SOLBIATE OLONA – Il primo gruppo di atleti è atterrato in Rwanda da un paio di giorni, il 18 settembre, ed ha preso confidenza con la città e i percorsi del mondiale di Kigali. I corridori stanno provando i percorsi e testando l’asfalto che li accompagnerà per i prossimi dieci giorni. Domani, domenica 21 settembre, gli uomini e le donne della categoria elite apriranno le danze con le cronometro individuali.
Matteo Sobrero e Mattia Cattaneo sfideranno Remco Evenepoel, Jay Vine, Paul Seixas, Isaac del Toro e tutti gli altri. Proprio il messicano ha condiviso una storia sui social mentre, sulla sua bici da crono, era alle prese con il traffico di Kigali, intento a fare una delle ultime sgambate prima della prova di domenica.
Tra le donne le nostre azzurre, Monica Trinca Colonel e Soraya Paladin, sfideranno Demi Vollering, Kasia Niewiadoma (coinvolta in un incidente che le ha danneggiato la bici) e un’agguerrita Marlen Reusser.
Almeida, Vingegaard e Ciccone, tre uomini della Vuelta attesi dal mondialePer l’Italia ci sarà anche Pellizzari, atteso al primo mondiale da professionistaLongo Borghini sarà leader fra le donne elite, nel primo mondiale con Velo come ctAlmeida, Vingegaard e Ciccone, tre uomini della Vuelta attesi dal mondialePer l’Italia ci sarà anche Pellizzari, atteso al primo mondiale da professionistaLongo Borghini sarà leader fra le donne elite, nel primo mondiale con Velo come ct
Uno sforzo per gli atleti
Ai margini della conferenza stampa di presentazione che ha svelato i nomi degli atleti azzurri impegnati a Kigali abbiamo scambiato qualche parola con il presidente della Federciclismo Cordiano Dagnoni. La Federazione ha dovuto fare i conti con costi elevati, tanto che fino all’inizio di settembre non si era ancora deciso con quanti atleti saremmo andati a correre. Alla fine la decisione presa è stata quella di andare a pieno regime con le nazionali elite, mentre le altre categorie hanno visto un ridimensionamento. Va detto che la nostra sarà una delle nazionali più rappresentate, con 27 atleti al via.
«L’organizzazione di questo mondiale – ci racconta Dagnoni qualche minuto prima della conferenza stampa – è partita due anni fa, quando Mario Scirea ed io siamo andati alle ultime tappe del Tour of Rwanda. Lì abbiamo compreso come organizzare la logistica in modo da mettere i nostri atleti nelle migliori condizioni. Successivamente ci siamo mossi anche con delle persone locali che ci hanno dato una mano (lo ha confermato anche Roberto Amadio, team manager della nazionale, ndr).
«Una volta capiti i costi di viaggio – prosegue il presidente della Federciclismo – ci siamo mossi per ottimizzare il trasporto e gli alloggi. Rispetto a Zurigo, dove ci eravamo spostati con 85 persone tra corridori e staff quest’anno a Kigali saremo 45. Sarà presente molto meno personale, stressando al massimo chi sarà presente».
Cordiano Dagnoni ha negato le voci che dicevano di un sostegno economico da parte della Lega Ciclismo Professionistico per i mondiali in RwandaDal mondiale in Rwanda gli azzurri correranno con due nuovi sponsor sulla maglia: MP Filtri e Caffè Bocca della VeritàCordiano Dagnoni ha negato le voci che dicevano di un sostegno economico da parte della Lega Ciclismo Professionistico per i mondiali in RwandaDal mondiale in Rwanda gli azzurri correranno con due nuovi sponsor sulla maglia: MP Filtri e Caffè Bocca della Verità
Nuovi sponsor
La conferenza stampa di presentazione degli atleti è stato anche il momento per svelare due novità importanti, che hanno dato un contributo importante per la spedizione a Kigali.
«Lo sforzo della Federazione – dice ancora Dagnoni – è stato reso possibile grazie all’intervento di due sponsor che ci hanno sostenuto: MP Filtri e Caffè Bocca della Verità. Il primo era già presente sul nostro pullman e a partire da questo evento ha voluto essere presente anche sulla maglia. Due sostegni importanti arrivati all’ultimo, quando si sono accorti che una trasferta del genere era un peccato non poterla onorare con una presenza corposa. Il secondo motivo che ci ha spinti a rivedere le decisioni iniziali (che prevedevano una partecipazione a ranghi ridotti su tutti i fronti, ndr) è la consapevolezza di avere un livello alto. I nostri atleti hanno dimostrato di poter essere competitivi, Ciccone e Pellizzari in primis.
«Per la categoria donne elite – precisa – eravamo già abbastanza determinati nel voler partecipare al massimo del nostro potenziale. Sappiamo che Elisa Longo Borghini rappresenta per noi una garanzia, lo ha dimostrato anche negli anni passati. Andiamo in Rwanda fiduciosi di aver fatto il massimo in ogni categoria, i risultati dei nostri team giovanili lo dimostrano. Abbiamo voluto fare questo sforzo per garantire ai nostri atleti il massimo supporto».
La trasferta iridata di Apeldoorn è stata un trionfo azzurro. Lo scorso anno il bilancio parlò di tre ori e un bronzo. Quest’anno la spedizione è tornata a casa con 6 ori, 3 argenti e 4 bronzi: 13 medaglie, che hanno collocato l’Italia al primo posto del medagliere.
Matilde Cenci nel chilometro da fermo e nel keirin (foto UCI in apertura). Trevisan, ancora Matilde Cenci, Campana e Fiscarelli nel team sprint. Colombo, Cornacchini, Magagnotti, Matteoli e Federico Saccani nell’inseguimento a squadre. Ancora Magagnotti nell’inseguimento individuale, Chantal Pegolo nell’eliminazione. Questi gli ori di Apeldoorn, seguiti dagli argenti di Jacopo Vendramin nell’eliminazione, di Julian Bortolami e Riccardo Colombo nella madison, di Linda Sanarini, Matilde Rossignoli, Elisa Bianchi, Alessia Orsi ed Erja Giulia Bianchi nell’inseguimento a squadre. Infine i bronzi, con Vendramin nell’omnium e nello scratch, Matilde Cenci nello sprint e Magagnotti nel chilometro.
«Oltre ai doverosi complimenti ad atleti e società – ha commentato il presidente FCI Dagnoni – ci tengo a ringraziare tutti i tecnici e lo staff della Nazionale, che da tempo lavora in perfetta sinergia, permettendo ogni anno di raggiungere obiettivi sempre maggiori. Credo che la continuità tecnica sia uno dei segreti. Abbiamo impostato il lavoro quattro anni fa credendo in questi tecnici e da allora non ci sono stati cambiamenti sostanziali. Questo ha permesso a ognuno di lavorare con tranquillità. L’armonia che regna nelle nostre Nazionali consente agli atleti di esprimersi al meglio e di crescere tecnicamente».
Ad Apeldoorn, Chantal Pegolo ha vinto l’oro nell’eliminazione (foto FCI)Villa, Bragato, Dagnoni, Quaranta e la friulana d’oro. Ad Apeldoorn non c’era il team manager Amadio (foto FCI)Ad Apeldoorn, Chantal Pegolo ha vinto l’oro nell’eliminazione (foto FCI)Villa, Bragato, Dagnoni, Quaranta e la friulana d’oro. Ad Apeldoorn non c’era il team manager Amadio (foto FCI)
WorldTour e devo team
Tempo fa scrivemmo in un Editoriale che la WorldTour italiana esiste ed è il gruppo della pista. Marco Villa era ancora al comando e la sua programmazione, che prosegue oggi in continuità, ha permesso negli anni di arrivare a titoli olimpici e mondiali fra le donne e fra gli uomini. Una struttura nata nella precedente gestione federale e che, opportunamente potenziata, lavora nella continuità cui fa riferimento il presidente Dagnoni.
L’inserimento di Dino Salvoldi alla guida degli juniores e ora della pista maschile è stato un’intuizione geniale di cui va riconosciuto il merito. Il potenziamento del team performance e il coinvolgimento sempre maggiore di Diego Bragato nella gestione degli atleti si sta rivelando un’altra mossa vincente. Ne consegue che se il gruppo degli elite è la WorldTour, le nazionali U23 e juniores sono il degno devo team, che lavora in modo coerente con i metodi del vertice. I risultati di Anadia e ora di Apeldoorn ne sono la testimonianza.
E qui il discorso si sposta al resto del ciclismo italiano, che fa fatica ed è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia quella fatica andrebbe forse riletta alla luce di altre consapevolezze per le quali il ruolo federale potrebbe non essere così impattante. Proviamo a spiegarci, tornando al periodo del Covid da cui tutto è cominciato. Prima era diverso, magari già avviato lungo una china da non sottovalutare, ma diverso. Scusate il paragone in apparenza contorto: se avrete la pazienza di seguirci, magari alla fine ci troveremo d’accordo.
Il quartetto maschile ha conquistato l’oro con Colombo, Cornacchini, Magagnotti, Matteoli e Saccani (foto FCI)Per Magagnotti doppio oro ad Apeldoorn: nell’inseguimento a squadre e in quello individuale (foto UCI)Il quartetto maschile ha conquistato l’oro con Colombo, Cornacchini, Magagnotti, Matteoli e Saccani (foto FCI)Per Magagnotti doppio oro ad Apeldoorn: nell’inseguimento a squadre e in quello individuale (foto UCI)
Fra Covid e programmazione
Quando la pandemia travolse tutto e tutti e ci si accorse che la bicicletta era il solo modo per sfuggire al lockdown, fu evidente che alcuni negozi fossero pieni di pezzi da vendere, mentre altri erano a secco. Erano i più piccoli, quelli che andavano avanti con le regole di una volta e non erano stati in grado – per incapacità o mancanza di cultura specifica – di attuare la programmazione degli ordini che la crisi aveva reso indispensabile. Negli anni quei piccoli negozi hanno chiuso e sono rimasti in piedi le strutture più grandi.
Nelle squadre è accaduto o sta ancora accadendo la stessa cosa. Il ciclismo giovanile, che per decenni è andato avanti con il volontariato, si è trovato davanti a strutture più organizzate, che dall’estero hanno mostrato una superiore capacità di organizzazione e pianificazione. Squadre nate con budget superiori oppure capaci di attrarre risorse grazie a strutture nuove e senza troppi vincoli con il passato. In una vita precedente, qualcuno raccomandò di tenere lontani i manager dalle squadre, senza capire che così facendo si stava condannando il ciclismo italiano all’estinzione.
Chi ha capito è riuscito ad attuare una conversione, infilandosi nel binario che porta verso il futuro. L’esempio del Cycling Team Friuli e a breve della Biesse-Carrera (in procinto di entrare nell’orbita Cofidis, sia pure non come devo team) ne sono un valido esempio. Chi ha deciso di resistere sulla vecchia strada purtroppo ha dovuto rassegnarsi alla chiusura. L’esempio della Zalf Fior è una ferita ancora dolorosa.
Il settore velocità sta decollando, la conferma di Apeldoorn: qui il ct Ivan Quaranta assieme a Matilde Cenci (foto UCI)Il settore velocità sta decollando, la conferma di Apeldoorn: qui il ct Ivan Quaranta assieme a Matilde Cenci (foto UCI)
Il ruolo della Federazione
La Federazione in tutto questo ha un ruolo? Probabilmente non avrebbe potuto scongiurare il tracollo di quel mondo. Semmai una responsabilità superiore ce l’ha probabilmente chi in precedenza si è accontentato di gestire senza programmare, gettando il seme sulla sabbia o in mezzo ai rovi. Se oggi qualcosa si può fare è prendere in mano il movimento, dargli una forma e guidare il futuro, nella stessa direzione adottata con le nazionali. Non può essere la Federazione ad attrarre i budget per le società, ma può esigere che chi guida il ciclismo di base sia davvero qualificato. Bene il volontariato, a patto che non diventi l’alibi per restare fermi. La Federazione può e deve vigilare sulla corretta gestione dei ragazzi più giovani. Coinvolgendo persone innamorate e competenti come Mario Chiesa, per fare un esempio, che proprio qui ha di recente denunciatole esagerazioni che non portano a niente.
Ecco, se qualcosa ci sentiamo di chiedere alla Federazione del presidente Dagnoni, prima di stringergli la mano per i risultati ottenuti ad Apeldoorn e Anadia, è di uscire dalla logica dei voti nel cui nome si accetta di non crescere. Di modificare lo statuto e dare voce a chi avrebbe davvero le competenze per far ripartire il nostro ciclismo. Di impegnarsi sul territorio e nelle scuole, per raccontare la potenza educativa, ecologica e sociale di questo sport. Solo qualificando chi opera nel ciclismo si può sperare che lo sport torni appetibile. E che il meccanismo virtuoso si rimetta in moto.
Undici italiani (meno Ganna) al Tour de France. Il piemontese è caduto il primo giorno ed è tornato subito a casa senza aver fatto in tempo a entrare nel clima della corsa. Incontrato ieri a Corvara,Miguel Indurain si è detto incredulo della situazione del ciclismo italiano.
«Non so se all’Italia manchino corridori – ha detto – oppure il fatto di avere una squadra di spessore o forse entrambe le cose. Non so quale sia il fattore scatenante di questa crisi, ma è davvero doloroso non vedere l’Italia protagonista. Nei miei anni aveva tanta abbondanza di grandi corridori sia per le classiche sia per i Grandi Giri. E’ un momento difficile perché poi si lotta contro superpotenze che hanno budget enormi, come la Uae Emirates».
Vincenzo Nibali è stato l’ultimo grande italiano, capace di vincere Giri e classiche con regolaritàVincenzo Nibali è stato l’ultimo grande italiano, capace di vincere Giri e classiche con regolarità
Il silenzio dopo Aru
Da Bugno e Chiappucci siamo passati a Gotti e poi Pantani. Quindi a Simoni, Cunego e Garzelli. Ci sono stati gli anni di Savoldelli e Di Luca e Basso. Abbiamo creduto di aver trovato la risposta con Riccò, ma non è andata come si sperava. Abbiamo ringraziato Nibali, che ha portato orgogliosamente per anni la bandiera del ciclismo italiano. E quando di colpo il suo erede Fabio Aru è crollato sotto un peso imprecisato e per lui troppo grande, ci siamo guardati intorno e abbiamo visto che non c’era più niente. Non c’erano nemmeno più le squadre. Gli americani si sono mangiati la Liquigas, l’hanno trasformata in Cannondale e poi l’hanno lasciata morire. La rossa Saeco è diventata Lampre e la Lampre è diventata la UAE degli Emirati Arabi.
Senza il controllo da parte di manager nostrani, come in un moderno far west i settori giovanili sono diventati terreno di caccia per gruppi di agenti e squadre straniere, certamente ben strutturate ma senza grande slancio nel proporre un percorso di crescita coerente con la formazione dei nostri atleti. Siamo abbastanza certi che tanti di loro, inseriti in un team italiano di livello, avrebbero seguito un percorso di crescita diverso e più redditizio.
Davvero qualcuno crede cha la vittoria di Conca al campionato italiano sia lo specchio del problema?Davvero qualcuno crede cha la vittoria di Conca al campionato italiano sia lo specchio del problema?
Il parafulmine Conca
E’ innegabile che ci siano dei problemi e che ci fossero anche in passato, tuttavia le vittorie hanno permesso di ignorarli. Si sono tutti attaccati alla vittoria tricolore di Conca, facendone una sorta di parafulmine. In realtà il campionato italiano è stato altre volte teatro di clamorose sorprese, come quando lo vinse Filippo Simeoni, lasciandosi dietro la crema del ciclismo italiano. Nessuno la prese troppo bene, ma furono costretti a fare buon viso e si rimisero a pedalare. Eravamo pieni di corridori forti a livello internazionale, per cui smisero presto di farsene un problema.
La vittoria di Conca, come da lui giustamente fatto notare e come sottolineato da Visconti, è arrivata in un giorno caldissimo e al termine di una fase ancor più torrida della stagione in cui a tutti i corridori delle professional è stato chiesto di fare punti su punti. In ogni corsa, anche le più piccole. Ogni giorno. La loro superiorità numerica nel giorno del campionato italiano è stata solo nominale: squadre composte da tanti corridori sfiniti, come è normale che sia quando l’obiettivo smette di essere fare buon ciclismo. Salta all’occhio in questo senso il terzo posto di Valerio Conti, 32 anni, nel Giro del Medio Brenta vinto ieri da Turconi. Non ci sarebbe da ragionare anche sulla presenza delle squadre professionistiche nelle internazionali che un tempo furono dei dilettanti?
Il Tour e i suoi vertici fanno sistema con il movimento, ne fanno parte e lo alimentanoIl Tour e i suoi vertici fanno sistema con il movimento, ne fanno parte e lo alimentano
Gli affari di Cairo
In tutto questo, la Federazione e la Lega (che ne è emanazione diretta) hanno smesso di parlare, rimbalzandosi responsabilità sempre troppo vaghe. Un atteggiamento che conduce in acque scure e non aiuta nel venirne a capo. E’ difficile dire se prevalga l’egoismo o se ci troviamo di fronte a dirigenti non all’altezza. Nella Francia del Tour che attira risorse come miele, è noto che gli stessi organizzatori abbiano più volte agevolato l’ingresso di nuovi sponsor per le squadre francesi. E’ utopia immaginare che Urbano Cairo, il presidente di RCS, possa svolgere un ruolo analogo? Probabilmente sì. O almeno la storia finora ha mostrato altre realtà. Il lavoro che viene svolto dai suoi uomini è quello di reperire capillarmente risorse sul territorio, senza (in apparenza) troppa attenzione per coloro cui le stesse vengono sottratte. L’obiettivo è fare utile: scopo legittimo, con il senso tuttavia di una mietitura che non tiene conto della necessità di arricchire il terreno prima che diventi arido.
Che cosa dovrebbero fare la Federazione e la Lega? Organizzare alla svelta un tavolo che detti nuove regole per il ciclismo italiano: dalla base ai vertici. Non significa consegnare a RCS ogni corsa che desideri, ma farlo in un quadro che gli imponga anche degli obblighi promozionali. Si sta addirittura valutando di costringere i super team a dividere parte delle loro risorse con le squadre più piccole: perché nessuno tocca le tasche degli organizzatori?
Le possibilità più concrete di vittoria per gli italiani al Tour le ha probabilmente Milan, qui vittorioso al DelfinatoLe possibilità più concrete di vittoria per gli italiani al Tour le ha probabilmente Milan, qui vittorioso al Delfinato
Gli italiani del Tour
Se non può essere il presidente Dagnoni a far sentire la sua voce, forse può farlo Roberto Pella, che ha un suo disegno e il suo passo, cui non sembra voler rinunciare? Il problema non è Conca, lui è stato semplicemente il più motivato nella corsa che assegnava la maglia tricolore. Il problema è il meccanismo che gli ha permesso di farlo e che sta svuotando il nostro ciclismo di ogni programmazione. Dalle squadre juniores, che vengono regolarmente depredate e poi chiudono, alle U23 che stanno lentamente sparendo, fino alle professional alle prese con il sistema dei punti. Era così anche prima, solo che ormai davanti non ci sono più campioni in grado di mettere tutto sotto il tappeto. Undici italiani (meno uno) al Tour sono un punto forse più basso di quanto è accaduto al campionato italiano.
Una settimana e lo sport italiano avrà un nuovo governo: il 26 giugno si eleggerà infatti il nuovo presidente del Coni, dopo tre mandati consecutivi per Giovanni Malagò costretto dalla legge (e non senza ripetuti tentativi di farla rivedere per togliere il vincolo) a cedere il passo. Che poi Malagò non uscirà dallo sport italiano, anzi. Intanto per i prossimi due mesi resterà in carica per il passaggio di consegne. Poi manterrà il posto in Giunta fino al 2029 come fino al 2029 manterrà il ruolo di membro del CIO. Senza dimenticare poi che ci sono le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, da lui fortemente volute e che lo vedono presidente della Fondazione che si occupa dell’organizzazione sportiva.
Giovanni Malagò lascia il posto dopo tre mandati di crescita dei risultati sportivi ma anche grandi problemi insolutiGiovanni Malagò lascia il posto dopo tre mandati di crescita dei risultati sportivi ma anche grandi problemi insoluti
8 candidati, ma è corsa a 3
Detto questo, è tempo di elezioni, quindi è tempo di grandi incontri e lotte politiche fra i papabili. Ben 8 hanno presentato la loro candidatura, fra loro anche Giorgio Iannelli e la sua è forse quella che ha i maggiori significati umani, la volontà di un Don Chisciotte che si batte per i diritti del ricordo del suo sfortunato figlio puntando a rimodellare il moloch sportivo a livello politico. Un’utopia? Sì, irrealizzabile, ma già esserci ha un valore.
I candidati “veri” sono in realtà 2, forse 3. Luca Pancalli, presidente della Federazione Sport Paralimpici e Luciano Buonfiglio titolare della Federcanoa sono coloro che si stanno giocando la poltrona, ma c’è sempre l’incognita legata a Franco Carraro, 85 anni, che ha presentato la candidatura proprio allo scadere dei termini e che, per il suo carisma, è sempre in grado di spostare voti. Per l’elezione servono 41 voti su 81 grandi elettori: in queste ore è una caccia sfrenata a ognuno di essi, fatta di promesse, di richieste, fino all’ultima notte, quella che si trascorrerà in bianco per gli ultimi decisivi incontri. Ricordate il detto “è entrato in conclave Papa e ne è uscito cardinale”. Nel mondo sportivo vale ancor di più, spesso ci si gioca tutto nelle ultimissime ore.
Luciano Buonfiglio, 74 anni, presidente della federcanoaLuca Pancalli, 61 anni, presidente della Federazione Italiana Sport DisabiliFranco Carraro, 85 anni, già presidente dal 1978 all’87Luciano Buonfiglio, 74 anni, presidente della federcanoaLuca Pancalli, 61 anni, presidente della Federazione Italiana Sport DisabiliFranco Carraro, 85 anni, già presidente dal 1978 all’87
La posizione di Dagnoni
Buonfiglio è sostenuto da molti suoi colleghi presidenti di federazione, tra cui anche Dagnoni che aspira fortemente a un posto in Giunta (e su questo torneremo). Altri sostengono Pancalli, per il quale depongono anche gli straordinari risultati e anche la crescita d’immagine dell’Italia ai Giochi Paralimpici. Ma si sa che a questi livelli i risultati contano molto meno dei rapporti interpersonali e del peso politico. Peso che ad esempio ha Paolo Barelli, da tempo immemore presidente della Federnuoto e uno dei deputati “opinion leader” di Forza Italia. Oppure Angelo Binaghi, presidente della Federtennis fiero avversario di Malagò e avverso a Buonfiglio.
Malagò insieme a Dagnoni: il presidente della FCI si candida per la giuntaMalagò insieme a Dagnoni: il presidente della FCI si candida per la giunta
Carraro e la rifondazione post-Montreal
Molto però dipende da che scelte farà il presidente uscente, perché può spostare un notevole pacchetto di voti, forse quello decisivo. Dai corridori traspare l’idea che potrebbe appoggiare Buonfiglio sentendolo più “vicino” alle sue posizioni. E Carraro? Chissà che il “grande vecchio” dello sport italiano non possa sparigliare le carte. In fin dei conti si è già seduto su quella poltrona, una delle innumerevoli della sua carriera e comunque chi ha antica memoria ricorda che ebbe un peso non indifferente nella lenta ma inarrestabile ripresa dello sport italiano dopo la debacle di Montreal 1976, quando la spedizione olimpica conquistò la miseria di 2 medaglie d’oro e poche altre (tra cui quella di Giuseppe Martinelli nella gara su strada). Carraro sarebbe un po’ il “pacificatore” di un ambiente sportivo dove c’è grande rivalità.
La Giunta del Coni, per i suoi 13 posti sono ben 36 i candidatiLa Giunta del Coni, per i suoi 13 posti sono ben 36 i candidati
La caccia a un posto in Giunta
Questo si vede anche dal fiume di candidature per un posto in Giunta: per i 13 a disposizione si sono presentati in 36… 5 sono quelli riservati ai presidenti federali e fra loro c’è anche Dagnoni che vuole far valere il peso della tradizione ciclistica ma anche del grande spazio che, nonostante tutto, le varie specialità a due ruote hanno nel consesso olimpico. Tanti gli avversari a cominciare da Stefano Mei, che passa all’incasso dopo la perentoria crescita dell’atletica, prima cenerentola dello sport italiano ma dal covid in poi tornata ad essere la regina. Mei punta apertamente alla vicepresidenza e anche questo sposta equilibri. Dove si collocherà il massimo dirigente ciclistico? E’ chiaro che questo influirà anche sul valore della disciplina, basti pensare ai fondi messi a disposizione (fortemente ridotti negli ultimi anni).
Dagnoni a parte, analizzando le candidature, fra atleti, tecnici, rappresentanti regionali e provinciali si nota come ci sia una completa latitanza del movimento e questo rappresenta anche lo specchio delle difficoltà che tutto il mondo del ciclismo italiano vive, rischiando di essere messo sempre più ai margini.
Con l’ennesima spallata allo sport contemporaneo, Tadej Pogacar si è portato a casa anche la Liegi, mettendo insieme un filotto che ha del prodigioso. Terzo a Sanremo. Primo al Fiandre. Secondo alla Roubaix. Primo alla Liegi. In mezzo il secondo posto all’Amstel, che forse ha scoperto un suo piccolo limite, e la vittoria alla Freccia Vallone.
La settimana scorsa parlammo di abuso del talento e restiamo convinti che l’Amstel sia stata di troppo, nel nome della stessa cautela per cui lo scorso anno la UAE Emirates decise di non schierare Tadej alla Vuelta. Tuttavia, come detto più volte in passato, il fenomeno è lui e al netto delle cautele necessarie per la sua longevità atletica, bisogna ammettere che con il campione del mondo alcune regole andranno riscritte. Mentre in Italia non si riesce a riscrivere la Legge 91.
Il secondo posto di Ciccone alle spalle di Pogacar nobilita l’abruzzese e lo lancia verso il Giro d’ItaliaIl secondo posto di Ciccone alle spalle di Pogacar nobilita l’abruzzese e lo lancia verso il Giro d’Italia
La Liegi degli italiani
La Liegi di Pogacar ha visto un bel segnale dagli italiani, con il secondo posto di Ciccone e la presenza di Velasco e Bagioli fra i primi dieci. Dopo anni di vacche molto magre, un risultato che piace parecchio. Al punto che dalla Lega Ciclismo sono arrivate le congratulazioni del presidente Pella.
«Siamo orgogliosi dei nostri corridori – ha dichiarato l’onorevole piemontese – la prova odierna conferma il valore e il lavoro che tutto il movimento italiano sta portando avanti con impegno e passione. Questa generazione ha talento e coraggio: qualità che sapranno emozionarci sulle strade del Giro e nelle più importanti competizioni internazionali».
Abbiamo la sensazione che fra i due massimi organi del ciclismo italiano ci siano scarsa comunicazione e una competizione non dichiarata. Come quando Dagnoni era stato da poco eletto per il primo mandato e doveva fare quotidianamente i conti con Renato Di Rocco, che non perdeva occasione per presenziare a partenze e premiazioni. Entrambi hanno pieno diritto di fare quel che fanno, ma la situazione da fuori appare insolita.
I presidenti Dagnoni e Pella al Tour of the Alps, durante la commemorazione di Sara Piffer da parte di Giacomo SantiniI presidenti Dagnoni e Pella al Tour of the Alps, durante la commemorazione di Sara Piffer da parte di Giacomo Santini
Le donne ignorate
In questo scenario ancora da capire, la nota stonata è che siano state ignorate le donne. Nessuna congratulazione, da entrambe le parti. Neppure quando Letizia Borghesi ha conquistato il secondo posto della Parigi-Roubaix e ieri Trinca Colonel un rispettabilissimo posto fra le prime 10 della Liegi.
Le donne non fanno parte della Lega del ciclismo professionistico, eppure (fatti salvi gli importi) all’UCI il contratto di Elisa Longo Borghini è identico a quello di Ganna. Siamo ancora fermi alla Legge 91 sul professionismo: una legge di 34 anni fa! E siccome nessuna Federazione all’epoca consentiva alle donne di accedere all’attività professionistica, le atlete italiane sono considerate dilettanti, sebbene abbiano in tasca dei contratti da professioniste.
Negli anni due decreti hanno ridefinito il concetto di “lavoratore sportivo”, estendendo alcune tutele anche al settore dilettantistico. E successivamente sono stati apportati ulteriori correttivi, adeguando la normativa alle esigenze attuali del mondo sportivo. Ma la disparità resta ed è frustrante. Lo è per noi che ne scriviamo, figurarsi per chi la vive sulla propria pelle.
Monica Trinca Colonel ha conquistato l’ottavo posto alla Liegi: ha un contratto da pro’, ma per la legge italiana non lo èMonica Trinca Colonel ha conquistato l’ottavo posto alla Liegi: ha un contratto da pro’, ma per la legge italiana non lo è
Lo sforzo condiviso
Allora forse, mentre le foto della vittoria di Pogacar popoleranno gli sfondi per questa settimana e lasceranno poi il posto alle prime immagini del Giro, il ciclismo italiano fa bene a rallegrarsi per i tre azzurri nei 10 della Liegi. Poi però dovrebbe scrollarsi di dosso l’ennesima disparità a scapito delle ragazze.
Chiunque arrivi prima a sanare l’irregolarità meriterà una stretta di mano. Fermo restando che si potrebbe arrivarci assieme: la Federazione e la Lega che ne è diretta emanazione. La concorrenza serve quando porta frutti e fa crescere il movimento, in caso contrario rischierebbe di rivelarsi semplicemente uno sterile esercizio.
SIENA – «A cose normali – dice Bennati – finito il rapporto avrebbero potuto convocarmi. Hanno uffici a Roma e Milano, il presidente ha il suo ufficio, dove ho firmato il contratto. Mi convocavano e avrebbero potuto spiegarmi qualsiasi tipo di ragione. Non sono arrivati i risultati? E’ una motivazione reale, che sarebbe da contestualizzare, ma è innegabile. Potevano dirmi che si aspettavano di meglio, per cui volevano voltare pagina. Invece alla fine sono stato io a chiamare Amadio. Eravamo a metà febbraio e gli ho chiesto che cosa avrei dovuto fare. E Roberto mi ha risposto che avevano appena finito la riunione in cui il presidente aveva deciso di non confermarmi».
La presentazione delle squadre della Strade Bianche è nel pieno, con Bennati sediamo sugli scalini nella Fortezza Medicea, mentre gli chiedono interviste e di fare qualche foto. Nelle scorse settimane tanti hanno parlato del commissario tecnico non confermato. Colleghi hanno scritto articoli molto duri e noi non avevamo ancora sentito la versione del toscano.
Il Consiglio federale di febbraio ha ratificato le nomine dei nuovi commissari tecnici. Quando la mancata conferma è stata ufficiale, Bennati ha scritto un post su Instagram. Ha ribadito il suo amore per l’azzurro. E ha lamentato le modalità della chiusura dei rapporti a causa delle quali ha rinunciato a importanti incarichi professionali. Richiesto nel merito pochi giorni fa, il team manager Amadio ha riconosciuto la serietà e l’impegno di Bennati e spiegato che la fine della collaborazione sia stata dovuta alla rottura dei rapporti fra il cittì e il presidente federale, cui spetta la prerogativa di nominare i tecnici.
La Strade Bianche partirà a breve, con il numero uno per Pogacar nella gara maschile e la sua compagna Urska fra le donneLa Strade Bianche partirà a breve, con il numero uno per Pogacar nella gara maschile e la sua compagna Urska fra le donne
Partiamo dalla fine: hai davvero rinunciato a un importante incarico professionale?
Avevo già ricevuto il contratto dalla Groupama-FDJ. Prima tramite Philippe Mauduit, poi Madiot e alla fine ho parlato con il direttore generale Thierry Cornec. Perso Demare, vogliono ricostruire un gruppo vincente attorno a un velocista forte e avrebbero affidato a me il progetto. Si trattava di individuarne uno libero e poi di costruirgli attorno un treno e un metodo di lavoro. Spero si possa riprendere il discorso che sul momento ho lasciato cadere perché aspettavo il Consiglio federale. Non avrei trovato corretto accettare un’altra offerta e per giunta all’estero.
La decisione è stata davvero presa per un problema di relazione fra Bennati e il presidente federale?
Probabilmente da un certo momento in poi qualcosa si è incrinato. Non ho accettato di accompagnarlo durante la campagna elettorale, ma quale altro tecnico lo ha fatto? Io credo che questa decisione sia stata presa molto prima di febbraio. Ovviamente nell’ultimo anno i problemi ci sono stati, spesso legati a incomprensioni. Ho fatto buon viso alla scelta di far correre Viviani su strada a Parigi. Alla fine è venuta la medaglia, hanno avuto ragione, ma confesso che a un certo punto ho anche pensato di dimettermi. Con il mio carattere non ho sempre detto di sì e qualche volta ho anche detto di no a situazioni in cui non mi trovavo. Non so se questo abbia portato alla decisione.
Che esperienza è stata per te questo viaggio di tre anni?
Alla nazionale non si può dire di no. Quando mi è stato proposto, io non conoscevo il presidente e lui non conosceva me. C’è stato un avvicinamento, poi due o tre incontri e alla fine ho preso la decisione, consapevole che il periodo sarebbe stato complicato. Va detto che quando ho accettato, Colbrelli aveva da poco vinto la Roubaix, era campione europeo e stava entrando in una dimensione internazionale importante. Sarebbe stato competitivo già dal primo mondiale in Australia, poi a Glasgow e anche alle Olimpiadi di Parigi. Sicuramente avremmo potuto chiudere il cerchio, però ovviamente è andata peggio a lui e mi dispiace tanto. A quel punto ho puntato sui corridori che avevamo e con cui ho lavorato bene. Trentin e Bettiol che, ad esempio, secondo il mio punto di vista era più in forma in Australia che a Glasgow. Sono stati tre anni difficili che sicuramente mi hanno dato la possibilità di crescere. Mi sono fatto le ossa, mi sono fatto tanta esperienza che non avevo per questo ruolo.
Quando Bennati ha firmato da cittì, Colbrelli era campione europeo e aveva da poco vinto la RoubaixQuando Bennati ha firmato da cittì, Colbrelli era campione europeo e aveva da poco vinto la Roubaix
Anche Villa ha detto che nessuno nasce commissario tecnico.
Penso che anche il grande Franco (Ballerini, ndr) non avesse l’esperienza della nazionale. Dalla sua parte sicuramente aveva un parco atleti molto più consistente. Non voglio dire che fosse più facile, però sicuramente aiuta.
Com’è stato il tuo rapporto con i corridori da non più corridore?
All’inizio è stato strano. Ero sceso da bici da poco tempo e avere questo rapporto così distaccato l’ho trovato particolare. Per fortuna non ci ho messo tanto a trovare le misure giuste.
Ti è parso che i corridori abbiano fatto sempre quello che gli hai chiesto?
Partiamo dal primo mondiale. Quello in Australia è stato molto positivo e lo ricordo con più piacere. I ragazzi hanno interpretato la corsa nella maniera giusta, c’era un bello spirito. Abbiamo sfiorato il podio con Rota e alla fine abbiamo salvato il risultato grazie a Trentin. Quel giorno Evenepoel era nettamente più forte, però il nostro approccio è stato un ottimo biglietto da visita, un modello per il futuro. E il copione, a mio modo di vedere, si è ripetuto anche a Glasgow. Anche lì la squadra ha lavorato bene, l’approccio è stato dei migliori. Bettiol si è giocato le sue carte con quella lunghissima fuga, anche se a un certo punto lo hanno messo nel mirino e poi gli hanno dato il colpo di grazia.
Nel mezzo ci sono stati gli europei di Monaco e Col du Vam.
A Monaco non avevamo ancora il Milan di adesso. Jonathan era agli inizi e il capitano doveva essere Nizzolo. Poi Giacomo è caduto e a quel punto è subentrato Viviani. I ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro, poi Elia ha scelto di impostare la volata da davanti poiché avevamo la squadra per quel tipo di lavoro. A Col du Vam invece si puntava a fare bene con Ganna. Dal punto di vista dell’esperienza in questi appuntamenti Pippo non aveva ancora l’immensa sicurezza che ha in pista e nelle crono. Anche lì la squadra ha lavorato bene, ma nel finale per un’indecisione nel posizionamento, siamo scivolati troppo indietro, c’è stata la caduta e si è compromessa la gara.
Gli europei di Hasselt vedevano l’Italia in pole position con Milan e sono stati la delusione più cocente di BennatiGli europei di Hasselt vedevano l’Italia in pole position con Milan e sono stati la delusione più cocente di Bennati
L’europeo del 2024 si poteva vincere?
E’ stato la delusione più grande, dopo tre anni di bocconi amari. Era la prima volta che la nostra nazionale si presentava ai nastri di partenza con l’uomo da battere, vale a dire Milan. L’amarezza è stata grande. Alla fine io non ho fatto nessuna conferenza stampa, non ho fatto dichiarazioni ufficiali, nonostante quanto mi è stato rinfacciato. Finita la corsa, abbiamo fatto la riunione sul pullman, io ho usato parole dure e questa cosa è trapelata. Non avendo le radioline e vedendo un certo atteggiamento nel finale, non ho potuto correggere il loro errore ed ero frustrato. E’ normale che dopo la corsa ci sia un chiarimento e il mio sfogo è stato confermato dalla loro reazione.
Che cosa hanno detto?
Si sono resi conto che, benché avessero fatto un lavoro straordinario, il finale non era stato gestito come si doveva. Di quella situazione avevamo parlato per una settimana, però probabilmente si sentivano talmente sicuri, che alla fine hanno sbagliato. Lo dico da corridore: le volte che ti senti più sicuro sono spesso quelle che ti va peggio. E questo poi me lo ha confermato Jonathan (Milan, ndr), quando ha ammesso che si poteva fare diversamente. Ma questo non è scaricare responsabilità sui corridori, anche perché io la responsabilità me la sono sempre presa. Come a Zurigo, che responsabilità vuoi dare ragazzi?
Che responsabilità vuoi dargli?
Non gli ho detto io di andare in corsa con quello spirito, sarei stato uno stupido. Nei tre anni abbiamo vissuto una parabola discendente, che secondo me non ci stava. Quello di Zurigo non era e non è assolutamente il nostro valore. Come ho detto anche in altre occasioni, il percorso non era adattissimo a Giulio (Ciccone, ndr), però secondo me era doveroso che vi partecipasse, anche e soprattutto in prospettiva del prossimo. Giulio ha 30 anni e non aveva mai corso un mondiale. Lo stesso valeva per Tiberi perché in prospettiva del mondiale in Rwanda, anche Antonio è un corridore da tenere in considerazione.
La partecipazione di Ciccone al mondiale di Zurigo è stata un investimento in vista del prossimo in RwandaLa partecipazione di Ciccone al mondiale di Zurigo è stata un investimento in vista del prossimo in Rwanda
Perché dici che la decisione era stata presa prima?
Perché si capiva, poi magari mi sbaglio. Dopo il Giro d’Onore è stato fatto un incontro con i tecnici che avevano già firmato il contratto. Io non lo avevo fatto, perché mi hanno detto che non sarebbe stato corretto farmi firmare e lasciare eventualmente il mio contratto al presidente che avesse vinto le elezioni. Sono rimasto in silenzio per quasi tre mesi, perché avevano detto a me e in diverse interviste che Bennati faceva ancora parte del loro programma. Perché allora non farmi partecipare anche me a quella riunione? Forse perché ero già fuori?
E' giusto dire che Bernal sul podio della Strade Bianche sia stato una sorpresa? Non per Alberati, che lo accolse in Italia. Ha esplosività fuori dal comune
Domani a Monaco andranno in scena gli europei per i pro'. Parliamo con Trentin, regista e punta azzurra. Che ha la sua da dire anche sul livello delle corse
Marco Villa è il nuovo commissario tecnico dei professionisti. Dopo tre Olimpiadi alla guida della nazionale della pista, iI colpo di scena dell’ultimo Consiglio federale ha colto tutti alla sprovvista e in parte anche lui. Glielo avevano già detto, però prendere atto che fosse tutto vero è stato un bello scossone. Al punto che per qualche istante si è pensato che non ne fosse convinto lui per primo.
«Quando me l’hanno proposto la prima volta – ammette Villa – è stata una cosa un po’ surreale. Non sapevo se fosse il modo per tastare il terreno, ma ho capito presto che non era uno scherzo. La strada l’ha aperta Amadio, però dopo sono riuscito a parlare col presidente. La prima cosa che gli ho detto è che non volevo fosse passato il messaggio che a Villa non fosse piaciuto quello che gli era stato proposto. Anzi, gli ho detto che per me era un onore, soprattutto per la storicità di chi mi ha preceduto. Con tutto il rispetto per Bettini, Cassani e Bennati, pensare a Martini e Ballerini mi fa venire i brividi. Non me lo sarei mai aspettato…».
La prima uscita di Villa come tecnico dei pro’ è avvenuta a LaiguegliaLa prima uscita di Villa come tecnico dei pro’ è avvenuta a Laigueglia
Un grande onore, ma significa lasciare la pista che è stata la tua casa negli ultimi (quasi) vent’anni.
Non potevo non esternare che mi chiedevano di lasciare un settore che ho molto a cuore. E così ho chiesto se potevo fare ancora un po’ da collegamento, visto che abbiamo sempre professato la multidisciplinarietà. In fondo Bettini, Cassani e anche Bennati, con il discorso di Parigi e aver permesso a Viviani di correre su strada, sono sempre stati partecipi con me in pista.
E così rimarrai accanto a Bragato nella pista delle ragazze.
Mi piace l’idea di esserci ancora. Le donne mi sono state affidate tre anni fa. Abbiamo vinto subito un mondiale, abbiamo cercato di lavorare nonostante le difficoltà. L’incidente di Guazzini, l’incidente di Balsamo nel 2023 e l’altro nel 2024 a ridosso delle Olimpiadi, ci hanno rovinato il percorso di avvicinamento a Parigi. Però ne siamo usciti con una medaglia d’oro e con un quarto posto nel quartetto che fa sperare per Los Angeles. Abbiamo un gruppo che arriverà a Los Angeles in piena crescita, in piena maturità atletica e anche mentale. Credo che la medaglia d’oro di Guazzini e Consonni abbia dato qualcosa in più al gruppo. Così ho espresso il desiderio di terminare quel ciclo delle donne. Credo che con la collaborazione di Diego (Bragato, ndr), riusciremo a fare un bel percorso. E naturalmente ho un buon rapporto con Salvoldi, quindi se sta bene anche a lui, la collaborazione non mancherà.
Amadio si aspetta che Villa riesca a ricreare nel mondo della strada lo spirito di gruppo che ha creato in pista.
Forse il mio modo di lavorare parte anche da lì. Dobbiamo formare un gruppo che abbia a cuore la nazionale e che, naturalmente, col rispetto dei programmi delle squadre, abbia a cuore l’avvicinamento a un mondiale o un europeo. Probabilmente ci sarà da preparare a inizio stagione un calendario che soddisfi le esigenze delle squadre, ma che ci permetta di giocarci una maglia azzurra in un mondiale o un europeo. Credo che quest’anno possa essere un po’ più difficile, perché il mondiale del Rwanda e poi l’europeo hanno due percorsi molto duri.
Secondo Villa, l’oro olimpico di Guazzini e Consonni nella madison ha svoltato la mentalità delle azzurre in pistaSecondo Villa, l’oro olimpico di Guazzini e Consonni nella madison ha svoltato la mentalità delle azzurre in pista
Adesso comincia la fase della conoscenza? A parte quelli con cui lavoravi in pista, con gli altri non hai la stessa confidenza…
Partiamo dal fatto che ci sono subito un mondiale e un europeo in cui i miei ragazzi della pista potrebbero non trovare posto. Parto con un gruppo tutto da conoscere, però Mario Scirea mi aiuterà. Ho parlato anche con Marino Amadori, perché qualche giovane che adesso è di là e sta facendo bene, è passato da lui. Cercheremo di fare gruppo con lo stesso Salvoldi. Cercherò di conoscere i ragazzi, ma in primis parlerò con i team manager, con le squadre, con i direttori sportivi, con i preparatori per capire i programmi. Per quest’anno va così, forse è un po’ tardi perché ormai tutti hanno i loro programmi.
Per fortuna manca ancora parecchio.
I mondiali sono a settembre e la settimana dopo, la prima di ottobre, ci sono gli europei. Quindi spero che qualcuno abbia fatto le sue considerazioni. E’ logico che non si sappiano quali idee abbia il commissario tecnico, però trovare qualcuno che ha programmato la stagione pensando anche a questi obiettivi e a farsi vedere dalla nazionale, credo che sia già un buon punto di partenza. Invece l’anno prossimo partirò con qualche mese già di vantaggio e qualche conoscenza in più. E mi sembra che anche i mondiali di Montreal siano abbastanza impegnativi.
Come costruirai la tua nazionale?
Mi piacerebbe coinvolgere i giovani e in questo inizio stagione, alcuni si stanno facendo vedere. Ma non butto certo a mare i più esperti. Ho sempre avuto rispetto di tutti, vediamo di fare un bel gruppo in cui i più grandi possano trasmettere la loro esperienza. In questi anni ho collaborato con Paolo Bettini, con Cassani e con Daniele Bennati. Ho sempre trovato degli atleti con un forte attaccamento alla maglia azzurra. E anche se non sono arrivati i risultati desiderati, l’Italia ha sempre corso bene. Ha sempre corso di squadra e questo è l’insegnamento da trasmettere ai giovani. E poi non è che i risultati siano sempre mancati…
Il mondiale di Harrogate sfuggito per un soffio a Trentin fa pensare a Villa che i nostri corridori più esperti hanno grandi qualitàIl mondiale di Harrogate sfuggito per un soffio a Trentin fa pensare a Villa che i nostri corridori più esperti hanno grandi qualità
Qualcosa abbiamo vinto, certo.
Abbiamo vinto dei titoli europei e siamo andati a un passo dal vincere i mondiali con Trentin. Sono convinto che quel giorno ad Harrogate, fino a 150 metri dal traguardo tutti speravamo che vincesse Matteo. Insomma, non buttiamo via il nostro movimento e tutto quello che è stato fatto. Il ciclismo si è globalizzato, la torta viene divisa in tante più fette rispetto a prima.
Cambierà il tuo modo di seguire le corse, non avendo più l’obiettivo della pista?
Ho fatto 11 anni da professionista e anche due Giri d’Italia. Il secondo in particolare, nel 2001, l’ho passato gestendo il velocista, Ivan Quaranta, sia alle corse sia durante la stagione con gli allenamenti. Tante volte glielo dico: «Ho iniziato a fare il tecnico quando ho iniziato a correre con te, a doverti stare dietro e seguirti allenamento per allenamento». Quindi non è vero che parto da zero. Ho sentito dire che non ho esperienza, ma io credo che l’esperienza da cittì ce l’abbiano in pochi.
Che cosa intendi?
Pochi ce l’hanno prima di aver cominciato ad esserlo. C’è stato chi prima faceva il direttore, chi il corridore. Da qualche parte si deve pur cominciare e ricordo che sono partito da zero anche sulla pista. Ho smesso di correre e dopo un anno e mezzo mi hanno chiesto di fare il collaboratore e poi il tecnico, in un settore in cui non c’era niente. Bisognava rifondare tutto, però l’ho fatto. Ho avuto la fortuna di trovare le persone giuste e gli atleti giusti. Spero di essere fortunato anche questa volta.
Villa e Bettini, fresco iridato del 2007: insieme in pista per una Sei GiorniVilla e Bettini, fresco iridato del 2007: insieme in pista per una Sei Giorni
Da amico e suo tecnico delle vittorie più belle, sei contento che Elia Viviani abbia trovato da correre, oppure un pensierino ad averlo nello staff azzurro ti era venuto?
Elia lo sento spesso e un aiuto da lui ce l’ho sempre. Ci confrontiamo spesso, ma ci confrontavamo anche prima. Abbiamo sempre parlato la stessa lingua, su come interpretare il ciclismo e come interpretare l’attività che stavamo facendo insieme: lui da corridore, io da tecnico. Io cercavo i corridori forti della strada per portarli in pista e il sistema è stato messo a punto bene anche grazie ai feedback che Elia mi ha sempre dato. Però ero il suo primo tifoso a sperare che trovasse un contratto perché è la cosa che voleva.
Ieri eri con Ganna in pista, come l’hai trovato?
L’ho trovato uguale. Punta su strada però ieri è venuto in pista. Era stato così anche negli anni scorsi. Nel 2023, l’anno dei mondiali di Glasgow, ha fatto la sua prima gara in pista ad agosto, ma da dicembre e gennaio di quell’anno i suoi passaggi in pista li ha sempre fatti. Come li sta facendo ancora oggi, perché la pista è un suo punto di riferimento. Abbiamo un sistema di rifinitura, soprattutto per la crono, ma anche per certi sforzi su cui Pippo punta per fare anche nelle gare su strada. L’ho trovato con lo stesso entusiasmo di sempre e mi sembra che sia uscito contento da Montichiari. Ha cambiato leggermente posizione sulla bici da crono e ieri mattina alle 9 era già in pista a sistemare la posizione, essendo partito da casa. Quando c’è una crono, lui ha sempre entusiasmo e lunedì c’è quella della Tirreno-Adriatico. Poi ci sono le altre tappe, che gli permetteranno di trovare le sensazioni che gli serviranno nelle gare successive.
Come procederà d’ora in avanti la tua immersione fra i professionisti?
Sarò alla Strade Bianche, poi le prime due tappe della Tirreno-Adriatico e venerdì con Amadio abbiamo in programma qualche visita per hotel alla vigilia della Sanremo. Abbiamo cominciato. A Laigueglia ho fatto la prima uscita e, con l’aiuto di Scirea, dopo un po’ mi sono sentito quasi a casa.
Al pari di altri presidenti d’oltre Oceano, Cordiano Dagnoni si insedia oggi per un altro quadriennio alla guida della Federazione ciclistica italiana. Come vi abbiamo raccontato ieri, l’elezione non ha avuto sorprese e la superiorità del presidente è stata chiara sin dal primo turno. In qualche modo, avendolo visto accanto a figure chiave dello sport italiano come Giovanni Malagò, già dal Giro d’Onore nella sua sicurezza avevamo colto dei segni premonitori.
Ragionando a caldo e poi ancora stamattina, si rifletteva su cosa abbia favorito un candidato rispetto all’altro. Ieri si è parlato di paura del cambiamento e proprio da questo vorremmo iniziare il ragionamento, che sarà breve per lasciare spazio al ciclismo pedalato.
Martinello può aver pagato la vicinanza di figure di spicco del ciclismo di qualche anno fa, non più amate come un tempo?Martinello può aver pagato la vicinanza di figure di spicco del ciclismo di qualche anno fa, non più amate come un tempo?
Quale cambiamento?
Non è stato forse segno di cambiamento aver scelto Dagnoni al precedente turno elettorale, preferendolo a Di Rocco, Isetti e Martinello? Nel 2021 Silvio, come ieri Dagnoni, ottenne la maggioranza al primo turno e fu solo per una precisa indicazione dei candidati sconfitti che non riuscì a mantenere il primato nel ballottaggio.
Ma ieri, nel testa a testa fra lui e Dagnoni, avere accanto i riferimenti della precedente gestione non può essere stato letto come una restaurazione, piuttosto che come aria di cambiamento? Il coinvolgimento di Mario Valentini, dopo le vicende che hanno portato al suo allontanamento dalla nazionale paralimpica, non potrebbe essere sembrato un ritorno al passato, da cui gli atleti fuggirono con quella lettera di sfiducia? Probabilmente sì ed è stato lo stesso Martinello a rivelarlo. E perché i delegati di Daniela Isetti, il cui programma è parso forse il più organico, non hanno ricevuto l’indicazione di confluire su di lui?
Cordiano Dagnoni ha conquistato la presidenza con una maggioranza prossima al 60 per cento (foto FCI)Cordiano Dagnoni ha conquistato la presidenza con una maggioranza prossima al 60 per cento (foto FCI)
Gli impegni da prendere
Dagnoni ha davanti quattro anni per dimostrare di saper fare quello che ha ripetutamente annunciato. Finalmente avrà a disposizione un Consiglio federale che remerà nella stessa direzione e questo indubbiamente non è poco. I temi sul tavolo ci sono e sarebbe sbagliato non vederli e non raccogliere le segnalazioni di allerta sollevate dagli altri candidati. Così come sarebbe saggio accogliere alcuni correttivi contenuti nei loro programmi. Non si tratterebbe di ammetterne la superiorità o di copiare: si tratta di lavorare per il bene del ciclismo.
Reclutamento. Presenza sul territorio. Promozione sociale. Presenza nelle scuole. Sicurezza. Impiantistica. Statuto da riscrivere. Gli obiettivi sono tanto evidenti che sembra persino superfluo annotarli. Noi di bici.PRO ci saremo, osservando, raccontando, elogiando e criticando, ma sempre con spirito costruttivo. Abbiamo narrato le storie degli atleti e della loro gestione e ci siamo anche soffermati su ciò che non ci convinceva. Siamo certi che questo sport meriti il meglio e la sua ricerca dovrà orientare il lavorodi chi ieri è stato scelto dall’Assemblea. Abbiamo davanti quattro anni in cui rimettere la nave su una rotta più virtuosa. Se non dovesse accadere, le conseguenze potrebbero essere pesanti. Al pari delle responsabilità.
FIUMICINO – Questa volta Martinello è scosso. La sconfitta ci può stare, ma erano tali i numeri di coloro che gli avevano assicurato il loro appoggio, che mandarne giù la defezione o il tradimento richiede una notevole dose di autocontrollo. Cordiano Dagnoni è stato da poco rieletto presidente della Federazione con numeri inoppugnabili, sono semmai quelli di Martinello e Isetti a sottolineare l’inatteso capovolgimento di fronte.
Il campione olimpico di Atlanta ragiona al piccolo tavolo della sala stampa, dove ci ha raggiunto per raccontare il suo punto di vista. Nella sala dell’Assemblea stanno ancora votando le ultime cariche, ma ormai è stato detto tutto.
«Delusione, chiaramente – dice – ma grande rispetto per il risultato. Delusione perché è stato fatto un lavoro importante e molto capillare sul territorio. Non si è trattato di andare a intercettare i delegati, i soggetti che contano. Sono andato a monte, quindi nelle regioni più importanti, con un lavoro che aveva l’obiettivo di responsabilizzare la società, che da queste dinamiche sono escluse a tutti gli effetti…».
L’Assemblea di Fiumicino è stata aperta dalla relazione di Dagnoni (foto FCI)L’Assemblea di Fiumicino è stata aperta dalla relazione di Dagnoni (foto FCI)
Un lavoro importante?
Un lavoro importante che ha portato anche qualche risultato. Sapere che in diverse assemblee provinciali qualcuno si è alzato per chiedere ai delegati come avrebbero utilizzato la loro delega, è già un risultato. Poi speriamo che finalmente queste regole di rappresentanza vengano affrontate seriamente, lavorando per avere uno Statuto più funzionale alle esigenze di una Federazione complessa come quella ciclistica.
Ti aspettavi che già al primo turno il margine fosse così ampio?
Mi ha sorpreso molto. Al primo turno ho preso meno voti di quattro anni fa, invece ero convinto di avere un sostegno maggiore. Cosa possa essere accaduto non lo so, magari a bocce ferme ci sarà la possibilità di fare una valutazione più serena. Ho il sospetto che ci siano state alcune delegazioni che avevano garantito una certa posizione e che poi abbiano modificato il loro atteggiamento. Ci può stare, per carità, anche io ho avvicinato qualche delegato e c’è stato chi mi ha ribadito di essere su posizioni diverse dalle mie.
Ti sei pentito di aver frequentato le società e non i delegati?
No, rifarei la stessa scelta. Ho ricevuto tanta vicinanza e tanta attenzione, però evidentemente le dinamiche vanno in altre direzioni. Prendiamo l’esempio del Veneto, dove abbiamo lavorato in modo capillare e i risultati si sono visti dal punto di vista dei numeri a disposizione. Su altre regioni ho provato a fare lo stesso lavoro, però entrano in gioco dinamiche difficilmente controllabili per chi si propone. A Stefano Bandolini non davo un centesimo, invece è diventato vicepresidente vicario. Sicuramente ci sono stati molti anche che hanno lavorato contemporaneamente su più posizioni, per tenersi aperte entrambe le porte, ma anche questo ci può stare.
Renato Di Rocco, che nel 2021 aveva ricevuto la vicepresidenza onoraria dell’UCI, ha supportato MartinelloRenato Di Rocco, che nel 2021 aveva ricevuto la vicepresidenza onoraria dell’UCI, ha supportato Martinello
Puoi aver pagato la scelta di avere accanto a te Renato Di Rocco?
Da quando mi ha manifestato la volontà di lavorare insieme, mettendosi a disposizione per portare acqua (probabilmente un’operazione che non ha mai fatto in vita sua), devo riconoscere che Renato si è impegnato moltissimo. Qualsiasi cosa abbia fatto, mi ha prima chiesto il benestare. Poi c’è stato Mario Valentini, che non è un semplice delegato. E’ uno che fa rumore, alza il telefono, chiama a destra e a sinistra. I nove atleti della Lombardia, che fanno parte del settore paralimpico, avevano ricevuto dal loro presidente Ercole Spada l’indicazione di venire con noi. Invece al ballottaggio hanno cambiato idea, per la paura che tornasse in gioco proprio Valentini. Non so che danni abbia fatto Mario sul settore paralimpico francamente, ma è andata così. Non sarebbero stati quei nove voti, sarebbe comunque arrivato prima Dagnoni.
Può darsi che certe alleanze siano state per te un boomerang?
Quando ho fatto la conferenza stampa in cui presentavo la mia squadra, sapevo che nel momento in cui avessi annunciato Di Rocco, le domande sarebbero andate in quella direzione. Eppure quello di Renato è stato un percorso correttissimo. Non ho mai disconosciuto il suo peso, ma ammetto che quando ho sentito l’applauso dopo l’intervento di Marco Toni, mi è scattato un alert (nella sua dichiarazione il dirigente lombardo ha fatto riferimento a candidati alle cui spalle agisce chi ha governato la Federazione per vent’anni, ndr).
Pensavi che il ballottaggio potesse ribaltare l’esito del primo turno?
No, quando ho visto che Dagnoni è passato al primo turno con 110 voti, sono andato a fargli i complimenti e lui ha fatto gli scongiuri. Allora gli ho detto che se non avesse raccattato sei voti al ballottaggio, non avrebbe meritato la riconferma. Perché a quel punto entrano in ballo altre dinamiche. C’è chi magari al primo turno ha avuto il coraggio di votare da una parte e poi passa di là. Sono passaggi che ci stanno in un sistema come questo.
L’intervento di Marco Toni e il successivo applauso hanno dato la misura dell’orientamento dell’Assemblea contro MartinelloL’intervento di Marco Toni e il successivo applauso hanno dato la misura dell’orientamento dell’Assemblea contro Martinello
Una sconfitta che brucia più o meno della volta precedente?
Mi sorprendono i numeri, perché ho preso meno voti dell’altra volta, dopo aver avuto la possibilità di lavorare sul territorio con strumenti diversi rispetto al 2020, quando a causa del Covid non ci si poteva neanche spostare. Questa scotta un po’ di più, ma il risultato va rispettato: l’Assemblea fa le proprie scelte e quelle sono. L’impegno è stato tanto, pensavo francamente di essere riuscito ad andare un po’ più in profondità, ma evidentemente non è bastato. Ho avuto due tentativi. Se la prima volta la scelta di ricandidarsi fu una scelta automatica per le modalità con cui avevo perso, adesso è difficile immaginare di farlo ancora.
La vittoria di Trentin a Tours riporta sugli scudi uno dei ragazzi del 1989 che con Cassani vinsero l'europeo in azzurro. Ed è lo spunto per due riflessioni
Dopo le prime dieci tappe del Giro, torniamo con Martinello sulle volate di Jonathan Milan. «E' fortissimo, con un treno e con Morkov sarebbe imbattibile»