Le storie della Planche e Vingegaard sulla strada di Tadej

08.07.2022
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Quassù c’è qualcosa di magico. Forse è la leggenda delle ragazze che 400 anni fa si lasciarono annegare nel lago per sfuggire agli stupri dei mercenari svedesi durante la Guerra dei Trent’anni. Oppure è la storia di destini che si incrociano a La Planche des Belles Filles e raccontano storie di corsa.

Anche in questo giorno caldo di grandi attese mantenute, uomini di valore si sono arrampicati portando con sé ricordi e missioni da compiere. Solo uno è riuscito a mantenere il voto dichiarato ieri dopo la vittoria di Longwy, ma stavolta ha dovuto stringere i denti contro il giovane Vingegaard che già sul Mont Ventoux lo guardò negli occhi senza timori. Anche lui lo ha fissato nel momento di passarlo, si esercita così la pressione del leader. Sugli altri è calato lo stesso silenzio di quel giorno crudele, quando le ragazze di Plancher les Mines scelsero una morte dignitosa per sfuggire a una ben più terribile.

Ritorno sul luogo del delitto

Qui Pogacar spodestò Roglic e chissà se nella sua determinazione di vincere sia passata anche la voglia di dimostrare che non fu per la fortuna. C’era la sua famiglia, c’erano motivazioni speciali, ma per vincere ha dovuto pescare nella tasca dell’orgoglio.

«Da quando è stato annunciato il percorso – ha detto – ho voluto vincere quassù. Vingegaard è stato davvero forte. Ha corso alla grande, ma io non potevo rinunciare. Per Urska al traguardo, per la mia famiglia ai piedi della salita, per la mia squadra che ha lavorato così duramente. Ho dovuto davvero spingere a fondo per superarlo. Questa è una vittoria molto speciale. Anche perché oggi abbiamo lanciato una fondazione per la ricerca sul cancro. Per questo ho indossato per la prima volta queste scarpe speciali».

Vingegaard oggi ha fatto soffrire Pogacar. Non ha paura e riproverà
Vingegaard oggi ha fatto soffrire Pogacar. Non ha paura e riproverà

Un avversario vero

Ma forse stavolta Tadej potrebbe aver trovato un degno avversario. Quantomeno uno che non ha paura di sfidarlo in campo aperto, comunque andrà a finire.

«E’ stato sicuramente un finale brutale – racconta il giovane danese della Jumbo Visma, l’unico a non avere conti aperti con la Planche, ma avendone appena aperto uno – ma penso di poter essere felice. Ci ho provato, ma sono arrivato a 20 metri dalla fine e poi basta. Ero davvero vicino al traguardo e ora spero di stare meglio sulle salite più lunghe. Le gambe hanno risposto bene quindi sono felice».

Pogacar lo ha definito il miglior scalatore al mondo circondato da una squadra fortissima. Il danese sorride e si dirige verso il bus. Per oggi altro da dire non ce l’ha.

Roglic sta tornando. Arriva nella scia di Pogacar e promette battaglia
Roglic sta tornando. Arriva nella scia di Pogacar e promette battaglia

La risposta delle gambe

Roglic ha preferito dire poche parole, lasciando che a dare il suo messaggio fossero le gambe. Il terzo posto a 14 secondi da Pogacar dice che forse le botte dei giorni scorsi si stanno assorbendo e che altre montagne potrebbero diventare sue amiche. Chissà se salendo ha riconosciuto qualche scorcio di quel giorno in cui aveva gli occhi sbarrati e la vita contro.

«Sapevo cosa stava succedendo – ha detto alla partenza – ma non potevo più spingere. Stavo lottando contro me stesso per ogni metro. Oggi non sapevo cosa aspettarmi. Ho abbastanza esperienza dopo le cadute. Ogni spinta del pedale è come un coltello che mi taglia la schiena. Mi fa male la parte bassa, ma non sono qui per piangere, sono qui per combattere».

La Planche questa volta non lo ha respinto e chissà che non cedendo al forcing del giovane connazionale non abbia ritrovato la fiducia che sprofondò con lui nel lago quel giorno.

Ancora una volta nella stessa fuga, Teuns e Ciccone stavolta si arrendono
Ancora una volta nella stessa fuga, Teuns e Ciccone stavolta si arrendono

Teuns e Ciccone, deja vu

Curiosamente nella fuga si sono ritrovati i due uomini che se la giocarono nel 2019. Teuns vincendo la tappa, Ciccone prendendo la maglia gialla.

«Avevo già previsto questo scenario ieri sera – ha detto il belga del Team Bahrain Victorious – sapevo che c’erano buone possibilità che Pogacar volesse vincere oggi e alla fine è andata così. Ho capito presto che non saremmo riusciti ad arrivare alla fine. Se il gruppo ti concede solo un massimo di due minuti e mezzo, sai che hai poche possibilità. Sulla salita finale, Kamna era chiaramente anche il più forte. Ma per me ci sono ancora molte opportunità in questo Tour».

Forse è stato per questo senso di impotenza che Ciccone a un certo punto ha preferito mollare?

«Era una tappa adatta agli attacchi quindi ci ho provato. Il fatto che fosse una salita che aveva già detto qualcosa di importante cambiava poco. Quando sei lì per giocartela, ogni salita più o meno diventa uguale. La fatica è quella, neanche me la ricordavo benissimo».

Teuns è arrivato a 3’52”, Ciccone a 16’30”. Si fa così quando si vuole entrare liberamente nelle fughe. Ma forse l’abruzzese non ha ancora ritrovato la gamba di fine Giro.

Dieci anni dopo, non è più lo stesso Froome. Solo la testa è identica
Dieci anni dopo, non è più lo stesso Froome. Solo la testa è identica

Dieci anni così lunghi

Parlando davanti al bus grazie ai buoni uffici del suo addetto stampa, Chris Froome ieri aveva sorriso ripensando alla salita che nel 2012, giusto 10 anni fa, gli portò la prima vittoria di tappa, in quel Tour di tensioni che fu poi vinto da Wiggins.

«Ho dei bei ricordi del 2012 – ha detto – in quel Tour fu anche la prima occasione per misurare la mia condizione e credo che sarà così anche domani. Mi aspetto che gli scalatori cercheranno di recuperare il terreno perso nella crono, per poi cominciare una rimonta nei giorni successivi. Alcuni dei miei rivali cercheranno di recuperare tempo e di passare all’offensiva sin da domenica».

Ha concluso prevedendo distacchi contenuti fra i primi del Tour. Quei dieci anni non sono stati facili da colmare, ma l’esperienza ha visto giusto. Froome è arrivato a 3’48” da Pogacar, in questo primo Tour senza i legacci dell’infortunio, rincorrendo le sensazioni del campione che fu. Sapremo nei prossimi giorni quanto il tempo avrà scavato a fondo. E per fortuna non ci sarà da aspettare troppo.

Attenti, un Thomas così forte non si vedeva da tanto

07.07.2022
5 min
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«Mi sento bene ad esser sincero – dice Thomas sui rulli – è stato bello vedere che il gruppo era ormai piccolo e abbiamo provato a fare qualcosa. Non avevo pianificato di cadere, ma è successo. Pidcock era con me e mi ha aiutato a rientrare, è bravissimo in queste cose. Qualche volta è inevitabile, sappiamo che qualche volta può succedere ed è successo, ma alla fine sarebbe potuto finire peggio. Non ho realizzato che ci fosse pure Roglic, mentre ho visto Jack Haig per terra e ho cercato di rimettermi subito in piedi e finire bene la corsa».

Dopo l’arrivo della tappa di ieri sul pavé, Thomas parla con Ellingworth e Van Baarle
Dopo l’arrivo della tappa di ieri sul pavé, Thomas parla con Ellingworth e Van Baarle

Rilassato e fresco

La tappa del pavé è finita da poco e il corridore della Ineos Grenadiers gira le gambe su rulli che cigolano e un po’ lo fanno ridere e un po’ chiede al meccanico che li faccia smettere. I compagni arrivano alla spicciolata. Van Baarle, il vincitore della Roubaix, si ferma più a lungo degli altri e ai due si avvicina anche Rod Ellingworth, il capo della performance del Team Ineos Grenadiers. Confabulano. E quando si sono chiariti, l’olandese sale sul pullman, mentre Geraint continua a girare e di colpo fa un cenno ai giornalisti rimasti ad aspettarlo.

Racconta la sua storia in tre battute, non oltre. Ma sorride e appare super sereno. E questo, a capo di una tappa così dura, è sinonimo di freschezza e buon umore.

Pidcock ha aiutato Thomas a rientrare dopo la caduta ed è arrivato con lui a 1’04” assieme a Yates
Pidcock ha aiutato Thomas a rientrare dopo la caduta ed è arrivato con lui a 1’04” assieme a Yates

Parliamo col capo

A guardarlo da vicino si ha la sensazione che il gallese abbia la testa libera e di conseguenza le gambe forti. A questi livelli si può dare per scontato che il grande atleta abbia valori di eccellenza, soprattutto uno così che ha vinto un Tour e qualche titolo fra mondiali e Olimpiadi. Il fatto è che spesso quei valori non riescono ad esprimerli. E forse essere in un Team Ineos non più condannato a vincere il Tour, ha permesso a Geraint di arrivarci con la leggerezza necessaria per andare forte divertendosi.

Per questo appena lui sale sul pullman, ci avviciniamo a Ellingworth, che lo guidava sin dai tempi della pista. E sorridendo gli diciamo che sembra di vedere il Nibali leggero del Giro. Partito senza pressioni e arrivato a un passo dal podio.

«Credo che Geraint stia proprio bene – conferma – lo si può vedere. Basta vedere i numeri e la sua mentalità. Negli anni ha acquisito molta esperienza, credo ne abbia viste tante. Una corsa come il Tour si costruisce giorno dopo giorno e lui ha fatto bene tutto l’anno. Il suo impegno con la squadra è stato bellissimo. E trovo molto bello sentirgli dire che quest’anno alle corse si sta divertendo». 

Ancora una volta la sensazione, parlando con Ellingworth, di una rifondazione nel Team Ineos
Ancora una volta la sensazione, parlando con Ellingworth, di una rifondazione nel Team Ineos
Il Tour insomma è solo la fine del cammino?

E’ un piacere lavorare con lui, ma non c’è solo lui. Ci sono un sacco di bei ragazzi, sono insieme in questo viaggio da dicembre. E’ un bel gruppo che si impegna molto l’uno per l’altro. Sì, ci sono proprio delle belle vibrazioni.

Pensi che il paragone con il Nibali del Giro sia giusto?

Probabilmente Thomas corre con lo stesso atteggiamento. Credo che anche lui abbia il rispetto del gruppo, perché ha già vinto il Tour e non ha niente da perdere. E’ certamente più grande di età ed è più saggio di quando ha iniziato, ma penso che stia facendo proprio bene anche in questo gruppo così giovane. Abbiamo anche due nuovi allenatori che stanno lavorando bene, anche Nibali ha cambiato preparatore, giusto? Ci stiamo muovendo, abbiamo idee nuove.

Thomas ha vinto il Tour nel 2018, subito dopo la grande vittoria di Froome al Giro
Thomas ha vinto il Tour nel 2018, subito dopo la grande vittoria di Froome al Giro
Al Villaggio si incontra spesso Wiggins, Froome è appena passato con la sua nuova maglia. Thomas è l’ultimo di quel gruppo, che cosa sta cambiando nel team?

Alla fine la gente va avanti. Alcuni smettono, altri vanno altrove. Alcuni fanno affidamento sulla propria esperienza e continuano, come Froome. Ragazzi così non li dimentichi, ma ci sono stati molti cambiamenti negli anni. Competere è competere e devi adattarti. Devi essere scaltro e credo che Thomas, ma anche Martinez e Pidcock faranno bene.

Richard Carapaz secondo al Giro: «Non si può sempre vincere»
Richard Carapaz secondo al Giro: «Non si può sempre vincere»
Avete sempre vinto almeno un grande Giro all’anno. Il Giro è andato, restano Tour e Vuelta…

Abbiamo sempre detto negli anni che siamo una squadra di corse a tappe, è il nostro principale target. Abbiamo sempre voluto vincere un grande Giro. E’ la storia da cui veniamo, quello che abbiamo sempre fatto. Carapaz è arrivato secondo al Giro quest’anno, credo che abbia fatto un’ottima gara. La squadra ha fatto un’ottima gara. Siamo stati battuti da Hindley davvero per poco, alla fine questo è lo sport. Si tratta di competere e credo che ogni squadra provi il massimo per cercare di vincere. Non le possiamo vincere tutte, ma certamente l’obiettivo è quello. E come conseguenza, vincere.

Quel giorno sul pavé che cambiò la storia del Tour

27.06.2022
8 min
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Oggi come ieri, in un rincorrersi di storie uniche e imprese di campioni. Il Tour ritroverà il pavé mercoledì prossimo, 6 luglio, come quel giorno al Tour de France del 2014. Ben strana invenzione che minò alle fondamenta il pragmatismo scientifico e inattaccabile del Team Sky. Soprattutto perché si mise a piovere. La pioggia fece e farebbe ancora la differenza. Quando l’anno successivo si arriverà a Cambrai, sul pavé asciutto il britannico Froome sarà inattaccabile.

Ma il 9 luglio del 2014 piove, ha piovuto per tutta la notte. E’ la quinta tappa, 160 chilometri scarsi, ma i tratti di pavé fanno paura. Nelle squadre, gli unici a sembrare tranquilli sono gli uomini del Nord. Tutti gli altri, scalatori leggeri e fragili, hanno i nervi a fior di pelle. Froome in particolare ostenta una finta sicurezza.

Nibali ha conquistato la maglia gialla vincendo la seconda tappa a Sheffield
Nibali ha conquistato la maglia gialla vincendo la seconda tappa a Sheffield

Nibali, prove generali

Nibali ha coperto la maglia tricolore con la gialla sin dal secondo giorno. Lo Squalo conosce i segreti del fuoristrada. Sa come si muove la bici quando un sasso fa scappare la ruota, ma non ha mai corso sul pavé. Per questo in primavera ha anticipato la partenza per il Nord. E il giovedì prima dell’Amstel, si è fermato a provare materiali e traiettorie assieme a Peter Van Petegem, che la Roubaix l’ha conquistata nel 2003.

«A guidare la bici me la cavo – ha detto Vincenzo subito dopo – e avrò una squadra molto forte. Fuglsang ha un passato importante nella mountain bike, guida molto bene e ha un’azione fluida. Poi ci sono Grivko e Westra. Sono convinto che anche Contador andrà bene, forse chi potrebbe soffrire di più è Froome, anche se Wiggins ha dimostrato alla Roubaix di essere abbastanza capace su questo tipo di percorsi. La scelta di Sky e di Bradley di fare la Roubaix ha un senso, soprattutto se Wiggins farà il Tour. I tratti di pavé per me non sono una novità assoluta, li conoscevo già, anche se non li ho mai affrontati in corsa. Ero venuto nel 2010 in perlustrazione con la Liquigas e ora quell’esperienza mi tornerà utile. Insomma un’idea ce l’ho già, ma se malauguratamente dovesse piovere, servirà un cingolato…».

Quarta tappa a Lille, Froome è caduto e ha un polso dolorante. L’indomani si andrà sul pavé
Quarta tappa a Lille, Froome è caduto e ha un polso dolorante. L’indomani si andrà sul pavé

Froome è già caduto

Wiggins non farà il Tour, quello vinto nel 2012 resterà la sua ultima apparizione. Ma nella Roubaix si è piazzato al 9° posto, a 20 secondi da Terpstra che l’ha vinta. Froome non l’avrà accanto e viste le frizioni fra i due, non c’era da aspettarsi cose troppo diverse. In più, il vincitore uscente ha il polso dolente a causa della caduta del giorno prima nella tappa di Lille. Ma Chris accetta la sfida e 10 minuti prima della chiusura del foglio firma, lascia il suo nome in mezzo agli altri.

«Le sue condizioni – ha detto il medico di gara – sono buone, ma ha dolore. Impossibile dire ora se e come ne sarà influenzato nei prossimi giorni. Non ci sono fratture, ma abrasioni al ginocchio sinistro e all’anca sinistra e una contusione al polso sinistro. Alla mano destra, una piccola piaga».

Su Nibali vigila ogni giorno un grande Scarponi, ma nella tappa del pavé l’uomo è Fuglsang
Su Nibali vigila ogni giorno un grande Scarponi, ma nella tappa del pavé l’uomo è Fuglsang

Percorso modificato

Piove anche al raduno di partenza e gli organizzatori si rendono conto che sono più i rischi dei vantaggi. Anche Cancellara è perplesso, figurarsi gli uomini di classifica e i loro manager. Perciò venti minuti prima del via, viene comunicata l’esclusione dalla corsa dei due tratti più pericolosi. Il comunicato ufficiale cancella il settore numero 7 di Mons en Pevele (1.000 metri) e il numero 5 di Orchies (1.400 metri). I chilometri sul pavé scendono a 13.

Il tempo di dichiarare che stringerà i denti e da Radio Tour arriva la notizia della caduta di Froome in un tratto di asfalto. Un passaggio accanto all’auto del medico e poi Chris riparte scortato da Eisel. 

Astana e Tinkoff guidano il gruppo. Nibali mostra sicurezza. Con Westra nella fuga, il siciliano non ha particolari incombenze se non quella di restare al sicuro nella maglia gialla che fende l’acqua. Il primo tratto di pavé è ormai in vista.

Contador aveva svolto il sopralluogo sul pavé nei giorni della Roubaix, scortato dal diesse De Jongh
Contador aveva svolto il sopralluogo sul pavé nei giorni della Roubaix, scortato dal diesse De Jongh

Contador ha paura

Sono passate due ore e Froome cade ancora. Le strade bagnate non sono mai state terreno di caccia per gli uomini di Sky. Anche Wiggins l’anno prima ha buttato a mare il Giro nella tappa di Pescara, a vantaggio di Nibali che nel bagnato invece è maestro.

Questa volta a Froome è fatale una curva a destra. Le inquadrature lo mostrano mentre stringe il polso con due dita della mano sinistra. Prova a impugnare il manubrio, ma non ce la fa. Gli passano la bici, neanche la guarda. Mentre il gruppo di testa inizia a sporcarsi nel primo tratto di pavé, Chris Froome alza bandiera bianca.

Adesso anche Contador ha paura. Bennati l’ha preso per mano dal primo settore, ma senza che davanti l’Astana abbia fatto chissà cosa, il suo ritardo è di 9 secondi. Nibali intuisce l’occasione e si mette a parlare con il fango e con le pietre, mentre dietro lo spagnolo annaspa e lentamente affonda.

Durante tutta la tappa, Nibali riesce a schivare pericoli e cadute
Durante tutta la tappa, Nibali riesce a schivare pericoli e cadute

Si decide il Tour

Mancano 45 chilometri al traguardo e attorno alla maglia gialla si è formato un gruppetto di corridori decisi a giocarsi la tappa. Contador ha 45 secondi di ritardo, Bennati al suo fianco ha capito invece che sarà dura, ma continua ad animarlo e a tirare.

Con Nibali ci sono Sagan, Cancellara e Mollema, dei fuggitivi ancora in testa non parla nessuno. E’ chiaro che dietro si stia facendo la storia. Le scivolate e le cadute si succedono, ma Vincenzo le schiva. Arriva anche a fermarsi per non finirci dentro, ma riparte subito di slancio. Al suo fianco c’è Fuglsang, Westra lo aspetta, mentre Contador è scivolato a un minuto di ritardo.

Le parole di Ballerini

Lo spagnolo ha compagni in gamba, ma il freddo e la paura lo stanno bloccando. Anni prima, Franco Ballerini disse che il pavé è come una salita: se vai in crisi, sprofondi. Contador non è mai sprofondato in salita, ma su questo terreno che non è il suo, assaggia la disfatta. Franco è scomparso da quattro anni, i suoi consigli per Nibali sarebbero stati tanti e preziosi. La sera prima però l’ha chiamato Pozzato, degno erede del Ballero, e le sue parole su come impugnare il manubrio e la posizione sul pavé si riveleranno decisive.

Le banchine sono allagate, le buche piene d’acqua. Nibali infatti affronta il quarto settore muovendosi come un cacciatore di Roubaix, scortato da Westra e Fuglsang. Quando mancano 15 chilometri al traguardo, Boom sferra l’attacco. L’olandese viene dal ciclocross e corre con la Belkin. Chissà se è già stabilito dal prossimo anno correrà anche lui in maglia Astana.

Nonostante l’aiuto di Bennati, Contador arriva al traguardo a 2’54” da Boom
Nonostante l’aiuto di Bennati, Contador arriva al traguardo a 2’54” da Boom

Magnifico Fuglsang

A sei chilometri all’arrivo, la storia è scritta. Froome è lontano, Contador è sempre più in difficoltà. Alle spalle di Boom, Nibali e Fuglsang scavano il solco cercando di essere prudenti. Sul traguardo, il danese è secondo, Nibali terzo, quarto arriva Sagan, quinto Cancellara. Contador viene applaudito e incoraggiato dopo 2’54”. Si parlerà molto del suo ritiro nel giorno della Planche des Belles Filles (10ª tappa), ma lo spagnolo è sceso dal treno del Tour nel giorno del pavé.

«Oggi è stata una giornata tremenda – dice Nibali nella conferenza stampa – almeno tre volte ho rischiato di andare per terra, ma con un po’ di abilità e di fortuna sono rimasto in piedi. Aver corso in mountain bike da ragazzo ha fatto la differenza. Certi automatismi non si perdono. Fuglsang è stato stupendo. Mi dispiace per Froome, purtroppo però il Tour e il ciclismo sono fatti anche delle cadute e io per una caduta l’anno scorso ho gettato via il mondiale di Firenze. Adesso ho un buon vantaggio in classifica generale, ma la strada è ancora lunga e difficile. I chilometri per Parigi sono tanti e ora il primo avversario da controllare è sicuramente Alberto Contador».

Sul podio di Parigi, il 27 luglio del 2014, Nibali festeggia il suo Tour de France
Sul podio di Parigi, il 27 luglio del 2014, Nibali festeggia il suo Tour de France

Nuovamente il 6 luglio

Sarà il quinto giorno di gara anche il prossimo 6 luglio, quando la Grande Boucle proporrà al gruppo la tappa da Lille ad Arenberg. Frazione di 157 chilometri con 11 settori di pavé. Froome ci sarà ancora e questa volta Fuglsang correrà al suo fianco. Nibali forse la seguirà in televisione, Contador probabilmente sarà sul posto con Eurosport. Sarà un giorno da seguire e raccontare. La grande avventura del Tour sta per cominciare.

Cozzi e il circolo virtuoso di Froome. I segnali positivi di Chris

08.06.2022
4 min
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«Chris finalmente non ha più dolori e può allenarsi bene». Il Chris in questione è Froome, chiaramente. Queste parole Claudio Cozzi, direttore sportivo della Israel-Premier Tech, ce le aveva dette al Tour of the Alps e ce le aveva ripetute al Giro d’Italia.

E in effetti qualcosa si muove per il britannico. I segnali positivi ci sono stati sia nelle sue sensazioni, sia in corsa, e nel suo computerino che è tornato a parlare di wattaggi importanti.

Mentre Froome pedala il Tour de France al Delfinato, torniamo a parlare con Cozzi.

Claudio Cozzi (classe 1966) è uno dei diesse della Israel-Premier Tech
Claudio Cozzi (classe 1966) è uno dei diesse della Israel-Premier Tech

Dolori giù, watt su

«Confermo tutto – dice Cozzi – nelle ultime settimane ci sono stati dei miglioramenti in allenamento, ma anche in corsa. E lo abbiamo abbiamo visto al Mercan’Tour. So che in questi primi giorni del Delfinato le sue sensazioni sono buone. Io non sono con la squadra adesso, ma ho sentito Chris anche pochi giorni fa in quanto voleva provare una nuova radio e mi ha ripetuto che non ha dolori e per questo ragione è motivato e contento».

La cosa più importante, ancora prima dei valori espressi in bici che sono tornati ottimi, è proprio l’assenza di dolore. Questo cambia tutto. Cambia l’umore, aumenta l’ottimismo e ti fa tornare la voglia di allenarti forte. Cosa che comunque a Froome proprio non è mai mancata. Lui è uno stakanovista del lavoro. S’innesca il famoso circolo virtuoso.

«Al Tour of the Alps per la prima volta ci aveva detto che non avvertiva più i soliti dolori. Che rispetto allo scorso anno stava meglio e quindi sapeva di essere sulla buona strada. In quanto a chilometri e volumi di lavoro, non che sia cambiato molto: Chris non è mai stato restio ad allenarsi, neanche quando stava male.

«Riguardo ai valori che crescono, in questi giorni non sono in grado di quantificarli e non posso, però il fatto che qualche giorno fa, quando ha vinto Fuglsang (il Mercan’Tour, ndr) sia stato con il gruppetto dei primi fino ai 10 chilometri dall’arrivo è un’ottima notizia. E’ qualcosa che fino a qualche mese fa sarebbe stata impossibile».

Il britannico sta ritrovando il sorriso
Il britannico sta ritrovando il sorriso

Forza mentale

Come lo squalo che fiuta mezza goccia di sangue e fa scattare il suo istinto killer, anche Froome se sente “mezza gamba” come si dice in gergo, cambia i suoi orizzonti. 

Il britannico può davvero fare bene, può davvero essere ad una nuova svolta della sua carriera. E già la crono o un arrivo di tappa in salita fatte bene al Delfinato possono dire molto. Se dovesse arrivare con i primi… automaticamente ritornerebbe la testa del campione di vertice.

«Vedendo che va si carica – riprende Cozzi – questo è sicuro. Chris già è carico di suo. Mi diceva: «Io non sono sicuro se tornerò a vincere un grande Giro, ma non voglio finire così”. 

«Se riuscirà a tornare in alto, il 90% sarebbe da attribuire proprio alla sua voglia, alla sua testardaggine, alla sua forza mentale. Poi se dovesse arrivare una volta davanti sì, ripeto, sarà contento e motivato, gli scatterà qualcosa nella testa ma non ha comunque la bacchetta magica».

«Froome non si pone obiettivi di corsa o di posizioni al Tour. Tra l’altro per correttezza devo dire che neanche è ufficiale la sua presenza alla Grande Boucle: ci sono in lista 11 atleti per 8 posti e lui ne fa parte. L’obiettivo è tornare ai suoi livelli e quello sarebbe un punto di partenza. Se Froome torna Froome, poi può vedere una volta per tutte cosa fare».

Cozzi, per onestà dice che non c’è ancora una convocazione ufficiale, ma di certo il Tour de France è l’obiettivo di Froome: uno come lui vuole e “deve” esserci in Francia.

Froome è al Delfinato pensando al Tour, anche se ufficialmente non è ancora certa la sua presenza
Froome è al Delfinato pensando al Tour, anche se ufficialmente non è ancora certa la sua presenza

Meglio in sella

Il lavoro una volta era impostato per il Tour e provare a vincerlo, adesso è sempre per il Tour, ma come detto, prima ancora per ritrovare se stesso. E in tale senso il Tour è una delle tappe da affrontare.

«Si è allenato bene ad Isola 2000 con la squadra. Tanta quantità e tanta qualità: non sono mancati lavori specifici, fuori giri che riproducano le situazioni di gara e dietro motore.

C’erano Woods, Fuglsang, Clark… ne hanno approfittato anche per fare delle ricognizioni. Ma lui ha poco da scoprire sul Tour, visto che ne ha vinti quattro!».

Cozzi parla poi di un Froome visto bene anche in sella. L’assenza di dolori hanno migliorato anche questo aspetto.

«Non che Chris sia un grande “stilista” in bici – conclude il diesse della Israel PremierTech – però da quel che ho visto al Tour of the Alps e da quel che vedo nelle corse alla tv, mi sembra meglio dello scorso anno. Per esempio nella corsa che ha vinto Fuglsang l’ho visto bene quando era davanti con i primi. E quando dico bene intendo che si muove meno in sella. E’ più stabile.

«Con Gary Blem, il meccanico che si porta dietro dal vecchio team, hanno lavorato bene. Chris si fida ciecamente di lui».

Corti

Parlando con Corti di campioni e promesse mancate

16.05.2022
6 min
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A 67 anni, Claudio Corti si gode il meritato riposo e la bici la usa solo per tenersi in forma («Ho ripreso a pedalare dopo trent’anni, per tenermi un po’ in esercizio…»). Una storia la sua durata qualcosa come 45 anni, prima da corridore e poi da diesse, girando il mondo e scoprendo campioni. Ne avevamo parlato poco tempo fa a proposito di Daniel Martinez, ultimo prodotto di una lunga esperienza vissuta in Colombia, in quella che è stata l’ultima tappa del suo girovagare: «Quando nel 2016 il ministro dello sport è cambiato mi hanno rimosso dall’incarico, anche perché il budget che avevamo a disposizione era molto esiguo e non ci si stava più con le spese per girare il mondo per le gare».

A quel punto, Corti ha provato a sondare il terreno in giro, fatto progetti, sentito sponsor, ma senza una squadra rientrare in carovana si è rivelato impossibile.

«Provate a guardare quanti sono rimasti fuori come me: Ferretti, Stanga, lo stesso Amadio prima della chiamata della Federazione… Un patrimonio di esperienze gettato via, se sei senza team non hai possibilità di trovare spazi. A quel punto mi sono deciso a mettermi tutto alle spalle e godermi la pensione. D’altronde con quello che ho fatto, non me la sentivo di rimettermi in gioco per qualcosa di piccolo».

Corti Moser 1977
Corti con Moser, entrambi iridati nel 1977. In carriera ha vinto 10 gare, con 2 titoli italiani e un argento iridato da pro’ nell’84
Corti Moser 1977
Corti con Moser, entrambi iridati nel 1977. In carriera ha vinto 10 gare, con 2 titoli italiani e un argento iridato da pro’ nell’84

L’importanza di lasciare casa

Non che Claudio si sia allontanato da quel mondo che è stato la sua vita. Intanto è presidente onorario della società ciclistica giovanile nel suo paese, Capriolo e un occhio ai più giovani lo getta sempre volentieri. Poi guarda alle gare ciclistiche vedendo in gara tanti che hanno iniziato con lui.

«Ad esempio Esteban Chaves . dice – viveva vicino casa mia a Bergamo, lo portai in Italia che non lo conosceva nessuno e finì per sfiorare un Giro d’Italia. Lo perse solo perché Nibali s’inventò un’azione delle sue quando ormai sembrava spacciato. Ma Esteban ha avuto un ruolo importante, ha fatto da traino ai suoi connazionali».

Questo è un concetto importante che Corti vuole sviluppare: «Il problema per molti colombiani era che rimanevano confinati nel loro mondo, soffrivano di nostalgia nel lasciare casa ed evitavano di farlo. Ma solo così puoi emergere. Chaves ha aperto la strada, i giovani hanno capito che se volevano vivere di ciclismo dovevano trasferirsi e guadagnando bene potevano portare con sé la famiglia».

Esteban Chaves fu 2° al Giro e 1° al Lombardia nel 2016. Un esempio per i suoi connazionali
Esteban Chaves fu 2° al Giro e 1° al Lombardia nel 2016. Un esempio per i suoi connazionali
Chaves Lombardia 2016
Esteban Chaves fu 2° al Giro e 1° al Lombardia nel 2016. Un esempio per i suoi connazionali

Martinez, cresciuto nei sacrifici

Di Corti avevamo parlato a proposito di Martinez: «Rispecchia quanto ho detto. Agli inizi non era un fuoriclasse, ma rispetto agli altri aveva una determinazione inconsueta. Voleva essere pro’ a tutti i costi e si è sacrificato per questo, è cresciuto e ora è uno dei candidati alla vittoria del prossimo Tour. Ma a fronte di corridori che hanno investito e ottenuto, ce ne sono altri che avevano grandi mezzi e sono rimasti lì, come ad esempio Fabio Duarte che secondo me poteva essere un campione, quando vinse il titolo mondiale U23 nel 2008 sembrava destinato a grandi cose, ma era debole di carattere».

La scoperta di Froome

La storia di Corti non è legata solo ai colombiani. A lui ad esempio si deve la scoperta di un talento come Chris Froome.

«Eravamo andati a fare una gara in Sud Africa, nel 2007 – racconta – il Giro del Capo, avevamo la squadra Barloworld incentrata su Felix Cardenas (che finì 2° dietro il compagno di team russo Efimkin, ndr) e noto questo spilungone che in salita teneva botta con agilità. Al tempo aveva ancora il passaporto kenyano, la cosa mi colpì e decisi di portarlo nel team. L’anno dopo decisi di provarlo al Tour de France: il penultimo giorno, nella cronometro vinta da Cancellara, finì 14°. Era la prima volta che affrontava una corsa di 3 settimane, aveva lavorato tanto per i compagni eppure aveva ancora forza e voglia di lottare, capii che c’era davvero del buono in quel ragazzo e lo presi sotto la mia custodia».

Duarte
Fabio Duarte, un colombiano molto promettente ma che non ha mantenuto le attese
Duarte
Fabio Duarte, un colombiano molto promettente ma che non ha mantenuto le attese

Froome e l’auto in prestito…

Il loro rapporto andava anche oltre quello legato al ciclismo: «Viveva vicino casa, spesso mi chiedeva la macchina in prestito e gli davo quella di mia moglie per uscire la sera. Aveva grandi mezzi, ma doveva trovare la sua dimensione. In una tappa del Giro, con la scalata del San Luca era andato in fuga con 15 corridori e quel giorno aveva la gamba per vincere, ma finì 4°. Aveva bisogno di maturare anche mentalmente, non solo nel fisico.

«Si vedeva che poteva fare tanto, certo non avrei mai pensato allora che avrebbe vinto così tanto nei grandi Giri. A ben guardare il meglio della Ineos è passato per le mie mani, come Thomas. Nessuno pensava che un pistard come lui potesse avere una grande carriera da stradista, ma Geraint è sempre stato uno che ha avuto piacere di andare in bici e questo lo si vede anche adesso, nella fase discendente della carriera».

Torniamo a Froome, potrà tornare a emergere? «Dubito, ha preso troppe legnate in questi ultimi anni. La ripresa da un infortunio come il suo è già difficile, ma sopra ci si sono aggiunte tante delusioni che hanno fiaccato la sua autostima. Sono stati anni troppo difficili, ha perso l’abitudine a lottare con i migliori. Un corridore per emergere deve crederci al 100 per cento, lui prima che i compagni di squadra o i dirigenti o chiunque gli sia intorno. I risultati nascono dal di dentro».

Froome Corti 2009
Froome alla Roubaix, con Corti a rimettere a posto la ruota. Il loro legame è stato molto stretto
Froome Corti 2009
Froome alla Roubaix, con Corti a rimettere a posto la ruota. Il loro legame è stato molto stretto

La mancanza degli italiani

Guardando questo ciclismo da fuori, Corti non può che considerarlo lontano dai suoi schemi.

«Sono sempre stupito e meravigliato – dice – da quel che fanno i giovani attuali, ma io credo che sia generato anche dal fatto che prima dei giovani alla Evenepoel e Pogacar di oggi c’è stato un vuoto generazionale. Campioni c’erano, ma si sono consumati presto: uno come Quintana nei suoi primi tre anni, nelle corse a tappe non finiva mai fuori dal podio, ma poi non ha retto. Io vedo in questi ragazzi una forza e un entusiasmo che quelli di prima non avevano, forse neanche la mia generazione. Io i primi anni da pro’ facevo fatica, ci ho messo anni per trovare la mia dimensione. Mi dispiace solo che fra questi giovani campioni che stanno segnando un’epoca non ci sia un italiano…».

Chris Froome, la sua Factor Ostro V.A.M. con le ruote basse

02.05.2022
5 min
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Chris Froome è un corridore che continua a catalizzare su di sé molte attenzioni. Al Tour of the Alps, siamo andati a sbirciare il setting della sua Factor Ostro V.A.M. Ci sono le corone a doppia camma, una sorta di marchio di fabbrica del corridore britannico e poi quelle ruote “bassissime” quasi fuori dal tempo.

La Factor Ostro V.A.M. di Froome, dopo l’arrivo a Lana
La Factor Ostro V.A.M. di Froome, dopo l’arrivo a Lana

Froome e le corone O.symetric

Tecnicamente non si tratta di oval rings, ma di corone a doppia camma. Non c’è un’ovalizzazione vera e propria, perchè le due corone 52-38, adottano una sorta di sagomatura in diverse parti del loro disegno. Sono prodotte dall’azienda francese e sono state una delle chiavi dei numerosi successi del plurivincitore del Tour de France. Le pedivelle sono le Rotor Aldhu Carbon e il power meter è il Rotor InSpider.

Componenti Black Inc

E’ la componentistica che fa parte del portfolio Factor. Sono il cockpit full carbon integrato e le ruote da “scalatore vero”, con un profilo da 20 millimetri, un’altezza difficile da trovare nell’era dei cerchi alti. Il modello è Twenty, sono con la predisposizione per le gomme tubolari (che sono Maxxis High road da 26 millimetri di sezione), cerchio full carbon, così come i raggi. Questi ultimi hanno una sezione piatta, con i terminali in alluminio che si innestano nel mozzo, anch’esso in alluminio. I nipples sono esterni e “classici”. La raggiatura è Sapim. Queste ruote compaiono anche su alcune biciclette degli altri scalatori del team Israel-Premier Tech. Una configurazione che troveremo anche al prossimo Giro d’Italia?

Trasmissione a 11 senza pulegge oversize

La trasmissione è Shimano Dura Ace a 11 rapporti, come tutti i corridori Israel. Sulla bicicletta di Froome non compare la gabbia del cambio con pulegge maggiorate, ma c’è quella standard Shimano.

Altro dettaglio curioso, facendo anche un confronto con il passato di Froome, è l’assenza dei “pulsanti da scalatore“, quelli della trasmissione e posizionati tra stem e parte alta del manubrio. Ci sono invece quelli da velocista, nella zona della curvatura, accanto alle leve dei freni.

La sella è Syncros

Il team israeliano è sponsorizzato da Selle Italia, ma il corridore britannico monta una Syncros Tofino. Le sella ha un’imbottitura media, fa parte di una categoria “comfort performance” ed è leggermente spoilerata nella sezione posteriore.

Beltrami TSA

Froome e De Marchi, il punto dall’ammiraglia con Claudio Cozzi

29.04.2022
4 min
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In casa Israel – Premier Tech vale la pena soffermarsi un attimo a parlare di due nomi. Due nomi importanti: Alessandro De Marchi e Chris Froome. Due veterani della squadra diretta da Claudio Cozzi, uno dei diesse, e due corridori che in questo inizio di stagione hanno fatto più fatica del dovuto.

Ma se per il britannico il barometro volge al bello, per il friulano il meteo è ancora incerto, anche se qualche timido segnale positivo è arrivato dalla Liegi.

Froome e De Marchi, rispettivamente primo e terzo da sinistra, al via da Cles nella prima frazione del TOTA
Froome e De Marchi, rispettivamente primo e terzo da sinistra, al via da Cles nella prima frazione del TOTA

Niente dolori…

Partiamo dal re di quattro Tour, un Giro e due Vuelta. Dicevamo che le cose migliorano. Nei giorni del Tour of the Alps lo stesso Cozzi ci aveva detto che erano tre anni che Chris non raggiungeva certi valori in allenamento.

«Esatto – dice il direttore sportivo – tre anni che non raggiungeva certi valori, ma quello che più conta è che non sente più dolore e questo gli consente di allenarsi bene, forte come vuole lui. 

«Sta continuando a dare segnali positivi. Al Tour of the Alps è caduto però poi sembrava che stesse abbastanza bene, non ha avuto problemi fisici: nessun tipo di dolore, ginocchio, schiena o caviglia quello che lo tormentava lo scorso anno. Io sono fiducioso».

«Chris è un fighter, un combattente, nella vita e nello sport – ha aggiunto Cozzi – Ha una testa veramente forte e quindi man mano che vede che sta bene, che migliora, va in progressione. Prende fiducia. La sua testa è molto forte, adesso ha bisogno di recuperare il suo fisico dopo quel maledetto incidente. E non è facile, anche perché gli anni passano. Però, ripeto, Chris ha una testa fuori dal normale».

«E’ di una professionalità incredibile. Mi colpiscono la calma e la tranquillità che ha nel gestire ogni situazione. Lui non sente le pressioni, non sente i giudizi altrui, se i giornalisti lo criticano per lui è uguale».

Froome ha anche provato ad andare in fuga sul Rolle (2ª tappa del TOTA)
Froome ha anche provato ad andare in fuga sul Rolle (2ª tappa del TOTA)

Froome e il Giro?

Alla luce di un buon Tour of the Alps, al netto dell’ultima tappa in cui Froome è uscito fuori tempo massimo come la metà del gruppo (hanno preferito non rischiare tra pioggia, freddo e discese tecniche), è curioso conoscere quale sarà il programma di lavoro e di gare del britannico.

«Stiamo decidendo proprio in questi giorni – ha detto Cozzi – gli allenatori valutano i suoi dati e di conseguenza stileremo il suo programma. Una remota possibilità di vederlo al Giro? Difficile da dire. Stiamo disegnando la squadra del Giro in questi giorni».

Il fatto di lasciare una piccola porta aperta sulla presenza di Froome al Giro è legata principalmente alla questione dell’ormai noto bollettino medico che coinvolge tutte le squadre. Di base Chris non dovrebbe essere al via da Budapest. Tanto più che dopo il Tour of the Alps si è schierato anche al Romandia: proprio perché stava bene voleva accumulare un buon volume di lavoro.

«Abbiamo sempre qualche corridore fermo, pertanto dobbiamo tenere in considerazione tutti i nostri atleti. Anche perché poi c’è da stare vigili anche sulla questione dei punteggi (per la classifica WorldTour a squadre, ndr). Nello stesso periodo della corsa rosa ci sono il Giro di Norvegia e altre gare: dobbiamo distribuire bene la squadra».

De Marchi ha disputato una buona Liegi visto il lavoro che doveva svolgere e la condizione non certo al top
De Marchi ha disputato una buona Liegi visto il lavoro che doveva svolgere e la condizione non certo al top

“Dema” c’è…

Capitolo De Marchi. Leggendo gli ordini di arrivo si potrebbe dire che Alessandro proprio non va quest’anno. Poche gare, molte delle quali finite anzitempo con dei ritiri. Chiaramente alle spalle c’è una grossa dose di sfortuna. Anche De Marchi come Froome, è un combattente nato, ma quando la salute non gira per il verso giusto c’è poco da fare.

Anzi che almeno la Liegi, seppur indietro, l’ha portata a casa.

«De Marchi – riprende Cozzi – non è che non va, solo che ogni volta ha avuto influenza e mal di stomaco. Nella prima tappa al Tour of the Alps ha vomitato e non ci si aspettava questo. 

«Lui mi ha detto che al Giro vuole esserci, vuole stare con noi, e conoscendolo sono abbastanza fiducioso. L’ho sentito anche nel corso del Tour of the Alps, dopo il suo ritiro ed era in miglioramento (e infatti poi quasi a sorpresa è volato alla Liegi, ndr)».

Alessandro vuole il Giro, okay, ma bisogna anche essere pronti per andarci e di certo il suo cammino non è stato privo di ostacoli. Avrà la condizione giusta? Avrà il volume di lavoro necessario per affrontare tre settimane di corsa?

«Guardate – conclude Cozzi – che Alessandro si è allenato e bene. Non è che non abbia la condizione, ma come ripeto è stato male. I suoi volumi di allenamento li ha fatti. In virtù di questi problemi abbiamo eseguito degli accertamenti e virus non ne sono usciti… quindi dopo la Liegi va diretto al Giro».

Wiggins 2012

Il Tour di Wiggins, quando nacque l’epopea Sky

26.04.2022
5 min
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Dieci anni fa. Quello che ricorrerà quest’estate non è un anniversario qualsiasi. Probabilmente allora non ce ne accorgemmo, ma la vittoria di Bradley Wiggins al Tour de France avrebbe avuto un peso enorme sull’evoluzione del ciclismo. Era iniziata l’epopea della scuola britannica (in quel Tour arrivarono ben 7 vittorie albioniche), ma soprattutto era iniziata l’epopea del Team Sky. Ancora oggi, con il nuovo nome Ineos Grenadiers, ci facciamo i conti e le ultime settimane, fra Martinez, Kwiatkowski e altri lo hanno detto a chiare lettere.

Oggi Wiggins segue le corse dalla moto di Eurosport: qui dopo l’ultima Roubaix
Oggi Wiggins segue le corse dalla moto di Eurosport: qui dopo l’ultima Roubaix

Come una rockstar

Quel Tour ha lasciato enormi strascichi anche nei suoi protagonisti. Sembra strano, ma forse Wiggins (nella foto di apertura con l’allora bimbo Ben, oggi corridore guidato dal padre di Pidcock) ha “digerito” quel successo solo negli ultimi anni, tanto è vero che tempo fa ha ammesso di aver vissuto quel trionfo nella maniera sbagliata.

«Mi sentivo come una rockstar – ha detto – alla quale tutto era dovuto. Oggi, guardando indietro, posso dire che ero polemico e volgare, veramente assurdo e infantile. Questo ha avuto un impatto sulle relazioni intorno a me».

Il suo rapporto con il Team Sky andò incrinandosi fino all’addio nel 2015 e il distacco avvenne in maniera davvero dolorosa. E oggi che Wiggins opera nell’ambiente come commentatore per Eurosport ammette che la responsabilità è stata sua.

Cavendish Boasson 2012
Cavendish vinse 3 tappe in quel Tour. Qui l’iridato è con il norvegese Boasson Hagen
Cavendish Boasson 2012
Cavendish vinse 3 tappe in quel Tour. Qui l’iridato è con il norvegese Boasson Hagen

Una squadra padrona

Per capire da che cosa nacquero i dissidi bisogna tornare indietro nel tempo, raccontare un Tour che venne gestito dai ragazzi del Team Sky come volevano e come avrebbero fatto negli anni successivi, fino all’avvento di un certo Pogacar. Nel cronoprologo Wiggins finisce a soli 7” da Cancellara, che chiaramente non è un fattore per la classifica.

Fino alla settima tappa non avviene nulla di eclatante. Lì, sull’ascesa di Planche des Belles Filles si palesa il dominio britannico, con Chris Froome che vince con 2” su Wiggins che prende la maglia gialla, con 10” su Evans.

Wiggins chiaramente sfrutta al meglio le sue doti di passista, di grande specialista delle prove contro il tempo. Nella crono di Besançon accumula altri 35” su Froome che sale al terzo posto in classifica a 2’07” dal connazionale, in mezzo Cadel Evans a 1’53”. L’australiano due tappe dopo cederà, mentre intanto si affaccia sul podio Vincenzo Nibali. Si arriva così alla 17ª tappa, quella con arrivo a Peyragudes, quella del “fattaccio”.

Attacca Alejandro Valverde, che vive una delle sue tante giornate epiche. Ma l’Embatido non ha velleità di classifica. Dietro i due britannici fanno il vuoto e restano soli all’inseguimento. A un paio di chilometri dalla conclusione, dopo un tornante, Froome stacca Wiggins e inizia a guadagnare.

Wiggins podio 2012
Gli sguardi di Froome e Wiggins sul podio finale tradiscono la tensione reciproca
Wiggins podio 2012
Gli sguardi di Froome e Wiggins sul podio finale tradiscono la tensione reciproca

Il rapporto va in pezzi

Valverde è davanti, ma neanche troppo lontano, potrebbe prenderlo. Dall’auricolare il manager Dave Brailsford urla a Froome: «Fermati!», Wiggins fa lo stesso, ma con quel poco fiato che ha è quasi un’invocazione: «Aspettami». Froome obbedisce, Valverde vince la tappa, Froome si dovrà accontentare della seconda piazza in classifica e anche nella crono finale.

Nelle dichiarazioni del dopo tappa c’è un fair play che maschera il dissidio. Wiggins ammette che «Chris voleva vincere la tappa, me lo ha chiesto e ho risposto sì. Ma poi ho perso la concentrazione, ero arrivato al limite e la mente non c’era più».

Froome davanti ai taccuini dei giornalisti rilascia frasi di circostanza improntate al successo di squadra (seguendo sempre gli ordini superiori) intanto però la fidanzata (e poi moglie) Michelle Cound twitta: «All’improvviso non sono più dell’umore di andare a Parigi. Che presa in giro…».

La realtà si saprà solo molto tempo dopo. Nel chiuso del pullman Sky Wiggins e Froome litigano di brutto e di fatto chiudono i rapporti. Solo molto tempo dopo, quando anche l’anglokenyano avrà lasciato la Ineos, i due avranno modo di chiarirsi e riappacificarsi.

Wiggins Nibali 2012
Quel Tour fu anche il primo sul podio per Vincenzo Nibali, che chiuse a 6’19” da Wiggins (alle sue spalle)
Wiggins Nibali 2012
Quel Tour fu anche il primo sul podio per Vincenzo Nibali, che chiuse a 6’19” da Wiggins

Dopo allora, niente più Tour

Wiggins il Tour, dopo quella vittoria non lo correrà più, continuerà a gareggiare fino al 2016, ma era già un’altra persona. A ben guardare, quella vittoria fu un po’ un controsenso del quale sono capaci solo i grandi campioni, perché Wiggins era un pistard prestato alla strada. Per vincere la maglia gialla, per un anno si concentrò solo sulle corse su strada, ma la pista restava padrona del suo cuore (5 titoli olimpici e 6 mondiali per 19 medaglie complessive, bastano questi dati per chiarire il concetto…).

Wiggins Sky 2012
Il britannico portato in trionfo dai compagni, ma quel Tour lascerà strascichi fino all’addio nel 2015
Wiggins Sky 2012
Il britannico portato in trionfo dai compagni, ma quel Tour lascerà strascichi fino all’addio nel 2015

Tutto per i Giochi

Anche recentemente Sir Bradley conferma quella scelta, senza il minimo pentimento: «I Giochi sono famosi in tutto il mondo, si disputano ogni quattro anni, quando vinci è come se entrassi in una famiglia privilegiata, ma enorme. Io ho vinto in 5 edizioni diverse, quando avvenne a Sydney 2000 erano pochissimi gli sportivi britannici che riuscirono in una simile impresa, a Rio 2016 eravamo una delle nazioni più medagliate. No, per me non è la stessa cosa».

Resta però il fatto che da quel Tour iniziò un modo diverso di correre, più “di squadra”. Dipendeva molto anche da come il Team Sky era costruito, dal fatto che puntava quasi tutto sulle tre settimane in terra francese. Ora le cose sono cambiate: per volontà e per necessità, la squadra sta mutando pelle. E forse un Bradley Wiggins oggi farebbe ancora comodo.

Froome 12 anni con Sidi: «Shot 2 le mie preferite»

25.03.2022
3 min
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Anche Chris Froome ha fatto… tappa in Sidi. Il campione britannico con Sidi ha vinto tutto: il Giro d’Italia 2018 e ben quattro volte del Tour de France. Froome ha recentemente approfittato della sua partecipazione alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali per passare dalle parti di Maser (Treviso) dove sorge il quartier generale Sidi. E proprio nel corso di questa graditissima visita aziendale, Chris ha raccontato come stia recuperando il proprio stato di forma e quanto i prossimi appuntamenti siano fondamentali per avvicinarsi al meglio ai grandi obiettivi di questa stagione. 

L’emozione del Giro

«Nel corso della mia lunga carriera – ha affermato Chris Froome in Sidi – ho avuto il privilegio di vivere tantissimi momenti a dir poco indimenticabili. Non nego che tra questi il successo al Giro d’Italia del 2018 sia stato probabilmente il risultato più straordinario. Ero difatti perfettamente cosciente che dovevo fare qualcosa di assolutamente sensazionale per ribaltare la classifica generale, e così ho attaccato sullo sterrato del Colle delle Finestre: dando tutto quello che avevo e senza sapere come sarebbe andata. E alla fine, come spesso succede nel ciclismo, il coraggio ha pagato…

«Parlando poi degli anni successivi a quel bellissimo successo – ha aggiunto con una punta di malinconia – sfortunatamente con l’incidente prima della cronometro del Critérium du Dauphiné le cose non sono andate così bene… Ma questo fa parte della vita e dello sport. Quello che oggi posso dire è che per me è davvero importante poter fare ciclismo ad alti livelli e correre con una mentalità che sento ancora più forte di prima».

Froome indossa scarpini Sidi da 12 anni, le sue preferite sono le Shot2
Froome indossa scarpini Sidi da 12 anni, le sue preferite sono le Shot2

Shot 2: potenza e sostegno

Chris Froome ha ovviamente anche parlato del rapporto che lo lega a Sidi, raccontando in modo particolare quanto l’aspetto tecnico sia per lui una parte fondamentale nella professione del ciclista.

«Fidarsi di una squadra che lavora con te e per te – ha aggiunto Froome – è davvero molto, molto importante, ed io sono estremamente felice di poter affermare di avere un rapporto speciale con tutte le aziende che mi sostengono. E tra queste c’è la Sidi. Pensate, mi alleno e corro con calzature Sidi da ben 12 anni, e oggi sono affezionatissimo al modello Shot 2. Quel che amo di queste scarpe è il doppio rotore in posizione centrale in grado di eliminare tutta la zona di pressione sul collo del piede migliorando la sensazione di chiusura.

«Ma anche la suola – ha aggiunto – realizzata con l’impiego di fibra di carbonio di ultima generazione, grazie alla speciale conformazione della zona metatarsale, è in grado di aumentare la trasmissione della potenza direttamente sui pedali, garantendo un sostegno e un supporto davvero ideali. Due dettagli… concreti in grado di rendere questo paio di calzature davvero speciali».

Sidi