La bicicletta è l’oggetto del desiderio. Costosa e tecnologica, avveniristica e legata in modo indissolubile al motore umano, la bicicletta è una passione e anche uno strumento di lavoro che necessita di cura e manutenzione. Che rapporto hanno gli atleti con il proprio strumento di lavoro?
Abbiamo chiesto ad Andrea Guardini che, tolti i panni del corridore, è diventato il meccanico della Nazionale Italiana della pista (con qualche sbirciatina nel mondo della strada). Ci ha incuriosito un suo commento sul nostro canale YouTube, sotto al video che raccontava l’esperienza di Francesca Selva e Miriam Vece alla UCI Champions League: «Dal 2024 – ha scritto Guardini con tanto di emoticon sorridenti – corso base a tutti gli atleti su cambio rapporti e impacchettamento/spacchettemto pre e post gara!».
Cosa porti con te dopo la prima stagione da meccanico della Nazionale?
Un anno bellissimo, intenso e particolarmente impegnativo. Lo è stato perché devo costruire il mio futuro lavorativo, lo è stato perché avevo necessità di fare più giornate per accumulare un’esperienza diversificata, spendendo anche delle ore per imparare dai più esperti in materia. Ecco perché ho iniziato dalla pista e ho fatto il servizio tecnico anche in alcune gare su strada.
Nelle tue parole si percepisce emozione, è così?
Onestamente non avrei mai pensato di vivere delle emozioni così intense, ora che non sono più corridore. Le soddisfazioni che ho avuto agli europei su pista e che porterò sempre con me. Abbiamo fatto incetta di medaglie. Anche aver fatto l’assistenza tecnica agli atleti paralimpici, perché oltre a vedere quanto vanno forte, mi hanno trasmesso una visione di vita differente. Emozioni difficilmente quantificabili.
Stai toccando con mano l’enorme lavoro che viene fatto dietro le quinte?
E’ così. Quando ero corridore mi rendevo conto di quanto lavoro veniva fatto per mettere in condizione i corridori di avere il meglio, ma si capisce appieno la mole di cose da fare solo quando si indossa il grembiule e si prendono in mano gli attrezzi. Da una parte è bellissimo, dall’altro lato è veramente tosto e pensavo fosse più semplice. E’ pur vero che la strada e la pista sono due mondi paralleli, ma differenti soprattutto per quanto concerne la gestione tecnica della bicicletta.
Quale è in generale il rapporto che i corridori hanno con la bicicletta?
Posso dire che è un modo di vedere soggettivo. Ci sono corridori e ci sono sempre stati che vedono la bicicletta come una prolunga del proprio corpo e altri che non toccano nulla e lasciano fare tutto ai meccanici quando c’è l’occasione. Prendiamo ad esempio la bicicletta da allenamento, quella più sfruttata e lontana dagli occhi del meccanico. Ci sono atleti che la trattano come fosse la fidanzata (io ero uno di quelli), altri che non la toccano per mesi. E quelle infatti sono le bici che non si possono né vedere né sentire per quanto sono sporche e per i rumori che fanno.
Da sintetizzare con la frase “ho il cambio che salta”?
Si esatto e di solito io rispondo, meno male che fa solo quello!
Ci puoi raccontare un aneddoto?
Quando ero corridore non sopportavo la bici sporca e che faceva rumori fastidiosi. Non ero un meccanico professionista, ma nella manutenzione fatta a casa mi gestivo bene. Ad esempio prima di fare una distanza lavavo la bici. Quest’anno, prima di partire per l’Argentina ho preso in mano una bici da allenamento che gridava pietà. Povera bicicletta, mi sembrava sofferente per quanto era sporca!
Succede anche con le bici da pista?
Con le bici da pista è diverso. Ovviamente non subiscono le incurie dell’ambiente esterno, ma sono comunque soggette a manutenzione. La polvere che si genera con il legno e altre variabili influiscono sulla loro efficienza.
Eppure si potrebbe pensare che le nozioni di meccanica facciano parte del mestiere del corridore!
Dovrebbe essere così. A mio parere manca un minimo di formazione meccanica, piccole cose e semplici segreti che potrebbero facilitare la vita degli stessi corridori in qualche situazione, anche nell’ottica di biciclette più complicate, vedi le trasmissioni elettroniche, i freni a disco e altre variabili. Una volta, una delle prime cose che il pistard si teneva una chiave inglese da 15, fondamentale per cambiare i rapporti e altre cose. Per le bici da strada si teneva un forcellino, quello del cambio, di scorta. Un’abitudine che non esiste più, ma è pur vero che gli staff che ci sono oggi una volta non esistevano.
La multidisciplina è una scuola anche in questo?
Aiuta a svegliarsi e ad essere più… sgamati. Di sicuro aiuta nella visione di corsa, ma anche per quanto riguarda la capacità di leggere i comportamenti della bicicletta. Ne sono convinto da sempre.
C’è anche una categoria di atleti che invece mastica la tecnica del mezzo?
Sì, certo! Prendi ad esempio Nibali, ma anche Viviani che è un preciso e molto attento ai materiali. Vincenzo era capace di smontare e rimontare la bicicletta. Provava sempre cose diverse, ai ritiri passava due/tre ore con i meccanici. Anche a me piaceva capire cosa stavo utilizzando, non come lui, ma ritenevo questa pratica una parte del mio lavoro di corridore. Mi rendo conto che più si va avanti e più questa tipologia di corridori viene a mancare, ma non è tutta colpa dell’atleta, perché il mestiere è cambiato molto.
Cosa significa?
Significa che oggi è tutto molto più complesso. Il corridore deve stare attento ai dati dall’allenamento, sentire cosa gli dice l’allenatore, controllare sulla app del telefonino se ci sono aggiornamenti nel profilo personale, andare dal motivatore, controllare il peso e la dieta, fare stretching. Tante cose che sottraggono tempo e concentrazione. Capisco quei ragazzi che durante il giorno sfruttano il poco tempo che rimane per disconnettere il cervello.