’occhio con Ganna e Affini (al lusso ci si abitua presto), ma ritrovare fra i migliori un atleta che sa anche difendersi sulle grandi montagne suona decisamente insolito. L’ultimo a ben vedere è stato Nibali.
Nel 2011, anno in cui vince il GiroBio, partecipa al tricolore crono di Paternò, in Sicilia
Alle origini della passione per le crono, c’è il lavoro con Rossato
Nel 2012 è stagista con la Lampre, ma corre i mondiali crono U23
Nel 2011, anno in cui vince il GiroBio, partecipa al tricolore crono di Paternò, in Sicilia
Alle origini della passione per le crono, c’è il lavoro con Rossato
Nel 2012 è stagista con la Lampre, ma corre i mondiali crono U23
«Penso di aver sempre avuto una predisposizione per la crono – racconta – sin da quando ero allievo, ma con Rossato al tempo della Trevigiani ho iniziato a lavorarci bene. Mi piace tutto. Sia lo sforzo solitario, sia tutto il lavoro che c’è dietro su posizione e materiali. La bici da crono la uso regolarmente un paio di volte a settimana, anche tre se c’è da preparare un appuntamento. Non la mollo neppure a dicembre, ci lavoro molto. Faccio esercizi per la posizione, anche a secco…».
La usi due volte a settimana, facendo cosa?
Se esco due volte, il primo faccio lavori specifici per tre ore, tre ore e mezza. La seconda volta faccio un’ora e mezza sulla bici normale e un’ora e mezza su quella da crono. Sono fortunato perché ho una buona posizione di base, anche se arrivato in Deceuninck ho cambiato parecchio per trovare la miglior aerodinamica.
Specialized ci lavora parecchio.
C’è tanto lavoro che non si vede, giornate intere a fare aggiustamenti della posizione e prova di materiali. La nostra è una delle bici più veloci, per cui anche noi dobbiamo imparare ad assecondarla.
Al Tour di quest’anno, ottavo nella crono di Laval
A Laval, percorso duro e ugualmente media di 51 per Pogacar
Allo Svizzera del 2021 invece è arrivato 3° nel prologo, dietro Kung e Bisseger
Al Tour di quest’anno, ottavo nella crono di Laval
A Laval, percorso duro e ugualmente media di 51 per Pogacar
Allo Svizzera del 2021 invece è arrivato 3° nel prologo, dietro Kung e Bisseger
Sei uno che il salita tira il rapporto, si dice invece che a crono si debba puntare sulla frequenza…
Ma io pedalo allo stesso modo, mai super agile. E poi la crono dura al massimo un’ora, in cui devi dare tutto. Su strada non metterei mai il 58, a crono ormai è la regola.
E’ una bici comoda?
Dipende da cosa intendiamo per comodo, ma direi che non lo è particolarmente. Stare in posizione è difficile, però dipende anche da quanto sia estrema. Per questo faccio tanti lavori giù dalla bici, allenandomi per stare stretto con le spalle. La mia posizione comporta tanto stress, ma se ti alleni, starci sopra diventa più facile.
Si dice che se sei scomodo non rendi al massimo.
Dipende da quale obiettivo hai. Se sei Cavendish e dalla crono non hai niente da pretendere, ci sta che cerchi una posizione comoda. Se parti per stare davanti, difficile che tu possa essere anche comodo. Puoi cercare una via di mezzo, ma dipende dai corridori. E’ molto soggettivo. Gente come Kung o Roglic va fortissimo, ma non credo siano comodi.
Al Giro di Svizzera 2014, 10° in entrambe le crono. Posizione più lunga dell’attuale e di quella alle origini da U23Al Giro di Svizzera 2014, 10° in entrambe le crono. Posizione più lunga dell’attuale e di quella alle origini da U23
Se è così estrema, come si fa a cambiare posizione durante un Giro?
E’ il motivo per cui durante la settimana passo spesso da una bici all’altra. Dipende da quanto ti alleni. Mi cambia poco. Sento che ho una posizione diversa, ma non mi stravolge. Per fortuna sono piuttosto flessibile, perché a parte la lunghezza delle pedivelle che resta quella, le altre misure e gli angoli sono tutti diversi.
Hai raggiunto il top della posizione o ci lavorerai ancora?
Sono previsti dei lavori e degli studi per migliorare ancora. Penso che cambierò ancora qualcosa. Lavorerò sui materiali, ci sono interventi da fare.
Vai meglio nelle crono secche o in quelle nelle corse a tappe?
Sembrerà strano, ma vado meglio nei giri, forse grazie al fatto che recupero bene. Nella crono secca sono meno performante, ma sono migliorato tanto. Al prologo dello Svizzera, ad esempio, sono arrivato terzo ed era come fosse una crono secca.
Nel 2017 arriva quinto al tricolore crono di Moscon. La posizione è più raccolta, le braccia più inclinate verso l’altoNel 2017 arriva quinto al tricolore crono di Moscon. La posizione è più raccolta, le braccia più inclinate verso l’alto
Ci sono dei rituali prima di una crono?
Certo, sempre uguali. La mattina provo il percorso il più lentamente possibile. Memorizzo le curve, cerco di capire quali si possono fare forte e quali sono pericolose, quelle da fare in posizione e quelle in cui frenare. Poi mangio sempre le stesse cose e mi scaldo allo stesso modo.
Come ti scaldi?
E’ sempre uguale e in base alla lunghezza della crono metto o tolgo qualcosa. Faccio ripetute, qualcuna in più se la crono è breve, di più se è lunga. La base è identica e mentre mi scaldo bevo soltanto acqua, niente sali. E cerco di mangiare poco. Nelle crono voglio essere vuoto.
Perché?
Perché faccio fatica a digerire, per questo mangio poco, sennò sto male. Né gel né sali, solo acqua. All’italiano, Bramati mi diceva di prendere la borraccia, ma ho finito la gara senza bere un sorso.
Non c’è rischio di calare restando così vuoto?
Forse un minimo calo l’ho avuto all’italiano, ma impercettibile e perché era caldo a quel modo.
Quando ti scaldi ascolti musica?
Sempre la stessa, di solito musica dance o comunque ben ritmata. Non riuscirei a scaldarmi con la lirica, però magari qualcuno lo fa.
In Francia ha diviso la stanza con Cavendish: qui il giorno della prima vittoria
Oltre ad andare forte nelle crono, al Tour 2021 si è piazzato ed è andato forte in salita. A proposito di origini…
In francia ha diviso la stanza con Cavendish: qui il giorno della prima vittoria
Oltre ad andare forte nelle crono, al Tour 2021 si è distinto anche in salita
Ruote?
Sempre le stesse, ma mi rendo conto di essere particolare anche in questo. All’inizio del Tour sono venuti a chiedermi che ruote e che copertoni volessi per la prima tappa, gli ho risposto che avrei usato le stesse cose per tutto il Tour. A crono è lo stesso. Lenticolare dietro e alto profilo davanti, a meno che non ci sia tanta salita e allora si può valutare l’alto profilo anche dietro, per un fatto di peso.
Ti sarebbe piaciuto andare alla crono di Tokyo.
Mi sarebbe piaciuto molto, ma i tempi della convocazione probabilmente lo hanno impedito.
Ti piacerebbe andare al mondiale?
Mi piacerebbe riuscire a guadagnarmi la convocazione per una cronometro. E’ un’aspirazione che ho da un po’, ma adesso è supportata da qualche bella prestazione. Sarei quasi più contento di arrivare in azzurro per la crono che per la gara su strada…
Niente da dire. Dopo il bel Tour a Tokyo ci sarebbe stato bene davvero, ma la tagliola olimpica che prevedeva la consegna dei nomi entro il 5 luglio lo ha tagliato fuori. Ha davanti Ganna e Affini. Eppure su un percorso duro come gli ultimi, anche Cattaneo avrebbe potuto dire la sua. Rivederlo forte e motivato come ai bei tempi fa pensare che crescerà ancora. E allora il ritorno alle origini sarà davvero completo.
Quando l’avete conosciuto Cavendish? Se siete arrivati al ciclismo di recente, davanti alle nuove vittorie potreste avere qualche curiosità o peggio ancora dei dubbi. Se nel ciclismo ci siete da più tempo, allora magari ricordate quel ragazzino tondetto che nel 2007 sbarcò su strada dopo grandi successi in pista, che nel 2008 iniziò il suo personale viaggio nel Tour e l’anno successivo vinse la Sanremo.
Pochi sorrisi nel 2020 con la Bahrain-Merida: non è più lui. Il viaggio è alla fine?Pochi sorrisi nel 2020 con la Bahrain-Merida: non è più lui. Il viaggio è alla fine?
Guida italiana
Lo guidava Valerio Piva, che più di altri capì il modo di seguirlo, dosando bastone e carota, facendo in modo che dai suoi occhi non se ne andasse la fiamma rabbiosa e istintiva d’ogni volta che mirava un traguardo. Il primo Tour inaugurò il grande palmares, ma soprattutto gli cambiò la pelle. Prese il velocista abituato alle mischie solitarie dei velodromi e lo trasformò nel finalizzatore del treno vincente.
«Il fatto di aver sofferto ogni giorno per arrivare a Parigi – disse Piva – lo ha asciugato ed ha evidenziato l’ottimo recupero. La sua grande forza è la rabbia di quando si mette in testa qualcosa. Al Tour ha imparato a stare a ruota e a fidarsi dei passisti della squadra. Se è motivato, sa soffrire e anche se fa una fatica bestiale, non molla di certo».
Dopo le 4 vittorie al Tour del 2008, arrivano le 6 del 2009: il treno Htc è inarrestabile. Il viaggio è iniziatoDopo le 4 vittorie al Tour del 2008, arrivano le 6 del 2009: il treno Htc è inarrestabile. Il viaggio è iniziato
La sua storia
Quello che vi proponiamo è un viaggio per sunto in alcuni momenti del Cavendish-cammino attraverso il ciclismo, attraverso il momenti e le sue frasi. Affinché si capisca che l’atleta abulico e demotivato degli ultimi anni non fosse lui e abbia pagato piuttosto il fatto di non essere al centro di un progetto. Un po’ come accadde nei giorni del Team Sky, quando gli venne anteposto Wiggins e non gli restò che andarsene.
Sono 5 le vittorie del 2010 al Tour. Seguono anche 4 alla VueltaSono 5 le vittorie del 2010 al Tour. Seguono anche 4 alla Vuelta
Volate da dietro
Quando nel 2008 parlava di cosa sia una volata, Mark aveva 23 anni e viveva in Italia, portato e supportato da Max Sciandi, in quel fantastico progetto che fu la base italiana della nazionale britannica.
«La volata – diceva – è un fatto di centesimi, un battito di ciglia. Quando mi alleno, faccio degli sprint molto più lunghi. Ma quando mi trovo a fronteggiare uomini potenti come Bennati, uscire all’ultimo è una necessità e uno spasso. Non potrei farlo prima, perché non ho la loro potenza. Esco alla fine perché sfrutto la scia. La pista mi ha dato il colpo d’occhio e l’agilità che servono. In quei momenti non si pensa. Però ricordo ogni sprint al rallentatore. Vedo il punto in cui parto, il momento in cui vengo chiuso, il perché non vinco».
Pista docet
«Sono sempre molto motivato e non sento stress, anche se può essere pericoloso. Vorrei dire a chi mi accusa di essere incosciente, che noi pistard sappiamo calcolare tutto in modo molto più veloce. Ci sta anche che venga una caduta, ma il più delle volte non è colpa nostra. L’anno scorso ero nessuno, poi ho cominciato ad allenarmi sul serio ed ho avuto una squadra tutta dedicata a me. Puoi essere il velocista più forte del mondo, ma se non hai dei compagni che ti tengono al coperto sino al finale, non vai da nessuna parte. Se ho un treno, io non perdo».
Sulla via per i Giochi di Rio 2016, vince con Wiggins a Londra il mondiale madisonSulla via per i Giochi di Rio 2016, vince con Wiggins a Londra il mondiale madison
Lampo a Sanremo
Nel 2009 vinse dunque la Sanremo, di cui aveva sentito parlare senza averne mai potuto annusare il profumo. Fu Piva a decidere che fosse pronto per debuttare. E lui vinse e fece la storia. Sul traguardo, dettaglio già visto in questi giorni al Tour, scoppiò a piangere.
«Perché piango? Perché ho conquistato un monumento. Altre due volte in vita mia mi era capitato di piangere per una vittoria. Nel 2005, a Los Angeles, quando ho vinto il primo mondiale dell’americana a diciannove anni. L’anno scorso al Tour, a Chateauroux, quando ho vinto la mia prima tappa: ma mi trattenni e piansi in camera da solo. Nessuno pensava che potessi tenere su questa salite. Ma il punto alla Sanremo non è chi sia il miglior scalatore, ma chi sia il più veloce dopo averle lasciate indietro. Alla fine io avevo le gambe per sprintare. Zabel (che in quella Htc Highroad era una figura di riferimento per i velocisti ed è con lui nella foto di apertura, ndr) mi ha regalato il braccialetto che aveva al polso quando vinse la prima Sanremo e credo che non me lo toglierò finché campo…».
Lo stress del velocista
«La gente pensa che il velocista stia lì seduto tutto il giorno ad aspettare la volata, nessuno si rende conto di quanto stress ci sia nel finalizzare in duecento metri un giorno di lavoro di tutta la squadra. Mi sono allenato su dislivelli da scalatore, ma non volevo perdere la velocità di gambe che mi viene dalla pista. Non è solo un fatto di soldi e fama, è utile alla mia carriera. Forse senza la pista non avrei potuto vincere la Sanremo e questi sono dettagli che non si possono trascurare. Mi piace vincere in pista, mi piacciono le tappe e mi piacciono le classiche. La differenza è che se vinci solo tappe, sei un grande sprinter. Se invece vinci una classica sei un grande corridore. Ho vinto la Sanremo, sono un grande corridore».
Sul traguardo della Classicissima 2009 batte così Thor Hushovd. Ha 23 anni ed è già nella storia del ciclismoSul traguardo della Classicissima 2009 batte così Thor Hushovd. Ha 23 anni ed è già nella storia del ciclismo
Troppi rischi?
Poi forse da un lato cominciò a pensare di poter fare in volata quel che voleva. Mentre gli altri, stufi di essere infilati, cominciarono a dire che alcune vittorie derivassero da condotte non sempre corrette. In qualche caso avevano ragione, in altri fu soltanto il pretesto per minarne la sicurezza.
«Sono consapevole che se non sono al massimo – ammise all’inizio del 2011 – divento nervoso, impreciso, rischio troppo. Il 2010 è stato il miglior momento di apprendimento della mia vita professionale. Ed è valsa la pena mangiare tanto fango, se questo impedirà che le stesse cose accadano ancora. La mia personalità la criticheranno sempre, ma l’anno scorso hanno messo in dubbio anche la mia capacità di andare in bici e questo mi ha fatto infuriare. Voglio un altro 2009, quando la gente non criticava il mio modo di correre e nessuno si sognava di dire che fossi un pericolo. Perciò adesso butto giù qualche chilo e poi vediamo. Se sto bene e sono sicuro di me, in volata sono il solito Mark. Corretto, ma bravo a guidare la bici. Me l’ha insegnato la pista. Fare quel che può giovarti senza danneggiare gli altri, purché gli altri non prendano paura. Se vedo un varco, io entro. Se vedo uno che rimonta, non sto a guardarlo. Il velocista vero è così. Basterebbe solo che nelle volate si buttassero solo quelli capaci di farle».
Al Tour del 2012, l’amico Wiggo gli tira tre volate, ma la storia d’amore con Sky si interrompeAl Tour del 2012, l’amico Wiggo gli tira tre volate, ma la storia d’amore con Sky si interrompe
La maglia iridata
Il chiodo del peso. Piva lo ricorda bene e a riguardare le foto di fine 2020, quando si infilò per la prima volta in una maglia della Deceuninck-Quick Step proprio il peso parve il primo grosso ostacolo da superare. Ma se in passato l’assenza di stimoli lo rese impossibile, il cambio di passo con il team di Lefevere ha eliminato anche l’ultimo scoglio. E il team resta centrale nelle sue vittorie. Come quando nel 2011 vinse il campionato del mondo.
«Siamo stati perfetti – disse dopo il traguardo – perfetti e cattivi. Avevamo otto dei più forti corridori al mondo ed era la prima volta che correvamo assieme. Sono stati incredibili. Avevamo solo paura di non bastare per fare tutto il lavoro. E io non potevo fare altro che stare lì seduto e sperare che i ragazzi riuscissero a correre più in fretta della loro ombra. Ed è quello che hanno fatto. Hanno preso in mano la corsa dalla partenza all’arrivo e mi hanno permesso di vincerla. Avevo chiesto di avere tre uomini davanti nell’ultima curva, ma erano così sfiniti che me ne sono bastati due: Stannard e Thomas. Non potevo accampare scuse e quando ai 150 metri ho visto un varco, mi sono buttato dentro. Io non potrò mai vincere la maglia gialla, quindi in termini ciclistici, questa maglia iridata è la più grande vittoria che potessi sperare di ottenere».
Campione del mondo a Copenhagen 2011: «Ho trovato un varco e mi sono infilato»Campione del mondo a Copenhagen 2011: «Ho trovato un varco e mi sono infilato»
Il metodo belga
Eppure il presunto idillio con Sky si infranse contro le mire del team sul Tour. Quello del 2012 gli portò sì tre tappe, ma fu vissuto a margine della grande organizzazione necessaria per portare Wiggins alla maglia gialla. E fu così che Cav intraprese un’altra tappa del viaggio e approdò alla Omega Pharma-Quick Step.
«Chi vuole vincere la maglia gialla – disse all’inizio del 2013 – ha l’obbligo di puntare tutto su quello. Chi invece vuole vincere tante tappe con un velocista ha l’obbligo di mettergli attorno un gruppo di uomini che possa aiutarlo. In questa squadra ho riscoperto il concetto di allenamento di una squadra belga, che è: “Vai, duro, non fermarti”. Poi avrò un treno per il Tour. Infine è evidente che Sky è un modello di efficienza, dove ogni cosa è al suo posto, ma dove in compenso è tutto un po’ freddo. All’Omega Pharma invece c’è ugualmente grande professionalità, ma al contempo si vive più rilassati. Di là l’ordine è una mania, qui una necessità con cui convivere. Sono due filosofie diverse e ci sono corridori che fanno fatica ad adeguarsi all’una o all’altra, per me invece non fa differenze.
«Sono molto motivato e durante l’inverno non mi sono allenato come al solito, mi sono concesso il lusso di stare più tranquillo e questo paradossalmente mi ha dato una condizione migliore. In passato capitava che ingrassassi e poi mi restavano venti giorni per dimagrire e trovare la gamba. Diventava tutto uno stress, iniziavo la stagione arrabbiato e non era bello».
Nel 2013 ha lasciato Sky e con la Omega Pharma vince 2 tappe al TourNel 2013 passa alla Omega Pharma e vince 2 tappe al Tour
Il buio del 2020
Chissà che cosa ha pensato quando lo scorso anno al Team Bahrain-Merida approdò quello stesso Rod Ellingworth che aveva costruito il grande ordine di Sky. Si dichiararono amore in partenza, ma Cavendish non riuscì mai a farsi trovare pronto per correre. E quando i giorni del Tour si avvicinarono, si rese conto che il progetto di portarlo per attaccare il record di Merckx si era dissolto o forse non aveva mai preso forma.
Il resto è storia dei nostri giorni. Chi lo ha vissuto da vicino lo scorso anno parla di miracolo e forse lo è. Resta da chiedersi se nel gestirlo tutti abbiano voluto conoscerlo a fondo, capendo che forse non era di una tabella che avesse bisogno, ma di semplice e spesso sottovalutata fiducia.
Dopo aver giocato di squadra nell'apertura belga, questa volta il campione del mondo proverà a fare corsa per sé. Bisogna essere furbi. Le gambe ci sono.
Livigno è là in basso e brulica di turisti e biciclette. Ci sono stradisti e biker da tutte le parti e un senso di ripresa del turismo che sta riportando il sorriso sul volto degli albergatori e dei gestori dei locali. Anche se, ad onor del vero, quassù d’estate si è sempre lavorato. L’inverno invece è stato un pianto, con gli impianti chiusi e le attività fortemente limitate. La Deceuninck-Quick Step ha preso parecchie stanze all’Alpen Village, che sorge al secondo tornante della strada che sale al Foscagno. E mentre fuori lavorano alla terrazza, nel retro della grande struttura in legno e cemento, in un container chiuso con la combinazione, le Tarmac della squadra belga vengono tenute in ordine da un meccanico. Bagioli è uno dei primi a scendere.
Voglia di ripresa
Il valtellinese, che vive a un’oretta e mezza d’auto da qui, è stato anche il primo ad arrivare in zona. E’ salito in quota una settimana circa prima degli altri, con l’obiettivo di recuperare le lunghe settimane senza corse. Lo avevamo raccontato nelle scorse settimane. Andrea è fermo dal Trofeo Laigueglia. Da quella caduta che gli ha presentato il conto nei giorni successivi, nella forma di un dolore al ginocchio che ha richiesto l’intervento. Ora le cose vanno bene e il rientro dovrebbe avvenire a fine luglio fra il Tour de l’Ain e il Wallonie, ma vedendo tanto armeggiare attorno alle bici, ci è venuta la curiosità di chiedergli che rapporto ci sia fra un corridore e la sua bici. La compagna di viaggio e fatica.
«Sicuramente un rapporto speciale – sorride – perché si usa ogni giorno, ogni giorno è con noi, quindi il rapporto deve essere speciale per forza. Bisogna trovarsi bene e secondo me avere un buon mezzo può fare la differenza in tante situazioni. Sicuramente deve essere rigida e reattiva e la Tarmac è proprio così. Quando faccio uno scatto o uno sprint, devo sentire che risponde bene. Inoltre deve essere facile da guidare in discesa, quindi in modo che possa cambiare traiettoria e facilmente da destra a sinistra».
Il tema c’è, andiamo avanti. Ci hai messo tanto ad abituarti?
Io sono passato da Cinelli quando ero in Colpack a Specialized e devo dire che ci ho messo veramente poco. Nel giro di una settimana, massimo due mi ero abituato del tutto. Poi ci sono i meccanici che la mettono a misura perfettamente e quindi ci si adatta subito. Adesso mi affido a Specialized, prima invece lavoravo con Aldo Vedovati, che adesso metto a posto le tacchette. Però per le misure del telaio mi affido a Specialized.
Contento dei freni a disco?
Molto, mi trovo molto bene. Soprattutto sul bagnato si può sentire tanta differenza. Anche prima delle curve si riesce staccare in extremis e in questo modo si riesce a tenere una velocità più alta.
Che rapporto con la tua bici, ti capita mai di… parlarci?
Parlarci no (guarda e ride, ndr), però cerco sempre di tenerla in ordine, voglio che sia perfetta. La pulisco sempre, se c’è un problema cerco di sistemarlo subito. Poi è chiaro che un problema meccanico possa capitare in qualsiasi momento. Ad esempio in gara qualcuno può toccarti la ruota o il cambio posteriore e a quel punto puoi farci poco.
Drome Ardeche, Bagioli aveva iniziato il 2021 con una vittoria, poi a Laigueglia una caduta lo ha fermatoDrome Ardeche, Bagioli aveva iniziato il 2021 con una vittoria, poi a Laigueglia una caduta lo ha fermato
Sembri in forma, quando riprendi?
Probabilmente a fine luglio con il Tour de l’Ain o il Tour de Wallonie. Dobbiamo ancora vedere bene con la squadra, dopodiché varie gare ad agosto. Il Polonia oppure il Giro di Germania e poi invece a fine stagione farò tutte le classiche in Italia.
Niente Vuelta?
La Vuelta devo ancora decidere, per ora sono riserva, però non è mai detto che non la faccio.
Come cambia la bici fra classiche e Giri?
La Tarmac è sempre quella, però è diversa da gara in gara, soprattutto cambiamo le ruote. Per esempio in una gara come il Lombardia o la Liegi, molto meglio ruote a basso profilo. Sono più leggere in salita, sono molto più reattive, quindi perfette. Invece per una tappa piatta, di quelle facili, usiamo quelle ad alto profilo. Anche se sono un po’ più pesanti, sono molto più scorrevoli.
Ti trovi bene con questa bici?
Mi piace tutto, fino dal primo momento che l’ho provata. Mi piace perché è leggera, ma al tempo stesso scorrevole. Poi con le ruote ad alto profilo in discesa, nelle discese veramente veloci dove si va a 80-90 all’ora, si sente la differenza. Oppure anche in pianura, quando si va a 50 all’ora, si sente che scorre veramente bene.
Nella cronometro, Bagioli ammette qualche limite: di prestazione e di praticaNella cronometro, Bagioli ammette qualche limite: di prestazione e di pratica
E la bici da crono?
Il rapporto è un po’ diverso rispetto a questa. Devo dire che mi piace usarla anche per fare lavori durante la settimana. Mi piace, però dovrei fare molte più crono perché ne ho fatte veramente poche nella mia carriera.
I compagni lo chiamano. Masnada racconta di un episodio al campionato italiano, in cui la radio avrebbe cambiato le cose. Honoré chiede da che parte si vada. La giornata è splendida. La fila delle Tarmac dello squadrone belga prende la via della montagna.
«Il Tour, è sempre stato il Tour – disse – Mark pensa solo al Tour. L’ho visto cambiare completamente nel giro di 15 giorni. Presentarsi con un altro sguardo e per giunta dimagrito. Concentratissimo. Se non ha questa motivazione, non vede altro. E forse in quella squadra crede di trovarla. Non credo che il suo sia un problema fisico, quanto piuttosto di testa. Sono due anni che non corre e se ricomincia ad allenarsi bene, magari gli danno la fiducia che poi sta a lui ricambiare. Bisognerà capire se la sua reattività e l’esplosività ci sono ancora. Insomma, non è semplice».
E’ il 2017, Cav è al secondo anno conla Dimension Data, il declino è iniziatoE’ il 2017, Cav è al secondo anno conla Dimension Data, il declino è iniziato
Petacchi buon profeta
Cavendish è tornato e come lui è tornato anche Alessandro, che ai campionati italiani ha ripreso in mano un microfono della Rai. Perciò, volendo riprendere il discorso, lo abbiamo pizzicato di ritorno dai lavori nella nuova casa, in cui ha sistemato una serie di box in cui sua moglie Chiara accoglie e poi dà in adozione cani che così vengono tolti dalla strada.
Bè, dati i risultati degli ultimi mesi, ci avevi visto giusto…
Credo che l’esempio sia lampante. Tutti quelli che vanno via da lì non rendono più come prima, ma non capitemi male. Io lo posso dire perché ci ho vissuto un anno e mezzo ed è un ambiente fantastico, che ti dà qualcosa in più. Essere sereni in un ciclismo esasperato come quello di oggi è molto importante. Io credo che Mark sia benvoluto. E’ rientrato in una situazione in cui era stato bene e credo che come gli altri sia andato via per soldi e si è accorto a una certa età dell’errore che ha commesso. E si è detto: «Cosa mi serve per tornare? La tranquillità».
Tanti se ne sono andati di lì per offerte giganti.
Tutti vanno via per soldi, come Gaviria ed Elia (Viviani, ndr) probabilmente. Andare via di lì è un po’ da folli. Capisco che ci sono tanti corridori, il budget è quello e Lefevere non si può permettere di tenerli tutti. In quella squadra vanno forte ed è naturale che uno li vada a prendere. Ti convinci che la stessa situazione te la ricrei da un’altra parte, ma non è assolutamente così. Perché chi va lì ha sempre il sorriso, non ha mai problemi coi compagni. E chi non si sente al suo posto, alla fine se ne va da solo. Io la vedo così: quella squadra per me è l’ambiente giusto per fare risultato. E Cavendish poteva solo tornare lì. Gli serviva solo che le cose si mettessero tutte in fila.
A Chateauroux, la seconda vittoria di Cavendish in questo Tour
Sullo stesso traguardo 10 anni fa aveva battuto proprio Petacchi
A Chateauroux, la seconda vittoria di Cavendish in questo Tour
Sullo stesso traguardo 10 anni fa aveva battuto proprio Petacchi
In che senso?
Secondo me la volata che ha vinto prima del Tour è stata un segnale importante. Poi Bennett ha avuto quel problema. A volte serve anche una mano dal destino.
Perché la volata del Belgio è stata importante?
Sicuramente quando vince, gli scatta una molla in testa. Per quello che lo conosco io, è un ragazzo che un po’ soffre la pressione. E quando si accorge di poter vincere e si sblocca, diventa incontenibile, perché in quella corsa lì si sente il più forte. Poi magari dopo 10 giorni cambia corsa e ricomincia da capo. Questo è quello che ho capito di lui. Poi comunque il Tour lo sente tanto, l’ha sempre sentito tanto e gli ha dato anche tanto.
Sembra esserci tornato dentro benissimo.
Non voglio immaginare quanto possa aver tribolato in quei due, tre giorni prima del via. Sentendo di essere l’unico velocista della squadra e di potersi giocare le sue carte. E di avere soprattutto i compagni che ha e un ultimo uomo come Morkov, che è un fuoriclasse. Negli ultimi anni è il più forte del mondo per quel tipo di lavoro.
Tour 2010, Peta in maglia verde, Cavendish lo sfidante: finirà 4-2 per il britannico
Alessandro Petacchi, Mark Cavendish, Giro d’Italia 2011, Parma
Cavendish e Petacchi si ritrovano alla Quick Step nel 2014: qui girano in pista a Gand
Al Turchia nel 2014, Petacchi gli tira 4 volate vincenti
Tour 2010, Peta in maglia verde, Cavendish lo sfidante: finirà 4-2 per il britannico
Alessandro Petacchi, Mark Cavendish, Giro d’Italia 2011, Parma
Cavendish e Petacchi si ritrovano alla Quick Step nel 2014: qui girano in pista a Gand
Al Turchia nel 2014, Petacchi gli tira 4 volate vincenti
Perché dici che ha tribolato?
Per la tensione, per le solite foto che ho visto di lui che sposta i tacchetti dopo l’allenamento, che mette a posto le scarpe, che guarda le misure della bici. Questo è Cav, le stesse cose che faceva al Tour quando c’ero io. Fa parte del suo rituale e alla fine va bene, ci sta tutto. E poi a 36 anni non credo che sia vecchio. Io a 38 anni ho messo la maglia rosa battendo lui. Quindi non mi meraviglio di quello che sta facendo. Lui ha fatto due anni nel posto sbagliato, questo penso.
Si può essere così forti ancora a 36 anni?
Io credo che le qualità a 36 anni ci siano ancora tutte. Sei ancora molto forte, magari quando ti avvicini ai 40 puoi perdere un po’ di esplosività. E’ sicuramente più resistente e ha fatto due anni in cui non ha quasi mai corso. Poi si è rimesso sotto, si è allenato, è andato in ritiro con la squadra giusta, ha fatto chilometri nella maniera giusta, non mi sembra sovrappeso. Ci credeva, lo sapeva che poteva essere il suo anno e poteva ritornare a essere molto vicino al vero Cavendish.
Credi gli sia costato tanto in termini di orgoglio andare a chiedere una maglia a Lefevere?
Alla fine ti rendi conto che sei davanti a un bivio: smetto o cosa faccio? Allora vai lì e gli dici: «Fammi provare un anno, non voglio nulla, dammi il minimo». Tanto lui non ha problemi di soldi, parliamoci chiaro. Voleva solo ritrovarsi e smettere magari fra uno o due anni, ma smettere bene. Un campione deve smettere bene, se può farlo. Invece lui avrebbe smesso male, era andato nel dimenticatoio, lo davano tutti per morto. E conoscendolo, so quello che può aver sofferto.
Quel sorriso in effetti non si vedeva da un pezzo.
Quando ha vinto, io mi sono emozionato, perché da corridore lo so benissimo cosa ha provato. Mi sono calato nei suoi panni ed ero contento. Gli ho anche scritto un messaggio, non mi ha risposto, però mi sono sentito di scrivergli un bel messaggio. Perché fondamentalmente è stato un avversario, un compagno, uno che tiene in alto il nome del ciclismo. Fa bene ai giovani vedere un corridore come lui.
Deceuninck-Quick Step incontenibile, ma da oggi tocca di nuovo ad AlaphilippeDeceuninck-Quick Step incontenibile, ma da oggi tocca di nuovo ad Alaphilippe
Hanno detto che ha eguagliato il tuo numero di vittorie.
Io ho vinto 187 corse oppure 179 quante me ne contano. Nei grandi Giri ne ho vinte 53. Io le conto tutte, lo sapete benissimo (il riferimento è alle tappe cancellate per una squalifica cui si è sempre opposto, ndr). Se poi andiamo a vedere quelle che contano, lui ha vinto 32 tappe al Tour e io solo 6. Ecco se ho un rammarico è aver fatto pochi Tour nella mia carriera. Se tornassi indietro, cercherei di farne di più.
Chiudiamo con la maglia verde, che ora indossa proprio Cavendish, ma cui punta anche Colbrelli, e che tu hai vinto nel 2010.
E’ tanto stressante. Dipende anche da come vengono attributi i punti, se ci sono i traguardi intermedi. Non puoi pensare solo al traguardo finale. Magari se l’arrivo è complicato, alla Sagan, Colbrelli può tenere duro e pensare a fare punti. Il problema è quando ti vanno in fuga quelli che sono in classifica. Io ho dovuto lottare con Hushovd che andava in fuga ogni tre per due e mi toccava seguirlo tutti i giorni. Anche nelle tappe di montagna con l’Aubisque.
La maglia verde riduce la possibilità di vincere tappe?
Secondo me qualcosina perdi in finale. Perché magari un po’ di energie le butti via e quando sei su un traguardo finale, guardi quello più vicino a te e cerchi di passare lui e basta. Vai a punti e magari ti accontenti di un secondo e di un terzo, non sei focalizzato tanto sulla vittoria. Perché se punti a vincere, puoi sbagliare e perdere punti. Se invece prendi come riferimento quello più vicino, sei sicuro di fare i punti che ti servono. Non è facile, è molto stressante. Se però riesci a salire sui Campi Elisi in maglia verde è davvero una gran cosa.
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Quel 30 sul numero di gara da stamattina sarà un 31, come le vittorie di Cavendish al Tour. La storia o forse la leggenda dice che nell’agosto dello scorso anno, tracciando un bilancio semidefinitivo dlla sua carriera e avviandosi a un mesto ritiro, Mark Cavendish abbia fatto una telefonata a Giampaolo Mondini, uomo Specialized in gruppo, con il quale aveva avuto a che fare ai tempi in cui correva con la Etixx-Quick Step.
Questa immagine, già pubblicata nei giorni scorsi, ritrae Mark con il suo meccanico (foto Wout Beel)Questa immagine, già pubblicata nei giorni scorsi, ritrae Mark con il suo meccanico (foto Wout Beel)
«Era disperato – racconta Mondini, ricordando quella telefonata – non riusciva a rendere, non aveva più gli stessi watt e si era convinto che tra i fattori possibili ci fosse la bicicletta. Mi chiese di mandargli una delle nostre perché potesse allenarsi e avere la prova definitiva. Poi si sarebbe rassegnato. Avevamo lì una Venge con misure simili alle sue e gliela mandammo. Richiamò dopo qualche settimana. Era entusiasta. E alla fine si convinse a fare il passo e parlare con Lefevere. E piuttosto… quella Venge non l’ho più vista».
Tarmac SL7 misura 52
Risalito sulla Specialized, Cavendish ha lavorato sodo per rimettere a posto tutto il resto. Il peso e soprattutto l’adattamento alla fatica, ma alla fine – suggestione o altro – ha vinto sei corse e l’ultima in ordine di tempo è stata la tappa di ieri a Fougeres.
La bici è nuovamente pronta per la tappa di domani: oggi crono
Cavendish corre come il resto della squadra con una Tarmac SL7 (misura 52)
Manubrio Roval Rapide da 42 e attacco da 13
Sul tubo orizzontale del Tarmac SL7 anche la testa di lupo del Wolfpack
La bici è montata conlo Shimano Dura Ace
La bici è nuovamente pronta per la tappa di domani: oggi crono
Cavendish corre come il resto della squadra con una Tarmac SL7 (misura 52)
Manubrio Roval Rapide da 42 e attacco da 13
Sul tubo orizzontale del Tarmac SL7 anche la testa di lupo del Wolfpack
La bici è montata conlo Shimano Dura Ace
Lo ha fatto su una Tarmac SL7 misura 52. Il britannico è passato a questa taglia dopo aver provato anche la 48 con la quale però non è riuscito a ricreare i giusti angoli e l’ha messa da parte. Rispetto al 2016, ultimo anno nel team belga, le sue misure sono rimaste sostanzialmente le stesse.
Perciò utilizza pedivelle da 170 e guarnitura da 54 denti: ieri ha sprintato appunto con il 54×11 e riguardando le immagini televisive, si nota come Philipsen (più agile) abbia preso subito margine, ma non abbia potuto opporsi al ritorno di Cavendish.
Attacco da 13
Il suo assetto in bici è molto avanzato. Da sempre la sua posizione in volata, simile a quelle di Caleb Ewan e di Jakub Mareczko, vede il corpo tutto proiettato in avanti, con la testa ad abbassarsi oltre il manubrio.
Da buon pistard, Mark ha sempre usato pedivelle da 170 e plateau 39-54
Ryote Roval Rapide: anteriore da 50, posteriore da 55
Non più tubolari, ma clincher: sezione da 26 e spalla in cotone
Da buon pistard, Mark ha sempre usato pedivelle da 170 e plateau 39-54
Ryote Roval Rapide: anteriore da 50, posteriore da 55
Non più tubolari, ma clincher: sezione da 26 e spalla in cotone
«E’ davvero molto in avanti – conferma Mondini – tanto che a causa di quell’assetto, se prendesse una buca, rischierebbe di rompere l’attacco manubrio».
Proprio su questo fronte, va segnalato che Cavendish sta correndo il Tour con il manubrio Rapide Roval da 42 c/c mentre nelle corse prima del Tour ha utilizzato un 40. L’attacco, proprio per assecondare questa sua tendenza a… spararsi in avanti è da 13 centimetri.
Partecipa a questo suo assetto piuttosto sbilanciato, anche l’arretramento della sella di 4,6 centimetri, che si ottiene anche grazie al fatto che Mark utilizza la Power Mirror realizzata con tecnologia 3D: quella bucherellata e più corta, per intenderci.
Una telefonata avverte che Cavendish sta per arrivare, ma si lavora ancora sodo
Sistemate le bici da strada, via con quelle da crono per la tappa di oggi
Una telefonata avverte che Cavendish sta per arrivare, ma si lavora ancora sodo
Sistemate le bici da strada, via con quelle da crono per la tappa di oggi
Due ruote diverse
Sul fronte delle ruote, Ieri Cavendish ha ha corso e vinto con un set Roval Rapide con profilo da 50 all’anteriore e 55 al posteriore, montate con copertoncini Turbo Cotton da 26 con la spalla in cotone. La scelta, di cui parlammo quando venne adottata alla Omloop Het Nieuwsblad, risolve il problema della scorrevolezza, ma non impedisce le forature. Tanto che anche Cavendish nella seconda parte di corsa ha bucato e i meccanici sono stati lesti a cambiargli la bici.
Fra le curiosità spicca il conteggio delle vittorie sul numero di gara (foto di apertura) che da oggi nella crono cambierà in 31 e il fatto che il nastro manubrio della bici sarà verde per celebrare la conquista della maglia della classifica a punti. Da quella telefonata sembra passato un secolo. E la famosa Venge chissà se Mondini la rivedrà mai più…
Quando scende dall’ammiraglia con indosso la maglia verde, il lavoro dei meccanici nel cortile dell’hotel Campanile Laval Ouest, è iniziato da un pezzo. Eppure appena Cavendish inizia il giro degli abbracci, non c’è nessuno che si sottragga. Sono abbracci lunghissimi, perché dentro ci sono pezzetti di vita condivisi. E se inizialmente qualcuno poteva aver avuto qualche riserva sul suo ritorno, oggi è come se fosse il fratello di tutti, secondo lo spirito del Wolfpack, del branco di lupi, che in un modo o nell’altro fa davvero la differenza. E Lefevere adesso dovrà cominciare a pagarlo, dato che il suo compenso si basa su cospicui gettoni in caso di vittoria.
Il copione del film ha trovato la scena più attesa. Cavendish ha risalito la china, è tornato al Tour e ha vinto di nuovo. Probabilmente il ritiro di Caleb Ewan lo ha agevolato, ma quando ha accettato la sfida di Philipsen e l’ha affrontato con il 54×11 sulla strada c’era lui.
Occhi puntati
Stamattina alla partenza lo cercavano tutti. Finalmente si annunciava una volata senza troppe trappole, anche se nel segno di quelle dei giorni scorsi il gruppo ha prima messo piede a terra al chilometro zero e poi, per lanciare un segnale all’Uci e al Tour, è andato avanti a rilento per i primi chilometri.
Seconda tappa in giallo per Van der Poel: ci sta prendendo gusto
Il gruppo si ferma: il messaggio arriva forte
Poi si va a rilento contro la decisione della giuria di non aumentare la neutralizzazione
Seconda tappa in giallo per Van der Poel: ci sta prendendo gusto
Il gruppo si ferma: il messaggio arriva forte
Poi si va a rilento contro la decisione della giuria di non aumentare la neutralizzazione
«E’ sempre bello vincere una tappa al Tour de France – ha detto commentando la smania del gruppo – ma alla fine siamo tutti colleghi e nessuno vuol vedere la gente farsi male. E’ importante che ognuno sia al sicuro. Anche se non siamo nella stessa squadra, siamo tutti amici. Quindi prima delle vittorie e dei risultati, vorrei che per un momento riflettessimo sul fatto che tutti abbiamo famiglie, mogli, bambini. Sono un grande fan di Caleb Ewan (il tasmaniano ha dovuto ritirarsi per la frattura della clavicola dopo la caduta nella 3ª tappa, ndr). Ricordo com’ero alla sua età e mi sarebbe piaciuto lottare a testa a testa con l’uomo più veloce del momento. Ricordo solo che nel 2015, la mia ultima vittoria con questo branco di lupi, avvenne proprio a Fougeres, dove arriveremo oggi».
Volata di rimonta con il 54×11. Ha vinto di una bicicletta
E adesso Cavendish è a quota 31 vittorie
Volata di rimonta con il 54×11. Ha vinto di una bicicletta
E adesso Cavendish è a quota 31 vittorie
I soliti sospetti
Ci sono anche quelli che pensano male e si chiedono che cosa ci sia nella Deceuninck-Quick Step, per cui quelli che se ne vanno smettono di vincere e poi, quando ci tornano, ricominciano a farlo. Il bello di certi ragionamenti è che non accettano spiegazioni.
«Sono sotto shock – dice Mark – anche più di quando ho saputo che avrei fatto il Tour quest’anno. Il solo fatto di essere qui è speciale, perché non pensavo nemmeno per un momento che sarei tornato a questa bellissima gara che amo così tanto. Sono completamente incredulo, non so cosa dire. Tante persone non hanno creduto in me, ma questi ragazzi lo hanno fatto e hanno continuato a farlo».
Calata l’adrenalina dell’arrivo, arriva l’ondata della commozione
Stamattina aveva fiducia, ma al Tour non c’è niente di facile
Tutti i compagni del branco di lupi lo abbracciano, lui piange
Calata l’adrenalina dell’arrivo, arriva l’ondata della commozione
Stamattina aveva fiducia, ma al Tour non c’è niente di facile
Tutti i compagni del branco di lupi lo abbracciano, lui piange
Lavoro di squadra
La tappa è stata tutto fuorché una passeggiata. E se non fosse stato per il lavoro massiccio della Deceuninck-Quick Step, probabilmente il povero Van Moer sarebbe arrivato. Invece non c’è stato un solo corridore della squadra belga che si sia risparmiato e alla fine ai 200 metri il gruppo è piombato sull’ultimo superstite della fuga.
«Quando hai il campione del mondo che dà tutto e si sacrifica per te – ricostruisce Cavendish – poi Morkov che ha giocato in modo così intelligente ed è rimasto calmo in ogni momento, ti motiva a fare il meglio. E’ stato un finale frenetico e abbiamo dovuto abbandonare il nostro piano iniziale e adattarci, ma i ragazzi hanno fatto un lavoro impeccabile e mi hanno portato nel posto giusto con il tempo giusto. Sono stati assolutamente fantastici e tutto quello che posso dire è un enorme grazie!».
Sul podio del Tour, l’ultima volta il 16 luglio 2016Sul podio del Tour, l’ultima volta il 16 luglio 2016
Finale da brivido
Il resto è la commozione di tutta la squadra. Il pianto ininterrotto del campione davanti al successo che pensava ormai irrealizzabile. Eppure dietro quel suo insistere per tornare nell’ultima squadra che lo fece grande c’era la sottile speranza che la fiammella si potesse riaccendere. Vinse una tappa anche nel primo anno alla Dimension Data, poi iniziò lentamente a spegnersi.
«La mia ultima vittoria al Tour con questa squadra – dice – era stata in questa stessa città, quindi alzare di nuovo le mani qui per un’altra vittoria è solo… non lo so. E’ il genere di cose che rende tutto ancora più perfetto. Non avrei potuto neanche immaginare una cosa del genere. Ho vinto così tante gare nella mia carriera e questa è sicuramente una delle migliori. Sono molto grato a Patrick per avermi riaccolto, al mio allenatore Vasilis, a tutti i membri della squadra. E’ difficile immaginare come sia questa squadra se vieni dall’esterno, ma credetemi, questo è davvero un branco di lupi e sono incredibilmente felice di farne parte».
La storia di Mark Cavendish (nella foto di apertura di Wout Beel) potrebbe essere la trama di un film: ne ha tutti gli ingredienti. C’è il grande campione, il più veloce di tutti, che però ha smarrito la strada. Niente è più facile come una volta. Gli anni passano, vari problemi di salute rendono difficile raggiungere la forma. Le squadre smettono di dargli fiducia. E mentre sembra avviato sul viale del tramonto, la vita gli offre una chance inattesa. Il campione che ha preso il suo posto si infortuna. Mark correrà di nuovo il Tour de France, l’unica corsa che lo motivi davvero. Potrebbe già esserlo un film, se ci sarà anche un lieto fine sarà perfetto e oggi inizieremo a capirne di più
Nel 2016 a Villars les Dombes Parc des Oiseaux vince la 30ª tappa del Tour. Ma il film si interrompe…Nel 2016 a Villars les Dombes Parc des Oiseaux vince la 30ª tappa del Tour. Ma il film si interrompe…
Primo sprint
Da Lorient a Pontivy ci sono infatti 182,9 chilometri, con una promessa di arrivo in volata che ha fatto drizzare le antenne ai velocisti e ai loro uomini. Ce lo aveva detto Jacopo Guarnieri alla vigilia del Tour: «Non cercateci fino a lunedì!». E anche se l’altimetria è tutto fuorché banale e di nervosismo in gruppo ce n’è anche troppo, di certo oggi la palla passerà ai treni.
«Non sarei qui se non provassi a fare il mio sprint – ha detto Cavendish a Stephen Farrand di Cyclingnews – in questi giorni i corridori cercano di allontanare le aspettative. Io odio farlo, anche se a volte devo. Sono un corridore, sarò sempre un corridore e cercherò sempre di vincere. Nessuno può dire che non ci avrò almeno provato. Non ho mai dato per scontato il Tour de France. Il Tour de France è speciale, è la più grande corsa del ciclismo, ma anche uno dei più grandi eventi sportivi del mondo. Ogni bambino che sale in bicicletta sogna di correrlo. E questo non cambia mai, per quanto si diventi vecchi».
In Turchia vince 4 tappe facendo passi avanti anche in salitaIn Turchia vince 4 tappe facendo passi avanti anche in salita
Mistero Bennett
La trama del film è nota, ma la sua reazione alla chiamata di Lefevere si incapsula benissimo nella trama del film che è la sua vita da qualche anno a questa parte.
«Il suo programma era deciso – racconta nuovamente Patrick Lefevere – quando dopo il Giro del Belgio ci ha chiesto che cosa avrebbe fatto ora, gli avevamo detto subito che non sarebbe stato nella squadra del Tour».
L’intoppo o la situazione fortunata che segna la svolta nel copione di questo film si crea quando Sam Bennett va in confusione. L’irlandese andrà via, si sa da un pezzo, ma anziché continuare a correre come se niente fosse, racconta di aver avuto un problema in allenamento a Monaco prima del Giro del Belgio. La squadra inizialmente gli va incontro, perché non farlo? Al Tour del 2020 Bennett ha vinto due tappe e la maglia verde, l’investimento è importante, il treno è stato costruito per lui ed è nel pieno interesse della Deceuninck-Quick Step averlo nuovamente in Francia al top della forma. Nel frattempo il team si affida alle volate di Cavendish che, senza il peso psicologico del Tour, si rilancia negli stimoli e nei risultati. Vince quattro tappe in Turchia e una al Giro del Belgio. Ma Bennett non recupera. La sua ultima corsa resta l’Algarve, in cui ha vinto due tappe e la classifica a punti. Così la squadra predispone un volo da Nizza a Herentals per una visita, ma l’irlandese non si presenta.
Il podio della Scheldeprijs 2021 con Philipsen fra Bennett e Cavendish: un esito che a Lefevere non era piaciutoIl podio della Scheldeprijs 2021 con Philipsen fra Bennett e Cavendish: un esito che a Lefevere non era piaciuto
I dubbi di Mark
Con uno come Lefevere il tira e molla non può durare in eterno, ma di fatto la squadra che punta forte su Alaphilippe per la classifica, si ritrova alla vigilia del Tour senza un velocista. Nessuno dimentica il tono fra l’ironico e l’irriverente con cui durante il Giro il team manager ha parlato di Cavendish, ma adesso proprio il britannico che ha nel palmares 30 vittoria di tappa al Tour e si trova a 3 lunghezze dal record assoluto di Merckx, è l’unica risorsa rimasta. La vita a volte è più splendida di qualsiasi film: Lefevere ingoia l’orgoglio e cambia marcia.
«Abbiamo detto a Sam che poteva restare a casa – dice – che avremmo fatto a meno di lui e abbiamo chiamato Cavendish. La prima reazione di Mark è stata colorita: «Shit!». Poi ha cominciato a dire che non sarebbe stato pronto, che non aveva un programma adatto al Tour. Ma alla fine siamo riusciti a convincerlo».
Già il Giro del Belgio lo aveva corso per rimpiazzare Bennett, perché dopo il pasticcio della Scheldeprijs, la squadra aveva deciso che i due non potessero coesistere in corsa. Era arrivato a Beveren la notte prima della partenza e a forza di stringere i denti e alzare l’asticella, l’ultimo giorno a Beringen si è lasciato dietro Merlier, Ackermann, Groenewegen, Bouhanni e Coquard.
Così a sorpresa arriva al via del Tour: emozione a milleCosì a sorpresa arriva al via del Tour: emozione a mille
Aria di leggenda
Da oggi alla fine del Tour, sapremo come sarà fatto il capitolo che Cavendish potrà aggiungere alla sua storia.
«Ho il miglior ultimo uomo del pianeta in Michael Morkov – ha detto ancora a Cyclingnews – ho l’opportunità di correre il Tour con la Deceuninck-Quick Step e questo lo rende qualcosa di speciale. Siamo una vera squadra anche fuori dalla bici e sono solo felice di indossare questa maglia. Che io sia qui a portare borracce o far ridere la gente, sono semplicemente onorato di essere al Tour de France. Ci sono persone che hanno avuto molti più problemi nella vita di quanti ne abbia io, ma quello che ho dovuto affrontare mi ha fatto capire cosa sia importante nella vita e perché faccio le cose che faccio».
Lefevere però ha fiutato qualcosa. Perciò da vecchio volpone va in giro a ribadire che la squadra non gli metterà pressioni e che Cavendish avrà tutto il tempo per prendere le misure in un Tour che di occasioni per i velocisti ne riserva parecchie. Indubbiamente il livello della sfida è più alto di quello che negli ultimi cinque anni ha dimostrato di poter reggere, anche se su ogni cosa è pesata quella mononucleosi mal curata che lo ha debilitato e svuotato di motivazioni. Perciò cosa vuoi togliere le pressioni a uno che è abituato a mettersene addosso a tonnellate? La sfida è lanciata, il film sta per scrivere la prossima scena. Nessun velocista del gruppo, conoscendolo, è disposto a darlo per finito. Appuntamento fra qualche ora sul traguardo di Pontivy.
Richard Carapaz vince a Superdevoluy e corona il suo sogno. Alle sue spalle, si ripete lo show di Pogacar. Ma forse si impone una riflessione su Vingegaard
La prima volta al Tour di Mattia Cattaneo ha il sapore di un ritorno alle radici del suo talento. Il bergamasco è davvero rinato alla Deceuninck-Quick Step