Bagni di folla. Quando il popolo osanna il suo campione

06.10.2022
6 min
Salva

Maastritch s’inchina alla maglia rosa di Tom Dumoulin. Copenaghen straborda per Vingegaard. Evenepoel addirittura viene portato nella Capitale: nella Grand Place de Bruxelles non c’era una “mattonella” libera. Senza contare come Colombia ed Equador hanno accolto Carapaz e Bernal per i loro successi nei grandi Giri. Lì si è festeggiato a più riprese. Bagni di folla che dimostrano l’amore verso i campioni.

Bagni di folla che da noi, in Italia, difficilmente si vedono. Vero, ed è facile dirlo, che in questo momento storico ci manca il super campione in grado di muovere le masse, ma alcuni dei ragazzi citati in precedenza non erano degli assi navigati prima di quei successi.

E poi noi siamo un popolo del tifo (meglio questo corridore anziché quell’altro) e dei campanili. La festa c’è, ma salvo casi particolari, meglio che sia “di paese”.

Italiani digitali

Marco Pastonesi è un giornalista di lungo corso. Di fatti, corse e personaggi ne ha visti e raccontati tantissimi. Per anni è stato nella redazione della Gazzetta dello Sport. E sui bagni di folla è pronto a condividere la sua esperienza. Anche dalle sue parole subito emerge che certe manifestazioni non sono totalmente in linea con il Belpaese.

«Ho provato – racconta Pastonesi – a scavare nella memoria e banalmente potrei dire che erano altri tempi. Torno molto indietro e penso alle folle che potevano esserci per Binda, da quello che si legge e si vede nelle foto. Ma non mi sembrano siano state folle oceaniche tipo “viaggio del Papa”. Era diverso.

«Ho appena scritto un libro su Guerra (Il grande Guerra di Pastonesi e Gregori – Mulatero editore, ndr) e dalle ricerche effettuate è emerso che c’erano le città che andavano a prendere i campioni alla stazione e li scortavano a casa. E più recentemente ho in mente le immagini nella mente di Parabiago che abbraccia Saronni o la Val di Cembra che festeggia Moser».

Ma perché allora da noi non ci sono questi immensi bagni di folla? La questione secondo Pastonesi non è semplice da scavare fino alla radice.

«Non vorrei dire che il ciclismo è meno popolare, semmai è l’italiano che piano, piano ha smesso di scendere in strada. E’ innegabile che dal vivo c’è meno partecipazione di una volta e che al tempo stesso ci sia meno tolleranza, come chi si arrabbia perché il giorno della corsa non può prendere l’auto per andare al supermercato.

«Ma questo non significa che il ciclismo sia meno seguito: non è affatto così. In Tv è molto presente e lo stesso sugli smartphone. C’è meno partecipazione su strada e più una partecipazione da casa… Siamo un popolo digitale».

Come dice Pastonesi, tanta gente e tanta curiosità spingeva gli italiani agli albori del ciclismo. Qui una foto del primo Giro del 1909
Come dice Pastonesi, tanta gente e tanta curiosità spingeva gli italiani agli albori del ciclismo. Qui una foto del primo Giro del 1909

Strada o divano?

Non solo bagni di folla per i trionfi. Pastonesi fa un discorso più generale e parla anche della partecipazione nel “quotidiano”.

«Facendo le ricerche per il mio libro su Guerra – spiega Pastonesi – nel primo Giro d’Italia (1909, ndr) partito alle 2,53 di notte da Piazzale Loreto, che all’epoca era periferia di Milano, dagli archivi della Gazzetta si legge di una folla strabordante. E lo stesso avvenne per la punzonatura nella sede sempre della Rosa in via Galilei. La gente era pericolante dai muretti pur di vedere i corridori. Oggi seguiamo, ma non partecipiamo».

Che siamo una società più digitalizzata e attaccata al divano è vero, ma questo discorso non riguarda solo l’italiano. Riguarda a nostro avviso un po’ tutto il mondo occidentale. Semmai noi italiani siamo meno attratti dal grande evento.

Esempio banale. A Londra, Boston, o non ultima Berlino che ha visto il record del mondo di Kipchoge, la maratona è vissuta come un evento della e per la città. A Roma no. E’ il giorno in cui vengono chiuse le strade. C’è molta meno gente che partecipa ed è predisposta alla “diversità” per un giorno (o qualche ora). Ma poi si sente dire: «Visto che bella la maratona davanti ai Fori Imperiali?». Ammettiamo che è una strana psicologia.

Nibali e Pantani

Chiusa la digressione sul perché ci sia meno partecipazione ai grandi eventi, torniamo al ciclismo. Torniamo nel nostro orto e, come si suol dire, diamo “una botta al cerchio e una alla botte”. Perché è vero che forse non saremo un popolo dai bagni di folla facili”, però quando c’è il campione con la “C” maiuscola, quello in grado di entrarti dentro l’anima le cose cambiano.

«Non sarà stato un super bagno di folla come quello di Vingegaard – continua Pastonesi – però ricordo il ritorno di Nibali a Mastromarco. Si era mobilitato l’intero paese. Vincenzo salì sul balcone del comune, con lui il sindaco e fu accolto con passione da tantissimi tifosi».

E poi c’è lui: Marco Pantani. Al ritorno dal Tour, nel 1998 dopo la doppietta, a Cesenatico si parlò di oltre mezzo milione di persone. C’era anche Romano Prodi, allora presidente del consiglio ad accoglierlo.

«Ecco – ribatte Pastonesi – quello è stato forse l’ultimo vero grande bagno di folla. Quello di Cesenatico è paragonabile a quelli che abbiamo visto recentemente. Marco era arrivato a doversi travestire per poter uscire… Come alcuni calciatori. Si parlava che Totti uscisse di notte e camuffato per poter girare per Roma. Marco era su quella falsariga per non farsi riconoscere ed essere assillato».

Selle Italia rinnova e aggiorna la sua immagine web

26.09.2022
3 min
Salva

Selle Italia ha rinnovato in modo importante la propria immagine sul web. Il sito internet ufficiale del brand veneto, storico costruttore di selle, si è rifatto il look. Ora si presenta con una nuova piattaforma online molto ricca di contenuti e di approfondimenti sia sulla storia centenaria del marchio quanto sui modelli in offerta. Selle Italia da sempre è in grado di accontentare tutte le specialità del ciclismo: dalla corsa alla Mtb, passando per gravel, cross, triathlon e urban. 

Tra le diverse funzionalità che sono state aggiornate, merita di essere posta in evidenza la parte e-commerce, fruibile per Europa e Stati Uniti. Selle Italia sarà in grado di mettere a disposizione degli appassionati di ciclismo e triathlon una panoramica completa della propria offerta.

Quello appena concluso con il “go live” del nuovo sito è un percorso iniziato alcuni mesi fa. Un progetto di remake e di rinnovamento dell’immagine sul canale digital a totale supporto della strategia aziendale di Selle Italia, una strategia appunto che vede nel potenziamento delle attività online il focus su cui puntare per i prossimi anni

Questo è il design del nuovo sito, molto più fruibile ed accattivante
Questo è il design del nuovo sito, molto più fruibile ed accattivante

Accessibile e completo

La nuova piattaforma web è caratterizzata da una veste grafica molto elegante che punta sia sulla completezza delle informazioni a disposizione quanto sulla facilità nella ricerca. Per realizzare questo nuovo sito si è lavorato molto sulla sua “usability“, ovvero sull’accessibilità e sulla facilità di utilizzo a beneficio dell’utente finale, adottando soluzioni tecniche di ultimissima generazione. L’interfaccia è poi stata progettata in modo tale da poter essere intuitiva ed immediata, presentando un menu di facile consultazione. 

Nell’ottica di offrire al cliente un servizio davvero a 360 gradi, il nuovo sito Selle Italia presenta una sezione dedicata allo “store locator” attraverso la quale è adesso possibile visualizzare la mappa dei negozi presenti in tutto il mondo, cercare un singolo store oppure vedere, inserendo la città di interesse, l’elenco dei punti vendita nei quali trovare i prodotti di maggiore interesse.

Il quartier generale Selle Italia di Asolo
Il quartier generale Selle Italia di Asolo

Parlando invece dell’e-commerce, il nuovo spazio commerciale digitale Selle Italia presente sul sito fa della ricchezza dei contenuti e del supporto agli utenti i propri punti di forza. I prodotti sono suddivisi a seconda della categoria di utilizzo (corsa, fuori strada, gravel, triathlon, urban e commuting) e ciascuna scheda di ogni singola referenza presenta una descrizione tecnica molto accurata oltre ad una carrellata di immagini della sella scattate da qualsiasi angolazione.

Selle Italia

eQipe, la passione per il ciclismo è forte

10.08.2022
4 min
Salva

eQipe è un’azienda che ha come core business la produzione tessile, con una forte connotazione artigianale. Le collezioni sono completamente Made in Italy, dal disegno al confezionamento e vengono utilizzati canoni elevati per rispettare gli standard qualitativi.

Abbiamo provato un kit estivo, composto dalla salopette Gamma e dalla maglia Iota. Di seguito le nostre considerazioni.

Gamma, la salopette senza fronzoli

E’ un pantaloncino tecnico con una compressione uniforme lungo tutta la superficie (tranne la fascia sulla coscia) ed è altamente traspirante. Partendo dall’alto, ha le bretelle forate e piuttosto consistenti, che mantengono una stabilità e supporto ottimali anche quando si è in sella nella posizione ribassata. Nella sezione posteriore le bretelle si uniscono in una pannellatura unica, che si adegua alla schiena. La fascia addominale è caratterizzata da un tessuto poroso che non accumula umidità. In questo punto la salopette offre un vantaggio per nulla scontato e che risulta particolarmente utile quando ci si getta in discesa dopo una lunga scalata.

La salopette eQipe Gamma ha il tessuto sulla coscia e sui glutei sembra di velluto ed è quasi impalpabile. E’ una seconda pelle che bene si adegua alle forme della muscolatura. Il comfort che genera è un valore aggiunto non da poco, che si riflette positivamente anche dopo alcune ore di attività. Il fondo gamba invece è più morbido e forato, non prevede inserti siliconici. La salopette Gamma ha un prezzo di listino di 159,90 euro.

La maglia Iota

E’ una maglia confezionata e mirata per le giornate estive più calde, capace di combinare diverse tipologie di tessuto; ognuno di questi ha un compito ben preciso, ma nell’insieme abbiamo una maglia che asciuga in tempi rapidissimi. Il girocollo (basso) è disegnato per essere comodo prima di tutto e azzerare i fastidi che possono creare la zip e il suo cursore.

La maniche hanno il taglio vivo che non prevede silicone, mentre il torace e la schiena combinano dei tessuti con trame differenziate. La pannellatura anteriore e posteriore ha dei piccoli fori che non bloccano la termoregolazione e favoriscono l’entrata dell’aria. Ai lati invece è inserito un mesh con fori più ampi. Il girovita è elastico con dei punti siliconici all’interno; l’obiettivo è quello di rimanere aderente.

La sezione posteriore scende oltre la zona lombare e ci sono le tre tasche, ampie e profonde. Tutte le scritte, compreso il logo anteriore, sono rifrangenti. eQipe Iota ha un prezzo di listino di 89,90 euro.

Tour de France, la vetrina che (quasi) tutti aspettano

18.06.2022
8 min
Salva

Da un punto di vista storico, i giorni a ridosso del Tour de France corrispondono al periodo in cui molte aziende ufficializzano i nuovi prodotti. Una volta tutto era molto più celato, oggi i “segreti” hanno una vita più corta. I corridori utilizzano le nuove biciclette e i nuovi equipaggiamenti anche nelle gare che precedono il periodo estivo, in qualità di tester per le aziende. L’enorme comunicazione alla portata di tutti non fa altro che togliere il velo in anticipo. Nelle prossime settimane ci saranno parecchie novità: alcune le abbiamo già viste, altre solo immaginate.

Poche novità nelle forme, ma la Teammachine SLR01 di Van Avermaet è la Masterpiece
Poche novità nelle forme, ma la Teammachine SLR01 di Van Avermaet è la Masterpiece

Perché il Tour de France?

Siamo andati a bussare alla porta di alcune aziende del settore, cercando di capire perché le date delle presentazioni ufficiali cadano (molto spesso) in questo periodo di fine giugno e inizio luglio, combaciando con l’inizio del Tour de France. Tre le questioni: quale è il motivo che spinge le aziende ad ufficializzare le novità a ridosso del Tour de France? E’ una questione di “cassa di risonanza” oppure anche il periodo estivo è un fattore da considerare? Ha ancora senso “tenere nascosta” una bicicletta, ragionando nell’ottica che molto spesso vediamo immagini e dettagli dei nuovi prodotti tramite i canali social? Entriamo nel dettaglio delle risposte dei nostri interlocutori.

Mauro Mondonico (Colnago)

«In generale le aziende vogliono sfruttare la cassa di risonanza mediatica del Tour – spiega il direttore commerciale della casa di Cambiago – dove l’attenzione è al massimo. Lo è per gli appassionati, ma anche per chi segue il ciclismo di striscio. Per Colnago è leggermente diverso: abbiamo il vincitore delle ultime due edizioni in sella e la squadra da battere. Per noi le novità sono sempre e solo dedicate a dare ai nostri uomini al Tour la miglior possibilità di vittoria. Quest’anno poi il ruolo è duplice, in quanto useremo la squadra per avere feedback su un particolare prodotto.

«Dobbiamo considerare un mercato che è cambiato profondamente. Soprattutto grazie agli stravolgimenti degli ultimi anni ed alla peculiare situazione creatasi con la scarsità di approvvigionamento dei materiali, la stagionalità è molto meno rilevante.

«Nell’era digitale quando un prodotto esce, anche solo sui social, è come se fosse stato presentato e non ha più senso tenerlo nascosto e ufficializzarlo in seguito. Tanto vale presentarlo per primi, farlo come azienda e non perdere la possibilità di spiegarlo al pubblico. Le speculazioni rischiano di contrassegnare un prodotto per quello che non è».

Enrico Andrini (Cervélo Italia)

«Il Tour de France – spiega il marketing manager della filiale italiana – è l’evento ciclistico più seguito ed atteso dell’intera stagione ciclistica. Per quanto ci riguarda non esiste una prerogativa che ci induca a presentare delle novità in occasione di grandi eventi sportivi. Il Tour è la cassa di risonanza e mediatica più importante del settore. Diventa un punto di forza qualora si voglia dare maggior spinta alla comunicazione relativa ad un nuovo prodotto. Nel nostro caso l’iter di nascita di un prodotto non viene mai tracciato in base ad una ipotetica data di presentazione. I progetti delle biciclette moderne richiedono anni di lavoro, con le variabili del caso e talvolta degli imprevisti da gestire.

«La priorità va alla realizzazione del progetto. La presentazione è come una sorta di scatola decorativa. Contrariamente a quanto si pensa, i test dei nuovi prodotti vengono fatti tranquillamente alla luce del sole. Non esiste un’area 51 dove tutto è nascosto e segreto: sarebbe alquanto strana l’idea di una bicicletta concepita solo in laboratorio. Ovviamente i test vengono svolti con l’accortezza di scegliere i luoghi meno affollati, di non utilizzare elementi che possano richiamare eccessiva attenzione (colori/scritte). Di fatto tuttavia, i nostri prodotti sono stati testati direttamente su strada e con largo anticipo, rispetto quella che poi è stata la data di presentazione ed il lancio sul mercato.

«Anche in questo momento potrebbero esserci novità in gruppo, senza che nessuno se ne sia nemmeno accorto. Il primo obiettivo è quello di mettere a disposizione degli atleti delle biciclette performanti e tecnicamente eccellenti. E’ necessario considerare il peso che hanno la ricerca e sviluppo per un’azienda come Cervélo. Ci sono i feedback che riceviamo, dal team e direttamente dagli atleti, un passaggio fondamentale. Il risultato sportivo e l’ufficializzazione del prodotto al grande pubblico sono una conseguenza. Piuttosto che stupire il nostro cliente con una presentazione scenica, inattesa o spettacolare preferiamo mettere sul mercato un prodotto perfetto, magari già vincente tra i pro’, come accaduto per la R5 e per la R5-CX, ma soprattutto affidabile».

Fausto Maschi (KTM Italia)

«Per quanto ci riguarda il Tour de France non ha mai influito sulla presentazione delle biciclette. Il nostro riferimento piuttosto è sempre stato il mese di luglio, con uno sguardo alla fine di agosto, quando la Fiera di Eurobike si svolgeva in quel periodo dell’anno. In questo 2022 ci sarà la ripresa dell’expo tedesco, che però si sposta a Francoforte dal 13 al 17 luglio ed ecco che l’attenzione di KTM va verso quella direzione. Stiamo parlando di presentazioni ufficiali, dei nuovi prodotti che vedremo nel catalogo.

«Per un’azienda come lo è KTM Bikes, creare un’aspettativa ha senso ed è utile. Quello che non condivido, visto anche i tempi di consegna incerti e con tempistiche dilatate, è creare delle collezioni. Trovo invece corretto mantenere i modelli di biciclette per più anni, evitando di legarsi a periodi di presentazioni vere e proprie, spalmando le diverse novità nei 12 mesi».

Rudy Pesenti (Trek Italia)

«Il Tour de France è l’evento ciclistico con maggiore risonanza a livello mondiale. Presentare un prodotto a ridosso di questa corsa significa canalizzare l’attenzione degli utenti, oltre che verso la gara. Il Tour de France permette di raggiungere tutti i Continenti e la visibilità sulle nostre biciclette è al massimo. Avere una novità a livello di prodotto e averla in gruppo è assolutamente importante per un’azienda come la nostra. Però dobbiamo anche considerare gli atleti e il team, che oltre ad essere un importante veicolo di comunicazione del brand, sono fondamentali per lo sviluppo degli stessi prodotti e noi dobbiamo essere in grado di fornire loro i materiali migliori, sviluppati anche grazie ai loro feedback.

«Rispondendo al secondo quesito, possiamo dire che le novità principali si sono sempre viste nel periodo estivo, pertanto il Tour de France si trova in un momento strategico. Direi che questa manifestazione è a tutti gli effetti un’opportunità, un veicolo comunicativo forte per il segmento road ed al tempo stesso ha senso prevedere una presentazione ufficiale e dedicata, in occasione del lancio di un nuovo prodotto.

«Dalle fotografie che girano sui social non è possibile avere un listino prezzi, la gamma di cui si compone la bici e i vari allestimenti proposti. Il modello di bici è uno, ma tutte le possibilità presenti per la vendita al pubblico, insieme ai dettagli della novità del modello, vengono svelati soltanto nella data di lancio. Perciò questo tipo di approccio è ancora l’unico attualmente possibile».

Nelle prossime settimane vedremo anche una nuova Scott?
Nelle prossime settimane vedremo anche una nuova Scott?

Nicola Gavardi (Scott Italia)

«La Grand Boucle è l’evento più importante del mondo ciclistico e non solo. A livello mediatico la cassa di risonanza che genera è esponenziale ed è anche un ottimi palcoscenico dove presentare e lanciare le novità. Ma non è tutto, perché in parallelo ad un evento come lo è il Tour de France ci sono anche delle strategie di comunicazione che sono cambiate.

Dopo la pandemia ci confrontiamo con un mercato più maturo che va oltre le stagionalità del prodotto. Questa combinazione di fattori ha fatto cambiare e in maniera veloce il modo di comunicare, con il punto fermo della enorme cassa di risonanza del Tour de France.

Per rispondere all’ultima domanda, è necessario considerare che l’obiettivo di un’azienda come Scott non è solo vendere biciclette. Cerchiamo ogni giorno di offrire ai nostri consumatori degli spunti per poter sognare. In questo senso le bici o i prodotti sotto embargo, magari viste e non viste, in parte celate, ci servono solo per “scaldare” il mercato. Si crea un’attesa positiva, la voglia di vedere e toccare con mano la novità. In un periodo precedente il fattore marketing ricopriva un ruolo primario, ora ci sono da considerare le dinamiche di produzione. Anche in questo campo molte cose sono cambiate a causa della pandemia e la soluzione ottimale per molti è offrire un prodotto ready to sell».

Gobik, il test dei capi Edizione Nove Colli 2022

01.06.2022
5 min
Salva

Non è mai facile indossare un capo tecnico e buttarsi a capofitto nel test per oltre 200 chilometri e poco meno di 4.000 metri di dislivello positivo. Noi lo abbiamo fatto alla Nove Colli, con i capi tecnici prodotti da Gobik, nell’edizione speciale disegnata proprio per la gran fondo romagnola. Abbiamo pedalato sul percorso lungo con la shirt CX Pro 2.0 e con la salopette Absolute+2 K10 Nove Colli Edition.

Si nota anche la trama del tessuto, intrecciato in obliquo
Si nota anche la trama del tessuto, intrecciato in obliquo

Un’azienda spagnola per la decana delle gran fondo

La Nove Colli di Cesenatico non è solo una manifestazione amatoriale ed è riduttivo classificarla “solo” come una granfondo. Questo evento è una sorta di brand globalmente riconosciuto, con la sua area espositiva, il Ciclo&Vento, la mondanità sportiva, che trova il suo apice nella gara ciclistica della domenica.

Da questo 2022 la Nove Colli trova un nuovo supporter tecnico, Gobik, azienda spagnola che nasce nel 2010. Le diverse tappe del suo percorso, quello di Gobik, vedono un enorme successo e un’esplosione di notorietà dal 2019, quando l’azienda spagnola affianca Alberto Contador. Da quel momento la crescita è esponenziale, sotto molti aspetti, anche quelli legati alle sponsorizzazioni. Gobik è al fianco del Team UAE-Emirates ed Eolo-Kometa.

Un kit aderente e con il fit professionale (@sara carena)
Un kit aderente e con il fit professionale (@sara carena)

La maglia CX Pro 2.0 taglia small

Questa shirt è unisex ed è caratterizzata dalla vestibilità Perfect Fit. Ha un tessuto molto elastico e mai troppo sottile, ma con una sorta di struttura porosa che non ostacola la termoregolazione.

La CX Pro 2.0 ha un’aderenza pronunciata al corpo, grazie proprio al sostegno delle pannellature che compongono la maglia (costruita combinando 4 tessuti diversi), ma anche ad una serie di dettagli. Ad esempio il fondo maglia, con un inserto grippante spesso e personalizzato. Ma anche la fascia elastica sulle maniche, alta e compressiva in maniera adeguata. E’ adatta ad un range di temperatura compreso tra i 20°C e 38°C. Inoltre ha un indice 30 di protezione dai raggi solari.

Un ulteriore vantaggio è dato dal design delle tasche posteriori, con soluzione GRS, acronimo di Gobik Retention System. Tutte e tre sono profonde, comode e facilmente raggiungibili, quella centrale ha il taglio dritto, le due laterali sono angolari. Questa shirt ha una tecnica sopraffina, risultato della vestibilità aderente e anche di un’aerodinamica ottimale. Con le tasche piene non sfarfalla e non cede.

La salopette Absolute+2 K10 Solid

Che gran pantaloncino! Non è scontato indossare un capo tecnico, metterlo (e mettersi) alla prova per oltre 200 chilometri e avere la sensazione di restare in totale comfort. Questo grazie al fitting, nella parte delle cosce e con una compressione leggera, ma anche per merito delle bretelle e della zona addominale, che non comprime.

La sezione lombare e quella addominale sono avvolte da uno strato di rete traspirante, dove si innestano le bretelle e il pannello della schiena. Anche in questo caso, pur senza lasciare nulla al caso in fatto di sostegno, il tessuto non accumula sudore e si asciuga in fretta. Il fondo gamba è alto, aderente e ha l’obiettivo di stabilizzare tutta la salopette. Abbiamo categorizzato questa salopette come una sorta di guanto, bella e gratificante da vedere indossata, capace di offrire una bella immagine, molto professionale.

Il fondello è italiano

Per il fondello, prodotto di altissima gamma, si è puntato sul K10 di Elastic Interface: adatto a supportare e sopportare l’azione del ciclista anche oltre le 8 ore. Ha spessore doppio e differenziato in base alle zone: entrambe sono strutturate grazie a schiume ad alta densità. Il punto di spessore massimo raggiunge gli 11 millimetri.

Gobik

Aerodinamica, il punto tecnico di Wilier, Pinarello e Cervélo

30.05.2022
4 min
Salva

Tre aziende che sono un riferimento nel mondo della ricerca e sviluppo, dei materiali e delle soluzioni in fatto di aerodinamica. Cervélo da sempre investe risorse ingenti in questa categoria di prodotti, così come Pinarello. Wilier ha implementato la ricerca e in occasione della corsa rosa ha lanciato la nuova bicicletta. Vogliamo capire come le aziende affrontano l’argomento dell’aerodinamica che si sposa con il ciclismo.

La ricerca Wilier al Politecnico di Milano (foto Wilier)
La ricerca Wilier al Politecnico di Milano (foto Wilier)

L’aerodinamica è uno strumento

Abbiamo fatto quattro domande comuni alle tre aziende. Quanto costa sviluppare e produrre una bici specifica per le prove contro il tempo? E’ una fascia di mercato legata al mondo dei pro’, oppure esiste una nicchia di acquirenti? In sostanza, l’azienda ha un ritorno? Vale la pena investire in questa categoria? Lo sviluppo delle bici da crono condiziona la produzione delle bici “normali”?

Ecco i manubrio in titanio per il Team Ineos (foto Pinarello)
Ecco i manubrio in titanio per il Team Ineos (foto Pinarello)

Risponde Wilier

«Crediamo molto nella ricerca e nello sviluppo di questa categoria – ha risposto il responsabile dell’Innovation Lab Wilier Claudio Salomoni – ed è qualcosa che continueremo a spingere anche in futuro. I costi sono difficili da quantificare, perché dietro di ci sono tantissimi fattori da considerare. Test nella galleria del vento, telai prodotti in singole parti e prototipi. Se prendiamo ad esempio la nuova Turbine SLR, sfioriamo i 100.000 euro solo per la ricerca. La categoria delle bici da crono non è una parte dominante nel fatturato dell’azienda e del catalogo di Wilier.

«Lo sviluppo ha l’obiettivo primario di accontentare gli atleti professionisti, ma inevitabilmente le ricerche in merito tornano estremamente utili anche per le bici che troviamo nel mercato e pensate per l’utenza. Inoltre l’aerodinamica ad oggi è fondamentale anche per la ricerca e sviluppo dei materiali, non solo delle forme. Le innovazioni dell’aerodinamica ricadono a cascata su prodotti che hanno un bacino di utenza maggiore; i modelli Filante SLR e 0 SLR ne sono un esempio».

Un dettaglio della Pinarello Bolide di Ganna (foto Pinarello)
Un dettaglio della Pinarello Bolide di Ganna (foto Pinarello)

Il punto di vista di Pinarello

«E’ difficile – risponde Federico Sbrissa – quantificare il costo di produzione di una bicicletta da cronometro, perché i fattori in gioco sono molteplici. Si tratta di un investimento davvero importante. L’azienda non ha un ritorno economico sulle vendite di questi prodotti. Dal punto di vista commerciale, le vendite sono molto limitate e il ritorno è una questione di immagine del brand. Per Pinarello vale comunque la pena investire in questa categoria. Sviluppare dei prodotti specifici per gli atleti più forti al mondo è una sorta di obbligo.

«La storia di Pinarello è segnata dalle bici più veloci di sempre, dalla mitica Espada di Indurain alla Parigina di Collinelli/Ullrich fino alla Bolide per Wiggins e Ganna. E poi c’è quel filo diretto che lega le soluzioni moderne alle bici di altissima gamma. Alcune soluzioni di sviluppo si intersecano in maniera importante».

Cervélo, parola al product manager

«Le bici da cronometro hanno una complessità elevata – dice Maria Benson – maggiore rispetto a qualsiasi altra bicicletta. Si parte dall’attrezzatura e si parla di diverse migliaia di dollari, potenzialmente a sei cifre. Poi ci sono da aggiungere la progettazione e il costo degli ingegneri, ma anche i tempi di commercializzazione. Ad esempio per la Cervèlo P5 sono trascorsi 3 anni, per la P2 due anni. Una bici da cronometro è il risultato di più pezzi e componenti che devono collimare alla perfezione e per ognuno di questi ci sono degli investimenti elevati. Nell’ottica del mercato invece, le biciclette da cronometro sono da considerare una nicchia. Ma pur rispettando le norme che richiede l’UCI, si può sviluppare un prodotto per le gare TT e che sia in grado di accontentare i triatleti: la P5 ne è un esempio, un punto fermo per gli atleti del Team Jumbo-Visma, ambita dai triatleti.

«Per noi di Cervélo il triathlon gioca un ruolo di primaria importanza. Progettare e sviluppare una bicicletta TT è un insegnamento e un banco di prova. Un progetto del genere obbliga a trovare soluzioni intelligenti, non solo specifiche per l’aerodinamica pura, ma ad esempio anche in fatto di integrazione. Molte di queste soluzioni le ritroviamo anche sulle bici standard, la Cervélo S5 ad esempio. Noi come azienda, ad oggi, assegnamo le medesime risorse in fatto di investimenti, alle bici TT e a quelle tradizionali».

Michele Pirro, la bicicletta non solo per l’allenamento

18.05.2022
5 min
Salva

Michele Pirro è un pilota della Ducati, collaudatore dal 2013 e uno degli artefici dei successi della rossa. Un collaudatore del suo calibro ha tante responsabilità, coinvolto in tutti quei processi di ricerca e sviluppo delle moto da competizione, che sono il biglietto da visita di un’azienda racing.

Michele Pirro è anche un grande appassionato di bici, qualcosa che va ben oltre il vivere la bicicletta come uno strumento propedeutico al training. Ci siamo fermati con lui allo stand Trek, prima della Granfondo Squali 2022. Per la cronaca: Pirro si è classificato 51° assoluto sul percorso lungo e parteciperà anche alla Nove Colli di Cesenatico.

Assieme a Cassani, alla partenza della Granfondo Squali (foto organizzazione)
Assieme a Cassani, alla partenza della Granfondo Squali (foto organizzazione)
Tanti piloti vanno in bicicletta. Da dove parte la voglia di andare in bici e la passione per i pedali?

Tutto parte da quelle forme e dalle due ruote, un aspetto tecnico da non sottovalutare che in qualche modo avvicina le moto alla bicicletta. In fatto di ergonomia e di equilibrio, la bicicletta può essere paragonata alla moto.

Perché i piloti di motociclismo usano la bicicletta per allenarsi?

Prima di tutto perché non si vanno a stressare le articolazioni, ma è chiaro che poi entrano in gioco tante dinamiche diverse tra loro. Un pilota di motociclismo è soggetto a rotture e fratture, o comunque mette in preventivo che può capitare un incidente. La bicicletta è un allenamento eccellente e un’attività propedeutica ottima, perché ti mette alla prova e non influisce in maniera negativa proprio su articolazioni e apparato schelettrico. Io sono anche appassionato e riesco ad unire l’allenamento al piacere di pedalare, un mix perfetto. Per i piloti è una disciplina cardio molto, molto buona.

Visto sui pedali, Michele Pirro è un agonista vero e proprio (foto Sara Carena)
Visto sui pedali, Michele Pirro è un agonista vero e proprio (foto Sara Carena)
La fatica che ti piace fare sulla bicicletta, ti serve per la moto?

A volte esagero e potrei anche evitare di fare tutta questa fatica sulla bicicletta, però mi piace e mi fa stare bene. Anche in moto si fa fatica, ma è diversa e come tutti gli sport ti porta ad affrontare e confrontarti con il tuo limite. La grossa differenza tra le due discipline è la tempistica nella quale viene gestito lo sforzo. Una competizione di moto ha una durata di 45 minuti, un’ora al massimo. Sono processi diversi che possono convivere.

Tante combinazioni e tante attività, bicicletta, fitness e palestra, per dare il meglio sulla moto. Ti consideri un atleta vero?

Anche nel motociclismo è cambiato molto, anzi, quasi tutto, proprio come accade nella maggior parte degli sport. I piloti di oggi sono dei veri e propri atleti. Non esiste più il pilota che va solo in moto. Il 90% del lavoro si fa a casa e tocca i vari aspetti del training e dell’alimentazione. Si punta molto sull’attività cardio e nel mio caso trova la massima espressione proprio grazie alla bicicletta.

La passione per il mondo dello sport è trasversale (foto Michele Pirro)
La passione per il mondo dello sport è trasversale (foto Michele Pirro)
Quanto tempo dedichi alla bicicletta?

Ho il mio target, cerco di rimanere sui 500/600 chilometri al mese. Quello che riesco a fare in più mi permette di gestire meglio lo sforzo e di recuperare meglio. Comunque c’è molta variabilità, anche in base agli impegni.

L’agonismo e la competizione li metti anche nella bicicletta?

La mentalità competitiva è quella e ti dice che non devi mollare mai, a prescindere dalle cose che fai. Ti fai prendere dall’adrenalina. Poi devi gestire lo sforzo e quella è tutta un’altra storia. Per fare un esempio: l’anno scorso alla Nove Colli, al passaggio sul Barbotto ero nelle prime trenta posizioni, poi sono saltato per aria e ho fatto 100 chilometri con i crampi.

Michele Pirro ci racconta la sua passione per la bici (foto Sara Carena)
Michele Pirro ci racconta la sua passione per la bici (foto Sara Carena)
Ti fai coinvolgere dalla tecnica della bicicletta?

Sì, mi piace e mi stimola. Arrivare dal professionismo in generale ti obbliga ad essere attento ai particolari. Ma sono anche un appassionato e la prima cosa è il gusto estetico. Mi piacciono le forme e le biciclette belle, mi piace il mezzo tecnico e sono cosciente che è la gamba a fare la differenza.

Bicicletta con i dischi, oppure con i freni tradizionali?

La bici fa parte di quei processi di evoluzione che io considero normali. La tecnologia va avanti e a mio parere la frenata con i dischi è un passo avanti soprattutto nei termini della sicurezza. Considero le performances dei freni a disco per la bicicletta maggiormente integrali ed omogenee, un fattore che va ben oltre il marketing. La frenata con i dischi si gestisce meglio, minimizzi le variabili e c’è una minore dispersione dell’effetto frenante. Facendo un parallelo con le moto, più l’impianto e l’azione sono vicini al mozzo, meglio è.

Gran pedalatore, potente e bravo nella guida, il suo gruppo alla granfondo (foto Sara Carena)
Gran pedalatore, potente e bravo nella guida, il suo gruppo alla granfondo (foto Sara Carena)
Sei più da bici aero, oppure tradizionale?

Non riesco a valutare a 360° quale sia la soluzione migliore, servirebbero dei test e degli approfondimenti per valutare l’efficacia. Uso entrambe le versioni, Trek Madone e anche l’Emonda. Posso dire che la Madone mi dà molta sicurezza, soprattutto in discesa.

Con il numero 51 sul casco, il suo numero di battaglia (foto Sara Carena)
Con il numero 51 sul casco, il suo numero di battaglia (foto Sara Carena)
La velocità della moto ti aiuta quando sei sulla bicicletta?

Di sicuro avere confidenza con la velocità è un vantaggio che si riflette in modo positivo anche sulla bicicletta, ma c’è un però. Quando pedalo non mi accorgo della velocità, mi frena il fatto che sono nudo, senza protezioni. Guardo il Garmin e vedo la velocità, non di rado chiudo il gas e rallento.

Bike Connection Agency, a tu per tu con la bicicletta

15.05.2022
3 min
Salva
L'intervista a Simon Cittati e Giulio Neri che ci spiegano cosa sia Bike Connection. Un format prima di tutto, un evento dedicato agli operatori del settore della bicicletta e non è aperto al pubblico. Potremmo categorizzarla anche al pari di una tavola rotonda, dove le aziende incontrano i giornalisti e i tecnici del settore. Non è una fiera e non è una mostra.

In questo periodo primaverile le nostre pubblicazioni, quelle dedicate alle news e alle anteprime del settore, hanno richiamato il format BCA, acronimo di Bike Connection Agency. Di cosa si tratta? A chi si rivolge? Quali sono gli obiettivi di questa organizzazione? Vediamo insieme i punti chiave.

Lavoro, convivialità e socialità (RupertFowler BCA)
Lavoro, convivialità e socialità (RupertFowler BCA)

Bike Connection, lente sulla biciclette

Come anticipato, BCA è un format prima di tutto, un evento dedicato agli operatori del settore della bicicletta e non è aperto al pubblico. Potremmo categorizzarla anche al pari di una tavola rotonda, dove le aziende incontrano i giornalisti e i tecnici del settore. Non è una fiera e non è una mostra. Per i media è una grande opportunità, dove si può approfondire a stretto contatto con i rappresentanti delle aziende coinvolte. Per i marchi è una ghiotta occasione d’incontro con i giornalisti selezionati del mondo ciclo, dove tutto è ben organizzato, programmato e dedicato. I vantaggi sono numerosi per ambo le parti, di sicuro viene minimizzato il rischio di confusione e distorsione delle informazioni.

La zona dei test è una sorta di parco chiuso (RupertFowler BCA)
La zona dei test è una sorta di parco chiuso (RupertFowler BCA)

Presentazione e test event

Le edizioni Bike Connection hanno vari soggetti: mtb, road e gravel, normalmente le ultime due viaggiano parallele. Le giornate sono ricche e composte da slot di incontri, alternati da momenti test, dove i prodotti e le biciclette vengono provati sul campo. Di solito e a prescindere dal contesto ambientale, i tracciati sono diversi e con vari gradi di difficoltà, ma comunque tecnici quanto basta per provare “bene”, mettere e mettersi alla frusta.

I tracciati di prova non sono mai banali (MirrorMedia BCA)
I tracciati di prova non sono mai banali (MirrorMedia BCA)

In conclusione

Bike Connection (BCA) è un approccio moderno e un modo attuale di interpretare l’informazione, la tecnica e l’universo della bicicletta. L’organizzazione è italiana, un vanto che ci porta al centro della categoria, che oggi non è solo uno sport, ma un vero e proprio motore per il business.

Inoltre c’è anche un fattore di convivialità da non sottovalutare, che prende forma grazie agli incontri con i giornalisti provenienti da altre nazioni (talvolta anche al di fuori del continente). Banale? No, per nulla, perché in un mondo sempre più globalizzato, un territorio nazionale è troppo piccolo per tutti e avere cognizione di quello che succede all’estero è fondamentale per le parti in gioco.

BCA

Derive e abitudini del ciclismo (estremo) di oggi: parla Moser

13.05.2022
5 min
Salva

Da quest’anno, fra le voci del ciclismo su Eurosport è atterrata quella di Moreno Moser ed è innegabile che abbia portato una bella ventata di freschezza e tecnica, forte soprattutto dei contatti con quelli che fino a ieri erano colleghi e oggi sono ancora ottimi amici. Così alcune sue parole nei primi giorni del Giro hanno preso a risuonarci nella testa, finché approfittando di un momento di stanca della corsa, lo abbiamo chiamato. Il suo discorso verteva sul fatto che il lavoro del corridore sia duro e non per tutti. E se qualcuno smette anzitempo, è perché non ne regge il carico.

Prima Dumoulin. Poi casi di cui pochi sono al corrente, come quello dell’olimpionica di mountain bike Jenny Rissveds. Quindi Visconti. E adesso Nibali (in apertura con Moreno, alla Tirreno del 2013). Casi diversi ed età diverse, ma con un denominatore comune.

Dumoulin ha superato un momento difficile, tornando proprio al Giro a fare classifica
Dumoulin ha superato un momento difficile, tornando proprio al Giro a fare classifica
Che cosa sta succedendo, secondo Moreno Moser?

Si va sempre più forte e ci si deve adattare. E’ così. Ci si allena tanto più forte, ti adatti per sopravvivenza.

E’ l’unico modo possibile?

Quello che mi diceva Bettiol è che ormai è così totalizzante, che devi prendere questo lavoro per step. Da qui al Tour non esisto più, sono un robot. La vita è solo quella della bici e dell’allenamento. Il recupero si farà dopo. Poi ci sono corridori come Van Aert, che riescono a durare tutto l’anno, ma lui è un caso a parte…

Perché?

Avete visto nel suo Strava cosa ha fatto il giorno dopo la Sanremo? E’ andato a correre per 6 chilometri nella ciclabile di Sanremo e anche a buon passo, ma lui è un’eccezione. Di sicuro non puoi più fare come prima, che arrivavi alle gare per allenarti. Mentre è un fatto che in allenamento si va più forte.

L’esempio dato da Bettiol a Moser sul vivere la stagione per step fa capire quanto il ciclismo sia diventato totalizzante
L’esempio dato da Bettiol a Moser sul vivere la stagione per step fa capire quanto il ciclismo sia diventato totalizzante
Hai avuto conferme dai corridori?

Da loro, ma anche da Maurizio Mazzoleni (il preparatore della Astana Qazaqstan Team, ndr) che mi diceva di aver dovuto cambiare i tempi di percorrenza dei vari giri di allenamento. Oggi lo stesso giro si fa parecchio più forte, mentre quando correvo io, andavi in bici, facevi i tuoi lavori e non guardavi a che media tornavi a casa. Formolo ad esempio mi dice che quasi non fa più lavori, stessa cosa per Pogacar. Visto il lavoro di Giorgio Brambilla su GCN sulla preparazione di Van der Poel prima della Sanremo?

Cosa ha fatto di particolare?

Si è messo a guardare quello che Mathieu ha caricato su Strava prima della Classicissima, dato che lui mette davvero tutto. Ed è venuto fuori che oggi un amatore farebbe più lavori specifici. E’ la nuova tendenza, ci si allena tanto forte. E poi in gara è fuori di testa…

Nella preparazione della Sanremo e stando a Strava, Van der Poel non ha fatto clamorosi lavori specifici
Nella preparazione della Sanremo, Van der Poel non ha fatto clamorosi lavori specifici
Normale che si corra anche meno, quindi?

Nel 2014 e 2015 ho fatto sugli 85 giorni di corsa, oggi sarebbe impensabile farne più di 60. Tanto che a livello internazionale è stato messo il limite di 65 giorni di corsa all’anno. Ma anche volendo, non ce la faresti a fare di più. In realtà, questo Giro è cominciato all’antica…

Vero, c’è più calma…

Partono come una volta. Lasciano andare la fuga. Poi quando aprono nei finali, vedi scatti e azioni più importanti. La Roubaix e la Liegi che ho commentato, invece, sono state gare a sfinimento. Un gioco a chi si spegneva più tardi.

E’ cambiato tutto nel 2020, quando ogni gara sembrava fosse l’ultima…

Può essere un’analisi giusta. Il Giro però ci dice che la situazione si sta normalizzando, ora che il Covid fa meno paura e i calendari sono stabili. Anche Van der Poel e Van Aert ormai hanno imparato a correre. Quegli attacchi erano bellissimi, ma adesso Van der Poel ha iniziato a ottimizzare le risorse.

Fra i corridori più… maturi, Pozzovivo è quello che meglio ha saputo adattarsi alle nuove preparazioni
Fra i corridori più… maturi, Pozzovivo è quello che meglio ha saputo adattarsi alle nuove preparazioni
Pozzovivo ha detto che correre contro questi ragazzi lo ha costretto ad alzare l’asticella e chi ha smesso non ha saputo adattarsi.

Questa analisi fatta da un corridore come Pozzo è pazzesca. Ripensate le dichiarazioni di Nibali al Giro del 2020: «Io sono sui miei valori migliori, ma non bastano». E’ vero, perché ogni anno si va più forte. Pozzovivo dice una cosa giusta. Se tutti crescono, il solo modo per restarci dentro è crescere. Mi pare che anche nel fare i programmi per i più giovani, si stabilisca da subito quale sarà l’incremento da un anno all’altro.

E se hai abitudini un po’ classiche, sei spacciato…

Noi siamo cresciuti con l’idea di fare ogni anno le stesse cose. Ricordo quello che ci dicevano Basso e anche Nibali. Facendo le stesse cose, che avevano dato i loro frutti, si poteva essere sicuri che si sarebbe andati forte. Se faccio così, arrivo al mio livello. Non c’era la visione di oggi. Guardandosi intorno, uno che ha anticipato questa tendenza è Valverde.

Moser fotografato da Paolo De Filippi per RCS Sport alla vigilia del Giro
Moser fotografato da Paolo De Filippi per RCS Sport alla vigilia del Giro
Per il suo modo di allenarsi?

Esatto, mi diceva Luis Leon Sanchez che Alejandro non ha mai fatto lavori. Ha il suo gruppo di amatori e si allenano ogni volta a tutta (il racconto conferma quanto detto giorni fa da Visconti, ndr). Al punto che certi giorni bloccano gli incroci, perché si possa correre indisturbati. Ma allo stesso tempo, Valverde è la bandiera dell’andare in bici divertendosi, non del fare lavori come andando in fabbrica.

Comprensibile, si rischia prima o poi di raggiungere il limite di rottura.

Il limite di rottura è che i corridori durino poco. Sento manager e procuratori rassegnati davanti a questa realtà. Di certo carriere come quella di Nibali o di Valverde saranno sempre più difficili da vedere.